« Nessuna guerra romana si iniziava senza sacrifici, e un collegio speciale di sacerdoti - i fetiales - era incaricato dei riti relativi alla guerra, che solo allora veniva considerata come "guerra giusta" : iustum bellum. Come lo ebbe già a rilevare il de Coulanges, il fonde dell'arte militare dei Romani, in origine, consistette nel non essere costretti a combattere quando gli Dei fossero stati contrari, cioè quando non si avvertiva, per segni "fatali", la concordanza delle forze umane con forze dell'alto. Per tal via, anche il centro della vicenda guerriera cadeva su di un piano non semplicemente umano - e come non semplicemente umano veniva considerato sia il sacrificio che l'eroismo del combattente. [...] D'altronde, nell'antica Roma, "devotio" non significava "devozione", nel senso moderno di pratica minuziosa e timorata di un culto religioso. Era invece un'azione rituale guerriera, nella quale si faceva il sacrificio rituale di se stessi, si dedicava coscientemente la propria vita a delle potenze "infere", lo scatenamento delle quali, motivo di irresistibilità da un lato, e dall'altro di panico nel nemico, doveva contribuire a produrre la vittoria. Fu un rito statuito formalmente dallo Stato romano come un'arma sovrannaturale in casi disperati, quando si pensava che il nemico difficilmente avrebbe potuto essere vinto con le forze normali. »
Tratto da 'La concezione romana della Vittoria' di Julius Evola
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