domenica 11 febbraio 2018

Le radici arcaiche del carnevale fra rito, liturgia e religiosità delle origini umane

CARNEVALE, dall'accadico "qarnu(m)", «potenza, potere» degli umani + "(w)âru(m)", «andare contro, scontrarsi con», col significato complessivo di «andare contro il Potere».
In sardo abbiamo:
CARRASEGÀRE/CARRASECÀRE, sempre dall'accadico "qarnu(m)", «potenza, potere» degli umani + "seḫu", «rivoltarsi, distruggere, dissacrare», col significato complessivo di «dissacrare il Potere, i potenti».
C'è qualcosa che le nostre origini, da tempo, cercano di comunicarci, ma nessuno pare sappia coglierne il significato.
(Di Antonio Pitzalis)
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Carnevale: stelle filanti, mascherine, carri allegorici e divertimento spensierato??
Non in Sardegna!
Su Carrasegare (in sardo "carne viva da smembrare") rende bene l’idea di base del carnevale isolano, popolato di streghe e pazzi, figure spaventose, uomini vestiti da donne, cavalieri senza paura.
Qui il Carnevale, Su Carresecare, è qualcosa di antico, radicato in tradizioni ancestrali
Un rito suggestivo, diverso da zona a zona, ricco di rimandi al mito e alla tradizione del culto di Dionisio.
Eccone alcuni esempi:
Foto 1) LULA,
qui c’è '' Su Battileddu'', lo scemo del villaggio che si trascina per le vie del paese : viso sporco di sangue e annerito dalla fuliggine e il corpo ricoperto di pelli di pecora e montone.
Sul capo porta due corna fra le quali viene fissato uno stomaco di capra, mentre sulla pancia, sotto i campanacci, uno stomaco di bue riempito di sangue, che viene bucato di tanto in tanto. Su Battileddu è la vittima sacrificale del carnevale. Intorno a lui si muovono maschere dal volto nero che lo aggrediscono più volte fino a ucciderlo. Su Battileddu viene quindi fatto sfilare su un carro, ma alla fine risorgerà, caratteristica che, come la maggior parte delle maschere sarde, trae origine dai riti dionisiaci.
Foto 2) OVODDA
La festa, che si tiene su Me’uris de lessia (Mercoledì delle Ceneri), dura solo mezza giornata e non è organizzata: tutti sono attori e spettatori. Le maschere, in groppa ad asini o tenendo al guinzaglio animali di ogni specie, ballano e cantano dileggiando Don Conte, il fantoccio su un carretto trainato da un asino, accompagnandolo verso la sua tragica fine. La festa giunge al culmine quando, al calar del sole, Don Conte è bruciato.
A volte subisce un processo, ma è inevitabilmente condannato come il capro espiatorio dei mali della comunità. Il fantoccio in fiamme è condotto al ponte più alto del paese e gettato giù, fra urla di disperazione e canti osceni.
Fino agli anni ’70 del secolo scorso le donne erano escluse dai bagordi. Ma svolgendosi in giorno proibito dalla chiesa, è tuttora un carnevale dissacratorio nei confronti del potere politico e religioso.
Foto 3) BOSA
Qui il carnevale torna a essere una tragedia. Il culmine è martedì grasso con il lamento funebre di S’Attittidu.
Le maschere indossano il costume tradizionale per il lutto: gonna lunga, corsetto e ampio scialle nero; ogni maschera porta in braccio una bambola di stracci e gira per il paese emettendo, con voce in falsetto, un continuo lamento funebre, S’Attittidu appunto.
Foto 4) SAMUGHEO
Anche questo rito conserva elementi che conducono alle celebrazioni dionisiache.
Dioniso è rappresentato da s’Urtzu, che ne inscena la passione e la morte. Sos Mamutzones, che circondano s’Utzu (Dioniso) danzandogli intorno, sarebbero i folli e invasati seguaci del dio che cercano l’estasi per divenire simili a lui.
Testimonianza del fatto che s’Urtzu aveva un tempo un carattere sacro si può rintracciare nel fatto che i bambini del paese erano soliti inseguirlo urlando:“S’Ocrumannupiludu notimet a nisciùnu, solu su Deus Mannu,s’Ocrumannucorrudu” (Il grande occhio peloso non teme nessuno, solo il grande Dio il grande occhio cornuto).
In alcuni gòcius (canti sacri tradizionali), s’Urtzu era chiamato “Santu Minchilleu”, nome che indica la sua sacralità ma soprattutto la sua inguaribile stupidità.


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