Doveroso è che io ricordi a questo proposito il fatto che la disposizione ad occidente del regno dei morti si può riscontrare con molti popoli antichi, indoeuropei e non (come le tribù degli indiani d’America), ed oltre ai defunti rivolti con la faccia da occidente anche i sacrari degli eroi erano consacrati ad occidente e nel’templum etrusco pure la disposizione degli Dèi della Morte, ma potrei continuare all’infinito con altri numerosi esempi. Occidensinfatti in latino deriva dal verbo “occidere” -“morire”, ed è appunto il “luogo” in cui il sole tramonta e pertanto “muore”. Ade stesso nel significato di Dio degli Inferi è “colui che chiude saldamente le porte dell’inferno” ( Odissea XI, 277), è il Dio a cui gli Argivi scavano nella fossa un nero montone per richiamare Dioniso nel mondo supero (Plutarco, Is, 35.) Il nome Acheronte invece si suppone fosse di origine fenicia e valeva come “occidentale”(Lewy, Sem.Fremdw.229) ed i greci l’interpretarono come “ Fiume del Pianto”, poi nella tradizione poetica posteriore troviamo altri fiumi infernali come nell’Eneide l’Eridano ( il fiume Po’, ritenuto in tal modo sacro anche dalle popolazioni italiche), l’Alibas o il Lete che risale ad antichissime trazioni riguardanti il mondo infero, ignorate dalla letteratura antica ma riscoperte in quella successiva per influenza delle dottrine orfiche e pitagoriche, che insegnando la migrazione delle anime dovevano spiegare anche il perché l’anima dimenticasse completamente le vite precedenti ( Brelich, Le Iniziazioni) . Ed a proposito di dimenticanza, ricordo che l’Ade era per antonomasia il “Regno dell’Oblio”, infatti le Anime si potevano abbeverare presso due fonti: la Memoria o la Dimenticanza. Esse si trovavano anche nel famoso Antro di Trofonio Τροϕώνιος, di cui Pausania(Descrizione della Grecia, IX 37,39.) ci dona una descrizione. Trofonio era venerato in una profonda grotta di Lebadea nella Beozia ed era considerato come un’infallibile divinità oracolare, presso l’antro, in mezzo a un bosco sacro, si trovava il tempio di Zeus Trofonio per il quale Prassitele aveva eseguito la statua del culto. Il Devoto che si recava nell’antro era condotto dai ministri, e dopo un periodo di ritiro e digiuno il consultante era ammesso a compiere sacrifici a Trofonio, successivamente veniva portato a bere a due sorgenti, la prima di Lethe, per dimenticare la vita umana, la seconda di Mnemosyne, per conservare in memoria ciò che apprenderà nell’altro mondo. A questo punto penetra nella “bocca oracolare” introducendovi prima i piedi e poi le ginocchia; il resto del corpo è “tirato a forza”. Dopo qualche tempo in stato di semi-incoscienza il devoto veniva tratto fuori dai preposti all’oracolo e fatto sedere sul trono della Memoria. Infine esce dallo stato comatoso, riprende la facoltà di ridere e può uscire con il suo responso. Evidente è il carattere di rito di iniziazione: una sorta di “clausura” iniziale, l’entrare in un mondo estraneo (il mondo del sonno ha nella cultura greca forti legami con la morte e l’acqua di Lethe è quella che bevono le anime dei morti) e poi far ritorno dalla “Pianura dell’Oblio” alla quotidianità, “rinati“. (M. Detienne, Maestri di verità della Grecia arcaica, Laterza, Roma-Bari, 2008 – E. Rohde, Psiche, Laterza, Roma-Bari, pp. 115-120) I poeti rappresentano le Anime nell’Ade come intente a compiere le stesse gestualità che compivano in vita, sia nell’Odissea che nell’Eneide e come dimenticare Orazio (Carm, II, 13, 24-28) che ci racconta di Saffo ed Alceo che continuavano a cantare nell’Ade, l’una degli amori con le fanciulle di Lesbo e l’altro delle traversie della navigazione, della guerra e delle fughe! Gli antichi vogliono dirci che le passioni della vita seguono gli uomini anche nella morte <> (Virgilio, Eneide, VI, 653-5), ed anche presso Platone (Repubblica, X, 619)si ritrova la credenza popolare in cui le Anime scelgono di compiere nell’aldilà le medesime
occupazioni che loro furono care nella vita. Tuttavia, i morti non rimangono sempre assorti nelle loro occupazioni infernali! Spesso salgono sulla terra ed intervengono nelle faccende dei viventi, vaticinano notizie tristi e liete, distolgono da un’opera o danno consigli, aiutano i vivi in qualche faccenda ma più spesso gli spaventano e turbano oppure li minacciano come ci racconta Lucano nel terzo libro delle Pharsalia, chiedono vendetta o reclamano, giustamente, una degna sepoltura. Stazio ci racconta persino che di notte si impegnano fra loro in paurose zuffe! Per non pensare alle arti magiche, ed alle azioni delle streghe e dei negromanti che richiamano dagli inferi spiriti dei defunti per utilizzarli nelle loro azioni ( di quest’argomento parlerò in un articolo successivo). In tutti i santuari posti presso i numerosi accessi infernali si evocavano le Ombre per placarle con offerte specifiche (ricordate nel mio precedente articolo sugli Dèi Mani). La vita dell’oltretomba era una continuazione ideale della vita terrena pertanto la sorte riservata alle anime dei defunti non dipendeva dalle azioni “buone o cattive” perpetuate nelle vita terrena, bensì dall’ira o dal favore degli Dèi. Caronte, il vecchio traghettatore delle anime, connesso conCharopòs “dagli occhi luminosi” come ricordato da Virgilio nel VI libro dell’Eneide “ con gli occhi di brace”, aveva caratteristiche comiche ed oscure, molto grato al popolo come si nota nei dialoghi di Luciano, assieme all’obolo che si poneva in bocca al morto come prezzo del tragitto. Eppure la leggenda si sviluppò tardivamente nella parte in cui anche le anime dei morti che di notte si aggiravano nella terra dei vivi venissero traghettate dal fosco nocchiero. Sarebbe fuori luogo addentrarsi nell’origine di questa mitica figura , eppure Diodoro Siculo lo faceva provenire dall’Egitto, moderni studiosi propongono che esso si fosse infuso da Nord nelle popolazioni italico-pelasgiche , altri lo identificano con“Mantus” degli etruschi che era indicato anche con il nome di “Charus o Charùn” , con tratti a volte regolari ed altre volte “diabolici”. Curioso è ricordare come la prima menzione di questa figura si trova nella “Miniade”, un poema poco conosciuto del VI sec.a.C. L’Orcuslatino fu una figura molto popolare che in poco tempo prese i tratti del Caronte etrusco ma per influenza greca perse i caratteri primigeni della sua figura mitica che venne identificata di volta in volta con la Morte stessa. Ennio negli Annales lo chiama Mortis Thesauri come nell’epigramma di Nevio è detto Orci Thesaurus. Orcus è il “Dio dei luoghi inferi”e compare come divinità stessa della morte in Plauto, Lucrezio ed Orazio che lo presenta come un “dio che miete le sue vittime in alto ed in basso e non si lascia vincere da loro” (Epistole, II, 2, 178) . Primitivo e genuino significato di Orcus quale divinità della morte rivive nelle frasi “mittere/ demittere Orco” ( Orazio, Carmen, III, 4) (Virgilio, Eneide. II, 389) (Livio IX,40). Apuleio nel VI libro delle Metamorfosi ci descrive la sua reggia, chiamata anch’essa Orcus. Agostino nel Civitate Dei VII, 3,1 accenna Orco assieme a Marte, uno come “receptor mortium” e l’altro come “ effector mortium”. Per effetto della mitologia greca, si parlò anche in quella romana delle nozze di Orco con Cerere, del ratto di Proserpina etc. Dedicato ad Orcus sorgeva a Roma un tempio nel luogo dove in seguito Eliogabalo costruì un tempio dedicato al suo dio (fatto a mio avviso personale abbastanza divertente). Egli è rapitore di uomini << Sic erimus cuncti postquam nos auferet Orcus>> dice il Trimalcione di Petronio guardando uno scheletro d’argento e rapisce ciò che vuole quando vuole perché di << Fortis tanquam Orcus>> forte tanto quanto Orco, non c’è nessun altro! Egli è pallidus, formidabilis, vola attorno al mondo con ali nere, è enorme ed ha lunga barba e lunghi capelli. Il Tartaro aveva anche i suoi guardiani, rappresentati nei monumenti , da Briareo guardiano delle porte bronzee ed i suoi fratelli dalle cento braccia Gyes e Kottos, al giovane indicato come“ianitor” in una pittura parietale di Ostia, accanto a Cerbero che è il guardiano per eccellenza, lo “Ianitor Orci” della tradizione poetica dell’Eneide. Cerbero è sia cane a tre teste che serpente, figure proprie del guardiano-custode, l’uno per la sua indole e l’altro per l’attaccamento alla Terra nascondendosi nei suoi recessi segreti, entrambi simboli del regno dei morti e tormentatori dei defunti. I serpenti sono anche nelle mani delle Erinni . Degno di curiosità è il poemetto pseudo-vergiliano “ Culex ” in cui si dice che Persefone col suo corteo di eroine armate di torce, respinge l’anima della zanzara che non ha avuto degna sepoltura e non può essere
ammessa agli inferi. Persefone spesso viene rappresentata come colei che tiene incatenato Cerbero e tiene lontane le anime profane tramite torce infiammate. Menzione dovuta è anche alla figura della dea Ecate, somma psicopompa e dea che presiede alle entrate degli inferi (di cui tratterò in maniera approfondita in un altro articolo ). Interessante è scoprire assieme quali piante, secondo gli antichi, avessero misteriosi rapporti con il mondo dei morti e che le maghe e streghe sapessero sapientemente utilizzare per le loro malie. Sin dall’età omerica, l’asfodelo era considerato pianta infernale e veniva piantato nelle tombe, mentre alberi funerei furono e son tutt’oggi considerati il pioppo nero, il pioppo bianco ed il salice, poiché questi alberi gettano la loro ombra nei boschetti di Persefone, sorgono alle entrate verso gli inferi, sorgono nei luoghi delle sepolture e della memoria dei morti, mentre vennero piantati a Roma nel Campo Marzio dove arse il rogo di Augusto. Il cipresso ovviamente era ed è da sempre caratterizzato da un’aura funebre, già da Plinio ( Hist.Nat. XVI, 139) viene descritto il carattere ostile dell’albero, dalla sua difficile coltivazione, il lento sviluppo, la natura infeconda, la fioritura selvatica e soprattutto l’ombra esile e spettrale. Nella tradizione Orfica viene anche menzionato un misterioso “cipresso bianco” che in natura non esiste e sarebbe il mitico Cipresso dell’Ade. L’olivo selvatico veniva piantato nei cimiteri ed i suoi rami servivano ad aspergere l’acqua ai presenti nelle cerimonie funebri. Per i romani il pino divenne simbolo della Morte stessa poiché il rogo veniva circondato dai suoi rami ( Plinio, Hist.Nat. XVI, 40) mentre Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 432)e Lucano ci ricordano che il ramo di pino si poneva innanzi alla porta del defunto. Nelle foglie del tasso e del giacinto si credeva di poter leggere il lamentevole grido dei superstiti. Il melograno invece è il vero e proprio “frutto dell’Ade”, il frutto che Plutone diede da mangiare a Persefone poiché i chicchi ingeriti gli avrebbero assicurato un ritorno certo della fanciulla nell’Ade. Il mirto invece era dedicato a Venere, albero indicante gioia di vivere ma anche con cui si incoronavano le tempie dei partecipanti ai sacrifici funebri e che si offriva ai morti. Esso faceva parte dei “Sacri Misteri” di Venere- Afrodite e la corona di mirto indicava la partecipazione a cerimonie mistiche riguardanti la parte più oscura ed infera di Venere-Melania, Venere “oscura”(L.Varoli, Prima di Eva). Sovrani del mondo Infero sono Plutone e Persefone, cui culto prese grande diffusione dal VII secolo in poi (in terra Greca) specialmente per influenza dei Misteri Orfici ed Eleusini e prese il sopravvento sul suo infernale sposo tanto più che il culto dei Misteri aveva sostituito ad Ade, Dioniso ed a Persefone venne dato il potere di mettere un termine al ciclo delle terrene esistenze purificando l’anima dalla sua “colpa”(frammento orfico 226). Interessante è notare che nelle tavolette orfiche i nomi di Ade e Persefone non venissero neppure nominati perché di cattivo augurio. Persefone- Proserpina è la Signora del Mondo Infero e della Morte, è divinità funesta ai mortali ma a pari merito è anche benefica perché fa prosperare ogni rigoglio della Terra. Tutte le divinità ctonie hanno un duplice aspetto ( fatto spesso troppo dimenticato da sedicenti “neo-pagani” ): son terribili e spaventose ma anche elargitrici di fecondità terrestre e dei suoi prodotti agricoli. Persefone stessa com’è noto dal famosissimo mito , è benefica in quanto in stretta relazione con la madre Demetra –Cerere, divinità della terra e dell’agricoltura, ma quest’aspetto benefico le venne dato solamente dopo il culto misterico orfico perché in origine essa era terribile e triste. Come non menzionare Diana ed Apollo, divinità luminose ma anche oscure che in quanto tali devono ricevere sacrifici espiatori, Bacco- Dioniso è un dio infero e Signore delle Ombre ma anche un dio campestre, Nettuno- Poseidone è parimenti dio ctonio terribile, a cui si offrono in sacrificio animali sommergendoli nelle onde e la succitata Venere-Melania. Nella Grecia antica persino i Venti erano divinità infere. A tutte queste divinità si dovevano celebrare culti di espiazione, soddisfacendo e placando le loro brame offrendo in sacrificio animali. Solamente Ecate e le Erinni mantengono sempre il loro carattere infero. Plutone- Ade era il Re degli inferi, “notturno”, “nero” “invisibile”, “dio del Vespro”, egli è Giove sotterraneo, colui che regna presso l’Acheronte, inesorabile e comune a tutti perché da lui nessun mortale può sfuggire, eppure anche lui è domato dalla potenza di Venere! Mercurio-Hermes è il ministro degli Dei Inferi, dalle
due facce e dalle due anime, giudice e condottiero, intermediario non solo fra gli Dei ed i mortali, ma anche psicopompo verso gli inferi, ovvero conduceva verso gli inferi le anime che dovevano essere condotte per volere di Giove, oppure secondo la versione pitagorica egli è custode delle anime, le può portare sia nelle regioni beate che dalle Erinni. Questa versione di Mercurio è riscontrabile parimenti nelle tradizioni greche, romane ed etrusche. Altro abitante degli inferi nel mondo latino è il Dis Pater, o Ditis Pater che compare come marito di Proserpina ed assieme a lei menzionato nelle lapidi sepolcrali. Nel famoso monumento di Vibia, si vede la donna innanzi al trono del Dis Pater e di Aera Cura, l’antica Proserpina, Dea di forma mitica ed arcaica pari alla Magna Mater Terra. Altre abitatrici del mondo Infero furono le Erinni, le Furie, le Arpie, divinità vendicatrici che dovevano riportare “il giusto equilibrio”. La divinità della morte ebbe nel mondo romano diversi nomi: Mors, Letus, Fatum. Letus è quasi un Genio della morte stessa, mentre Mors è citata in Ennio come colei che presiede a tutte le Ombre, è l’abitatrice delle case eternamente dominate dall’ombra << Perpetuas sine fine domos Mors incolit atra. Aeternosque levis possiedet umbra Lares.>> ( Iscrizione funebre, Carmina Epigrafica, 1339.) Stazio la rappresenta seduta sulle vedette a spiare le sue vittime, Seneca invece la dipinge come colei che spinge i vivi verso i Mani, Silio Italico la descrive come “lurida e con nero ghigno” . Il Dio della Morte era un violento rapitore, come Morte stessa , che per invidia e desiderio delle virtù e dei beni mortali traggono presso di loro i mortali. Così presso un epitaffio della via Latina a Roma si legge che è la Dea Fortuna che rapisce invidiosa la povera vittima, mentre le Parche o le Fataavventano le loro mani per ghermire la preda. Oppure sono gli stessi Dei Mani che rapiscono la vita prematuramente, la stessa Invidia è divinizzata e resa rapitrice di vite innocenti. Concludo questo rapido viaggio con un poesia di Tibullo, in cui trepidamente invoca la nera Morte di tenere lontane le sue mani << Abstineas avida Mors, modo, nigra manus! Abstineas, Mors atra precor! >> .