Uno studioso ormai poco noto, l’orientalista Angelo De Gubernatis, scriveva così alla fine dell’Ottocento:
“Quando il latino Jupiter ride nel cielo, tutta la natura è un riso; quando Giove tona o starnuta a ottobre, si ritiene quel primo starnuto di Giove un buon augurio per la campagna; Jupiter viene celebrato come imbiricitor o pluvius, come frugifer e liber; ma s’annuncia specialmente col fulmine e col tono; onde si venera pure dai Latini un Giove fulminante ed un Giove tonante… il Giove primigenio latino rassomiglia assai più all’Indra pluvio, tonante, vedico, invocato come datore di ricchezza, come liberatore di vacche, come sprigionatore di acque benefiche, come benefattore della terra che al multiforme Zeus ellenico, ricco di tanti ornamenti epici, e mescolato a tante vicende eroiche, a cui il genio artistico de’ Greci attribuì nuove forme eleganti. Il Giove latino era un padre luminoso celeste che apriva col fulmine tonante la serie delle opere agresti, che con le piogge fecondava dal cielo la terra. Jupiter era un Dio Padre, ossia un Luminoso Padre, un Padre Cielo”
(“Roma e l’Oriente”, 1899)
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