giovedì 25 febbraio 2010

Le maledizioni



Come le maledizioni dei rabbini provocano la morte dei loro nemici
di Francesco Lamendola - 21/02/2010



Forse non sono in molti a sapere, o a ricordare, che il primo ministro israeliano Ytzhak Rabin, prima di cadere assassinato da un estremista di destra nel 1995, era stato il destinatario di una “pulsa danura” (in aramaico: “frusta di fuoco”), decisa da una corte di rabbini ultraortodossi: vale a dire di una solenne maledizione, scagliata secondo i procedimenti della magia nera e derivante da una nozione presente nella Kabbalah, quella della parola dotata di potere autonomo e infallibile; in questo caso, il potere di uccidere.
Infatti, si ritiene che chiunque venga colpito dalla “pulsa danura” debba morire entro un anno, oppure subire danni gravissimi alla salute, tali da metterlo totalmente e irreversibilmente fuori combattimento. Essa, infatti, non è una maledizione puramente umana: secondo coloro che la utilizzano, le forze che vengono evocate sono gli angeli della distruzione, e il loro scopo è abbattersi su colui che è stato giudicato empio, scatenando su di lui tutte le maledizioni presenti nell’Antico Testamento, e specialmente nel Libro dei Salmi.
Nel caso di Rabin, la sua “colpa” era stata, agli occhi dei rabbini ultraortodossi, quella di aver firmato, sotto gli auspici del presidente Clinton e della diplomazia statunitense, gli storici accordi di Oslo del 20 agosto 1993, con i quali Israele riconosceva, in linea di principio, il diritto dei Palestinesi all’autogoverno nei territori occupati durante la guerra dei Sei Giorni del 1967; accordi in seguito ai quali lui e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, avevano ricevuto il Premio Nobel per la Pace.
E forse non sono in molti a sapere, o a ricordare (e la memoria corta sovente non è il frutto della distrazione, ma di un piano minuziosamente predisposto da parte di chi è in grado di esercitare un controllo, diretto o indiretto, sull’informazione televisiva o a mezzo stampa) che il primo ministro israeliano Ariel Sharon, prima di essere colpito da un ictus nel dicembre 2005, e poi, irreversibilmente, da una emorragia cerebrale nel gennaio 2006, era stato a sua volta oggetto di una “pulsa danura” da parte dei rabbini ultraortodossi.
In questo caso, ciò che non gli perdonarono era stato il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza, nell’estate del 2005, e la decisione di rimpatriare, con le buone o con le cattive, gli ottomila coloni israeliani che si erano stabiliti in venticinque villaggi di quel territorio, nel corso dei precedenti trentotto anni; coloni i quali, nati in quel luogo o essendovisi stabiliti da lungo tempo, lo consideravano ormai definitivamente acquisito allo Stato ebraico.
La “pulsa danura” è la forma estrema dell’esclusivismo, dell’intolleranza e del fanatismo zelota del giudaismo; e, se è vero che in tutte le religioni si può trovare una tendenza estremista e potenzialmente violenta nei confronti dei “non credenti”, è altrettanto vero che nel giudaismo, proprio in ragione della rigidezza del suo monoteismo, associata all’orgoglio di considerarsi oggetto di una elezione divina, a preferenza (e a discapito) di tutti gli altri, tali tratti sono più accentuati e, almeno tendenzialmente, più distruttivi.
La storia dei difficili rapporti che hanno caratterizzato, durante la Diaspora, la convivenza tra gli Ebrei e le società nelle quali si erano stabiliti, ha fatto il resto, accrescendo da entrambe le parti la diffidenza, il sospetto e il disprezzo.
Tuttavia, a voler essere spassionati, non si può negare che già nella storia dell’antico Israele esiste una tendenza violentemente razzista e zelatrice, che contraddistingue, ad esempio, la conquista della Palestina e lo sterminio dei Cananei: uomini, donne, bambini, neonati e animali, fino all’ultimo individuo, come ribadisce più volte il Libro di Giosuè.
Tale tendenza era ben nota ai Greci e ai Romani e ve ne sono tracce anche nel Libro dell’Apocalisse, che - come lo definì l’insigne storico Theodor Mommsen - è essenzialmente un documento dell’odio giudaico contro Roma, che trasuda da ogni verso e da ogni riga il compiacimento per l’attesa distruzione della Grande Babilonia e per la salvezza e la gloria che, invece, saranno riservate ai soli figli di Gerusalemme.
Dicevamo della Kabbalah e del Libro dei Salmi.
Per quanto riguarda la Kabbalah, sarà appena il caso di ricordare come la fisica dei quanti abbia confermato certe intuizioni del sapere esoterico, ad esempio il fatto che esiste una stretta correlazione fra il livello energetico delle particelle sub-atomiche e lo stato di benessere o di malessere di un individuo, perché la materia non è che una forma di energia, o meglio: i quanti sono pacchetti di materia/energia o di energia/materia.
I Salmi denominati “imprecatorî” sono particolarmente dieci: 7, 35, 55, 58, 59, 69, 79, 109, 137, 139; ma in quasi tutti non si fa certo fatica a scorgere un fondo di odio implacabile contro gli “empi”, vale a dire i nemici della giustizia e quindi di Jahwé.
Anche se i teologi cristiani, da sempre, si arrampicano sugli specchi per minimizzare questo aspetto, insistendo su altri aspetti quali la misericordia e l’amore divini, resta il fatto che la misericordia e l’amore sono rivolti sempre al giusto o, quanto meno, al peccatore che si pente; mentre contro chi non si ravvede sono scagliate le più atroci maledizioni (con buona pace del motto cristiano: «condanna il peccato, ma non la persona del peccatore»).
Nel Salmo 7, ad esempio, l’autore si scaglia con ira implacabile contro gli empi, invocando da Dio la massima durezza verso costoro (traduzione da «La Bibbia di Gerusalemme», 7, 11-14):

«Sorgi, o Signore, nel tuo sdegno,
levati contro il furore dei nemici,
alzati per il giudizio che hai stabilito. […]
La mia difesa è nel Signore,
egli salva i retti di cuore.
Dio è giudice giusto,,
ogni giorno si accende il suo sdegno..
Non torna forse ad affilare la spada,
a tendere e puntare il suo arco?
Si prepara strumenti di morte,
arroventa le sue frecce.»

A ciò si aggiunga che esistevano ed esistono dei libri segreti, simili a grimori, gelosamente tramandati all’interno di cerchie ristrette, illustranti le tecniche specifiche per utilizzare i Salmi come delle vere e proprie fatture di morte da scagliare contro qualcuno.
Né bisogna pensare che questo atteggiamento rancoroso, implacabile, spietato, nei confronti degli «empi», identificati “tout-court” con i propri nemici (sottintendendo la perfetta giustizia di colui che prega, ovvero che maledice), faccia capolino solo in quei versi dei Salmi in cui lo zelo per Jahwé prende il sopravvento su ogni sentimento di umana compassione.
Al contrario, esso è una costante di tutto l’Antico Testamento; e, se è vero che nell’Antico Testamento non vi è solo questo, ma vi sono anche pagine bellissime, piene di delicatezza e di misericordia, ve ne sono però innumerevoli altre che rivelano una chiusura tetragona verso tutto ciò che è considerato empio, nonché una volontà di distruggere materialmente e moralmente non solo le opere del malvagio, ma la persona stessa di colui che è giudicato tale.
Fra i tanti, possiamo ricordare l’episodio in cui il profeta Elia, dopo aver vinto la prova celeste davanti ai quattrocentocinquanta sacerdoti di Baal sul Monte Carmelo, si fa condurre costoro e li scanna di sua mano, dal primo all’ultimo, sulle rive del torrente Cison (1 Re, 40).
Tagliare la gola a quattrocentocinquanta uomini, da solo, guardandoli negli occhi prima di dar loro la morte, non è cosa da poco, nemmeno per gli standard dell’antichità; in confronto, i carnefici nazisti delle Fosse Ardeatine, che “lavoravano” con le armi automatiche, agivano in gruppo dietro ordini superiori e si facevano coraggio con generose bevute di alcolici, appaiono meno che dei timidi e inesperti dilettanti.
Questi profeti dell’antico Israele non conoscevano la pietà, ma solo la legge del taglione, e l’applicavano con la massima durezza; salvo, poi, levare a Jahwé altissimi lamenti e atroci invocazioni di vendetta, allorché, nelle continue contese con i popoli vicini e con i loro culti religiosi, si trovavano ad avere la peggio.
La conclusione di tutto ciò ci riconduce, inevitabilmente, all’importanza della consapevolezza spirituale e alla stretta relazione esistente fra la nostra chiarificazione interiore ed il nostro stato di benessere e di salute generale, sia fisica che psichica.
Come un elettrone che “salta” su un livello energetico superiore, anche noi possiamo decidere di compiere il “salto” ad un livello di consapevolezza superiore, il che farà vibrare automaticamente con maggiore frequenza il nostro campo energetico. L’amore produce alte frequenze, l’odio produce basse frequenze.
Nell’epoca in cui stiamo vivendo, particolarmente ricca di forti chiaroscuri, poderose forze energetiche si stanno risvegliando, sia di segno positivo che di segno negativo. Aumentano le pressioni di coloro che hanno scelto la Via della Mano Sinistra e si sono votati alla causa del Male; ma aumentano anche, simultaneamente, le influenze positive di quanti hanno imboccato la Via della Mano Destra e si prodigano per diffondere nel mondo la consapevolezza ed il suo inseparabile compagno, l’amore.
L’odio, la vendicatività e la volontà deliberata di nuocere che animano i rabbini maledicenti sono solo una delle numerose espressioni delle forze malefiche che sembrano scatenate alla conquista del mondo e che si servono di cento e cento strumenti, controllano e manipolano l’informazione e la cultura, si associano in perverse società segrete e praticano le forme più abominevoli di magia nera, allo scopo preciso di preparare l’avvento di una società mondiale dominata dalla menzogna, dal ricatto e dalla paura; una società in cui vengano incoraggiati e scatenati i peggiori istinti dell’egoismo, della sopraffazione, del sadismo e in cui la bontà, l’amore, la capacità di perdonare siano ridicolizzate, bandite e cancellate.
Al tempo stesso, però, si stanno risvegliando possenti flussi di energia positiva, sostenuti e incoraggiati dai Maestri spirituali i quali, mescolati in mezzo a noi e indossanti i panni delle persone comuni, pregano intensamente e insegnano tutto ciò che può aiutare gli esseri umani a innalzarsi verso le regioni superiori della Mente, ove l’anima si purifica e diventa assetata e desiderosa solamente di verità, di bontà e di bellezza.
Dobbiamo renderci conto che non siamo isolati e abbandonati a noi stessi; che ciascuno di noi può farsi tramite di poderose forse benefiche, che non dipendono da noi, ma che noi possiamo accogliere, assecondare, coltivare sia con la meditazione, sia con la preghiera, sia con uno stile di vita sobrio, essenziale, rivolto alla pienezza e alla beatitudine dell’Essere.
Potenti sono le forze malvagie, ma ancora più potenti sono quelle benevole; anzi, la lotta non si svolge su un piano di parità, come immaginavano gli antichi Manichei, ma le secondo sono infinitamente più forti e destinate a uscire sicuramente vittoriose.
Quel che resta da vedere è da che parte noi vogliamo schierarci.
L’attrattiva e la seduzione delle forze del male deriva dalla facilità apparente con cui esse sono in grado di ricompensare quanti accettano di mettersi al loro servizio, nonché dalla rapidità con cui sembra a costoro di raggiungere, grazie ad esse, i traguardi agognati del potere, del denaro, del piacere sessuale.
I doni inestimabili che le forze del bene elargiscono ai propri seguaci sono meno spettacolari, almeno esteriormente, e, in genere, meno rapidi: perché, quando ci si lascia pervadere dalla luce dell’Essere, è tutta l’anima che vive una radicale esperienza di trasformazione e rigenerazione, al termine della quale non sarà più la stessa, per divenire a sua volta una scintilla di luce ineffabile.

Fonte: Arianna Editrice - http://www.ariannaeditrice.it/artico...articolo=30755

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