domenica 10 febbraio 2013

Giovanni Paolo II e la politica vaticana filo-croata e contro i giuliano-dalmati

da Catenaccio » 20/09/2009, 14:26
Giovanni Paolo II, perchè ci hai trascurati? Karol Woytjla, il Papa “venuto da lontano” che non ci ha particolarmente amato. Di fronte alla complessa figura di un Pontefice che scompare, ai bilanci di una stagione della storia della Chiesa e dell’umanità che termina o, più in generale, di una vita che si spegne, ognuno di noi prova dolore ed un senso di vuoto. Credenti o atei, ci accostiamo con rispetto e riconoscenza alla figura di Giovanni Paolo II, il Papa che ha guidato la cristianità verso il nuovo millennio e ha contribuito in maniera decisiva alla vittoria della libertà sui totalitarismi del Novecento e ha difeso, oltre le Sue forze fisiche, la dignità e la sacralità della vita umana. Per tutto questo, il popolo istriano, fiumano e dalmata, costretto all’abbandono della propria terra, spogliato di ogni avere per rincorrere valori di libertà, giustizia e fede cristiana e, ancora dopo sessant’anni, condannato all’esilio, riconosce e ritrova nella sofferenza di Giovanni Paolo II, uomanere mo fra gli uomini, un grande esempio di dignità, speranza e carità. Il ricordo tuttavia ha sempre anche una dimensione personale e, in tale ottica, il ricordo che conserveremo del nostro apporto con il Papa scomparso non è del tutto privo di zone d’ombra nè contraddistinto da assoluta chiarezza. In verità, senza nulla togliere ai Suoi grandissimi meriti, tale rapporto è stato spesso segnato da dolorosi equivoci. Il primo incontro ufficiale con le Comunità dell’Esodo avvenne nel lontano 1985. In detta occasione, il santo Padre, accogliendo un gruppo di Esuli dalmati li aveva invitati a pregare i “loro Santi Cirillo e Metodio”. Due figure certamente luminose della storia cristiana, ma del tutto estranee al mondo italoveneziano, essendo state salutate dallo stesso Papa nella Lettera-Enciclica “Slavorum Apostoli”, appunto, come due fratelli slavi protagonisti dell’evangelizzazione dei popoli slavi. Basti ricordare che l’alfabeto cirillico fu creato da Cirillo, il quale diede, come spiega il documento, “un contributo fondamentale alla cultura e alla letteratura slave”. Aggettivo usato in poche pagine per più di 80 volte. Il secondo incontro arrivò alcuni anni dopo, nell’ottobre del 1998. Allora Giovanni Paolo II, in visita a Spalato, così si era espresso, rievocando una lunga e mirabile storia di fede: “Spalato e Salona hanno un’importanza del tutto particolare nello sviluppo del Cristianesimo in questa regione, a partire dall’epoca croata e poi in quella successiva romana”. Si sarà, forse, trattato di un equivoco dovuto alla traduzione ma, non bastasse l’avere involontariamente retrodatato l’arrivo degli slavi in Dalmazia (che arrivarono a seguito degli Avari tra il VII e l’VIII secolo, centinaia di anni dopo la morte di Diocleziano e tre secoli dopo la fondazione di Spalato!), Sua Santità invitò, altresì, a ricordare i “martiri croati” uccisi dai romani, citando Venanzio, Doimo e Mauro, benedisse la veneta Madonna dell’Isola come “proto-santuario mariano delle terre croate” e terminò salutando i resti dell’italianità dalmata disperatamente aggrappati alla loro identità con queste parole: “Saluto i pellegrini di Bosnia, Erzegovina, i pellegrini di lingua italiana...”. Vennero forse da remote contrade?! Si era già in anni lontani dalle euforie dell’immediato dopoguerra e persino “La Voce del Popolo”, quotidiano fiumano in lingua italiana, reagì in maniera pacata ma decisa. Il Grande Giubileo del 2000 fu l’occasione in cui diversi di noi tentarono di “aggiustare la mira”. Ma lo schiaffo arrivò di nuovo, in occasione di una delle numerose udienze di quell’Anno Santo. Fummo salutati come “un gruppo di fedeli dalla Slovenia e dalla Croazia”. Gaffe puntualmente ripetuta il giorno dopo da “L’Osservatore Romano”, precisissimo nel ricordare centinaia di gruppi: quello della “Parrocchia di San Francesco alla Rizzottaglia”, quello della “Banca di Credito Cooperativo del Basso Lodigiano e dei Colli Banini”... Eppure, chi almeno una volta ha partecipato o seguito una delle udienze papali sa con quanta puntualità anche linguistica vengono menzionati i vari gruppi di pellegrini... con il loro nome, nella loro lingua. Unica eccezione... il gruppo di “Esuli Giuliano-Dalmati”, la cui “identità” e presenza, chiaramente confermata, risultava anche dalla lettera di assenso, con i relativi permessi per l’ingresso riservato ai partecipanti all’udienza, della Prefettura della Casa Pontificia, firmata dal Monsignor James Harvey. “Purtroppo, al devoto entusiasmo è subentrata l’amara delusione per non essere stati citati sia nel corso dell’Udienza sia nell’elenco ufficiale dei presenti”, scrisse, in quell’occasione, il coordinatore del pellegrinaggio, Rinaldo Jurcovich: “Costernati, ci domandiamo il perché di questa esclusione”. La Prefettura della Casa Pontificia rispose ringraziando dei doni, rievocando la fruttuosa celebrazione, augurando la cristiana prosperità, ringraziando per il devoto gesto, ma... non rispose al lamento. Un altro augusto scivolone... purtroppo! L’infortunio forse più grave - che fece chiedere maliziosamente a questa stessa testata “se non fossimo noi, veneti delle terre cedute, concorrenti scomodi per eventuali accordi in corso in ordine alla restituzione dei beni della Chiesa in Slovenia ed in Croazia” - fu però certamente quello verificatosi in occasione della Mostra dedicata a “Arte religiosa e fede dei croati”, ospitata per il Grande Giubileo nella Biblioteca Apostolica Vaticana ed inaugurata dall’allora presidente della Croazia Franjo Tudjman che, nella circostanza, arrivò a definire Marco Polo “croato di stirpe e di nascita”. Una mostra che, in barba al tentativo di far passare la Basilica Eufrasiana di Parenzo quale “alta espessione dell’arte croata”, non avrebbe mai dovuto essere fatta. Lo ammise uno dei coordinatori, il professor Miljenko Domljan già presidente del Sabor croato, dicendo che sì l’esposizione contrabbandava col marchio croato molte opere appartenenti alla cultura italiana, ma che “non si poteva fare altrimenti, perché la produzione di esclusiva etnicità croata ha scarso valore; non so proprio che cosa potremmo mostrare, sarebbe tutto sotto un certo livello”. Risultarono così “croatizzati” l’arca di San Simone di Francesco da Milano (nel catalogo “Franjo iz Milana”), un argenteo busto di Santo Stefano (lavoro di un orefice romano), una statua di S. Giovanni da Traù del toscano Nicolò Fiorentino, il ritratto del Vescovo di Spalato di Lorenzo Lotto, una Pietà del Tintoretto, una pala d’altare di Lagosta dipinta a Roma dal parmense Giovanni Lanfranco, un pluteo cristiano precedente l’arrivo delle popolazioni slave sulla costa dalmata, piani e documenti della Cattedrale di Zara in stile pisano e quella di Sebenico costruita da Giorgio Orsini da Zara (ribatezzato Juraj Dalmatinac). Il papa sorrise, si complimentò, benedisse la mostra ed i presenti. Gli esuli gli scrissero una lettera di protesta, un doloroso appello. Ci rispose il silenzio... sic transit gloria mundi! E.T.

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