martedì 1 settembre 2015

In onore di Umberto Grancelli

Su Giano sul sacrario pagano di Verona
In questi ultimi anni su Giano -Il dio delle origini prettamente italico- sono stati fatti degli studi significativi da Dumézil, Renato Del Ponte, Nuccio D'Anna o sul periodico la Cittadella (non mi ricordo più l'autore del bellissimo articolo su Giano), hanno diradato le nebbie su questa divinità Italica poco conosciuta, ma ancora con molti lati oscuri e poco conosciuti. E il sacrario di Castel San Pietro è simile ai famosi templi come quello della fortuna primigena a Palestrina o di Giove Anxur di Terracina
.C'è un testo bellissimo che ne ho curato la ristampa e anche ho promosso un incontro di studiosi per fare il punto sulla validita del libro titolato "Piano di fondazione di Verona Romana" scritto dal grande Umberto Grancelli.
In occasione della ristampa ho redatto una nuova introduzione.




Nuova introduzione al testo di Umberto Grancelli redatta in occasione della nuova seconda ristampa

“Piano di fondazione di Verona romana” è ormai un testo introvabile, e chi ha la fortuna di possederne ancora una copia la conserva gelosamente. Per molti anni ho cercato di poterne acquistare una originale, interpellando librerie, conoscenti vari, ma la risposta era sempre la stessa<>. Solo pochi mesi fa uno degli amici più cari mi ha fatto dono dell’unica copia che aveva, forse impietosito dalla mia vana ricerca. Aperto il testo sulle prime pagine notai un appunto a matita:<>. Credo che queste poche righe sintetizzino una delle tante riflessioni che possono scaturire dopo aver letto questo meraviglioso libro che ci accompagna nei mondi tenebrosi e incantati alla scoperta dei poteri latenti che sussistono in ognuno di noi.Grancelli nella fondazione di Verona ci svela il mondo dimenticato e sconosciuto di una città magica, espressa dalle proprie sacre misure ,dagli antichi riti , dagli allineamenti astronomici, ma soprattutto, lasciando che le pietre stesse ci parlino, oltre dalle scontate geometrie legate al cardo e al decumano , anche se la forma reticolare colpisce al primo sguardo e le strade principali seguono gli assi cartesiani dove l’organismo cittadino ordinario troverà la sua forma palese . Una geometri occulta ci è lentamente svelata, concepita per restare nei secoli così che nessuno la possa scalfire, tenendosi sottotraccia e mantenendo l’equilibrio del cerchio e del quadrato.La parte razionale è quella sviluppatasi dentro l’ansa protettiva dell’Adige, lineare e allineata, così la città conosciuta e la sconosciuta convivono: una dentro l’ansa disposta a reticolo e l’altra, sacra, che è all’origine trova la sua sede sul colle di S. Pietro, dove è il “palatium” del potere e il luogo della forza spirituale , dove il cielo comunica con la terra. Attraverso punti riconducibili ad un disegno mandalico ripresi da templi cristiani ci appare una città composta non solo di assi reticolati ma anche di cerchi e di allineamenti tuttt’ora rintracciabili fissati sul cammino annuale del sole. Lentamente ci viene svelata una città incantata fra la sapienza dell’oriente e dell’occidente,. Luogo fondato su principi eterni e trascendenti, frutto di conoscenze pressoché a noi sconosciute e immemorabili , l’incessante alternarsi della luce e del buio, del terrestre e del sotterraneo.Il colle di San Pietro con i suoi pozzi e le sue cavità e con il teatro ai suoi piedi, è la montagna sacra a cui tutta la città si volge, forse è qui che si tracciò il pomerio come nella fondazione di (segnato da un fulmine inviato dalla divinità più alta), con l’aratro mosso da due buoi , uno di manto bianco e l’altro nero, un aratro a versoio che in qualche museo dell’Etruria è ancora possibile vedere, con l’ala in bronzo che permetteva alla zolla mossa di essere capovolta, in maniera che il sotto diventasse il sopra e viceversa. Liturgie rituali indispensabili per creare la città, gesti compiuti non solo per delimitare , ma anche per orientare verso il cammino annuale del sole e verso le stelle o le costellazioni che da sempre hanno determinato gli atti umani fondamentali, e non esiste cattedrale che non abbia il suo zodiaco e non fanno eccezione le principali chiese di Verona,la Basilica di San Zeno e il Duomo che conservano pareti istoriate di queste dodici figure. Le stesse cattedrali sono la continuazione medioevale di questo sapere arcano, trasposto in simboli, immagini e allegorie. Vivere morire e rinascere, la morte è effettivamente un passaggio, un cambiamento di stato, ogni città ha una sua individualità è una creatura un organismo che nasce e muta. Il colle di S. Pietro era l’acropoli dove più alto sorgeva il tempio dedicato al dio Giano, che chiudeva e apriva ogni ciclo, due facce opposte di una divinità indivisibile che incarna il mistero dell’uomo come unità viva e creatrice, composta da aspetti contrastanti e complementari che si influenziano vicendevolmente.Non a caso Ops Consiva è la paredra di saturno ,ma anche consorte di Giano, è una divinità femminile preposta alla fertilità, alle acque sorgive e feconde, ai granai e alla conservazione del farro base alimentare dei romani, grano particolare selezionatosi nel Lazio, legato anch’esso ai misteri del grano, alla morte resurrezione, e già gli egizi solevano ricoprire il dio dei morti Osiride di cariossidi e farle germinare, perché il grano deve morire, trasformarsi e infine germinare nelle viscere delle madre terra, solo cosi potrà nutrire gli uomini e il pane era legato intimamente ai misteri Eleusini come il vino era legato ai misteri di Dioniso, e nella messa cattolica ritroviamo questi alimenti che ulteriormente si trasformano in carne e sangue. Il colle di San Pietro è l’inizio e la fine di un viaggio eterno di morte e di rinascita, dove le facce di Giano della soglia osservano in opposte direzioni la partenza e l’arrivo, questa divinità italica, come l’apostolo Pietro è munita di chiavi per aprire o chiudere la porta della salvezza. Umberto Grancelli ci ha aperto e accompagnato verso una diversa conoscenza, ma anche verso la speranza che una seppur piccola parte di noi troverà la liberazione eterna.

Nel tempio della dea fortuna... (le affinità con il sacrario di Cole San Pietro a Verona)
Palestrina. Nel tempio della dea fortuna La celebrazione del potere primigenio Renato del Ponte, Dei e miti italici Il tempio dedicato alla Dea Fortuna a Palestrina rientra tra le costruzioni monumentali erette nell’antichità in forma di altare telluricocosmico. Qualcosa di radicato al suolo e avvinto alla struttura stessa della terra, come scaturito dai contrafforti del colle. Dalla base alla sommità del rilievo dominante l’antica Praeneste si levava il grandioso e scenografico tempio: qualcosa di simile all’altare di Pergamo, inglobante l’intero altopiano, oppure a certe rappresentazioni fantastiche della liturgia faraonica. Molti tra i più celebri studiosi rinascimentali, scrutando i pochi resti antichi che si potevano vedere tra le povere casupole di Palestrina, si erano ingegnati a immaginare quale forma avesse in origine il tempio che si sapeva essere della Fortuna Primigenia. Ricostruzioni ideali di Giuliano da Sangallo o del Palladio liberavano la fantasia ad immaginare i più colossali edifici, secondo le geometrie di un gigantesco neoclassicismo. Renato del Ponte, La città degli dei. La tradizione di Roma e la sua continuità Ma neppure la fantasia poteva superare la realtà. Furono le bombe americane dell’ultima guerra a liberare in più punti le incrostazioni e a mostrare in tutta la sua portata quello che era stato davvero il magnifico tempio. Si trattava di una imponente costruzione che, già nel IV secolo, occupava l’intero colle: un sistema di terrazze saliva per gradi sino alla sommità, in cui si trovava il tempio più interno, e ogni tappa del viaggio ascensionale era segnata da vari livelli, con scalinate, rampe, stazioni. Tutto il complesso aveva l’aspetto di un sistema geometrico costruito in asse col tempio più alto e con la statua del culto supremo, in un quadro che qualcuno ha definito “ideologico”, volendo rimarcarne gli aspetti di celebrazione del potere divino attribuito al contatto con l’energia generatrice dell’uomo. La terrazza degli Emicicli, quella dei Fornici, quella delle Fontane, quella della Cortina erano altrettante tappe del sacro itinerario. Sino alla sommità, dove, sul culmine del colle, si levava il tempio vero e proprio della Fortuna Primigenia. Era un luogo essenzialmente oracolare. In una grotta naturale ai primi livelli della salita, all’estremità della parete addossata al suolo, è stato trovato uno spazio impreziosito di colonne scanalate e con i resti di un pavimento musivo. È l’Antro delle Sorti, in cui l’oracolo emetteva i suoi responsi. Questi, altre volte, secondo Cicerone, venivano ottenuti, per così dire, alla maniera nordica, interpretando le sortes, lettere incise su pezzetti di legno che venivano estratte dalla roccia e interpretate. E il sacello costruito sul luogo in cui si operò questo oracolo era ritenuto particolarmente sacro. Jean-Michel David, La romanizzazione dell'Italia Poco distante, dietro l’abside del Duomo attuale, là dove un tempo sorgeva la basilica di epoca repubblicana, ecco comparire l’aula absidata, anch’essa in parte scavata nella roccia e dotata di ricca decorazione architettonica. Qui fu rinvenuto il famoso mosaico detto del Nilo, risalente all’80 avanti Cristo, che oggi si conserva al Museo. Questo capolavoro contiene una specie di mappa geografica dell’Egitto e un vero bestiario esotico. Ma, ciò che più interessa, è che è stato messo in relazione con le mutazioni della Fortuna e con il viaggio fatto da Alessandro Magno in Egitto, quando rese onore a Giove Ammone. Una presenza, questa di Giove, che era anche a Praeneste sin dagli inizi, dato che - secondo Tito Livio - Cincinnato, che conquistò la città alla fine del IV secolo, portò a Roma come preda di guerra proprio una statua di Giove Vincitore, posizionandola sul Campidoglio. Il culto alla Fortuna è uno dei più antichi su suolo italiano. In esso si intrecciavano motivi legati sia alla fertilità che alle potenze oracolari. Esiste la prova che nel santuario prenestino il culto ufficiale alla Fortuna era gestito dai patres e dai sacerdoti virili, mentre quello femminile legato alla fecondità era appannaggio di collegi di matres. Questa duplice vocazione del tempio è stata riconosciuta dagli studiosi come prova di un sincretismo che, per la verità, era assai diffuso a Roma. Lo stesso abbinamento che è stato fatto tra la Fortuna e Iside, cui in epoca ellenistica anche a Praeneste veniva reso onore, non è che un’ennesima riprova della capacità pagana di unificare in concetti organici anche ispirazioni diverse. Le fonti antiche affermano che esistevano due statue della Dea Fortuna: una di bronzo dorato e una di marmo bianco, nella posa di allattare Giove e Giunone bambini. La presenza di Giove all’interno di un tempio dedicato alla Fortuna non sembra essere, dunque, una contraddizione tra significati della sovranità e quelli della maternità. Anzi, era proprio luoghi come questo che nell’antichità si intendeva celebrare ad un tempo tanto il potere sovrano che l’origine della vita, fondendo in un unico culto la gerarchia uranica della potenza e quella tellurica della genealogia. Andrea Carandini, Remo e Romolo. Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani (775/750 - 700/675 a.C. circa) Alla celebre iconografia della Fortuna recante la cornucopia dell’abbondanza si affianca quella, che era ricorrente specialmente sulle monete, di una duplice Dea: una vestita con la corona sul capo, l’altra a seno nudo con un elmo sulla testa. Del resto, sulla più alta terrazza, là dove, secondo Cicerone, l’olivo avrebbe secerto miracolosamente del miele, si trovava la statua guerriera della Fortuna, posta ad un gradino più elevato di quella materna del santuario situato livello inferiore. Rappresentazione ben chiara che questo santuario riuniva in sé tutti i valori principali della vita, celebrando alla maniera pagana e in modo uniforme tanto la virilità quanto la femminilità. Alcuni studiosi hanno poi rimarcato l’importanza della Dea Fortuna nell’ambito delle credenze italico-latine più arcaiche, sottolineando come i loro più profondi attributi fossero quelli legati al primordiale potere di assicurare la fecondità e riproduzione della discendenza. La speciale tutela sulla nascita e sulle sue arcane provenienze era l’aspetto principale, assicurato dal dettaglio rivelatore che la Dea Fortuna la si diceva avere potere di protezione sul corpo e, particolare, sugli organi genitali. Giandomenico Casalino, Il nome segreto di Roma Una divinità della genealogia, della trasmissione del sangue, della nascita? È proprio questo che deve intendersi sotto denominazione di Fortuna Primigenia, intimamente legata, in altre parole, al concetto di “buona nascita originaria”. Questa era, dunque, per i nostri antichi padri la vera “fortuna primigenia”: avere buona razza, essere di ceppo sano e legato all’origine. È tra le pieghe di monumenti e luoghi che fanno parte del nostro panorama quotidiano, e dei quali, di solito, trascuriamo di ricordare i più profondi significati, che si nascondono alcune verità essenziali della nostra civiltà. Per dire, andare oggi a Palestrina a visitare il tempio della Dea Fortuna significa inevitabilmente ammirare il palazzo della famosa famiglia papalina dei Colonna-Barberini, costruito nella zona più alta dell’antico santuario che come un cuculo si è posato sul nido di una religione più antica e diversa, occultandone oggi l’intimo senso. Ma i simboli parlano, a chi sa intenderli, anche se offuscati dalle manomissioni e dalla dimenticanza. Luca Leonello Rimbotti Tratto da Linea del 26 ottobre 2006.

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