Il celebre inno “A Satana” del premio Nobel Giosuè Carducci, poeta ed insigne massone bolognese , non ha alcun presupposto sulfureo o demoniaco. In realtà in questo componimento Carducci ha inteso “riabilitare” gli antichi dei pagani che il cristianesimo aveva nel tempo mistificato, assorbendone le caratteristiche più benevole nei propri santi, ed ammantando di diabolica superstizione ciò che rimaneva nella memoria di quell’antico mondo panteista; un mondo artatamente iscritto dalla Chiesa nella “sfera del male” tramite una costante opera di diffamazione e rimozione . Un’opera cominciata subito dopo l’editto dell’imperatore Costantino, nel terzo secolo, che fece della Chiesa Cattolica la religione di stato, un’operazione di occultamento culturale reiterata praticamente fino ai giorni nostri.
Tutti gli antichi dei furono trattati come demoni, da esorcizzare e debellare, per rimuoverli dalla memoria storica e spirituale della gente. Anzi l’identikit del diavolo, nell’immaginario popolare, fu creato proprio sulle fattezze del dio pagano Pan con piedi e corna caprine. Una divinità libertaria, eversiva, la più assolutoria per quanto riguardava il naturale esercizio dei sensi e dei piaceri più ormonali degli uomini e delle donne.
Una libertà intollerabile, addirittura blasfema, per la nuova religione cattolica, che non esitò ad assimilare Pan e la sua filosofia a Satana stesso, descrivendo quest’ultimo esattamente con i connotati dell’antica divinità dei boschi e delle campagne, tutto questo ratificato nero su bianco in una bolla emanata da papa Gregoria IX del 1233, contro i sabba.
Carducci inneggia quindi alla religiosità più naturale e più umana del passato, soffocata e denigrata da quella cattolica, e non rivolge certo occulte devozioni al Dio del Male. Solo la Mala-Fede potrebbe supporlo.
Il suo inno cita infine, e rende loro giustizia, alcuni “ribelli” cristiani che osarono opporsi all’opprimente e spesso violenta teocrazia cattolica, e pagarono il loro coraggio e la loro coerenza con la vita. Si tratta per lo più di monaci riformatori come Arnaldo da Brescia impiccato e bruciato nel 1155; come l´eretico G.Wycliffe ucciso nel 1384 precursore della riforma luterana; come il boemo G.Hus, anch’egli precursore della riforma, catturato e arso vivo a Costanza nel 1415 ; o come il frate domenicano Savonarola anche lui bruciato sul rogo a Firenze nel 1498.
A queste figure Carducci accosta nei suoi versi anche Lutero, l’uomo della riforma protestante in Germania.
Nelle rime finali dell’inno carducciano, spunta una nuova “divinità”… il Carro del Foco, la locomotiva… esaltata come simbolo del progresso umano. Moderna versione del “fuoco” evolutivo di un altro antico eroe pagano, Prometeo.
L’Inno a Satana per quanto famoso, non è però mai stato considerato da Carducci una delle sue opere migliori. Egli stesso ammise infatti che il suo innato anticlericalismo e la foga dell’ispirazione l’avevano forse portato un po’ fuori misura, facendo scaturire dai suoi versi “invece del grido dell’aquila, il verso del barbagianni”.
Ma se non è la lirica più amata dal suo stesso autore, l’Inno A Satana resta forse quella che ne rivela con più sincerità l’indole e l’essenza, avversa ad ogni ipocrisia della fede e dei dogmi. Un inno, insomma, alla libertà dei corpi e delle menti…..
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