lunedì 29 marzo 2010
L'ultimo grande Imperatore Romano
Un esempio per tutti e per sempre di sapienza e di devozione.
I cristiani pensavano di poter dimenticarne la memoria, ma dopo tutti gli sforzi profusi, l'impegno è stato vano.
Giuliano chiamato dispregiativamente l'apostata, credeva nell'anima e nell'immortalità, anzi ne ha fatto una causa di vità.
Sei sempre con tutti noi, in questo mondo e in tutti gli altri possibili.
La morte dell'imperatore Giuliano
L'imperatore Giuliano, profondamente filosofo e profondamente religioso, morì come Socrate discutendo con i suoi amici della immortalità dell'anima.
AMMIANI MARCELLINI HISTORIAE
EXCERPTA
Mentre venivano fatte queste cose, Giuliano, che giaceva sotto la tenda, disse a coloro che, avviliti e tristi, lo circondavano:
"Advenit, o socii, nunc abeundi tempus e vita impendio tempestivum, quam reposcenti naturae,
"Adesso giunge, o compagni, il tempo più adatto per allontanarsi dalla vita, che è reclamata dalla natura.
ut debitus bonae fidei redditurus, exulto,
Esulto, come colui che sta per restituire un debito in buona fede.
non (ut quidam opinantur) afflictus et maerens,
Non sono afflitto e addolorato (come alcuni pensano).
philosophorum sententia generali perductus, quantum corpore sit beatior animus,
Sono guidato dalla opinione generale dei filosofi che l'anima sia più felice del corpo.
et contemplans, quotiens condicio melior a deteriore secernitur, laetandum esse potius quam dolendum;
E osservo che, ogni volta che una condizione migliore sia separata da una peggiore, occorre rallegrarsi piuttosto che dolersi.
illud quoque advertens, quod etiam dii caelestes quibusdam piissimis mortem tamquam summum praemium persolverunt.
Noto anche che gli dei celesti donarono ad alcuni molto religiosi la morte come sommo premio.
Ma so bene che quel compito mi è stato affidato non per soccombere nelle ardue difficoltà, né per avvilirmi, né per umiliarmi.
expertus quod dolores omnes ut insultant ignavis, ita persistentibus cedunt.
Ho imparato a conoscere per esperienza che tutti i dolori colpiscono chi è senza energia, ma cedono di fronte a coloro che persistono.
Non ho da pentirmi di quanto ho fatto, né mi tormenta il ricordo di qualche grave delitto.
vel cum in umbram et angustias amendarer, vel post principatum susceptum, animum tamquam a cognatione caelitum defluentem, immaculatum (ut existimo) conservavi
Sia nel periodo in cui ero relegato in ombra e in povertà, sia dopo aver assunto il principato, ho conservato immacolata (o almeno così penso) la mia anima, che discende dagli dei celesti per parentela.
et civilia moderatius, regens, et examinatis rationibus, bella inferens et repellens,
Ho gestito con moderazione gli affari civili e, con motivate ragioni, ho fatto e allontanato la guerra.
tametsi prosperitas simul utilitasque consultorum non ubique concordent, quoniam coeptorum eventus superae sibi vindicant potestates.
Tuttavia il successo e l'utilità delle decisioni non sempre concordano, poiché gli dei superni rivendicano a sé i risultati delle azioni.
Reputo che scopo di un giusto impero siano il benessere e la sicurezza dei sudditi.
ad tranquilliora semper ut nostis propensior fui,
Fui sempre propenso, come sapete, alla pace.
licentiam omnem actibus mei exterminans, rerum corruptricem et morum,
Ho allontanato dalle mie azioni ogni arbitrio, corruttore degli atti e dei costumi.
gaudensque abeo, sciens quod ubicumque me velut imperiosa parens consideratis periculis obiecit res publica, steti fundatus, turbines calcare fortuitorum assuefactus.
Me ne vado felice, sapendo che ogniqualvolta la repubblica, come imperioso genitore, mi ha esposto a pericoli prestabiliti, sono rimasto fermo, abituato a dominare i turbini degli eventi fortuiti.
Non sarà vergognoso riconoscere che da lungo tempo ho appreso da una predizione profetica che sarei morto mediante un ferro.
Perciò venero il sempiterno nume, perché non muoio per clandestine insidie, o tra i dolori delle malattie, né subisco la fine dei condannati, ma in mezzo a splendide glorie, ho meritato una illustre dipartita dal mondo.
Aequo enim iudicio iuxta timidus est et ignavus, qui cum non oportet, mori desiderat, et qui refugiat cum sit opportunum.
E' giudicato pusillanime ed ignavo colui che desidera morire quando non è il momento opportuno e colui che tenta di sfuggire alla morte quando è il momento giusto.
XXV,3,20 Hactenus loqui, vigore virium labente sufficiet.
Il parlare è stato sufficiente, ora il vigore delle forze mi sta abbandonando.
Super imperatore vero creando, caute reticeo, ne per imprudentiam dignum prateream, aut nominatum quem habilem reor, anteposito forsitan alio, ad discrimen ultimum trudam.
Per quanto concerne la nomina del nuovo imperatore, ho deciso cautamente di non pronunciarmi. Non voglio omettere per imprudenza qualcuno degno. Né voglio sottoporre a pericolo di vita qualcuno che ritengo adatto ad essere nominato, qualora un altro gli venisse preferito.
Ut alumnus autem rei publicae frugi, opto bonum post me reperiri rectorem".
Ma come un bravo figlio della repubblica, desidero che si trovi dopo di me un buon imperatore."
...Essi tacquero, ed egli discusse approfonditamente con i filosofi Massimo e Prisco sulla sublimità delle anime. La ferita al fianco, dove era stato trafitto, si allargò. Il gonfiore delle vene gli impedì di respirare. Bevve dell'acqua gelida che aveva chiesto. In mezzo al terrore religioso della notte, venne sciolto senza difficoltà dalla vita. Aveva 32 anni.
Le molteplici vie per arrivare all'apice della Montagna Sacra
Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento. Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda. Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? – domandò Simmaco – Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande.
(Quinto Aurelio Simmaco, Relatio de ara Victoriae III,10)
Poche parole nella grandezza infinita
“…Non potrei desiderare di essere nata in un’ epoca migliore di questa, in cui si è perduto tutto…”
“…sono convinta che, da un lato la sventura, dall’altro la gioia come adesione totale e pura alla bellezza perfetta… siano le uniche chiavi mediante le quali si entra nel paese puro, respirabile, nel mondo della realtà…”
sabato 27 marzo 2010
L'IDEA DELLA BANALITA' DEL MALE DI GÜNTHER ANDERS RUBATA DALLA HANNAH ARENDT
Dall'opera del filosofo GÜNTHER ANDERS si ricavano le idee di fondo di quella che passerà come:"La banalità del male" attribuita ingiustamente a Hannah Arendt che fu sposata con Anders dal 1929 al 1936 e ne assorbì e traspose l'innovativo pensiero fandolo ingiustamente proprio.
La profondità e l'originalità del pensiero di Gunthe Anders è alla base del pensiero che inquadra il male come fatto transitorio che non riesce a radicare nelle menti umane. La guerra moderna rappresenta il momento esaltante di questo rifiorire della cattiveria gratuita e inutile.
In quanto “distruzione” la guerra ha cessato di essere un atto
strategico per trasformarsi in un processo puramente tecnico
che lo annulla in quanto guerra. Chi elimina le mosche con
l’insetticida, senza fare i conti con nessuna forma di
resistenza, non fa la guerra; si limita piuttosto a eseguire
un’operazione tecnica. Analogamente, quando faceva
“entrare” i prigionieri dei lager nelle camere a gas, Hitler
non faceva una “guerra” contro gli ebrei, gli zingari o altri
sottouomini, ma li annientava. E questo principio ha ora
trovato un prolungamento a Hiroshima e Nagasaki.
Neppure laggiù si doveva fare i conti con nessuna
resistenza. Nagasaki e i campi di sterminio sono crimini che
appartengono alla stessa categoria.
I campi di concentramento, gli stermini di massa, le
guerre mondiali e le bombe atomiche non sono una
“ricaduta nella barbarie”, ma il compimento non
represso di ciò che le conquiste moderne offrono
all’uomo nella scienza, nella tecnica e nell’esercizio
del potere.
venerdì 26 marzo 2010
Il pensiero poderoso che segnerà questi tempi
Il suo pensiero si mantiene in equilibrio fra antropologia e sociologia smascherando la truffa religiosa (sopratutto del cristianesimo moderno)e ciò che comporta il pensiero metafisico e spirituale.Simone Weil, la grande intellettuale del Novecento esempio impareggiabile della "nuova" spiritualità passata dagli attroci dolori delle guerre moderne .Comunista ed anticomunista, agnostica e mistica, figlia di un cristianesimo giustamente anarchico. Un'intellettuale passata volutamente dall'esperienza irrinunciabile dalla misera condizione operaia, pacifista e “battagliera” (combattè nel 1936 in Spagna contro i franchisti, ma se ne pentì), Simone Weil è “pietra d’inciampo” per le ideologie, i massimalismi contrapposti, riesce ad elevare la disastrata cultura postmoderna sapendo penetrare con grande forza profetica e profondità d’analisi i mali e le perversioni dei tempi moderni. Un pensiero ricco e fecondo che ancora oggi si rivela attualissimo , grazie ad una ricerca che passa e supera il maxismo e le religioni ordinarie. Segna la grandezza del mondo femminile come pensiero ed azione, un pensiero filosofico sostenuto da una grande amorevolezza. Ti bacio! dato che rappresenti l'immortale bellezza e l'innovativo magistero del fondamento femminile
Le religioni e la mente umana
Ho tratto dagli scritti di Nicoletta Antonello, le definizioni di mito e rito caposaldi del bisogno reigioso e dell'immersione nell'eternità
La studiosa premetteche che:<< Ben lungi dal voler entrare nel merito della dottrina cristiana e della sua evoluzione nel corso della storia del cristianesimo, desidero focalizzare all’interno del cristianesimo stesso alcuni concetti chiave nello studio comparato delle religioni quali mito, rito e simbolo.
Il mito è generalmente una narrazione di gesta compiute agli albori della storia, o meglio, nel “tempo senza tempo” che precede l’inizio della storia, dai cosiddetti “antenati mitici” (siano essi dèi o eroi civilizzatori), con la funzione di spiegare il perché della creazione o di un certo fenomeno all’interno di essa. Nei miti, a mettere in moto la cosmogonia molto spesso è un’uccisione creatrice, ossia il sacrificio di un grande animale (serpente, drago o mostro), di un gigante primordiale o di un dio che si auto-sacrifica scindendosi in più parti, originando la creazione attraverso il passaggio dall’uno al molteplice (dal caos indifferenziato alle forme chiare e distinte della coscienza).
Il rito è la ripetizione gestuale del mito, compiuta singolarmente o collettivamente fin dalle società più arcaiche, generalmente nell’ambito di appositi “spazi sacri” che a livello microcosmico riproducevano la struttura dell’intero universo, ad intervalli periodici regolari (es. l’alba, il capodanno, la primavera, ecc.) o in qualunque momento di crisi o di carestia in cui si avvertisse il bisogno di rigenerare il mondo mediante la messa in moto di una nuova creazione>>
Il rito è fondamentale non solo nelle religioni ma anche per "inquadrare l'individuo" creando un certo tipo di dipendenza, il sistema militare si avvicina moltissimo ai sistemi di inquadramento religioso monastici, l'individuo appartiene ad una comunità che a sua volta diviene un organismo transpersonale.
L'alta espressione della filosofia salvifica del novecento
Simone Weil. le grandi menti sono sempre perseguitate in ogni tempo e in ogni luogo, sopratutto dalle religioni ufficiali e dal potere che deve mantenersi!
Il rito non mi appartiene e mi spaventa.
Tutto ciò che lugubramente si ripercorre ogni giorno, nello stesso lavoro, nella stessa casa. Non vi spaventa?
Anche essere fuori da ogni rito è spaventevole nello stesso identico modo.
Esiste un luogo della mediazione, sempre imprevedibile, diverso e comunque uguale nell'espressione dell'esistenza? mah...
giovedì 25 marzo 2010
Giorgio Gemisto Pletone
Partecipò al concilio di Firenze del 1438-1439, grande erudito e neoplatonico stimolo il Rinascimento Italiano.
Costantino Dragases Paleologo, che divenne nel 1448 l’ultimo imperatore di Costantinopoli;sollecitato dalle idee di Gemisto ha attaccato il latifondo ecclesiastico proponendo di dare le terre ai coltivatori, ha propugnato una forma di organizzazione platonica della società, una Repubblica ideale governata dai re filosofi, un diritto penale dove l’idea di pena si dissolveva a favore del servizio sociale, un ordinamento economico senza moneta, un esercito nazionale, anche l’idea dell’Impero retto da una flotta faceva parte del sistema, aveva sognato dunque, come Platone nella Repubblica, un sistema economico e politico, sociale e lavorativo, militare e religioso che avrebbe dovuto fare degli elleni un popolo prospero e armonioso.
Ma soprattutto Gemisto Pletone a Mistrà fonda e guida una Scuola filosofica tradizionalista, un’accademia esoterica. In essa le iniziazioni erano celebrate con entusiasmo in forme cerimoniali e ordine gerarchico tra i partecipanti, complete di calendario, liturgia, inni musicali dedicati al sole e agli astri.
In uno dei frammenti salvati dalla distruzione delle Leggi, e dalla persecuzione che subì il suo ultimo libro, si leggono, fra l’altro, alcune preghiere molto significative: " Apollo re, tu che regoli e governi tutte le cose nella loro identità, tu che unifichi tutti gli esseri, tu che armonizzi questo vasto universo così vario e molteplice ..., o Sole, signore del nostro cielo, sii a noi propizio; e tu pure, sii a noi propizia, o Luna, venerabile dea; e tu, portatrice di luce (Venere), e tu, Stilbone (Mercurio), entrambi compagni fedeli del Sole splendente, e voi, Fainon, Faeton, Pyrois (Saturno, Giove, Marte), che tutti obbedite al Sole vostro re, che l’assistete come conviene nel governo delle cose umane, noi vi celebriamo come nostri splendidi protettori, con gli altri astri che una provvidenza divina ha lanciato nello spazio ".
Tenta il ripristino degli antichi dei : " Tutto è soggetto a una legge .... Tutti gli eventi sono stabiliti dall’eternità, disposti nel migliore ordine possibile sotto l’autorità di Zeus,....."
sognava di ridare vitalità e dinamismo alla tradizione "gentile", cioè pagana, in particolare quella pitagorica-platonica rifacentesi all’antica Accademia ateniese e ai tentativi di sua restaurazione da parte del più lucido e tollerante imperatore romano, Giuliano, appunto detto l’Apostata. Dovremmo inoltre usare per lui la parola "Archaiothréskos" (fedele all'antica religione) o ancora, anche "Ethnikos" (Gentile o devotamente fedele agli Dei, alla tradizioni e all’Ethos).
E' sepolto a Rimini per volere di Sigismondo Malatesta e riposa nel tempio Malatestiano
lunedì 15 marzo 2010
Futurismo anarchico
Il futurismo anarchico
In attesa di leggere con ApARTe una sintesi sul movimento che nella sua prima espressione attirò l'attenzione e coinvolse un discreto numero di anarchici e libertari, e per sgombrare il campo da molti equivoci che ancora ruotano attorno al Futurismo, mi preme, ancorché stringatamente, tratteggiare l'effettiva qualità e adesione a tale movimento, onde evitare facili equazioni.
Il Futurismo nasce nel 1909, prima quindi della Guerra Mondiale e molto lontano dal fascismo nel quale forzosamente sarà condotto. All'inizio del Novecento il movimento anarchico, accoglieva numerosi nietzschiani e stirneriani che sentirono attrazione, ricambiata, verso il Futurismo.
Probabilmente la lotta al passatismo (…), l'impatto eversore, l'amore per la violenza, il disgusto per il parlamentarismo, inducono i futuristi a cercare convergenze con l'anarchismo (Masini), ed il pensiero di Nietzsche e Stirner facilitò l'incontro ormai noto come anarco-futurismo. L'adesione anarchica al futurismo fu caratterizzata dal rifiuto del marinettismo, mentre Marinetti cercava contatti proprio in campo anarchico. Ad esempio, nel processo a carico di Governato ('24), esprime solidarietà come aveva già fatto verso Malatesta ('20), a nome di tutti i futuristi.
In precedenza, prima della Guerra, e come è ampiamente noto, fin dal Manifesto di fondazione, la specifica richiesta di contatti e rapporti con l'anarchismo viene praticata abbondantemente (Lucini, Carrà, Buzzi, Ceccardi), e poesia, pittura, letteratura, verso libero, legano persone a luoghi e testate. Il collante maggiore, al di là delle diverse metodiche espressive (poesia, pittura ecc.), continua ad essere costituito dalle correnti filosofiche individualiste.
La nascita del cosiddetto anarco-individualismo, si ha nel periodo in cui esce «Vir» (1907) e interessa ampi strati di intellettuali che civetteranno con esso, primo fra tutti Giovanni Papini. Il fermento pre-futurista semina nel biennio che precede la fondazione ufficiale e raccoglie i frutti fra '09 e '23.
Boccioni, pervaso da fermenti anarchici è il continuatore dell'opera simbolista di Munch e divisionista di Pellizza Da Volpedo così come il simbolismo di Marinetti del Roi Bombance fa breccia nell'ambiente socialista e anarchico.
Carrà, anarchico e futurista, illustrerà una quantità di testate di movimento. Da la «Sciarpa Nera» a «La Rivolta» a «La Barricata» ed altre. Incontri fra anarchici e futuristi avvengono su «Vir» (Monanni, S. Benelli, Papini), «Poesia» (Lucini, Buzzi), «La Folla» (Valera, Papini, Prezzolini, Provinciali, Corridoni), «Quartiere Latino» (Ugo Tommei, Lucini), «Apua Giovane» (Ceccardi e, attraverso il Manifesto apuano: Viani, Papini, Lucini), «La Donna Libertaria» (Giglioli). Poesia sociale anarco-futurista è ben visibile in Buzzi, Cavacchioli, Cardile.
Per far chiarezza e puntualizzare posizioni, sarà determinante il manifesto Anarchia e Futurismo pubblicato su «La Barricata» (Carrà, Rafanelli) di Parma del 1912, da parte di Provinciali. «La Barricata», sarà lo strumento attraverso il quale si determinerà lo specifico significato del futurismo anarchico, sia attraverso il citato manifesto, sia in maniera militante, fra il folto gruppo di universitari futuristi di sinistra del parmense, mentre «Demolizione» (Milano,1910) del discusso Dinale, costituisce un altro tassello di questo mosaico (Marinetti, Buzzi, Lucini, Belli). Notizie, attenzione e disponibilità verso gli anarco-futuristi, si hanno anche su «Rovente» di Illari e Soggetti a Pavia e su «La Testa di Ferro» di Mario Carli a Fiume (Novatore e Tintino Rasi), mentre «La Tempra» di Pistoia, già nella 'Dichiarazione', esprime l'interesse per il futurismo militante. Tratta quindi di Papini, Russolo, Magri, Lucini, Tommei, Buzzi. Anche Attilio Vella, pittore, coniuga futurismo e anarchismo così come l'anarchico Cesare Cavanna, sarà amato tipografo futurista.
L'eversione linguistica sarà altro elemento comune, la parola che si fa azione come in Bellezza e necessità della violenza di Marinetti, non a caso verrà introdotta nella Parma di Provinciali e degli studenti di sinistra del locale Circolo Libertario di Studi Sociali nel 1911. Buzzi, Cavacchioli, Cangiullo, usano tale strumento con Il canto dei reclusi (Buzzi), 7 Scaricatori di carbone (Cavacchioli) e Monumento alla fiamma (Cangiullo). Stessi temi e tecniche su «La Folla», «Il Proletario Anarchico», «Iconoclasta!», «Fede», «Vita», «Il Proletario», «Vertice» ecc.
E' talmente evidente il rapporto diretto fra futurismo e anarchismo, che gli storici devono aver sudato molte camicie per occultarlo per così tanti decenni. Ricordiamo, per terminare, che Marinetti, nella prefazione a Revolverate di Lucini, riconosce in lui l'inventore del verso libero.
Insomma futuristi e anarchici davvero molto spesso insieme! Notevoli sono le sperimentazioni in tipografia e sui testi teatrali da parte di Virgilio Gozzoli con una serie di numeri unici creati a Pistoia dal 1911 al 1915. Così come Parole in libertà, e tavole parolibere, oltreché in alcune testate di Gozzoli, si trovano in Buzzi su «L'Italia Futurista» ed in Cantarelli e Jannelli su «La Folgore Futurista».
La presa di distanze da Marinetti e dai suoi programmi politici aumenta nel dopoguerra, quando, come nel caso di Pietro Illari e Vinicio Paladini, si insorgerà contro il Programma Politico del 1923. Da Lucini a Paladini, quindi, gran parte della sinistra libertaria prende le distanze dal futurismo ufficiale, mentre altri, come il gruppo di La Spezia (Ferrari, Rasi, Governato) e Provinciali, percorreranno un futurismo spesso parallelo, ma senza collusioni con Marinetti né tantomeno col fascismo. Il futurismo nasce anarchico, libero, creatore. Quando muterà pelle, gli anarchici lo abbandoneranno.
Alberto Ciampi
Affondiamo Venezia
Contro la Venezia passatista
Noi ripudiamo l'antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico.
Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo e dell'imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite, cloaca massima del passatismo.
Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente, piaga magnifica di passato. Noi vogliamo rianimare e nobilitare il popolo veneziano, decaduto dalla sua antica grandezza, morfinizzato da una vigliaccheria stomachevole ed avvilita dall'abitudine dei suoi piccoli commerci loschi.
Noi vogliamo preparare la nascita di una Venezia industriale e militare che possa rovinare il mare Adriatico, gran lago Italiano.
Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi.
Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l'imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti delle vecchie architetture.
Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobiliata.
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo
venerdì 12 marzo 2010
Il mistero buffo di Fo
Dario Fo ( indicato dalla freccia) ritratto ritratto alla scuolo di paracadutisti di tradate con alcuni camerati(archivio Nino Arena)
scritto da Michele Brambilla:
In un mondo di voltagabbana, e nel giorno in cui Follini vota con Rifondazione, conforta sapere che c’è un hombre vertical come Dario Fo. Siete depressi perché ci sono troppe banderuole? Leggetevi l’autobiografia che il nostro premio Nobel ha appena pubblicato da Guanda, Il mondo secondo Fo, e troverete consolazione e ristoro.
A ottant’anni suonati Dario Fo ci consegna il racconto di una vita esemplare e tanti buoni propositi. «Ho ancora molto da fare: la battaglia per un mondo migliore, per un pianeta meno violento, per una città più a misura di uomo e di natura…» e via di questo passo fino - ça va sans dire - alla liquidazione di Berlusconi («Un giorno si troverà in mutande e bandana ad arrancare tutto solo») e all’impegno «per cercare finalmente di mettere a segno un buon governo, o almeno un governo decente».
Ed eccoci alla lezione sulla politica e sui voltagabbana. Dario Fo parte dal Sessantotto. «Un periodo stupendo», naturalmente. «Per qualcuno però anche l’occasione giusta per fare i doppi e i tripli giochi di comodo. Quelli che allora si professavano di sinistra dura e pura, e poi sono finiti come si sa». Fuori i nomi: «I Liguori, i Ferrara… Gente di cinismo impressionante, voltagabbana… O come Aldo Brandirali, oggi nelle file di Forza Italia e Comunione e Liberazione: da Servire il popolo a servire il padrone… Lo stesso salto della quaglia fatto, allo spirare dei primi venti berlusconiani, da Pecorella, Taormina, Bondi, Paolo Guzzanti, Tiziana Majolo». Conclude il Nobel: «Il trasformismo di certi politici è roba da far impallidire Fregoli». Altro che la schiena dritta di Dario Fo.
Però, c’è un però. «Per un periodo, pur se breve», Dario Fo «ha fatto parte della Repubblica di Salò», osserva l’intervistatrice Giuseppina Manin, coautrice del libro. Dario Fo non si sottrae, e risponde che quella «parentesi» lui non l’ha «mai negata». Ammette di essersi arruolato «per salvare la pelle». E, non rinunciando a tenere il ditino alzato, fa notare la differenza con un altro premio Nobel, Gunter Grass, che la sua militanza nelle Waffen-SS l’ha tenuta nascosta fino all’anno scorso. «Quello che più mi ha colpito della sua vicenda è il fatto
di aver tenuto quel segreto dentro per tutto il tempo. Grass ha convissuto con la sua colpa per oltre sessant’anni». E già, che imbroglione questo Grass.
Ma è proprio qui che la posizione vertical di Dario Fo si inclina, e che la schiena dritta non è poi tanto dritta. Perché il nostro Nobel ci sta prendendo per i fondelli.
La verità è che Dario Fo ha sempre non solo nascosto, ma anche negato - finché ha potuto - di essersi arruolato nella Rsi. Il primo a rivelare quel passato fu, nel 1964, Giorgio Pisanò; ma siccome Pisanò era un fascista, nessuno gli volle dar credito. Quando poi, nel 1975, a ricordare quella «parentesi» fu Giancarlo Vigorelli su Il Giorno, Dario Fo sporse querela, e la causa finì con la pubblicazione di un comunicato in cui si diceva che il futuro premio Nobel non era stato repubblichino ma partigiano.
Nel 1977 un piccolo giornale di Borgomanero che si chiamava Il Nord ritirò fuori la storia, e Dario Fo fece ancora querela. Commettendo, però, un errore che si rivelò fatale: concesse ampia facoltà di prova. E le prove della militanza di Fo nella Rsi vennero fuori, soprattutto per merito di un giornalista, Luciano Garibaldi, che pubblicò tutto su Gente: le fotografie, la testimonianza dell’ex camerata Carlo Maria Milani e soprattutto quella del capo partigiano Giacinto Lazzarini. Messo di fronte all’evidenza delle foto, Dario Fo aveva infatti cercato di sostenere una tesi ardita: disse di essersi arruolato nella Rsi come infiltrato dei partigiani. Ma Lazzarini al processo lo sbugiardò.
Altro che aver «sempre ammesso» gli imbarazzanti trascorsi. È scritto nella sentenza di quel processo per diffamazione contro Il Nord: «È certo che Dario Fo ha vestito la divisa del paracadutista repubblichino nelle file del Battaglione Azzurro di Tradate. Lo ha riconosciuto lui stesso - e non poteva non farlo, trattandosi di circostanza confortata da numerosi riscontri probatori documentali e testimoniali - anche se ha cercato di edulcorare il suo arruolamento volontario sostenendo di avere svolto la parte dell’infiltrato pronto al doppio gioco». E non è tutto. Si legge ancora nella sentenza: «Non è certo, o meglio è discutibile», che Fo abbia partecipato a dei rastrellamenti, «ma la milizia repubblichina di Fo in un battaglione che di sicuro ha effettuato qualche rastrellamento lo rende in certo qual modo moralmente corresponsabile».
Era un ragazzo, certo. E come si fa a non perdonare un ragazzo? Sono le bugie a ottant’anni che danno un po’ fastidio.
(da il Giornale del primo marzo 2007)
Le carte ormai parlano chiaro. Da loro invece non una parola.
Non male lo scoop del prossimo numero del Domenicale: fornisce materiale per completare la biografia del decano del giornalismo Enzo Biagi, anzi: «Biagi rag. Enzo», come è riportato su un documento del Minculpop datato 20 gennaio 1944.
Biagi aveva scritto e riscritto quasi tutto, di sé: che fu balilla, avanguardista, membro della Gioventù italiana del littorio, del Gruppo universitario fascista, che aveva scritto su L’assalto e che vinse i premi Prelittorali, che suo zio fece la marcia su Roma e che suo cugino era un viceministro delle Corporazioni, ma soprattutto che infine, al Novantesimo, passò ai partigiani della brigata Legnano.
Non ci aveva raccontato, per esempio, che il Minculpop inviò 70mila e 500 lire da distribuire ai giornalisti del Resto del Carlino «sfollati o dissestati» da incursioni nemiche (gli Alleati) e non ci aveva detto che a Biagi rag. Enzo spettarono ben 3mila lire, segno di indubbia considerazione: al direttore fu dato solo il doppio e al segretario di redazione solo la metà.
Questo nel 1944, periodo in cui la ricchezza vagheggiata erano le «mille lire al mese» ma nondimeno anno di Marzabotto, delle Fosse Ardeatine e delle peggio stragi nazifasciste.
Ma qualche ragioniere, per fortuna, la sfangava.
(Da il Giornale del primo marzo 2007)
Amici ieri come oggi
L'amore è una cosa meravigliosa, ci rende ciechi
Amici di merende oggi come ieri, il ritornello è sempre quello, con un fenomeno nuovo: i socialisti di centro destra, alla faccia di Cicchitto
Ma i vecchi amori legati al socialismo non muoino mai e convivonocon i nuovi:Brunetta e de Michelis, oggi, si abbracciano calorasamente.
De Michelis è tuttora un consigliere di particolare riguardo per il ministro della funzione pubblica
giovedì 11 marzo 2010
Le metamorfosi di Ranuccio Bianchi Bandinelli
Alla sinistra di Hitler (per chi guarda la foto) vediamo la guida ufficiale, con una impeccabile urbace fascista nera propria di una persona di alto rilievo nella monenclatura mussoliniana , di quella memorabile visità che segnò l'inizio dell'inesorabile rovina dell'Italia attraverso i patti scellerati con la Germani nazista.
Quel giovanotto altezzoso vestito con l'urbace nera completa di fez, e con la mandibola preparata a copia del capo (Benito) è l'archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli. Uno dei tanti che verso la fine della guerra si convertì all'antifascismo. Nella discussione sui mandanti dell'omicidio Gentile verso il 1944, era stato fatto il nome anche di Bianchi Bandinelli, sulla base di una testimonianza resa nel 1981 dallo scrittore Romano Bilenchi allo storico Sergio Bertelli, secondo la quale la decisione sarebbe stata presa in una riunione ristretta a cui avrebbe partecipato anche l'archeologo.Dopo la fine del conflitto Fece parte del comitato centrale del Partito Comunista Italiano ebbe incarichi di grande rilievo nell'ambito archeologico, sempre appoggiato dal suo nuovo partito.
La voce che commentava il film Luce della visità di Hitler a Roma, da dove è tratta la foto, era di Vittorio Veltroni padre di Walter.
mercoledì 10 marzo 2010
Un Barbaro alla fondazione del Sacro Romano Impero
Externsteine
L'Europa dovrebbe rivedere la sua stranissima storia e riscriverla.
Un Barbaro poligamo senza dio - fatto quasi santo- oltretutto con le prerogative di un sacerdote di poter officare la messa cattolica romana. Questo è al fondamento della cosidetta Europa Cristiana..
L'assurdo è che anche Hitler esalta questo re usurpatore della dinastia Merovingia . Sarà disperata la resistenza del battaglione francese SS Charles Magne che difenderà fino all'ultimo Hitler. Vedo una contraddizione
Externsteine è un complesso megalitico di origine meteoritica situato in Germania, nella regione Nord Reno-Vestfalia, nella foresta di Teutoburgo, presso la città di Horn-Bad Meinberg. Luogo sacro ai nazisti dove nelle
vicinanze venne combattuta la famosa battaglia della selva di Teutoburgo. Nell’autunno del 9 d.C. si arrivò alla completa disfatta di tre legioni romane (XVII, XVIII, XIX) comandate dal generale Publio Quintilio Varo, morto suicida per la vergogna.
Nell'anno 772 Carlo Magno, dopo un'assemblea a Worms, decise di attaccare le tribù dei Sassoni (principalmente ofstali, engri e vestfali) che spesso vivevano in modo primordiale in una zona della Germania del nord, nei pressi di Externsteine.Proprio quei Sassoni che i Romani non sono mai riusciti a domare e che la loro religione pagana ha sempre interessato il nazismo.
Durante la campagna militare del 772 Carlo Magno inflisse le prime sconfitte ai Sassoni e distrusse anche un esemplare di Irminsul, il totem sacro, l'asse del mondo, l'albero con le corna a queste popolazioni.
Proprio lui Carlo Magno barbaro con sangue germanico convertito al cristianesimo romano e primo Imperatore del Sacro Romano Impero ( che di sacro non aveva nulla, romano men che meno, e che alla morte di Carlo Magno si dissolse come neve al sole) è l'esempio dell'opportunismo, arriva a sterminare intere popolazioni germaniche (suoi fratelli) in nome del cristianesimo, per il solo motivo che aveva precisi accordi papali.
Poi la grande bugia storica di Roncisvalle. Lo scontro fu infatti un episodio bellico anomalo, amplificato in Occidente dalle chansons des gestes composte dai trovatori (o trombadori), che esternarono così sia il mito fasullo di un grande sovrano che espressamente si richiamava ai valori della fede cristiana e che se ne proclamava come il migliore e il più autorevole difensore sia il mito dell'eroe leale e impavido.
In realtà non furono gli arabi bensì le popolazioni basche in parte ancora pagane che si trovavano fra due religioni monoteiste ed intolleranti ad avere la moglio sugli impavidi paladini.Carlo Magno alla notizia di un'insurrezione dei sassoni, sottomessi da poco, si mise di nuovo in marcia per rientrare in fretta e furia, lasciando Orlando e la guardia reale con i tesori ottenuti durante la campagna militare, mentre lui andò avanti nelle gole pirenaiche di Roncisvalle i contadini baschi armati di forche e bastoni decimarono i prodi paladini.
Externsteine il luogo santo dei tedeschi dove l'albero cosmico con le corna segnava il centro del Mondo, l'albero cosmico della supremazia teutonico germanica.
Ma Hitler comefaceva a conciliare la sacralitò di Externsteine con la regalità fasulla di colui che distrusse l'albero sacro e la libertà del popolo sassone all'origine dei prussiano-germani.
Personalmente posso a questo punto avere stima per i sassoni, anche se hanno decimato i romani. Più ancora nutrire per i contadini baschi una grande simpatia dato che credo Carlo Magno un usurpatore un imperatore del nulla creato dalla chiesa di Roma che tantissimi danni ha provocato nei secoli della sua tirannia, che tutt'ora esercita in combutta con il potere!
LA STORIA E' QUASI SEMPRE UNA TRUFFA
lunedì 8 marzo 2010
Una lettura per lo spirito
Credo che Saint-Exupéry non abbia scritto Il Piccolo Principe per un pubblico di piccoli lettori e lo dimostra il fatto che il libro è dedicato al suo amico Leon Wert “quand il était petit garçon”. Non ha dunque destinato le sue parole allo sguardo attento di un bambino, ma ad un adulto che è stato un bambino, ad una persona matura che è divenuta tale dopo essere stata quello che è stata, ma che, nonostante tutto, resta, in ogni caso, un adulto.
Nel IV capitolo, infatti, dice:
J’aurai aimé commencer cette histoire à la façon des contes des fées. J’aurai aimé dire :
« Il était une fois un petit prince qui habité une planète à peine plus grande que lui, et qui avait besoin d’un ami… » Pour ceux qui comprennent la vie, ça aurait eu l’air beaucoup plus vrai .
Ma alla fine non scrive per questi ultimi! Forse scrive per se stesso, per non dimenticare il suo amico, per non dimenticare il Piccolo Principe.
Il fatto di scusarsi con i bambini per aver dedicato il suo racconto ad una “grande personne” che è stata un “enfant”, rappresenta, secondo me, uno stratagemma narrativo per evitare che la sua opera venga letta con lo sguardo razionale e logico dell’adulto. Se non avesse fatto questa premessa sarebbe stato difficile immergersi subito nell’atmosfera fantastica del secondo capitolo!
Sembra che Saint-Exupéry ci voglia preparare a non aspettarci niente di estremamente razionale sin dall’inizio, per permetterci di accettare senza condizionamenti quello che verrà descritto. È importante, per lui, che il lettore si disarmi, prima ancora d’iniziare a leggere, delle sovrastrutture e della logica che indossa ogni giorno; è essenziale che, come il pilota nel deserto, anch’egli non trovi, ma scopra e riceva ciò che non ha cercato, per non perdere quella capacità di stupirsi e meravigliarsi che arricchisce ogni conquista inaspettata.
Dico subito: Saint-Exupéry
o è un autore che incontri da giovane
e nei sei conquistato,
o lo incontri nel corso della tua maturità,
e allora lo leggi col dovuto distacco critico.
Io l’ho incontrato troppo tardi,
non ne sono un lettore devoto […]
Ma la sua leggenda mi affascina.
(Umberto Eco)
Come al solito Eco non capisce un cazzo!
Il mondo soprannaturale metafisico di Alice
Tutto comincia coll’esaudirsi di un suo desiderio espresso al Gatto Oreste: “Se io avessi un mondo come piace a me, la’ tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe come e’, perche’ tutto sarebbe come non e’ , e viceversa; cio’ che e’ non sarebbe e cio’ che non e’ sarebbe: chiaro?” vale a dire: vorrei vivere in un mondo “negativo” in senso fotografico, in cui quello che e’ bianco, sarebbe nero e quello che e’ nero, sarebbe bianco ed i vari colori sarebbero i “complementari” di se stessi....per poter sperimentare “l’altro aspetto” della realta’, vale a dire l’Ombra.
Inizia cosi’ l’avventura della bambina.
Chiediamoci innanzi tutto chi puo’ essere nel nostro linguaggio interiorizzato la bambina “Alice”.
giovedì 4 marzo 2010
Bianchi rossi o neri
Come al solito si cerca di fare confusione e questo teologo mediatico cavalca l'equivoco addossando al paganesimo colpe che non può avere. Invece di prendersela con il corrotto strapotere vaticano gioca con i bussolotti. Il paganesimo è colmo di spiritualità, ha codificato l'anima, Plotino nelle Enneadi ci insegna le metodiche per arrivare allo spirito.
Zolla nei mistici dell'Occidente ci parla della mistica pagana come fondamento inalienabile. Altro che le radici cristiane dell'Occidente.
Le radici spirituali sono PAGANE!
CORRUZIONE: ENZO BIANCHI, STIAMO TORNANDO AL PAGANESIMO
'Questa e' una societa' mondana e pagana nella quale la spiritualita' ha ceduto il passo alla materialita'. Non si guarda alle cose di lassu', ma solo e soltanto a quelle terrene. Ecco il motivo per il quale assimilo la corruzione ad un nouvo paganesimo molto allarmante. E le inchieste dei giudici fanno in qualche modo da pannicello caldo'. Sono parole durissime quelle pronunicate dal priore di Bose Enzo Bianchi in un'intervista. 'L' essenza del cristianesimo - denuncia il monaco su Pontifex - si e' smarrita, succube di un modo di pensare, di una visione della vita pagana, che da alla ricchezza, al prestigio, al potere ogni ruolo i una silenziosa e progressiva apostasia' .
Iscriviti a:
Post (Atom)