domenica 30 maggio 2010
Per ricostruire l'unità perduta
La tensione, l'istinto che ci induce a completarci nell'altro sesso. La sofferenza del continuare la specie, l'orgasmo stesso è dolore e liberazione. Tutto per ricostruire quell'unità perduta quell'uno che si avvicina all'essenza del macrocosmo. Per ritrovare un dio lontano e sconosciuto che risiede in noi, ma che incessantemente ci induce a confonderci ad unirci carnalmente, a soffrire e a ricercare la completezza nell'esaltazione della carne. Lavia della carne sofferenza masopratutto liberazione del nostro egoismo individuale.
sabato 29 maggio 2010
Forse la storia è diversa
IL SIG. MARIO CERVI CONTINUA A SPARARE SU UN MORTO CHE NON CHE NON PUO DIFENDERSI
di Filippo Giannini
Desidero iniziare con una premessa: quel che faccio e quel che scrivo (anche se male) è per rivalutare la memoria di un Giusto che da troppi anni è vilipeso proprio perché tale. E per essere più preciso: proprio perché Giusto.
Questo mio lavoro non è indirizzato al Sig. Cervi perché, data la sua risposta, deduco che da lui nulla posso imparare, ma utilizzo la risposta a me indirizzata per ampliare la documentazione già fornita nel precedente articolo, pur utilizzando quanto dal Sig. Cervi scritto su Il Giornale del 23 maggio 2010. Però una precisazione è d’obbligo: egli ha scritto fra l’altro:
Come alcuni lettori ricorderanno, nel mio precedente articolo “Sia Mario Cervi a sbugiardare la storia” riportai alcune documentazioni con le quali contestavo quanto aveva scritto il memorialista de Il Giornale il quale addebitava a Benito Mussolini le cause e le colpe della Seconda Guerra Mondiale. Riportai degli elementi ai quali il Sig. Cervi non ha risposto celandosi dietro una serie di sarcastiche battutelle. Invito i lettori che hanno avuto modo di seguire, sia il mio intervento che quello del Sig. Cervi, a testimonianza.
Come da premessa questo mio lavoro non vuol essere una replica al mancato contendere del giornalista, ma è rivolto a quelle persone, oneste di spirito e di volontà e animate da senso della giustizia. Presenterò altra documentazione per dimostrare che non solo Benito Mussolini non voleva la guerra, presenterò, oltre a quelle già riportate nel precedente lavoro, nuove testimonianze e documenti che attestano che la volontà della guerra risiedeva in ben altri centri e questo per difendere interessi egemonici di cui oggi paghiamo lo scotto.
Per iniziare pongo una serie di “È vero o non è vero” con le quali propongo una sequenza di documenti ignorando l’ordine cronologico:
1) È vero o non è vero che tra la fine del 1939 e i primi mesi del 1940 (nel periodo della nostra non belligeranza) la flotta da guerra franco-britannica effettuò 1370 casi fermo di nostri mercantili e navi di linea, casi di fermo che non furono tali ma veri e propri sequestri, in violazione di ogni norma internazionale? Tutto ciò, con dettagliatissima documentazione, è contenuto nei due Rapporti Luca Pietromarchi riportati interamente nel mio primo volume. Quale era lo scopo di queste provocazioni, sommate alle precedenti, se non quello di costringerci alla guerra?
2) È vero o non è vero che Mussolini inviò un telegramma a Vittorio Emanuele III nel quale, fra l’altro avvertiva:
3) È vero o non è vero che nel 1941, quando almeno formalmente gli Usa erano uno Stato neutrale, il Presidente Roosevelt per aiutare la marina inglese ordinò alla Marina statunitense di “sparare a vista contro le navi tedesche e italiane”?
4) È vero o non è vero che non è stata la Germania ad attaccare la Gran Bretagna e la Francia nel 1939, ma furono le due democrazie ad attaccare la Germania?
5) È vero o non è vero che con il Trattato di Versailles si attuò lo smembramento del territorio tedesco per darne una striscia alla Polonia con la geniale trovata del corridoio di Danzica?
6) È vero o non è vero che gli autori di quella imposizione furono W. Wilson per gli Stati Uniti, D. Lloyd George per la Gran Bretagna e G. Clemenceu per la Francia?
7) È vero o non è vero che in quella striscia di teritorio il 90% era di stirpe germanica?
8) È vero o non è vero che lo stesso Lloyd George scrisse il 25 marzo 1919 nel Memorandum di Fontainebleau:
9) È vero o non è vero che fra le clausole del Trattato di Versailles l’Alsazia Lorena fu attribuita alla Francia; al Belgio andarono i distretti di Eupen, Malmédy, Moresnet; alla Polonia, parte della Prussia occidentale e concepito il famigerato corridoio; alla Lituania il territorio di Memel. Alla Germania furono tolte tutte le colonie che andarono ad impinguare i già ricchissimi possedimenti di Francia e Gran Bretagna. Tutto ciò senza contare (che non riporto per ragioni di spazio) altre clausole vessatorie che umiliarono al massimo l’orgoglio tedesco che fu ridotto alla disperazione e alla fame?
10) È vero o non è vero che le richieste di Hitler alla Polonia erano straordinariamente modeste?
11) È vero o non è vero che il piano di Berlino era che la Germania ottenesse il diritto di costruire una strada extraterritoriale che la collegasse alla Prussia orientale?
12) È vero o non è vero che il Rapporto dell’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, del 21 novembre 1939, fra l’altro riporta:
13) È vero o non è vero che fra le suddette definizioni il punto 3) stabiliva:
14) È vero o non è vero che gli Stati Uniti occuparono militarmente la Groelandia e l’Irlanda nel 1940?
15) È vero o non è vero che Francia e Gran Bretagna firmarono un accordo con la Polonia, con il quale i due Paesi si impegnavano ad attaccare entro 48 ore quegli eserciti che avessero intrapreso azioni offensive contro la Polonia?
16) È vero o non è vero che a seguito dell’attacco tedesco alla Polonia, Gran Bretagna e Francia entrarono in guerra contro la Germania, ma non contro l’Unione Sovietica che pure aveva attaccato la Polonia dopo due settimane dall’attacco germanico?
17) È vero o non è vero che al termine della guerra Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti regalarono all’Unione Sovietica quella parte della Polonia che aveva conquistato quando era alleata della Germania?
18) È vero o non è vero che sarei molto vicino alla realtà se sostenessi che la guerra è servita per l’instaurazione di un sistema mondiale di controllo dell’economia e della finanza in mani private e l’appropriazione dei centri di potere nell’amministrazione degli Stati Uniti d’America, giusto la Dottrina Monroe?
19) È vero o non è vero che pochissimi italiani conoscono il testo del Trattato di Pace del 1947, meglio conosciuto come: Dictat?
20) È vero o non è vero che con il detto Dictat all’Italia sconfitta fu tolto tutto ed i vincitori (scusate: i liberatori) ci imposero le am-lire (moneta d’occupazione)?
21) È vero o non è vero che Mussolini custodiva gelosamente due buste nelle quali, come ripetutamente aveva sostenuto, avrebbe permesso all’Italia di sedersi al Tavolo delle trattative di pace non da Paese sconfitto?
22) È vero o non è vero che l’Unità, quotidiano del Pci del 23 e 25 gennaio 1996 fra l’altro ha scritto:
23) È vero o non è vero che quel carteggio, qualunque sia stato il suo valore, apparteneva allo Stato italiano?
24) È vero non è vero che nessun magistrato si è preoccupato, dato il valore di provenienza della testimonianza, di aprire un’inchiesta su quel fatto?
25) È vero o non è vero che Pio XII nel 1952 ad una precisa domanda rispose:
26) È vero o non è vero che Giuseppe Roncalli (il futuro Papa Giovanni XXIII) in una lettera inviata al fratello Giovanni in data 28 marzo 1941, circa la “La Guerra del Duce” (titolo di Mario Cervi), così la giudicava:
27) È vero o non è vero che non è stato mai dimostrato che Pio XII e Giovanni XXIII fossero pazzi scatenati?
Prima di terminare desidero riportare una testimonianza di un amico lettore che mi ha inviato la seguente mail:
Questi, Signori lettori, erano gli uomini: il primo (per ricordare Mario Cervi), Mangiatore di pane e guerre; il secondo, Pietro Badoglio valido rappresentante della ritrovata libertà (di rubare).
venerdì 28 maggio 2010
L'ultimo dipendente Parmalat non sa per chi lavora
Personalmente non so per chi lavoro chi è il mio datore. ufficialmente Antonio Vanoli. Vanoli, già AD della Ferrero(legata a mediobanca e a Fiat sempre) , esiste una figura di riferimento, ma non sappiamo chi c'è sotto o dietro(o megli lo sappiamo benissimo).
L'imbonitore Bondi(anche lui uomo di mediobanca) ha fatto affiggere in tutti gli stabilimenti un "manifesto" titolato Missione: tutte banalita, orpelli per non affrontare la realtà .
Voglio sapere per chi lavoro, ma forse in questi tempi moderni e democratici basta che arrivi lo stipendio e tutto è tollerabile.
La vittima sacrificale: Callisto!
Da un povero dipendente Parmalat dell'estrema periferia veronese
La colpa è tutta e solo di Tanzi. Una voragine del genere è da atribuire solo ad una pesona, tesi demenziale. Alla Parmalat è cambiato poco o nulla si è solo estromesso Tanzi si sono cancellati i debiti e si riparte,non pagando nessuno dei piccoli azionisti e obbligazionisti, la maggior parte dei dirigenti è ancora li. UNA GRANDE PRESA IN GIRO.
Chi sono i proprietari della attuale Parmalat? Il nuovo direttore viene da Ferrero uomo di Mediobanca. Quanta nostalgia per il vecchio sacerdote della finanza Cuccia con una moglie che si chiamava IDEA NUOVA SOCIALISTA BENEDUCE. Cuccia era come Tanzi pagava tutti l'arco costituzionale organi di partito compreso.
Addirittura i vertici di Mediobanca sono coperti da persone che hanno pilotato il collasso Parmalat, storie solo italiane. Imbrogli su imbrogli da anni e anni, truffe di piccoloe grande cabotaggio miserie quotidiane nel stabilimento di periferia come alla casa Madre di Collecchio.
lunedì 24 maggio 2010
gioia di vivere
E’ IN LIBRERIA:
A. M. Partini
CRISTINA DI SVEZIA E IL SUO CENACOLO ALCHEMICO
pp. 269 – Euro 17,50
20 illustrazioni.
Edizioni Mediterranee – Roma 2010
http://www.ediz-mediterranee.com/
Questo testo prosegue e amplia le ricerche dell'autrice su Cristina di Svezia, su Francesco Santinelli e su Massimiliano Palombara, presentandoci episodi biografici e analisi testuali interessanti non soltanto dal punto di vista storico ma rivelatori dell'"opera alchemica" di questi tre personaggi, appassionati del conoscere e del sapere che in quel periodo si esplicava attraverso l'alchimia e l'astrologia. Praticare queste materie non era in contrasto con la religione cattolica, lo dimostra il fatto che Cristina di Svezia rinunciò a un regno che amava e sapeva governare, per abbracciare la religione cattolica. Forse Cristina è il personaggio che esprime più validamente la rinuncia al mondo terreno, addirittura a un regno, per seguire più liberamente i suoi impulsi sapienziali e religiosi. Non a caso è stata chiamata "Minerva del Nord". In particolare nel libro viene ricordata e commentata la famosa porta magica di piazza Vittorio, alcune rime del poeta e latinista Massimiliano Palombara, riscoperte recentemente in due manoscritti dell'Archivio Palombara-Massimo, che vengono pubblicate per la prima volta, si riferiscono alle "massime" della Porta Magica. In base allo studio di queste rime, l'autrice ha potuto affermare che le "iscrizioni ermetiche" incise sotto i simboli della Porta e sulle pareti del "palazzino" sono opera del Palombara stesso e non del fantomatico pellegrino del Cancellieri come si è sempre creduto. (comunicazione editoriale).
Anna Maria Partini si dedica a ricerche storiche sull’ermetismo, soprattutto del Seicento. Ha portato alla luce e commentato gli scritti ermetici del marchese di Palombara, di F. M. Santinelli e della regina Cristina di Svezia, pubblicati dalle Edizioni Mediterranee; ha tradotto e curato, sempre per la stessa casa editrice, il Toson d’Oro di Salomon Trismosin e ha pubblicato Athanasius Kircher e l’Alchimia (2004), Alchimia, architettura e spiritualità in Alessandro VII (2007), Il segreto della Rugiada Celeste (2009), e Il Sogno e il suo mistero (1996) corredato da alcune sue miniature su porcellana. In collaborazione con Vincenzo Nestler è autrice di uno studio sulla Magia astrologica e con l'egittologo Boris de Rachewiltz ha scritto il volume Roma Egizia (entrambi usciti per le Edizioni Mediterranee). Ha pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate e volumi collettivi. È vicepresidente e istoriografa dell'Accademia Tiberina di Roma. Ha promosso e collaborato al restauro della 'Porta magica" di Piazza Vittorio Emanuele II in Roma.
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Sull'autenticità dei Protocolli di Sion
A proposito della questione sullautenticità dei «Protocolli» dei Savi
Anziani di Sion
di Francesco Lamendola - 20/05/2010
Fonte: Arianna Editrice
Da quando hanno fatto la loro comparsa nella storia dEuropa (la prima
traduzione italiana apparve nel 1921 a cura di Giovanni Preziosi), i
«Protocolli dei Savi Anziani di Sion» non hanno cessato di polarizzare
lattenzione degli storici, dei politologi e dellopinione pubblica
intorno
alla controversia sulla loro autenticità.
Il libro, apparso nella Russia di Nicola II allinterno di unopera più
vasta del mistico russo Sergej Nilus, è scritto in prima persona da un
grande vecchio che rivolge le sue parole a unassemblea di anziani
ebrei,
esponendo le linee guida di un piano strategico dalla straordinaria
vastità
di concezione e mirante, addirittura, alla conquista e alla
sottomissione
del mondo da parte degli Ebrei, il popolo eletto.
Infiltrandosi come una prodigiosa, efficientissima e segretissima quinta
colonna nelle società cristiane, e segnatamente nei centri del potere
economico, finanziario, culturale e dellinformazione, gli Ebrei -
stando a
questo testo - si porrebbero lobiettivo dichiarato di indebolire la
fibra
morale di tutte le società non ebree, sovvertendo gradualmente, ma
inesorabilmente, tutti i valori, tutte le certezze, tutte le tradizioni,
fino a creare le condizioni adatte perché il mondo intero cada, come un
frutto maturo, in potere dellebraismo internazionale, che agisce per
mezzo
di banchieri, uomini politici, giornalisti ed esponenti del mondo della
cultura.
Dal momento che i «Protocolli» si prestano ad una lettura in chiave
antisemita e che, effettivamente, essi entrarono a far parte del
bagaglio
propagandistico antisemita del nazismo (e, in misura molto più blanda,
del
fascismo, ma solo allepoca delle leggi razziali del 1938), con tutto
quello
che ne è derivato, gli storici della seconda metà del Novecento hanno
liquidato lintera questione della loro autenticità, dichiarandoli un
falso
confezionato dalla «Ochrana», il servizio segreto zarista,
probabilmente a
Parigi e con lo scopo di creare una sorta di giustificazione morale per
i
pogrom che infuriavano, di quando in quando, in Russia, in Ucraina, in
Polonia.
Anche il saggista Sergio Romano, col suo libro del 1992 «I falsi
protocolli», ha impostato così tutta la problematica ad essi relativa,
come
già il titolo suggerisce chiaramente: come se, una volta assodata la
loro
non autenticità, venisse a cadere interamente laltra questione, ad essa
collegata, ma che nessuno osa anche soltanto accennare, tanto forte è il
timore di essere accusati di antisemitismo o addirittura di simpatie
per il
nazismo: se, cioè, le cose espresse in quel documento possano
corrispondere
a dei fatti reali e se, inoltre, siano o meno in linea con la Legge
ebraica
e con il sentire ebraico nei confronti dei gojm, dei Gentili.
Ma torniamo al legame fra l«Ochrana» e i «Protocolli».
Ora, a parte il fatto che si potrebbe discutere se tutti i pogrom
fossero
voluti e organizzati dagli ambienti antisemiti della Russia e dai
servizi
segreti zaristi, o se non possano ricondursi anche, almeno in parte, ad
una
manovra delle potenti lobbies ebraiche dellEuropa occidentale e degli
Stati
Uniti, proprio allo scopo di screditare il governo zarista (ne abbiamo
già
parlato nellarticolo «Possono darsi delle verità così tremende che
nessuna
voce umana riuscirebbe a pronunziarle», inserito sul sito di Arianna
Editrice in data 28/02/10), forse sarebbe il caso di domandarsi se la
questione della autenticità, affermata o negata che sia, costituisca
davvero
la questione centrale che ci si dovrebbe porre davanti a questo
impressionante documento.
Infatti, posto e stabilito che nessuna seria società segreta lascia
documenti scritti relativi ai suoi complotti (e, in questo senso, i
«Protocolli», nella versione in cui li conosciamo, sono quasi
certamente un
falso), il punto è che non si dovrebbe guardare il dito che indica la
Luna,
ma la Luna in se stessa: si dovrebbe cioè vedere se, nello sviluppo
della
storia moderna e nelle prescrizioni e invocazioni della Torah, della
Mishna e del Talmud, i concetti espressi nei «Protocolli» trovino
corrispondenza, oppure no.
A proposito dellintera questione, Julius Evola, autore della
«Introduzione»
alledizione italiana del 1938 dei «Protocolli», curata dalla rivista di
Giovanni Preziosi «La vita italiana», così si esprimeva (pp. 9-10):
«Due punti vengono particolarmente in risalto nei Protocolli. Il
primo si
riferisce direttamente alla questione ebraica. Il secondo ha una
portata più
generale e conduce ad affrontare il problema delle forze vere in atto
nella
storia. Perché il lettore si renda pienamente conto delluno e
dellaltro
punto, crediamo opportuno svolgere alcune considerazioni,
indispensabili per
un giusto orientamento.
Per un tale orientamento, occorre anzitutto affrontare il famoso
problema
della autenticità del documento, problema sul quale si è voluto
tendenziosamente concentrare tutta lattenzione e misurare la portata e
la
validità dello scritto. Cosa invero puerile. Si può infatti negare
senzaltro lesistenza di una qualunque direzione segreta degli
avvenimenti
storici. Ma ammettere, sia pure come semplice ipotesi, che qualcosa di
simile possa darsi, non si può, senza dover riconoscere che, allora,
simpone un genere di ricerca ben diverso da quello basato sul
documento
nel senso più grossolano del termine. Qui sta precisamente secondo la
giusta osservazione del Guénon il punto decisivo, che limita la
portata
della questione dellautenticità: nel fatto, che NESSUNA
ORGANIZZAZIONE
VERAMENTE E SERIAMENTE SEGRETA, QUALE SI SIA LA SUA NATURA, LASCIA
DIETRO DI
SÉ DEI DOCUMENTI SCRITTI. Solo un procedimento induttivo può dunque
precisare la portata di testi, come i Protocolli. IL CHE SIGNIFICA
CHE
IL PROBLEMA DELLA LORO AUTENTICITÀ È SECONDARIO E DA SOSTITUIRSI CON
QUELLO, BEN PIÙ SERIO ED ESSENZIALE, DELLA LORO VERIDICITÀ. Giovanni
Preziosi già sedici anni or sono, nel pubblicare per la prima volta il
testo, aveva ben messo in rilievo questo punto. La conclusione seria e
positiva di tutta la polemica, che nel frattempo si è sviluppata, è la
seguente: CHE QUANDANCHE (cioè: dato e non concesso) I PROTOCOLLI NON
FOSSERO AUTENTICI NEL SENSO PIÙ RISTRETTO, È COME SE ESSI LO FOSSERO,
PER
DUE RAGIONI CAPITALI E DECISIVE:
1) Perché i fatti ne dimostrano la verità;
2) Perché la loro corrispondenza con le idee-madre dellEbraismo
tradizionale we moderno è incontestabile.»
Che lantisemitismo di Evola non fosse di tipo biologico - e quindi
razzista
- è attestato, peraltro, dal seguente passaggio (che, ove ipotizza una
strumentalizzazione degli stessi Ebrei da parte di poteri occulti
corrispondenti ad un livello più alto, che potrebbe far capo a forze non
interamente umane, ricorda, sia detto fra parentesi, la posizione
sostenuta
al presente da David Icke; op. cit., p. 21-22):
«Diciamo subito che noi personalmente non possiamo seguire, qui, un
certo
antisemitismo fanatico che, nel suo voler vedere dappertutto lEbreo
come
deus ex machina, finisce col cader esso stesso vittima di una specie
di
tranello. Infatti dal Guénon è stato rilevato che uno dei mezzi usati
dalle
forze mascherate per la loro difesa consiste spesso nel condurre
tendenziosamente tutta lattenzione dei loro avversari verso chi solo in
parte è la causa reale di certi rivolgimenti: fattone così una specie di
capro espiatorio, su cui si scarica ogni reazione, esse restano libere
di
continuare il loro giuoco. Ciò vale, in una certa misura, anche per la
questione ebraica. La constatazione della parte deleteria che lEbreo ha
avuto nella storia della civiltà non deve pregiudicare una indagine più
profonda, atta a farci presentire forze di cui lo stesso Ebraismo
potrebbe
esser stato, in parte, solo lo strumento. Nei Protocolli, del resto,
spesso si parla promiscuamente di Ebraismo e di Massoneria, si legge
cospirazione massonico-ebraica, la nostra divisa massonica, ecc., e in
calce della loro prima edizione si legge: firmato dai rappresentanti di
Sion del 33 grado. Poiché la tesi, secondo la quale la Massoneria
sarebbe
esclusivamente una creazione e uno strumento ebraico è, per varie
ragioni,
insostenibile, già da ciò appare la necessità di riferirsi ad una trama
assai più vasta di forze occulte pervertitrici, che noi siamo perfino
inclini a non esaurire in elementi puramente umani. Le principali
ideologie
consigliate dai Protocolli come strumenti di distruzione e
effettivamente
apparse con questo significato nella storia - liberalismo,
individualismo,
scientismo, razionalismo, ecc. - non sono, del resto, che gli ultimi
anelli
di una catena di cause, impensabili senza antecedenti, quali per esempio
lumanesimo, la Riforma, il cartesianismo: fenomeni dei quali però
nessuno
vorrà seriamente far responsabile una congiura ebraica, così come il
Nilus,
in appendice, mostra d credere, inquantoché fa retrocedere la congiura
ebraica niente di meno che al 929 a. C. Bisogna invece restringere
lazione
distruttrice positiva dellinternazionale ebraica ad un periodo assai
più
recente e pensare che gli Ebrei hanno trovato un terreno già minato da
processi di decomposizione e dinvoluzione, le cui origini risalgono a
tempi
assai remoti e che sui legano ad una catena assai complessa di cause:
essi
hanno utilizzato questo terreno, vi hanno, per così dire, innestato la
loro
azione, accelerando il ritmo di quei processi. La loro parte di
esecutori
del sovvertimento mondiale non può dunque essere assoluta. I Savi
Anziani
costituiscono invero un mistero assai più profondo di quanto lo possano
supporre la gran parte degli antisemiti, e così pure, per un altro
verso,
coloro che invece fanno cominciare e finire ogni cosa
nellinternazionale
massonica, o simili.»
’autenticità dei «Protocolli» dei Savi II parte
Per Evola, la questione dell’autenticità o meno è una falsa questione,
perché quello che conta è la piena concordanza fra lo spirito della
Legge
ebraica e lo spirito che emerge dalle pagine dei «Protocolli; e, in
particolare, l’idea della rivincita mondiale dell’ebraismo su tutto il
resto
dell’umanità, sui Gentili, considerati alla stregua di bestiame, se non
di
autentica spazzatura destinata, comunque, ad un ruolo totalmente
subalterno
nel “nuovo ordine mondiale” che verrà instaurato nel gran giorno (idem,
pp.
24-26):
«Per ben inquadrare il problema ebraico e comprendere il vero pericolo
dell’Ebraismo bisogna partire dalla premessa che alla base
dell’Ebraismo non
sta tabto la razza (in senso strettamente biologico), ma la Legge. La
Legge
è l’Antico Testamento, la “Torah”m, ma altresì, e soprattutto, i suoi
ulteriori sviluppi, la “Mishna” e essenzialmente il “Talmud”. È stato
giustamente detto che, come Adamo è stato plasmato da Jehova, così
l’ebreo è
stato plasmato dalla Legge: e la Legge, nella sua influenza millenaria
attraverso le generazioni, ha destato speciali istinti, un particolar
modo
di sentire, di reagire, di comportarsi, è passata nel sangue, tanto da
continuare ad agire anche prescindendo dalla coscienza diretta e
dall’intenzione del singolo. È così che l’unità d’Israele permane
attraverso
la dispersione: in funzione di un’essenza, di un incoercibile modo
d’essere.
E insieme a tale unità sussiste e agisce sempre, fatalmente, o in modo
atavico e inconscio, o in modo oculato e serpentino, il suo principio,
la
Legge ebraica, lo spirito talmudico.
È qui che interviene un’altra prova della veridicità dei “Protocolli”
quale
documento ebraico, inquantoché trarre da questa Legge tutte le sue
logiche
conseguenze nei termini di un piano d’azione significa – esattamente –
venire più o meno a quanto di essenziale si trova nei “Protocolli”. Ed è
essenziale questo punto, CHE MENTRE L’EBRAISMO INTERNAZIONALE HA
IMPEGNATO
TUTTE LE SUE FORZE PER DIMOSTRARE CHE I “PROTOCOLLI” SONO FALSI, ESSO HA
SEMPRE E CON LA MASSIMA CURA EVITATO IL PROBLEMA DI VEDERE FINO A CHE
PUNTO
QUESTO DOCUMENTO, FALSO O VERO CHE SIA, CORRISPONDE ALLO SPIRITO
EBRAICO. E
proprio questo è il problema che ora vogliamo considerare. L’essenza
della
Legge ebraica è la distinzione radicale fra Ebreo e non-Ebreo più o meno
negli stessi termini che fra uomo e bruto, fra eletti e schiavi; è la
promessa, che il Regno universale d’Israele, prima o poi, verrà, e che
tutti
i popoli debbono soggiacere allo scettro di Giuda; è il dovere, per
l’Ebreo,
di non riconoscere in nessuna legge, che non sia la sua legge, altro che
violenza e ingiustizia e accusare un tormento, una indegnità, dovunque
il
dominio, che egli ha, non sia l’assoluto dominio; è la dichiarazione di
una
doppia morale, che restringe la solidarietà alla razza ebraica, mentre
ratifica ogni menzogna, ogni inganno, ogni tradimento nei rapporti fra
Ebrei
e non-Ebrei, facendo dei secondi una specie di fuori-legge; è, infine,
la
santificazione dell’oro e dell’interesse come strumenti della potenza
dell’Ebreo, al quale soltanto, per promessa divina, appartiene ogni
ricchezza della terra e che deve “divorare” iogni popolo che il Signore
gli
darà. Nel “Talmud” si arriva a dire: “Il migliore fra i non-Ebrei
(“gojm”),
uccidilo”. Nel “Shemoré Esré”, preghiera ebraica quotidiana, si legge:
“Che
gli apostati perdano ogni speranza, che i Nazzareni e i Minim (i
Cristiani)
periscano di colpo, siano cancellati dal libro della vita e non siano
contati fra i giusti”. “ Ambizione senza limiti, ingordigia
divoratrice, un
desiderio spietato di vendetta e un odio intenso” si legge nei
“Protocolli”
(XI) e difficilmente si saprebbe dare una più adeguata espressione di
ciò
che risulta a chi penetri l’essenza ebraica. E mai è venuta meno,
all’Ebreo,
la speranza del Regno, è in essa che sta, anzi, in gran parte, il
segreto
della forza inaudita che ha tenuto in piedi ed ha conservato uguale a sé
stesso Israele, tenace, caparbio, orgoglioso e vile ad un tempo,
attraverso
i secoli. Ancor oggi, annualmente, nella festa del Rosch Hassanah,
tutte le
comunità ebraiche evocano la promessa: “Innalzate le palme e acclamate,
giubilando, Dio, poiché Jehova, l’altissimo, il terribile, sottometterà
tutte le nazioni e le porrà sotto ai vostri piedi”.»
Le considerazioni di Evola ci sembrano non prive di un certo spessore
concettuale e meritevoli, comunque, di essere prese seriamente in esame,
piaccia o non piaccia la figura di colui che le ha formulate ed il
ruolo da
lui rivestito nella cultura antisemita dell’epoca.
La prima domanda che ci dovremmo porre è se una cospirazione globale sia
possibile e verosimile e se sia dato di scorgerne non già le prove -
abbiamo
visto che nessuna società segreta ne lascerebbe alle proprie spalle -,
ma
almeno degli indizi abbastanza riconoscibili.
La seconda domanda è se sia possibile che non già gli Ebrei
indiscriminatamente, ma alcuni gruppi ebraici potenti e sperimentati,
facendo leva su una Legge che è stata loro inculcata per innumerevoli
generazioni, non possano essersi prestati ad un disegno del genere,
magari
in collaborazione con altri centri di potere occulto.
Alla prima domanda ci sembra sia difficile rispondere in maniera
assolutamente negativa.
Che i membri del “villaggio globale” si trovino in una condizione di
vera e
propria schiavitù psicologica e culturale, instupiditi da demenziali
programmi radiofonici e televisivi, disinformati da una stampa
asservita e
fuorviati da sedicenti intellettuali che fanno a gara, ormai da lungo
tempo,
nel fare a pezzi ogni parvenza di valore tradizionale e nel descrivere
la
vita come decadenza, dolore, noia e disperazione: tutto questo è sotto
gli
occhi di tutti, se si possiedono ancora - beninteso - occhi per vedere
e una
mente per riflettere.
Ora, è difficile pensare che tutto questo sia frutto del caso o di una
spontanea convergenza di circostanze; senza contare che l’esperienza ci
insegna che i grandi gruppi finanziari e industriali non tralascerebbero
alcuna strategia, alcuna manovra, alcuna bassezza, per quanto
criminosa, nel
perseguire i loro fini inconfessabili: che non consistono solamente nel
vendere una quantità sempre crescente di prodotti inutili o addirittura
nocivi, ma anche nel distruggere ogni residuo di spirito critico nel
suddito-consumatore, in modo da renderlo il più simile possibile ad uno
“zombie”: perché solo così si può essere certi che egli non prenderà
consapevolezza della sua reale condizione e non tenterà di sottrarvisi.
Scatenare guerre e rivoluzioni, finanziare gruppi terroristici magari di
opposta matrice ideologica, istigare colpi di stato, provocare crisi
finanziarie, promuovere filosofie e movimenti artistici che inneggiano
al
nichilismo e alla distruzione della società: sono tutte azioni che un
tale
gruppo di potere occulto, attraverso le sue innumerevoli ramificazioni,
non
esiterebbe a mettere in atto e che non presentano, sotto il profilo
tecnico,
ostacoli insormontabili, specialmente se si dispone di possibilità
finanziarie praticamente illimitate.
Alla seconda domanda ci sembra che si possa egualmente rispondere in
maniera
affermativa; o, quanto meno, che una risposta affermativa possa
costituire
una ragionevole ipotesi di lavoro sulla quale indagare.
Gruppi di potere occulto sappiamo che esistono, primo fra tutti la
Massoneria, che affonda le proprie radici in una tradizione ormai
plurisecolare e la cui regia nascosta è ormai accertata dietro fatti
storici
rilevanti, a cominciare da quelli riguardanti la nascita del nostro
Stato
nazionale, nel corso del Risorgimento.
Che, poi, esista una sorta di federazione tra tali gruppi, ciascuno dei
quali persegue, in realtà, un proprio disegno egemonico e ciascuno dei
quali
spera di servirsi degli altri per realizzare i propri fini particolari:
anche questo rientra nell’ambito del possibile e perfino del probabile;
come
suggerisce, ancora una volta, l’osservazione di fatti storici ormai
noti,
come la collaborazione che si instaura fra organizzazioni criminali
internazionali, ciascuna delle quali particolarmente interessata ad un
certo
ambito delle attività illecite.
Che, infine, salendo di livello in livello, si giunga al vertice della
piramide che nessuno ha mai potuto conoscere di persona, anche perché i
suoi
membri più importanti, i burattinai supremi del grande gioco, sono -
forse -
creature di origine non umana: ebbene, ciò può essere solo oggetto di
speculazione teorica, mancando prove o anche indizi concreti tali, da
poter
dirimere la questione per via documentaria.
Chi studia il fenomeno della cospirazione mondiale non può servirsi dei
normali metodi di ricerca dello storico professionista, perché la
materia
stessa è completamente diversa da quella della storia. Lo storico
procede di
documento in documento; ma lo studioso della cospirazione globale sa
che non
troverà mai dei “documenti” paragonabili a quelli di cui si servono i
suoi
colleghi della storia, chiamiamola così, profana.
Possiamo da ciò trarre la conclusione che non è cosa da persone serie
mettersi a studiare la cospirazione globale, dato che, a rigore, non
siamo
affatto certi nemmeno del fatto che esista il soggetto di una tale
ricerca?
Certamente no.
Il fatto che non esistano prove assolutamente certe e incontrovertibili
di
una costante presenza aliena sul nostro pianeta non è un argomento per
squalificare gli studi che si possono fare in proposito o per denigrare
quanti decidono di dedicarvisi; e la stessa osservazione può farsi per
tutti
quegli ambiti di studio che abbracciano materie prive di un riscontro
materiale oggettivo, a cominciare dalle religioni.
Gli studiosi “seri”, però, temono il ridicolo: sono persone che ha molto
amor proprio, anche se non esitano a mangiare nella greppia di
istituzioni,
giornali o televisioni che si aspettano da loro appunto quel tipo di
“serietà” che consiste nel non fare mai, assolutamente mai, delle
domande
veramente scomode, ma nel blandire, al contrario, la pigrizia mentale
del
pubblico.
Ora, il ridicolo (o peggio) è quasi inevitabile per chiunque si
addentri nel
labirinto della cospirazione globale; e i più petulanti nel ridere alle
spalle di un tale ricercatore sono, senza dubbio, proprio coloro i
quali -
ne siano consapevoli o no - hanno subito in dosi più massicce l’opera di
omologazione e istupidimento perseguita dal Pensiero Unico dominante.
Perché
a quei signori pieni di sussiego e di serietà, magari baroni
universitari
con ampie gratificazioni professionali, non va molto a genio l’idea di
prendere in esame la possibilità, anche solo teorica, di essere, né più
né
meno di chiunque altro, soltanto dei poveri burattini eterodiretti.
Come se non bastasse, fa parte, da sempre, della tecnica di tutti i
gruppi
di potere occulto, quella di operare una sistematica disinformazione,
lasciando trapelare brandelli di verità, mescolati però a tali e tante
inverosimiglianze, da confondere completamente le carte e da screditare
anche il lavoro di quanti concentrano le proprie spassionate ricerche
proprio su quei brandelli.
Certo, finché il conformismo intellettuale continuerà a dominare
incontrastato, i signori dei poteri occulti potranno dormire sonni
tranquilli ancora a lungo.
Finché qualcuno, un poco alla volta, comincerà a scuotersi dal torpore
e a
farsi delle domande scomode e politicamente scorrette: a farle a se
stesso
in primo luogo; e poi, in un secondo tempo, a farle anche agli altri.
Allora, i signori del Pensiero Unico cominceranno a non sentirsi più
tanto
tranquilli.
Avranno paura che la verità cominci a venir fuori: non quella mezza
verità
che essi stessi lasciano fuggire, di quando in quando, aprendo e
chiudendo
il rubinetto della disinformazione; ma la verità vera, quella che a
loro non
piace affatto, perché disturba i loro progetti e i loro affari.
Quel giorno, forse, si sta avvicinando.
Un principio di consapevolezza incomincia a soffiare, qua e là, nella
stagnante palude in cui siamo sprofondati.
Speriamo che quella brezza si trasformi quanto prima in un vento
impetuoso e
che sia abbastanza forte da disturbare i piani e gli affari di chi ci
vorrebbe eternamente schiavi, e sia pure schiavi di lusso, imprigionati
mani
e piedi con delle catene d’oro massiccio.
domenica 23 maggio 2010
Castel Gandolfo l'antica Albalonga
Castel Gandolfo e in particolare la sede estiva del papato Romano non solo è costruita sopra la villa dell'Imperatore Domiziano, ma in origine era qui ubicata la città di Albalonga luogo cardine e nonché centro della confederazione latina.
Costruire sopra i luoghi sacri della genesi romana per nascondere e ocultare la verità delle origini italiche e Romane
Uno dei ultimi grandi templi pagani
La bellezza di questo tempio nato nell'età augustea e riedificato dall'Imperatore Adriano, rimane intatta e carica. Il panteon, architettura mistica con un oculus che permette alle anime degli oranti di salire al cielo, mantiene tutta la sua bellezza sacra, ci lega indissolubilmente alle divinità. Nel VII secolo è convertito a chiesa cristiana. In esso vengono portati carri e carri carichi di ossa provenienti dalle catacombe e i cristiani lo "convertiranno" inutilmente in tempio cristiano con il nome di Santa Maria Dei Martiri. Il baldacchino del Bernini in San Pietro sarà ottenuto dalla fusione del bronzo proveniente dalle tegole che erano poste sul tetto del pronao. l'edificio rimane, comunque, il simbolo della grandezza spirituale del paganesimo Romano!
sabato 22 maggio 2010
Il tesoro di Benito
Riporto un articolo di Filippo Giannini che non condivido appieno, ma lo trovo molto veritiero nella conclusione. Benito Mussolini con tutti i suoi gravi errori una qualità indiscussa l'aveva: quella di non arricchirsi attraverso la politica. Alla sua morte il paese era allo sbando, ma c'erano le basi per una immediata rinascita.Anche la moglie e figli del Duce furono lasciati nella povertà a tal punto che per vivere dovettero aprire una trattoria,in tutti que anni di potere assoluto non penso mai di accantonare qualche gruzzolo all'estero.
Di tutt'altra pasta sono i politici "democratici".
…E POI UNO DICE CHE E’ NOSTALGICO…
di Filippo Giannini
Viviamo nell’anno 2010 LXV dell’Era Sfascista. Abbiamo vissuto l’Era dei finocchiopoli, quella di tangentopoli, quella di affittopoli, quella di calciopoli, quella di bancopoli e la farsa continua. Cos’altro volete o italyoti?
Qualche giorno fa su un canale della Rai/Tv era in programma una trasmissione dal titolo L’onestà è ancora un valore? Come generalmente uso fare, non vidi tutta la trasmissione, ma questo ha un’importanza relativa. Dopo il fausto (minchia!) giorno della liberazione, la nuova dirigenza politica si dette immediatamente da fare per collegare il periodo pre-fascista a quello post-fascista. E per dimenticare il mai sufficientemente deprecabile, infausto Ventennio, riprese con alacrità il vecchio sistema di governare. Per meglio comprendere quel che intendo, possiamo iniziare col rammentare che nell’aprile 1955 Giulio Andreotti (ho sentito che qualcuno ha detto: bono quello!) esentò Don Giulio Pacelli, nipote di Pio XII e il conte Stanislao Pecci, pronipote di Leone XIII, entrambi cittadini italiani, quindi soggetti agli stessi doveri degli altri cittadini, li esentò, ripeto, dal pagamento dell’imposta sui patrimoni. Chi ricorda più lo scandalo dell’aeroporto di Fiumicino
Sin qui abbiamo fatto solo un accenno ai diritti dei dritti, ora è il momento di ricordare i doveri dell’adorabile Tiranno, dall’espressione, se ben ricordo, di Bernhard Shaw. L’adorabile Tiranno, quando fu assassinato lasciò nell’assoluta indigenza moglie, figli, nipoti; esattamente il contrario di come potrebbe avvenire per qualsiasi politico di oggi. Pertanto vogliamo narrarvi un fatto che, anche se qualche volta ricordato, pochi conoscono. Il Ministro Pellegrini-Giampietro, in una memoria pubblicata su Il Candido del 1958, ha scritto:
Un altro fatto che sembra una favola: Lord Rosebery, un inglese, ammiratore del Duce (come milioni di altri) aveva lasciato in donazione a Benito Mussolini una bellissima villa di incalcolabile valore, appunto Villa Rosebery, sulle colline di Posillipo. E l’adorabile fesso che fa? Passò la villa e il parco allo Stato, cioè al popolo italiano. Ma la volontà dell’infame tiranno non verrà rispettata: vi andranno a passare le belle giornate i Presidenti della Repubblica, quelli nati a seguito della Resistenza, cioè, per essere più chiari, gli esecutori dell’epopea di Piazzale Loreto.
Un’altra favola? Eccola: deputati e senatori negli anni della tirannia non percepivano emolumenti, ma solo un gettone di presenza. Come mai? Per il deputato e per il senatore in quei periodi bui era un onore servire il popolo. Bischeri? Con l’acuto senno di oggi, è probabile.
Purtroppo non possiamo ricordare il nome del personaggio, ma quasi sicuramente era Achille Starace, Segretario del Pnf, ma veniamo al fatto: un giorno Achille Starace (o chi per lui) si recò dal Duce e gli confidò di aver risparmiato del denaro per acquistare un appartamento. Mussolini gli rispose che non lo riteneva opportuno in quanto Segretario del suo partito. Chi legge non si meravigli, altri Ministri del Duce non possedevano nulla. Vedere Araldo Di Crollalanza, Arrigo Serpieri, Alessandro Pavolini e così di seguito, compresi gerarchi di secondo livello.
Certamente qualcuno osserverà che la corruzione esisteva anche nel famigerato Ventennio. E no! Tutt’alpiù si è potuto presentare qualche caso isolato - prontamente punito – e, assolutamente non generalizzato. E la prova ce la fornisce proprio la stupidità antifascista. Negli anni immediatamente successivi al termine del conflitto, quindi 1945/1947 fu istituita una commissione di indagine con l’incarico di investigare sui profitti di regime. Furono aperte cinquemilaecinque cartelle intestate a Gerarchi e alti Funzionari dell’infausto Ventennio. Il 7 febbraio 1948 fu emanato un decreto elaborato dal Sottosegretario della Presidenza del Consiglio Giulio Andreotti e dal Ministro Giuseppe Grassi “con cui sono definitivamente estinti i giudizi ancora in corso ed è concessa la revisione dei provvedimenti già adottati”. Sin qui quanto è stato scritto, ma la realtà è più ricca: detto decreto di buonismo fu la conseguenza delle indagini svolte; nessun buonismo, ma lo scorno: in altre parole su nessun indagato fu riscontrato nulla di penalmente perseguibile. Nessun gerarca o alto funzionario rubò e nessun atto illecito fu riscontrato. Ma dato che parliamo di antifascismo, non poteva mancare la solita arlecchinata. I giornali, che seguivano le vicende dell’indagine, non potendo trovare nulla per mettere all’indice qualche fascista, un giorno uscirono, con ampio risalto di stampa, con una notizia:
Solo per gioco, proporrei di aprire la stessa indagine sugli alti (o anche meno alti) funzionari ed onorevoli dell’attuale regime. Partirei dagli anni ’50, non prima; perché tra il ’45 e il ’50 le amministrazioni erano ancora inquinate da funzionari dell’infausto regime e, probabilmente nulla si potrebbe trovare di penalmente valido.
Le risate (risate, si fa per dire) sono dopo quel periodo.
Qualcuno potrebbe osservare: “Ma parliamo di marziani?”. No, signor Qualcuno; il fatto è che il Fascismo era una religione di vita e il denaro era considerato merce del diavolo. Finita la religione, il demonio ha prevalso.
mercoledì 19 maggio 2010
L'unione europea sta distruggendo l'euro!
Capire perchè l'unione monetaria europea ci sta distruggendo
di Paolo Barnard - 16/05/2010
Fonte: paolobarnard
Ecco cosa è successo. A distanza di 8 anni dal fatidico 1 gennaio 2002 -
quando lEuro divenne definitivamente la moneta comune a 16 nazioni in
Europa - i mercati finanziari (leggi il Tribunale Internazionale degli
Investitori e Speculatori) hanno finalmente compreso che i Paesi
dEuropa
non sono più sovrani, specialmente nellemissione della loro moneta.
Dunque
i mercati hanno dato unocchiata ai grandi debiti dei 16 Stati della
zona
Euro e hanno concluso che per noi ripagarli è un vero problema. Da qui
il
loro panico, e la conseguente crisi di cui tutti i giornali parlano, che
oggi colpisce la Grecia ma domani colpirà tutti gli altri, Germania
inclusa.
E ciò perché è una crisi strutturale, non di un paio di Paesi.
Vi chiederete: perché ripagare i nostri debiti è diventato un problema
così
allarmante? Non eravamo indebitati anche prima dellEuro? Oggi noi Stati
della zona Euro stiamo USANDO lEuro, non ne siamo più i proprietari.
Una
volta noi italiani possedevano la lira, i francesi i franchi e i
tedeschi i
marchi ecc. Non siamo cioè più sovrani nelluso della nostra moneta.
LEuro
è a tutti gli effetti una moneta senza Stato, è una moneta mercenaria
che
tutti i sedici USANO. Fra usare una moneta e possederla la differenza è
enorme. Perché oggi ogni Paese dellEuro deve, PRIMA DI SPENDERE per la
cittadinanza, fare una di due cose: 1) prendere in prestito lEuro, 2)
TASSARE i propri cittadini per racimolarlo.
Spiegazione di 1) Prendere in prestito lEuro: letteralmente dobbiamo
andarlo a trovare, proprio come fa un padre di famiglia che prima di
pagare
le spese di casa deve trovare i soldi da qualche parte (lavoro,
prestiti).
Oggi, si badi bene, un Paese come lItalia o la Francia deve bussare
alle
porte di creditori privati per farsi PRESTARE gli Euro PRIMA di poterli
spendere per la comunità (vendiamo titoli di Stato sui mercati di
capitali
dove dobbiamo competere e pagare tassi decisi dai privati). Il nostro
Tesoro
e la nostra Banca Centrale non possono più emettere moneta in autonomia.
Ecco perché oggi i nostri debiti sono un vero problema.
Al contrario, prima dellavvento dellEuro, noi eravamo Paesi sovrani
nella
moneta (lira, franchi, marchi ), e i nostri governi potevano spendere
senza
il bisogno di trovare il denaro in anticipo. Letteralmente se lo
inventavano, come fanno oggi gli USA o la Gran Bretagna per esempio.
Magari
spendevano troppo, è possibile (caso Italia), ma con la propria moneta
sovrana avevano tutti i mezzi per rimediare. Certamente si indebitavano,
eccome, ma era un debito che contraevano DOPO AVER SPESO, non prima
ancora
di spendere come accade con lEuro oggi, e soprattutto lo potevano
ripagare
semplicemente inventandosi il denaro necessario (suona incredibile ma è
esattamente così), come fanno oggi gli USA o il Giappone. Avevano cioè
il
potere sovrano di gestire la propria moneta e di conseguenza i propri
debiti
in autonomia, e questo rassicurava i mercati finanziari che non
andavano nel
panico sul debito nazionale di allora come invece è accaduto oggi con la
Grecia (e domani con tutti i sedici Paesi dellEuro).
E infatti, nonostante USA o Giappone siano indebitati fino al collo,
nonostante lInghilterra sia messa forse peggio della Grecia in quanto a
debiti, i mercati non sono nel panico per loro. Il motivo, lo ripeto, è
che
USA, Giappone o Inghilterra hanno moneta sovrana, cioè possono spendere
senza doversi PRIMA indebitare, e possono ripagare i loro debiti
inventandosi moneta, cose che noi 16 non possiamo fare più. Considerate
inoltre che un caso greco non si verificò mai, per esempio, con
lItalia
spendacciona, indebitata, inflazionistica ma con moneta sovrana degli
anni
60 e 70. Al contrario, quellItalia era assai prospera, e la sua
ricchezza
di allora ancora oggi ci nutre.
Ecco cosa sta accadendo. Di chi è la colpa? Dellinganno dellEuro
voluto a
tavolino dai grandi burocrati europei (Prodi, Ciampi e centrosinistra in
Italia) per lesclusivo interesse del Tribunale Internazionale degli
Investitori e Speculatori (e degli USA naturalmente), i quali oggi (ma
già
da prima) ci saccheggiano imponendoci misure di tagli a tutto ciò che è
pubblico per comprarselo domani a due soldi. Possono farlo perché oggi
noi,
per i motivi sopraccitati, siamo indebitati veramente, e siamo
ricattabili.
Non per nulla alla Commissione Europea trovano pianta stabile 229
lobbisti
del Tribunale Internazionale degli Investitori e Speculatori, in un
rapporto
di 4 a 1 rispetto a chi perora la causa dei cittadini.
p.s. Sapete chi ha voluto lItalia nellunione monetaria? La
confindustria
tedesca, che ha voluto inchiodare la nostra industria nella moneta unica
così che ci fosse impossibile in futuro svalutare la lira per renderci
competitivi contro il marco e vendere più di loro. Capito? Prodi non è
scemo, è un criminale. Altro che caso Anemone.
domenica 16 maggio 2010
H.P. Blavatsky: una vita spesa a beneficio dellumanità
H.P. Blavatsky: una vita spesa a beneficio dellumanità
(a cura di Paola Botta Beltramo e-mail: rebelt1@fastwebnet.it)
Helena Petrovna
Blavatsky
ci parla con messaggi e rivelazioni stupefacenti e ha anticipato
i tempi nellinsegnare concetti sul rapporto tra visibile e invisibile
che
soltanto oggi la scienza sta dimostrando. Ascoltare le sue parole piene
di
sagezza è come ricevere la chiave di
entrata sul sentiero che porta alla conoscenza di sé e del
nostro Sé Superiore.
Le sue opere, di grande spessore spirituale, hanno lasciato unimpronta
indelebile nella storia della conoscenza e della spiritualità, ispirando
grandi personaggi come Roberto
Assagioli, Thomas Edison, William Crookes, Camillo Flammarion, Gandhi,
Jiddu
Krishnamurti, Alan Leo, Maria Montessori, Alessandra
David Neel, Nehru, Nicolas e Elena Roerich, Edoardo Schurè, Rudolf
Steiner
L'otto maggio ricorre il centodiciannovesimo anno dal passaggio di Helena
Petrovna Blavatsky (1831-1891) oltre il velo della materia e
nellambiente
teosofico, come appare da una pagina della Rivista dedicata al tema,
verrà
ricordata con affetto e riconoscenza.
Una bella biografia di Madame Blavatsky è contenuta nel sito internet
della
Società Teosofica Italiana allindirizzo web www.teosofica.org
Ma la vita e lopera di H.P.B. non cessano, a distanza di tanto tempo,
di
suscitare sentimenti contrapposti e accanto ai sostenitori della
nobildonna
russa vi sono altri che continuano a infangarne la memoria.
Le due accuse più frequenti sono quelle di ciarlataneria e di
ispirazione
del cosiddetto nazismo esoterico.
Sul primo punto il disconoscimento, di fine Novecento, da parte della
Società di Ricerche Psichiche di Londra, del rapporto negativo su Madame
Blavatsky, ha risolto alla radice il problema; è stato infatti
dimostrato
che il rapporto fu scritto in mala fede e che le accuse che conteneva
non
rispondevano al vero.
Sul secondo punto, al di là della cesura temporale che divide Blavatsky
dal
fiorire delle ideologie totalitarie della prima parte del secolo
scorso, è
la semplice lettura delle opere di H.P.B. che è in grado di chiarire
totalmente la questione.
Dai suoi scritti infatti si alza un inno alla comprensione amorevole
della
vita e al principio di Fratellanza Universale senza distinzioni, non
solo
come principio etico, ma come conseguenza di una visione del mondo che
pone
il karma e levoluzione alla sua base e che dunque è in grado
considerare
nel segno dellunità tutte le diverse espressioni della vita. Non
casualmente quindi la Società Teosofica fondata da H.P.B. fu sciolta
negli
Anni Trenta del secolo scorso nei Paesi di quei regimi autoritari che
qualche superficiale analista ritiene essere stati ispirati dalla
Blavatsky.
E dunque tempo di andare oltre alla semplice difesa di Madame
Blavatsky e
di recuperarne pienamente il valore come essere umano che ha portato uno
straordinario beneficio allumanità, vivendo al solo scopo di
contribuire
alla Fratellanza e alla Conoscenza.
H.P.B. ha lavorato per creare un ponte fra Oriente e Occidente e per
affermare una metodologia di ricerca che possiamo oggi definire come
olistica. Consapevole che il particolare riflette luniversale e che
solo
una visione unitaria della vita è in grado di superare il dualismo fra
spirito e materia, ha avuto la forza di analizzare religioni, filosofie
e
scienze contribuendo ad individuare leterna saggezza che sta alla loro
base.
Riaffermando il potere dellosservazione e della maieutica H.P.B. ha
segnato
la vita della Società Teosofica, contribuendo a farne uno dei luoghi di
sperimentazione della Fratellanza Universale senza distinzioni. Le
sue
opere non sono solo il perno della letteratura teosofica moderna, ma
rappresentano una possibilità di approfondimento per tutti gli
studiosi. Il
sapere contenuto in Iside Svelata, la diffusione della conoscenza della
Tradizione avvenuta attraverso le Stanze di Dzyan, la bella sintesi
teosofica de La Chiave della Teosofia, il pilastro fondamentale
rappresentato da La Dottrina Segreta, il percorso iniziatico svelato
attraverso La Voce del Silenzio sono un prezioso contributo non solo
per i
teosofi ma per tutta lumanità.
Ricordare oggi H.P.B., fedele servitrice dei Maestri di Saggezza e degli
Ideali Universali, significa lavorare spiritualmente sui contenuti
delle sue
opere continuando a studiarle approfonditamente.
Ma ricordare oggi H.P.B. vuol anche dire ricordarla con simpatia e con
riconoscenza e perché no?- con un sorriso.
giovedì 13 maggio 2010
L'isola dei porchi, o l'isola della vita
Uno dei quadri di Arnold Böcklin titolato:" l'isola dei morti", Uno dei quadri di Arnold Böcklin titolato:" l'isola dei morti", questa è una delle svariate versioni che esistono della medesima immagine sempre dello stesso autore. Dipinto che tanto ha inquetato le menti del secolo breve.
Di contrappunto la versione ludica e giocosa di un quadro troppo lugubre!
Parafrasando un celeberrimo quadro del pittore Arnold Böcklin titolato:L'isola dei morti che Hitler ebbe a porlo nel suo studio e che rappresenta l'espressione onirica (macabra) del cammino umano. Quella persona in piedi nella barca rappresenta l'anima traghettata verso l'inquetudine. Ripropongo una veduta diversa, forse scurrile, ma credo che l'immagine giocosa e spensierata ben riproduca l'assorbimento della o nella stessa carne che ci ha generato. Il ritorno da dove siamo "venuti" dalla sacra ferita, la porta da cui entriamo in questo mondo e ne siamo assorbiti per ritornare di la dove siamo venuti, il varco fra chi nasce e chi ancora deve nascere. Più che l'isola dei porchi la potremo chiamare anche: isola della vita!
Il tempio di Giunone sopita
Prendendo gli articoli dal bel blog Saturnia Mater iniziero da oggi un viaggio nei santuari della religiosità Italiaca.
Col nome di Giunone Sospita (in latino, Juno Sispita, ciè “propizia”) Saturnia fu particolarmente venerata nell'antica Lanuvium, dove, sull’alto del colle di S. Lorenzo, nel 1914, furono scoperti i resti di un tempio Italico. Un santuario, celebre in tutto il Lazio antico, era stato edificato a Lanuvio, in onore di Giunone Sospita, la Dèa salvatrice, già in età arcaica e fu uno dei più importanti del Lazio. La Dea era raffigurata con la testa coperta da una pelle di capra, ai piedi i calcei repandi (calzature di tipo orientale a punte rialzate), nella sinistra uno scudo a due lobi (il cosiddetto scudo bilobato, di origine micenea) e nella destra una lancia. Giunone era perciò venerata nelle sue due valenze: matronale e guerriera, simile quindi alla Hera di Argo, il cui culto secondo la tradizione sarebbe stato importato da Diomede. Della Dea si venerava anche l'aspetto ctonio, che si manifestava in un singolare culto del serpente, allevato in una grotta nei pressi del tempio. Ad esso una volta all'anno, in occasione delle feste della divinità, dovevano essere presentate le fanciulle di Lanuvio per provare la loro verginità: si trattava di una cerimonia propiziatoria per il mondo agrario.Roma aveva in Giunone Sospita Mater Regina un nume tutelare della sua societas così come della sua res publica: i resti di un tempio eretto in suo onore sono oggi inglobati nella Chiesa di S. Nicola in Carcere, nel Foro Olitorio, e un altro tempio doveva sorgere anche sul Palatino. Il complesso santuariale lanuvino si ergeva sull'acropoli ed era attraversato dalla lunga via principalis (attuale via di S. Lorenzo) che si prolungava fino ai limiti dell'abitato. I resti del tempio, del tipo con alae e di ordine tuscanico, testimoniano varie fasi, che vanno dalla fine del VI secolo a.C. (come documentano alcune antefisse fittili a testa femminile, conservate a Londra nel British Museum) all'età medio-repubblicana (IV-III secolo a.C.) e infine alla metà del I secolo a.C. circa. Le fondamenta, in parte conservatesi, sono costruite con blocchi di tufo. L'ala destra è purtroppo crollata a valle, con il muro di terrazzamento. Dell'ultima fase fanno parte la recinzione dell'area, in opera reticolata, e il sistema di terrazzamenti realizzato per regolarizzare il pendio della collina. La disposizione a terrazze, inoltre, conferiva al santuario quell'aspetto scenografico, caratteristico dell'architettura santuariale del Lazio nella tarda età repubblicana, di cui esempi illustri sono i monumentali complessi, ancora in parte conservati, di Palestrina (santuario della Fortuna Primigenia) e di Tivoli (santuario di Ercole). Sempre a quest'ultima fase appartengono i muri visibili nella Villa Comunale e il portico ad arcate, inquadrate da semicolonne doriche, conservato nella villa Sforza. Questo portico, in parte ricostruito all'inizio del '900, comprendeva in origine due piani; è realizzato in opera reticolata non molto regolare, risalente alla metà del I secolo a.C. In fondo al portico si apre la porta, da cui si accede a un complesso sistema di gallerie e ambienti scavati nella roccia, forse identificabile con la grotta in cui si venerava il serpente sacro. Il santuario decadde ben presto: Plinio, già nel I secolo d.C., lo ricorda in uno stato di desolante abbandono sebbene un restauro, voluto da Adriano, sia testimoniato da una iscrizione. Con l'editto di Teodosio, che decretò la chiusura dei templi pagani, furono distrutti anche il tempio e il santuario di Giunone Sospita. Un tempio le era dedicato presso il Foro Olitorio, costruito verso il 195 a.C. da Gaio Cornelio Cetego. Un'antefissa raffigurante la Dea è stata rinvenuta a Roma ad Antemnae, dove probabilmente esisteva un luogo di culto di Giunone Sospita. Il 1º febbraio era considerato il suo dies natalis.
Col nome di Giunone Sospita (in latino, Juno Sispita, ciè “propizia”) Saturnia fu particolarmente venerata nell'antica Lanuvium, dove, sull’alto del colle di S. Lorenzo, nel 1914, furono scoperti i resti di un tempio Italico. Un santuario, celebre in tutto il Lazio antico, era stato edificato a Lanuvio, in onore di Giunone Sospita, la Dèa salvatrice, già in età arcaica e fu uno dei più importanti del Lazio. La Dea era raffigurata con la testa coperta da una pelle di capra, ai piedi i calcei repandi (calzature di tipo orientale a punte rialzate), nella sinistra uno scudo a due lobi (il cosiddetto scudo bilobato, di origine micenea) e nella destra una lancia. Giunone era perciò venerata nelle sue due valenze: matronale e guerriera, simile quindi alla Hera di Argo, il cui culto secondo la tradizione sarebbe stato importato da Diomede. Della Dea si venerava anche l'aspetto ctonio, che si manifestava in un singolare culto del serpente, allevato in una grotta nei pressi del tempio. Ad esso una volta all'anno, in occasione delle feste della divinità, dovevano essere presentate le fanciulle di Lanuvio per provare la loro verginità: si trattava di una cerimonia propiziatoria per il mondo agrario.Roma aveva in Giunone Sospita Mater Regina un nume tutelare della sua societas così come della sua res publica: i resti di un tempio eretto in suo onore sono oggi inglobati nella Chiesa di S. Nicola in Carcere, nel Foro Olitorio, e un altro tempio doveva sorgere anche sul Palatino. Il complesso santuariale lanuvino si ergeva sull'acropoli ed era attraversato dalla lunga via principalis (attuale via di S. Lorenzo) che si prolungava fino ai limiti dell'abitato. I resti del tempio, del tipo con alae e di ordine tuscanico, testimoniano varie fasi, che vanno dalla fine del VI secolo a.C. (come documentano alcune antefisse fittili a testa femminile, conservate a Londra nel British Museum) all'età medio-repubblicana (IV-III secolo a.C.) e infine alla metà del I secolo a.C. circa. Le fondamenta, in parte conservatesi, sono costruite con blocchi di tufo. L'ala destra è purtroppo crollata a valle, con il muro di terrazzamento. Dell'ultima fase fanno parte la recinzione dell'area, in opera reticolata, e il sistema di terrazzamenti realizzato per regolarizzare il pendio della collina. La disposizione a terrazze, inoltre, conferiva al santuario quell'aspetto scenografico, caratteristico dell'architettura santuariale del Lazio nella tarda età repubblicana, di cui esempi illustri sono i monumentali complessi, ancora in parte conservati, di Palestrina (santuario della Fortuna Primigenia) e di Tivoli (santuario di Ercole). Sempre a quest'ultima fase appartengono i muri visibili nella Villa Comunale e il portico ad arcate, inquadrate da semicolonne doriche, conservato nella villa Sforza. Questo portico, in parte ricostruito all'inizio del '900, comprendeva in origine due piani; è realizzato in opera reticolata non molto regolare, risalente alla metà del I secolo a.C. In fondo al portico si apre la porta, da cui si accede a un complesso sistema di gallerie e ambienti scavati nella roccia, forse identificabile con la grotta in cui si venerava il serpente sacro. Il santuario decadde ben presto: Plinio, già nel I secolo d.C., lo ricorda in uno stato di desolante abbandono sebbene un restauro, voluto da Adriano, sia testimoniato da una iscrizione. Con l'editto di Teodosio, che decretò la chiusura dei templi pagani, furono distrutti anche il tempio e il santuario di Giunone Sospita. Un tempio le era dedicato presso il Foro Olitorio, costruito verso il 195 a.C. da Gaio Cornelio Cetego. Un'antefissa raffigurante la Dea è stata rinvenuta a Roma ad Antemnae, dove probabilmente esisteva un luogo di culto di Giunone Sospita. Il 1º febbraio era considerato il suo dies natalis.
domenica 9 maggio 2010
L'onagro( per non offendere l'asino) della modernità
Scalfari, quella vuota «pienezza di sé»
di Massimo Fini - 26/04/2007
Fonte: il giornale [scheda fonte]
Una volta chiesi a Montanelli un giudizio su Eugenio Scalfari. «Non è dei nostri», rispose senza esitazione il grande Indro, intendendo dire che non è un giornalista. Il suo stile è orripilante: ciceroniano, ore rotundo, privo di capacità di sintesi, involuto, avvocaticchio, retorico, pomposo, magniloquente, sussiegoso, oracolare. E corrisponde perfettamente all’uomo.
In un libro senile, Incontro con io, con ambizioni penosamente filosofiche, ha scritto: «Ho finalmente raggiunto la pienezza di me». Non osiamo immaginare, perché pieno di sé Scalfari lo è sempre stato. Parlando, come suole, ex cathedra, non ha mai rinunciato a impartire lezioni, soprattutto di morale; in particolare ai colleghi. Del suo giornale ha scritto: «La qualità culturale e morale di Repubblica non ha riscontro con nessun fenomeno analogo nel giornalismo italiano (...) i suoi lettori rappresentano il meglio della società».
Questa boria incontrollata lo ha esposto anche a figuracce incresciose. Nel 1969, quando era deputato socialista, un vigile osò fargli una multa alla Stazione centrale di Milano perché aveva parcheggiato la macchina in sosta vietata. Lui esplose nel più classico e italico: «Lei non sa chi sono io!» e gli scagliò contro l’Espresso, dove il vigile figurava come l’emblema del potere arrogante e protervo e lui, Scalfari, come il cittadino inerme.
Del resto una certa vocazione censoria questo campione della «libera stampa» l’ha sempre avuta. Quando nei sinistrorsi anni ’60 Maurizio Costanzo invitò Montanelli al suo talk-show, Scalfari attaccò il conduttore perché aveva dato la parola a «un fascista».
Quando, negli stessi anni, gli extraparlamentari diedero l’assalto al Corriere cercando di impedirne l’uscita, plaudì all’iniziativa: «Questi giovani ci insegnano qualcosa (...) l’assalto alle tipografie può essere un ammonimento per tutte quelle grandi catene giornalistiche abituate (...) a nascondere le informazioni, a manipolare le opinioni pubbliche (...). Chi ama la libertà (...) non può che rallegrarsene». (L’Espresso Prototipo assoluto del radical-chic, con cuore a sinistra ma portafoglio ben sistemato a destra, e ostentato calzino lungo color panna come massimo dell’eleganza mentre lo è del kitsch. O, per dirla con le parole di un insolitamente coraggioso Giorgio Bocca, «aveva un po’ di questa disinvoltura: esser di sinistra però esser sempre gli amici dei potenti». Scalfari ne ha fatto un’intera collezione con una particolare predilezione, lui che cominciò come impiegato di banca, per banchieri, finanzieri, uomini di denaro, da Carli a Baffi a Visentini a Rovelli a Cefis poi abbandonato a favore di Sindona (ah, la mai trovata lista dei 500 privilegiati che scamparono al crac sindoniano...). Dal suo maestro Cicerone Scalfari ha preso, oltre al trombonismo e alla doppia morale, anche lo spudorato opportunismo. È stato, via via, fascista, azionista, liberale, radicale, repubblicano, socialista, comunista, democristiano demitiano.
Non c’è stanza del Potere che non abbia bazzicato. Quando si accorse che la Lega di Bossi stava per prendere piede e sconvolgere il sistema di potere in cui era così ben incistato, Scalfari fondò una comica Lega nazionale che, scalzando quegli straccioni di leghisti, avrebbe dovuto provvedere, nientemeno, alla «gestione della Nazione (...) con una morale nuova, con gente credibile e non compromessa» (La Repubblica, 1 dicembre 1991). Più avanti creò, con Ferdinando Adornato, una Alleanza democratica che alle elezioni prese percentuali da albumina. Il fatto è che in politica (la sua grande e vera passione se intesa come Potere) Scalfari non ne ha mai azzeccata una.
Nel 1959, già dimentico del massacro ungherese, pubblicò sull’Espresso un articolo dall’eloquente titolo «La Russia ha già vinto la grande sfida?», in cui profetava, con la consueta sicumera, che il sistema sovietico avrebbe prevalso su quello liberista americano.
L’articolo, riletto oggi, ha effetti esilaranti e surreali, alla Bergonzoni. Ogni volta che ha dato il suo appoggio a qualcuno, si trattasse di Berlinguer o di De Mita, il suo si è trasformato in una sorta di «bacio della morte». Ma la vera, grave responsabilità di Scalfari è un’altra. È di essere stato il grande corruttore della coerenza intellettuale e morale dell’intellighenzia del nostro Paese. È lui che ha dato inizio alla pratica di scrivere una cosa e il mese dopo, una settimana dopo, il giorno dopo, a seconda della circostanza, l’esatto opposto, senza batter ciglio. Il record lo raggiunse in un articolo su Craxi dove nella seconda parte smentiva la prima.
In vecchiezza, non bastandogli l’omelia domenicale sulla Repubblica, s’è messo a scrivere romanzi, con esiti imbarazzanti. Perché dal punto di vista letterario ha una cultura da bigino. È rimasto un impiegato di banca. In tanti anni non ho mai letto nei suoi lunghissimi articoli un riferimento colto se non qualche accenno alla Recherche che però conosce di seconda mano perché gliel’ha sunteggiata l’amico Visentini che ne era un cultore.
In una recente biografia autorizzata ha fatto scrivere: «Scrittore italiano occasionalmente prestato alla politica». Ha raggiunto, finalmente, «la pienezza di sé».
sabato 8 maggio 2010
Il battesimo di Scaiola
La tomba di Alcide de Gasperi nella Basilica di San Lorenzo, la chiesa di Roma ama i suoi benefattori e tenta di gratificarli per l'eternita o meglio crede di gestirli nella vita e in morte, comunque sempre in maniera truffaldina.
A Scaiola che la sua benemarita madrina era la figlia di de Gasperi.
de Gasperi un traditore: era deputato al parlamento di Vienna quando hanno ucciso Cesare Battisti e non spese una parola, poi tranquillamente entro nel parlamento di Roma e alla fine della II Guerra mondiale fu il primo ministro della nuova Italia vaticano democristiana . Il suo segretario particolare era Giulio Andreotti che ha passato tutta la Seconda Gierra mondiale in Vaticano occupato come bibliotecario ed in seguito ha ricoperto in più occasioni il ministero della difesa e ha oltretutto firmato quell'immondo trattato di Osimo con la Yugoslavia di Tito. Il de Gasperi è sepolto, come da copione nella Basilica di San Lorenzo Fuori le mura: il primo ministro della repubblica Italiana costruita sulle macerie della II Guerra Mondiale messo dal Vaticano.............
venerdì 7 maggio 2010
Il cervo
Il cervo è il simbolo della rigenerazione vitale, per il rinnovarsi periodico delle sue corna, che sono paragonate anche ai rami degli alberi per il loro valore allegorico di sviluppo e di unione tra le forze superiori e quelle inferiori. Quindi le corna sono il simbolo della longevità e del ciclo delle rinascite successive. Nella leggenda greca di Ciparisso, la morte del cervo è all’origine del cipresso, simbolo dell’immortalità e dell’eternità. Da tempi antichissimi nell’area circumpolare il cervo è associato al simbolismo del sole e della luce, incarnandone gli aspetti di creazione e civilizzazione. Il cervo è contrapposto nel simbolismo al toro, elemento della forza cieca generatrice e tipico delle precedenti civiltà matriarcali. Il cervo in questa contrapposizione assume l’emblema di animale tipico della civiltà indoeuropea. È il principio paterno che si scontra con la “civiltà della madre”; la virilità olimpica contro il mito taurino e materno della fecondità. In Grecia era consacrato a dei della purezza e della luce, come Apollo e Atena. Nella tradizione germano-scandinava, il cervo riveste un carattere negativo, visto come principio malefico poiché tenta di distruggere l’albero originario. Secondo una leggenda quattro cervi brucano incessantemente i nuovi germogli del frassino Yggdrasil, per indebolirlo e impedirgli di crescere rigoglioso.
domenica 2 maggio 2010
Non ho mai capito la festa del Primo Maggio, festa del lavoro.
di Massimo Fini - 01/05/2010
Fonte: Massimo Fini [scheda fonte]
Non ho mai capito la festa del Primo Maggio, festa del lavoro. Che
cosa, in realtà, festeggiano in questo giorno i lavoratori? La loro
schiavitù. Non è una festa, gli "han fatto la festa". Il
lavoro
diventa un valore con la Rivoluzione industriale e i pensatori che
cercano di razionalizzarla. Per Marx è "l’essenza del
valore", per i
liberal-liberisti è quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il
famoso "plusvalore". Prima il lavoro non era affatto un
valore. Tanto
è vero che è nobile chi non lavora e artigiani e contadini lavorano
solo per quanto gli basta. Il resto è vita. Non che artigiani e
contadini amassero il loro mestiere – che peraltro è un concetto
diverso dal lavoro come spiega R. Kurz in "La fine della politica e
l’apoteosi del denaro" – meno di un operaio di fabbrica o di un
impiegato o di un ragazzo dei call-center, certamente lo amavano molto
di più perché gli permetteva di esprimere le proprie capacità e la
propria creatività, ma non erano disposti a sacrificargli più di tanto
del loro tempo che è "il tessuto della vita" come dice
Benjamin
Franklin che peraltro lo usava malissimo: a fare denaro (anche
scopare, per questo perfetto prototipo della borghesia protestante e
autopunitiva, è una perdita di tempo, lo si fa "solo per la
salute").
E quando nel Duecento e nel Trecento compaiono a Firenze, nel
piacentino e poi nelle Fiandre i mercanti come forte classe sociale
(prima il mercante, presso tutte le culture, sedeva all’ultimo gradino
della scala sociale, perché si riteneva indegno di un uomo scambiare
per denaro, e il kafelos greco, piccolo commerciante al dettaglio, è
una macchietta abituale del teatro di Aristofane) la gente del tempo
li guarda come fossero dei matti perché non capisce che senso abbia
accumulare denaro su denaro, ricchezze su ricchezze per portarsele
nella tomba. C’è la storia, patetica quanto esemplificativa, di
Francesco di Marco Datini, il famoso mercante di Prato, il quale dopo
aver fatto per trent’anni l’imprenditore ad Avignone ritorna nella sua
città natia deciso a godersi la vita. Ma non ce la fa proprio, è
continuamente angosciato dalla sorte delle sue navi e quando, alla
fine, muore senza figli lascia tutto a Santa Madre Chiesa. Il concetto
che il tempo fosse più importante del denaro era così radicato negli
uomini di quel tempo che quando i primi imprenditori industriali
introdussero il cottimo si accorsero, con loro grande sorpresa, che la
produttività diminuiva invece di aumentare, perché i lavoratori
preferivano rinunciare al cottimo e andare a spasso, in taverna, a
giocare a birilli, a corteggiare la futura sposa.
Ma è stata la mentalità paranoica del mercante a prevalere, a fare
della maggioranza di noi, per dirla con Nietzsche, degli "schiavi
salariati", a frantumare i nuclei costitutivi dell’essere umano. I
suicidi in Europa dal 1650 – epoca industriale – ad oggi sono
decuplicati, nevrosi e depressione sono malattie della Modernità,
l’alcolismo di massa nasce con la Rivoluzione industriale, il montante
fenomeno della droga è sotto gli occhi di tutti. E la globalizzazione,
che inizia anch’essa con la Rivoluzione industriale e arriva a piena
maturazione negli ultimi decenni con l’acquisizione del modello di
sviluppo occidentale di quasi tutti i Paesi del mondo (quelli che non
ci stanno li bombardiamo), esaspera tutti questi processi. La
globalizzazione è, in estrema sintesi, una spietata competizione fra
Stati che passa per il massacro delle popolazioni del Primo e del
Terzo mondo. Per restare a galla saremo costretti tutti a lavorare di
più, a velocità sempre maggiore, accumulando così altro stress,
disagio, angoscia, depressione, nevrosi, anomia. Infine, di passata,
"una società" come scrive Nietzsche "che proclama
l’uguaglianza avendo
bisogno di schiavi salariati ha perso la testa". E noi
l'abbiamo
persa. Tant’è che oggi celebriamo allegramente la festa della nostra
schiavitù.
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