“Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?”
Queste parole, di là da ogni riferimento religioso, ci sembra che inquadrino bene un certo mondo “tradizionalista”. Si cerca nelle forme del passato, ciò che in realtà è vivo, oggi. La Tradizione fluisce celata ai nostri occhi, ma non sarà un astratto intellettualismo, né una passione archeologica a rivelarcela.
È necessaria una iniziativa interiore, che ci permetta di spostare la coscienza dalla testa al cuore. Qui, di là dalla foresta delle emozioni, ha sede la mente profonda, quell’intelletto d’Amore di cui parla Dante. Nel centro cardiaco si realizza il collegamento tra terra e cielo, tra immanente e trascendente, ed è possibile realizzare il contatto vivente col sovramondo, con quella “influenza superiore” che un tempo poteva essere trasmessa dall’esterno. Quando la coscienza ritrova la sua sede nel cuore, dissolvendosi ogni dualità, si ha l’accesso ad una percezione sottile dell’Universo, senza la quale l’insegnamento degli antichi testi resta lettera morta e spesso confusa.
Un tempo l’uomo era naturalmente centrato nel cuore, era l’età dell’oro. Questa condizione originaria, però, doveva andare perduta, affinché potesse sorgere l’autocoscienza. È necessario, infatti, che il sole tramonti affinché le stelle possano apparire nel cielo. Allora la coscienza si spostò nella testa, nel regno del pensiero dialettico ed astratto. Ma è nel cuore che deve tornare per restaurare la perfezione perduta: in sé, ma non solo per sé.
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