martedì 12 ottobre 2010

Le vicissitudini della religione mongola







Si dice che l'immensità del paesaggio della Mongolia, fra i più
spogli al mondo, possa creare sgomento a chi non vi sia nato. La
steppa è per questo il regno dei Mongoli.

Le popolazioni mongole sono moltissime, diffuse, nel corso dei
millenni, nell'Eurasia. Si pensi alle varie tribù dei Turchi, loro
cugini stretti, o ad alcune tribù in Siberia, Cina e India. Si tende
però ad identificare i Mongoli con un'unica tribù, quella dei
Khalkha, celebre per le gesta di Gengis Khan.

Fin dai tempi antichissimi i Khalkha erano pastori erranti nella
taiga e nei deserti subsiberiani, dediti all'allevamento di
bestiame,
adoravano Tengri, un dio uranico; tutti gli altri dei venivano
consultati e controllati dagli sciamani. La religione professata dai
mongoli prevedeva riti e forme di culto curiosi e superstiziosi: il
sacro rispetto per l'acqua era tale da vietarne praticamente
l'uso,
salvo soddisfare la sete. L'unico mezzo consentito ed usato per
fare
il bagno, era quello di raccogliere l'acqua con la bocca e quindi
spruzzarsela addosso.

Nella casa di ogni principe, un focolare sacro era custodito in
continuazione da un apposito funzionario, in segno di rispetto al
fuoco, era proibito vibrare colpi di scure vicino alla fiamma,
spingervi dentro il combustibile con i piedi, mescolare la cenere con
l'immondizia.



Gengis Khan, per assumere il pieno potere, si appoggiò al culto del
dio Tengri che era fuori dalla portata degli sciamani e principio
imperiale. I Mongoli più tardi abbracciarono il Buddhismo lamaista,
il profondo rispetto che i mongoli nutrono da sempre per il buddhismo
tibetano è testimoniato dai solidi e antichi rapporti che legano la
Mongolia al Tibet.

Erano abili cavalieri, spietati guerrieri e quasi invulnerabili,
furono creduti dai cristiani diavoli usciti dal Tartaro e per questo
chiamati “Tartari”.

I Mongoli sono rimasti nomadi, i loro usi e costumi non sono cambiati
molto. Il Buddhismo che in Tibet ha contribuito ad una pacificazione
di intenzioni e di cultura sorprendenti non ha affatto addolcito i
loro costumi. La maggior parte dei Khalkha è tuttora nomade e vive
nelle tende, ger, disprezzando gli abitanti della città.

I ger sono organizzati con uno schema interno universale:
l'ingresso
si affaccia sempre verso sud; sul fondo, leggermente verso ovest, si
trova il posto d'onore riservato agli ospiti; ugualmente in fondo
c'è
il khoimor, il posto degli anziani e delle proprietà più apprezzate,
l'altare di famiglia con immagini buddhiste, foto dei congiunti e
borse da viaggio.

Le danze tsam, eseguite per esorcizzare gli spiriti maligni, si
basano sul nomadismo e sullo sciamanesimo. Messe al bando durante gli
anni del regime comunista, oggi le danze stanno tornando a nuova
vita. Il canto mongolo chiamato khoomi, viene eseguito da voci
maschili sapientemente impostate in modo da produrre corposi suoni
armonici di gola e più note in una stessa emissione. La musica e la
danza mongole implicano sempre un certo grado di contorsionismo.



Dopo la caduta del comunismo, con la riapertura dei monasteri
buddhisti, la Mongolia è tornata alla propria dimensione mistica e
primitiva dei riti sciamanici.

Oggi i mongoli riescono a conciliare con disinvoltura il culto
buddhista con quello sciamanico: quasi la totalità della popolazione
crede in Buddha e negli sciamani. Il territorio mongolo è punteggiato
dagli ovoo, altari di pietra e rami che segnano, secondo antiche
mappe esoteriche, la presenza degli spiriti.

Ogni persona che incontra un ovoo gira tre volte intorno in senso
orario e getta un’offerta, che vale sia in funzione buddhista che
sciamanica. Pare che l'integrazione sia un problema dei senza
spirito, la coesistenza premia sempre donando spessore e grazia ai
popoli che la sperimentano.


http://www.abakab.com/rubrica_scoperta/popolietnie/mongoli.html

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