Struttura architettonica ipetrale declinata in monoliti colossali, il cosiddetto Osireion fu scoperto all'inizio del
Novecento dall’egittologo Flinders Petries, accompagnato dalla studiosa Margaret Murray.
Circa vent'anni dopo il professor Henry Frankfort, docente presso l’Università di Londra, individuò alcune iscrizioni vergate su un frammento di terracotta che riportavano la frase “Seti è al servizio di Osiride”
Sulla base di quest'indizio la monumentale struttura venne attribuita e datata al periodo del faraone Seti I e alla stessa volontà del sovrano, che fece edificare il bellissimo tempio che si trova al livello della superficie. Tuttavia sia la tecnica costruttiva, sia l'estetica dell'Osireion differiscono notevolmente dal grande tempio che la ospita nelle sue viscere, nonché dal resto dell'architettura sacra e pubblica dell'Egitto coevo.
L'Osireion si trova nel sottosuolo a circa 15 metri di profondità. Si tratta di un grande ambiente rettangolare sotterraneo circondato da alte colonne monolitiche che veniva riempito d'acqua come una piscina. Al suo centro, un altare a forma di parallelepipedo affiorava dal pelo dell'acqua come un'isola che emerge dal mare.
L'ambiente era coperto e, al di là dell'ingresso, non vi si trovava nessun'altra apertura. Perciò, una volta chiuso il portone, vi regnava la più totale oscurità.
L'Osireion consiste in giganteschi blocchi di granito ed arenaria perfettamente lisci e levigati, alti mediamente 4 metri (i più alti arrivano a raggiungere perfino gli 8 metri), larghi circa 2,40 m per un peso medio di 100 tonnellate (i più pesanti superano le 200 tonnellate), tutti lavorati con una perizia tecnica che nell'antico Egitto trova un parallelo soltanto in un altro caso, nella piana di Giza.
A differenza degli altri santuari egizi, l'Osireion è quasi completamente privo di incisioni e geroglifici eccettuate alcune raffigurazioni di navi con le vele ammainate e altre che rappresentano il fiore della vita, uno di quei simboli universali che appartengono a tutta l'umanità.
Nella parte superiore del monumento non vi è traccia di malta né di cemento. I singoli monoliti risultano assemblati con l’aiuto di fango essiccato.
Nella parte inferiore essi si trovano incastrati gli uni con gli altri con un livello di perfezione tale da non permettere l'inserimento della lama di un rasoio.
Per fissare molte delle pietre i maestri architetti utilizzarono delle cambrette (cerniere) di metallo, metodo di assemblaggio comune a diverse strutture megalitiche in diverse parti del mondo, riconosciuto per la prima volta a seguito degli scavi condotti nella storica città greca di Delfi, sede dell'oracolo più famoso del mondo ellenico.
Fermo restando che l'Osireion sia praticamente un unicum nell'architettura egizia, e che forse le teorie intorno alla sua origine andrebbero riviste, qual era la sua funzione ?
La dedica ad Osiride da parte del faraone Seti I, sia che fosse stato lui l'ideatore della struttura, sia che ne fosse semplicemente un tardo fruitore, ne evidenzia la natura ctonia.
Osiride era il Dio dei Morti, l'Ade egizio, e nello stesso tempo la metafora emblematica del percorso iniziatico.
Non è quindi difficile intuire la pratica di riti iniziatici all'interno del monumento. La composizione degli elementi (luogo chiuso, oscurità, acqua, isola che emerge dall'acqua) sembra riprodurre nel microcosmo della dimensione umana la macrocosmica caverna o utero della grande Dea (Iside, Hathor, Nut...) nella quale la coscienza individuale, afflitta dall'ignoranza della verità iniziatica, si trova imprigionata e da cui ogni iniziato che si rispetti desidera uscire, "venendo alla luce", rinascendo ad una nuova vita spirituale, degna di un Dio.
Colma di acque celesti o liquido amniotico primordiale l'iniziando, in viaggio con la sua nave, metafora del corpo fisico, ne attraversa le onde perigliose. Sono le acque dell'esistenza inconsapevole, dominata dall'oscurità, attraverso le quali, servendosi quasi certamente di un'imbarcazione, egli giunge finalmente al Centro, all'omphalos, quell'isolotto rettangolare al centro dell'ambiente, proprio come in uno slancio spirituale si giunge al centro del cuore, della nostra intimità più libera e recondita, che emerge dal buio dell'ignoranza costituendo il primo nucleo manifesto di un nuovo e più elevato stato di coscienza.
Il simbolismo della nave, il "tabut" biblico (in siciliano "tabbutu") col doppio significato di imbarcazione e di tomba, l'arca è quello del contenitore materiale che racchiude la vera essenza spirituale di una creatura.
Da Noè a Romolo e Remo, da Mosè a Danae e Perseo fino, naturalmente, all'egizio Osiride il motivo della navigazione dell'arca nave-tomba riproduce l'antica storia dell'eroe rinchiuso in un contenitore natante che, in balia delle tempeste dell'esistenza inconsapevole, proprio come un embrione si trova incubato nell'utero di una donna. La storia si conclude con l'eroe stesso finalmente "salvato dalle acque", partorito ossia liberato dalla tenebra, rinato a nuova vita - quella dei beati.
E' l'antica storia della scintilla divina intrappolata nel corpo mortale, che dalle nebbie del tempo giunge fino a Pitagora, fino a Plotino, fino agli Gnostici... per arrivare ai nostri giorni narrata da bocca ad orecchio nelle catene iniziatiche.
Non meno comune il motivo della manifestazione di questa coscienza rinnovata, vivificata di Dio, rappresentato attraverso l'affioramento della terraferma su un oceano primordiale: se uno dei più noti miti cosmogonici egizi si basa essenzialmente su questo racconto, gli stessi elementi costitutivi li ritroviamo facilmente anche nel mito della nascita di Afrodite, che emerge dai flutti del mare proprio come un'isola, della sua corrispondente indiana Lakshmi, la cui origine viene narrata identicamente o della stessa Persefone, che emerge dagli abissi di un sottosuolo che si potrebbe indovinare acquoreo.
Solaris, capolavoro del regista sovietico Andreij Tarkovskij, riprende il medesimo paradigma in chiave cinematografica fantascientifica.
La Genesi biblica, con un'arcana divinità che "aleggiava sulle acque", dalle quali poi emerge la terraferma, narra esattamente la stessa storia. L'isola dunque, la terra nel gran mare dell'universo non è altro che la consapevolezza dell'iniziato raggiunta e manifestata.
L'"eroe" iniziando che, come evidenziano le stesse incisioni rinvenute sulle pareti dell'Osireion, solca le terribili acque dell'infinito vivente, raggiunto il centro del suo cuore può innalzarsi vittorioso e cantare solennemente: terra, terra !
Fotografia: Osireion, Abydos, Egitto, 1294-1279 a.C.?