lunedì 1 dicembre 2014

Il tempio pitagorico sotto i binari della stazione termini

NINO BURRASCANO
IL TEMPIO PITAGORICO DI PORTA MAGGIORE IN ROMA
(Biblioteca dei Curiosi - Anno XXVI - n.9 - Casa Editrice Dott. A. Tinto - Roma 1950)
Nella primavera del 1917 mentre si eseguivano, nei pressi di Porta Maggiore in Roma, i lavori di sistemazione della linea ferroviaria Roma-Napoli, il terreno cedette sotto il peso delle rotaie ed i lavori vennero sospesi. Iniziati i sondaggi archeologici, si trovò un pozzo circolare, poi una galleria sotterranea che conduceva in una stanza a vòlta con un lucernario, e che dava accesso ad una vasta sala; divisa in tré navate da una duplice serie di pilastri. Oli studiosi presero vivo interesse alla scoperta, sia per la struttura architettonica della costruzione, sia per le decorazioni finissimo — quasi fossero state eseguite in epoca recente — mentre erano nascoste da secoli a 13 metri di profondità. Un'intera letteratura è venuta fuori intorno alla costruzione ed allo scopo per cui venne edificata: chi sostiene che era una sala per feste ; chi la ritiene una tomba ; e chi — ed è la maggior parte — sostiene che era adibita a luogo di riunioni, a scopo di culto, di una setta religiosa segreta. Un Tempio, quindi, data anche la sua caratteristica conformazione. Confrontando le decorazioni con altre simili dell'epoca romana, è ormai accertato che la costruzione rimonta al I sec. dell'Era Volgare e precisamente alla prima metà di esso (41-54 d. C.), epoca dell'Imperatore Claudio sotto il cui regno venne probabilmente edificata. E poiché non presenta tracce ne di distruzioni, ne d'incendi, si ritiene che sia stata abbandonata dai partecipanti al culto forse in seguito ad un editto dell'Imperatore Claudio, il quale, essendo stato un riformatore religioso, credette di consolidare le tradizioni religiose dell'Impero, di cui era anche il Pontefice, bandendo ogni culto che potesse recar danno alla religione ufficiale dello Stato. A quale culto serviva il Tempio ? Già fin dal primo secolo dell'Impero le parte eletta della società, ebbra di edonismo e di esteriorità, cercava qualche cosa che
più appagasse lo spirito e la vita interiore. La dottrina di Pitagora chiariva molti problemi dello spirito, ma il culto non era semplice, ed i principi mistici non erano facili sicché la religione veniva professata come un privilegio dalle classi colte. Il pitagorismo però, penetrato nell' Impero, venne diffuso da P. Nigidius Figulus, uomo di elevatissima sensibilità spirituale : ma dovette adattarsi alla mentalità romana. Ed è per questo che forse venne costruito il Tempio che rappresenta la più alta riforma spirituale tentata dal paganesimo romano (1).
(1) Cfr. Campino La Basilique Pitagoricienne e la Porte Majeure en Rome, Paris 1927.
Gli stucchi. A chi esamina la ricca serie degli stucchi che ornano le pareti e i soffitti si presentano i lineamenti di una dottrina religiosa mistica che ha le basi in quella pitagorica. Infatti raggruppando gli stucchi nelle loro significazioni generali, '.essi rappresentano :
— la morte che, nella vita terrena, pone termine al travaglio degli uomini ;
— la salvazione che è riservata soltanto agli iniziati ai misteri ;
— la iniziazione che svincola dalla morte e porta alla liberazione dello spirito, nei piani dell'Inconoscibile.
Il pensiero della morte circonda il Tempio. Tra il plinto ed il fregio sono inseriti grandi pannelli che hanno tutti l'altezza della parete intermedia (circa i tré quinti dell'intera altezza), e la larghezza di due metri e mezzo. Essi si susseguono, senza interruzione : 10 attorno all'atrio, 28 attorno alla cella. Si scorgono in essi paesaggi stilizzati da cui emana una serenità di pace religiosa, lontana dalle passioni umane ; campi di riposo sopra i quali veglia una presenza divina. Elenchiamone qualcuno : Il primo quadro, a destra entrando nella navata al principio della volta, raffigura Oreste dopo la uccisione di Egisto e di Clitennestra ; egli s'incontra con Elettra seduta alla tomba del loro padre Agamennone.
La quarta tomba al muro sud, a cominciare dall'entrata, è custodita da un Dio di cui è difficile individuare la'' personalità per le avarie dello stucco. In un'altro pannello si vede Diana-Ecate che tiene nella destra . lo scettro della Regina infernale. In questi stucchi si seguono le abitudini dei primi secoli dell`'Impero quelli cioè di rappresentare i defunti con gli attributi degli Dei i quali, nei sepolcri, avevano una funzione di custodia e di protezione. Queste statue ideali, secondo l'intendimento degli stuccatori e che rispecchiano le idee dei partecipanti, hanno una funzione protettiva, ed i paesaggi funerari che predominano in ogni pannello, li avvolgono in un'atmosfera di apoteosi. E si vedono donne che fanno omaggio di festoni, una giovane inginocchiata che prega per invocare l'intervenlo divino; e poi ancora ciste mistiche, tamburelli, doppi flauti, tirsi ecc.; sono elementi che indicano i sacrifici già compiuti. E non lontano da questi pannelli funebri sorge un'erma in marmo di Priapo itifallico sia per preservare le tombe da ogni avversità e più ancora per annunciare che la vita ritorna e si rinnova. E così dopo che la immagine della morte è ripetuta 28 volte sulle mura del Tempio ecco che l'annunzio di una vita felice dopo la morte è presentato da tanti altri stucchi posti superiormente.

La Salvazione. — L'Ade, nella concezione, pagana, è un duro passaggio, anzi una dura esperienza ritenuta necessaria per raggiungere poi la salvazione, la suprema felicità, i Campi Elisi. Per i Romani il mondo di là non era un luogo tenebroso al fondo di un abisso, ma un mondo incantevole ed ideale sia che l'avessero posto ai confini dell'oceano, o agli antipodi della terra, oppure negli astri. E la sopravvivenza era considerata non un prolungamento della vita con tutte le limitazioni terrene, ma uno svincolo dalle servitù e limitazioni anteriori e lo sviluppo ed il fiorire delle facoltà superiori. Gli stuccatori del Tempio hanno impresso questi concetti in alcuni quadri nei quali è raffigurato il giucco dell'Amore, l'ebbrezza delle tiadi bacchiche, e lo sforzo degli esseri per raggiungere le altezze dell' Olimpo. Così vediamo in alcuni pannelli ovali o circolari, che si ripetono in ciascuna delle volte: piccoli Eroti non curanti che si trastullano. Uno versa un liquido da un'anfora grande quanto lui; è il balsamico liquore della delizia; un altro tira le redini di due caprioli che trascinano a galoppo una biga: è il carro della felicità; due altri in atto di afferrare le farfalle che girano attorno a loro: sono le anime attirate dall'amor divino. Altre decorazioni deìl'Atrmm. sì connettono al ciclo dionisiaco: la preparazione, in un enorme cratere, posato al suolo, della bevanda mistica, che dovrà servire poi per l'Agape; vi assiste un fanciullo che appoggia le mani ai bordi del cratere ; Demetra che tiene nella destra un pugno di spighe, mentre un adolescente, che tiene una piccola falce nella sinistra, la contempla in venerazione. E' Triptolemo a cui la dea ctonia porge . il dono sublime del suo grano, l'alimento divino, per distribuirlo agli uomini. Una Esperide tiene tré pomi in una mano ed uno in un'altra e li presenta a Èrcole che li riceve: Èrcole è in atto di riposo: dopo tutte le fatiche e tribolazioni viene al giardino meraviglioso ove cantano le Figlie della notte sotto l'albero dai frutti sempre vivi. Questi tré stucchi si connettono al paradiso creduto dai pagani; essi preparano l'immortalità che s'intravede nei più pregevoli stucchi della volta. Infatti, al disotto del muro ovest dell`Atrium un pannello oblungo raffigura un genio alato che solleva sul dorso una donna velata e ha nelle sue mani un'anfora col collo in giù. È il genio dell'Eternità che abbandona alla terra la cenere dei defunti, mentre solleva in alto, fino agli astri, le anime immortali raffigurate nella donna velata. (1)
(1) Alla base della Colonna Antonina in Roma si vede lo stesso Genio che trasporta sulle ali Faustina ed Antonino divinizzati.
Un altro stucco, al di sopra dei muri nord e sud nel medaglione di mezzo, contiene una Menade che cavalca serena e trionfante una pantera domata: essa ha perduto di vista il nostro mondo e si avvia tranquilla verso il cielo di Dioniso. Altra decorazione è quella di Ganimede sollevato in alto da un Dio o da un Genio. Egli inchina con la destra il collo di un'anfora mentre col braccio sinistro sostiene una fiaccola; versa così la sua vita mortale sul globo che ha lasciato, mentre solleva la fiaccola accesa col fuoco imperituro della vita.
La Iniziazione è chiaramente figurata sulla volta strapiombante il muro ovest, nel 3° pannello a partire dall'entrata: si vede una donna seduta che legge attentamente un volume; sulla volta del basso lato destro un'altra giovane s'avanza dalla sinistra, con un rotolo in mano, verse un'altra donna seduta che legge in un altro rotolo che ha davanti. A destra un'altra donna in piedi che tiene un tirso, ascolta una seconda lettrice che spiega piano e con calma il testo che essa enuncia. Sono evidentemente scene dell'iniziazione con la lettura del rituale (catechèsi) come nelle pitture della Villa dei Misteri a Pompei.
(1) Altra decorazione è un Efebo attento in atto di ripetere i movimenti del centauro Chirone. Questo centauro fu il solo giusto fra i Titani e personifica la Sapienza secondo Fiatone, la perfezione nella pietà secondo Euripide (2). L'educazione'che impartisce ai suoi allievi era illuminata; in questa figurazione è simbolo dell'educazione divina, Altro stucco raffigura Teseo ed il filo di Arianna, il filo della iniziazione senza la quale Teseo sarebbe stato divorato dal Minotauro. Vi sono però i falsi iniziati ed i semi iniziati e due decorazioni avvertono i frequentatori del Tempio quali pericoli corrano coloro i quali non raggiungano la. perfetta iniziazione : i due stucchi raffigurano gli episodi di Apollo e Marsya: uno indica i preparativi del giudizio di Marsya, l'altro il supplizio.
(1) Cfr: I Misteri Orfici nell'antica Pompei (Biblioteca dei Curiosi di Ninn Burrascano. (2) Ifigenia in Aulide. V. 927
La rivalità tra Apollo e Marsya rappresenta il dissidio tra la sapienza vera e quella falsa. A coloro che disprezzano o che violano i Misteri è riservato il castigo, e ciò è chiaramente illustrato nello stucco in cui è rappresentata la danza di Agave che tiene in mano la testa del proprio figlio Penteo il quale si era nascosto, travestito da donna sopra un albero per assistere ai misteri di Dioniso che lui stesso aveva proibiti. Agave, nel furore dionisico scorge Penteo sull'albero e ritenendolo un leone lo squarta insieme con le altre baccanti e poi, afferrata la testa, compie i riti del canto e della danza in onore di Bacco. Questo mito è presentato con mano maestro da Euripide nelle Baccanti. Ai misti ed ai partecipanti alla liturgia è riservata la immunità, ed uno stucco, posto dopo la figurazione d'Apollo e Marsya rappresenta il dialogo di Fedra ed Ippolito il quale, non volendo cedere all'amore colpevole della Regina, viene salvato per l'intervento di Artemide che lo risuscita con l'aiuto di Esculapio e delle sue erbe portentose (1). Così sulla volta della grande navata è raffigurato 1' aiuto che Artemide porge a Ifigenia che la sostituisce sull'altare con una delle sue cerve nel momento in cui il sacrificatore sta per uccicidere la giovine. E infine a destra ed a sinistra della volta del basso lato sud dell'entrata, vi sono degli stucchi che raffigurano la calma serena dei misti: quattro donne in atteggiamento di dolce serenità; poi tré donne che circondano un altare eretto davanti un pilastro, tutte come se stessero in conversazione sacra a cui fa seguito un concerto mistico. In un'altro pannello Èrcole ed Athena, in tenuta guerriera, si stringono la mano. Athena è propizia all'Eroe che per mezzo della Sapienza divina, personificata da lei, è trasformato in un modello di perfezione. Questo stucco rappresenterebbe la iniziazione finale del piisto che viene così identificato con la Divinità.
(1) Virgilio, En. VII 767-769 — Ovidio, Metamorfosi XV 531.535.
Queste decorazioni avvalorano l'ipotesi che il tempio doveva esser frequentato da persone che avevano formata una religione esoterica speciale che pur avendo adottati i vecchi miti ed i riti ad essi attinenti, li ha trasformati e combinati secondo i bisogni di una nuova scienza religiosa. Franz Cumont (1) ha poi affacciata l'ipotesi che il tempio potesse essere frequentato dai seguaci del pitagorismo, "i quali negli ultimi secoli prima dell'Era volgare avevano ben compresa l'essenza intima dell'Orfismo. E Pitagora, esiliato da Samo dal tiranno Policrate, trovò nella Magna Grecia la sua sicurezza ed i suoi discepoli.

La Liturgia. — Dice il Carcopino che il luogo e la posizione del santuario sono stati subordinati alle esigenze di ciò che egli non esita di chiamare la liturgia pitagorica. Infatti la costruzione sotterranea è fuori del pomerium in un quartiere isolato e di cam' pagna: i frequentatori quindi volevano sfuggire alle persecuzioni dell'epoca, e nello stesso tempo tenersi lontani dai rumori e dal tumulto della città e trovare maggior raccoglimento e un senso di pace in un tempio appartato e tranquillo. Il tempio è talmente infossato che il pavimento si calcola (2) a 13 metri e 34 cm. al di sotto della strada ferrata. Al di sopra del corridoio sono stati praticati degli occhialoni circolari nella copertura, e nell`Atrium era stato aperto in mezzo, un lucernario per la luce e per l'aria. L'ipotesi quindi che il tempio servisse ai pitagorici è avvalorata dal fatto che, secondo i biografi tardivi del Maestro (3), egli, a Samo, oltre la sala di riunione che aveva nella sua villa, s'era costruita, fuori la villa stessa, un ritrovo in una grotta sotterranea che era la sua vera casa di filosofia. Se non vi sono elementi precisi che possano dar per certo che il Tempio serviva per i pitagorici, si può con sicurezza affermare che lo spirito del pitagorismo ha inspirato i fondatori della costruzione i quali hanno seguito il loro piano, tecnico è decorativo adattandolo alle necessità del culto pitagorico. Secondo Giamblico, infatti, il culto pitagorico comportava: le purificazioni, le libazioni, un sacrificio che precedeva un pasto in comune (specie di agape) ed infine una lettura di cose sacre ed un sermone.. Ora il tempio è stato decorato in modo che, malgrado le attuali deteriorate condizioni, si è in grado di riconoscere ciascuna di queste cerimonie e di ricostruire, per sommi capi, la maggior parte del cerimoniale.
(1) R. Anch, 1918.
(2) Ing. Edoardo Gatti :Notizie, 30-36.
(3) Porfirio. V. P. 9.
Purificazione. — Sappiamo che i Misteri avevano inizio con una lustrazione. I pitagorici vivevano nella frequenza della purezza, indossavano la toga bianca e -avvolgevano i loro morti in un bianco lenzuolo. Il bianco, che è simbolo della purezza, è la tinta che predomina nel Tempio. Tutto è bianco: dal mosaico del pavimento, ai marmi, agli stucchi delle decorazioni. La purificazione si eseguiva simbolicamente ed esteriormente con le lustrazioni, con i bagni e con le aspersioni. I bagni si facevano non per immersioni, ma con lavaggi rituali e le anfore necessarie al rito sono disegnate in sei zoccoli addossati, nella navata grande, ai sei pilastri che la fiancheggiano e sui muri dei bassi fianchi. Hanno vicino una grande foglia di palma. Le anfore contenevano certamente l'acqua lustrale e le foglie di palma servivano per le aspersioni.
Libazioni. — Dopo le lustrazioni vi era il rito del sacrificio preceduto da una libazione (1). I pitagorici facevano le libazioni invocando Zeus-Sóter, Ercole e i Dioscuri. Zeus-Sóter, padrone assoluto di ogni cosa, non poteva essere espresso dai decoratori del Tempio perché egli è l'essenza inesprimibile della divinità. Èrcole incarnava la forza della natura; i Dioscuri personificavano l'armonia universale. Tanto il primo che gli altri due sono rappresentati negli stucchi.
(1) Vedi analoghi riti nelle pitture della Villa dei Misteri a Pompei 'il volumetto della nostra collezione: I Misteri Orfici nell'Antica Pompe! di Nino Burrascano.
Il Sacrificio. — Dopo le libazioni avveniva il sacrificio. Pitagora aveva abolito ogni immolazione di animali sostituendoli con mirra o incenso, galette, grani di miglio, scomparti di miele. Tollerava però il sacrificio di qualche speciale animale di cui era ammessa l'immolazione; ed infatti si son trovate le tracce di un'ara, e nell'abside e nell`Atrium sono state esumate le ossa di animali (cani), di cui era ammesso il sacrificio e che probabilmente si riferiscono alla fondazione del Tempio. Altri resti di animali si sono trovati nella pulitura dell`impluvium, riconosciuti per ossa di' porcellini. Si sa infatti che Pitagora sacrificava soltanto polli, capretti e porcellini da latte (1). Al sacrificio succedeva subito dopo un pasto comune, composto di vino, pane, focacce, legumi crudi o cotti, ed anche della carne (2). Era però vietato di mangiare le fave, il pesce e le uova. Tra i pilastri vi sono le tracce di quattro tavole di marmo (mensile); e poiché non erano ammessi gruppi superiori a 10 convitati (3), si suppone che il numero dei partecipanti alle cerimonie potesse raggiungere i quaranta. Non si sa se questo numero fu mai raggiunto dal Collegio; ma si deve presumere che esso comprendeva almeno 12 membri mettendo tale numero in relazione con i 12 ritratti che stanno sui pilastri della cella e che forse erano o i fondatori o i contem- poranei che frequentavano il Tempio. Ma quattro mense sarebbero state troppe per 12 associati. È necessario però osservare che per i pitagorici il numero 12 ha un'importanza particolare. Infatti 12 Dei conducono il mondo che è chiuso fra i 12 segni dello zodiaco. Inoltre i pitagorici considerano la sfera celeste originata da 12 pentagoni le cui superfici sono state curvate ecc.
(1) Diogene Laerce VIII. 20. (2) Jamblico. V. P. 98 Porfirio. V. P. 36. (3) Jamblico, V. P. 98. (4) Platone, Fedro. W. Rep. X p. 616. E.
Queste teorie, volgarizzate da Platone (4) sono di Pitagora, il quale fa originare la terra dal cubo, il fuoco dalla piramide, l'aria dall'ottaedro, e l'Universo dal dodecaedro. Il 12 era la espressione numerica anche di Zeus e quindi i 12 affiliati scelti per il ritratto sui pilastri del Tempio rappresenta vano il Tempio stesso e l'unione completa della fratellanza. Ma quanti erano i componenti la setta pitagorica di quell' epoca? Forse 28 se si considerano i grandi stucchi che si ripetono 28 volte al basso dei muri e che raffigurano ciascuno un recinto funerario guardato da una divinità. Un aneddoto riportato nell'Antologia Palatina conferma questo numero :-(1) in un dialogo enigmatico Policrate domanda a Pitagora a Samo quanti discepoli egli ha nella sua casa, e Pitagora risponde: «— Tè lo dico subito: la metà studia l'ammirabile scienza dei matematici ; l'eterna natura è oggetto degli studi di un quarto; la settima parte si esercita alla meditazione ed al silenzio. Vi sono, poi, tré donne, tra cui Theano eccelle di più. Ecco il numero dei miei allievi ». Ciò corrisponde a 28 e quindi nel tempio, al pasto partecipavano 7 discepoli per ognuna delle quattro mense.

Letture di cose sacre. — Dopo il pasto in comune il discepolo più anziano sceglieva, nei suoi libri rituali, il testo che i fedeli dovevano ascoltare in quel giorno, e incaricava il più giovane di leggerlo ad alta voce (2). Molti stucchi sui muri del- VAtrium e della cella raffigurano appunto le sante letture. Altri motivi decorativi del Tempio illustrano la dottrina pitagorica: noi sappiamo che il Maestro di Crotone portò delle innovazioni fondamentali alle dottrine filosofico-religiose di quell'epoca. Egli circoscrisse, anzi limitò il cerchio della Necessità e indicò agli esseri umani la via del ritorno verso la libera patria nell'Etere divino, origine stessa della Vita. L'Ade e l'Olimpo della mitologia subirono una trasformazione radicale e vennero ridotti a espressioni puramente simboliche. Per il pitagorismo la salvazione è l'immortalità stellare, mentre la dannazione è la continuazione della dura prova terrestre attra- verso una serie di metamorfosi più o meno degradanti (trasmgrazione).
(1) Ant. Pai. XIV, I. (2) Jamblico V. P. W.
Le figurazioni dei Pigmei, di Agave e suo figlio, di Marsya, delle Danaidi rappresentano la espiazione delle colpe commesse durante la vita terrena. Tutti personaggi che si muovono nell'Ade convenzionale. Essi abitano un solo inferno, quello che il pitagorismo romano ha descritto agli uomini: l'inferno intcriore scavato negli abissi invisibili delle anime che non arrivano a comprendere gli scopi elevati della vita. Questo Ade allegorico interiore è ritratto in poche allusioni nel Tempio. Invece le allusioni al Paradiso celeste, alla Beatitudine sono numerose e illustrate dagli artisti secondo le mentalità ed esigenze dell'epoca cosi : le baccanti, caratteristiche per la loro allegrezza orfica; le Vittorie che portano le palme e le corone per coloro che hanno superato gli ostacoli della vita; Amorini (Eroti) che afferrano le farfalle giranti attorno alla luce, ovvero le anime dei pitagorici attratti dall' Amore-divino ; Nereidi che cavalcano ippocampi, Tritoni, Teste di Medusa, ecc. Sono tutte figurazioni, riprodotte con insistenza, che hanno valore religioso, e richiamandosi, alle favole da cui originano, hanno un comune scopo: raggiungere le plaghe dell'Oceano dalle quali s'imbarcano per le Isole Fortunate. Cosi Nereidi e Tritoni hanno convogliato la spedizione degli Argonauti alla quale presiedeva Orfeo. Entrambi formano il corteo marino di Afrodite. Le Nereidi hanno condotto dopo la sua morte, Achille nell'Isola di Leuce, identificata nel 1° secolo per risola di Luce di cui parla Pindaro (1) e risola dei Fortunati. Così nel Tempio di Porta Maggiore le Nereidi incitavano i frequentatori ad intraprendere, sotto la loro protezione, il grande viaggio verso la felicità. La testa di Madusa, che è la figura più spaventosa della mitologia greca fino al iv secolo a. C., s'è man mano addolcita
(1) Mem. IV, 49-50,
fino a diventare sorridente e piacevole tanto nel Tempio di cui trattiamo, quanto nel bronzo del lago di Nemi. Questa trasformazione del mostro, dice il Carcopino, fu opera delle sette orfiche e pitagoriche, cosicché essa non incute più spavento, ma incoraggia gl'iniziati che si accingono alla traversata dell'oceano verso le Isole dei Fortunati per raggiungere l'Eternità sideralè di Pitagora. Altre caratteristiche decorazioni che richiamano le dottrine del maestro italico sono :
Il pasto del serpente : una donna offre reverente il pasto ad un serpente attoreigliato attorno ad un albero. Il serpente è il simbolo dell'anima immortale per il fatto che può riunire il principio alla fine, ciò che è proprio delle cose eterne.
Il culto del capretto: una giovine donna stringe nelle sue braccia un capretto che viene allattato dall'altra compagna. Ciò si ricollega ad una interpretazione pitagorica della formula racchiusa nella laminetta orfica di Thuri : "Io capretto son caduto nel latte " cioè sono rinato in Dioniso e dal suo nutrimento traggo nuova vita (1). E da aggiungere che la costellazione del capretto è situata sulla Via Lattea che è fiume rigeneratore e il Misto di Pitagora, come il capretto stellare, è invitato ad immergersi nel latte che scorre sulla volta dei cieli eterni.
La figura di Attis: è la sola divinità orientale di cui è ornato il Tempio. Vi si riproduce quattro volte. Questo dio porta il berretto dei frigi perche questo cono rappresenta la volta celeste; e la madre degli Dei conferì ad Attis la potenza del cielo. È stato castrato perché, privato delle sue facoltà e passioni terrestri, potesse apprendere le attitudini divine. La leggenda lo fa provenire dalla Via Lattea e la sua salvazione è celebrata con libazioni di latte. Si allude cosi alla rigenerazione delle anime che riamane, verso questo immenso complesso stellare il giorno della . salvazione.
(1) Vedi; / misteri orfici nell'antica Pompei di questa collezione (1° serie).
In mezzo alla porta ride una testa di Medusa; al di sopra una maschera d'Oceano è inquadrata da Tritoni. Più in alto ancora dominano due figure di oranti. Alla luce delle dottrine pitagoricbe si può dire che l'Oceano è il passaggio della generazione degli uomini e degli Dei, il cammino da dove discendono le anime sulla terra e da dove esse ritornano al cielo. I Tritoni assistono il pellegrino nel suo viaggio, e la traversata va fatta ancora siili e ali della preghiera.
Quattro grandi rilievi mitologici nella navata confortano ancora la tesi che il Tempio è di ispirazione pitagorica. Il primo a destra rappresenta la cattura fatta da Giasone, con l'amorosa complicità di Medea, della «; tosone rutilante dalle frangie d'oro » ; la pelle è attaccata ad un albero. La conquista della toson d'oro, come quella dei pomi delle Esperidi, come pure l'uscita di Teseo dal labirinto di Creta, rappresentano nella dottrina pitagorica la iniziazione vittoriosa. Segue l'altro quadro che rappresenta Ercole ed Esione. Ercole il più valoroso dei suoi compagni interviene nella liberazione di Esione come salvatore dell'anima che ha vinto la Morte. Degli altri due quadri disposti simmetricamente alla curva della volta a sinistra, quello ad ovest rappresenta, secondo il Fornari, (1) ad anche secondo il .Carcopino (2), Paride che rapisce Elena. Nella interpretazione pitagorica essi, come Medea e Giasone sono figure di amanti e d'iniziati. Ma quest'amore che non è ancora quello spirituale, raggiunge la espressione più pura, la cui fiamma si eleva verso le stelle eterne, nello stucco che rappresenta Ulisse ed Elena, davanti il Palladio secondo la decifrazione del Carcopino (3). Ulisse ed Elena, protetti dall'idolo di Atena, il Palladio, personificano la sapienza dell'iniziazione pitagorica. Ulisse è il simbolo del misto pitagorico che ha raggiunto la perfezione ; ed Elena raffigura gl'iniziati che, come lei, si sono liberati dal ciclo della generazione e raggiungono l'Etere, rappresentato dal Palladio.
(1) Notizie, p. 41. (2) Op. Cit, p. 333. (3) Op. Cit, p. 344.
Per quanto possa sembrare strana la interpretazione di questi quattro grandi quadri è certo però che essi sono stati composti dai decoratori con metodo rigoroso per dare rilievo ai dogmi del pitagorismo. Infatti : dopo Giasone, inginocchiato e tremante, che rappresenta l'iniziato ancora agitato dalle passioni, viene Èrcole il misto irreprensibile dotato dalla giusta eroica forza che soggioga tutti i nemici, e poi Paride il cui amore trascina Elena verso le terre ignorate e precede Ulisse che ha raggiunto la perfezione. Come si vede è una iniziazione graduale. Quadri successivi raffigurano poi l'ascensione degli eletti. Essi sono: alla chiave della volta Ganimede nelle braccia di Zeus, i Leucippidi nelle braccia dei Dioscuri. Tutti e due rappresentano l'ascesa delle anime nell'emisfero etereo, verso la luna ed il sole, nella sinfonia degli astri, dimora delle anime dei rigenerati. Vengono poi gli ultimi due stucchi non ben conservati; rappresenterebbero uno un Toro in piedi e l'altro due giovani nudi che si rassomigliano come fratelli e sembrano i due Dioscuri. Secondo la teoria pitagorica relativa ai rapporti dello zodiaco con la migrazione delle anime, dietro il Toro ed i Gemelli emergono le « Isole dei Fortunati », e quindi i due stucchi indicano la strada luminosa che conduce alla porta dell'Eternità. E veniamo adesso alla decorazione più importante.
Grande stucco simbolico dell'abside. — Si scorge in primo piano il mare agitato le cui onde battono un isolotto del centro e delle scogliere alle estremità. Su quelle di sinistra è seduto un uomo che si nasconde tristemente il viso nelle mani. Nel piano più alto, sta Apollo sulla rocca dell'isola come su di un piedistallo; brandisce l'arco con la mano sinistra e sembra incoraggiare con la voce e col gesto, una giovane donna risoluta a superare il tratto di mare che li separa ed a stringere la mano che il Dio le tende per soccorrerla. Dietro a lei un Amore alato che sembra spingerla dolcemente. La donna tiene in mano la lira. Di fronte le sta dritto un Tritone che soffia nella sua conca ; al di sotto una figura che sembra una sirena. Nel solitario di sinistra tutti gli interpreti sono d'accordo che esso raffigura il solitario profano che rimane a terra ignorando le vie della Verità. Secondo il Cumon si è voluto rappresentare l'anima umana che spinta da Eros e soccorsa dalle Sirene e dai Tritoni, figure pitagoriche dell'Amore divino, tenendo l'eptacordo vibrante delle armonie del mondo, si avanza al di là delle onde della materia imperfetta, verso Apollo, figura pitagorica del Sole, che è bagnato dall'Etere, come le Isole Fortunate dall' Oceano Mitico. Secondo il Carcopino ed anche secondo M. Desmore Curtis la simbologia del Grande stucco si connette alla illustrazione fedele dei versi che Ovidio, nella sua Heroides, consacra alla poetessa di Lesbo e cioè il salto episodico di Saffo nel mare di Leucade. Questo episodio non è il dramma che si conchiude con una morte volontaria, ma rappresenta un rito di rinnovazione spirituale che Saffo ha religiosamente compiuto con serena fiducia nelle potenze palingenetiche della divinità. Secondo Ovidio, Saffo ha voluto liberarsi dallo sfortunato amore di cui era vittima, ed è andata a seguire a Leucade l'esorcismo che si compiva in quel luogo. « Hanc legem locus ille tenet » (Qv. Her. XV, 171). Essa non vuole scomparire per sempre, scarta il presagio sinistro, non vuole morire (ver. 180); ma ha fiducia che la sua anima rinascerà, trasformata dal mare, (v. 176) liberata cioè dalle passioni che la turbano, (v. 169-170) mentre sull'altra riva il Dio di Pitagora, Febo-Apollo, si accinge a raccoglierla (ver. 177, 179, 183, 184) per condurla nelle sfere celesti. Le corrispondenze fra la poesia di Ovidio e i dettagli del bassorilievo sono molto chiari. Alla luce di queste teorie il grande stucco per l'iniziato rap- presenta l'anima umana che, inebriata e trasportata dall'armonia delle sfere, vivrà eternamente in questa comunione divina. E mentre per il profano l'amante di Saffo non è che un mortale, uno di Lesbo come lei, Faone, per l'iniziato Faone è == jewv, il brillante assimilato al Padre di Pitagora, all'Apollo solare nel cui seno riposano, nella Luce incorruttibile, le anime salvate dalla Verità, Ed è così che questo insigne monumento dell'antichità già denominata Basilica pagana, as^tica, persiana, gnostica, è da con- siderarsi un vero e proprio Tempio pitagorico costruito per gl'insegnamenti ispirati alla dottrina di Pitagora adattata secondo le esigenze filosofico-mistiche sentite nella Roma imperiale del regno di Claudio alla fine del I sec. della nostra era.

BIBLIOGRAFIA
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