venerdì 30 gennaio 2015

Artisti antifascisti, regime e Giuseppe Bottai




Raccontano le cronache che fu la guerra di Spagna a decidere il passaggio all’antifascismo di Aligi Sassu che gli fece trascorrere alcuni soggiorni a Regina Coeli. Tuttavia questo non gli impedì di frequentare gli ambienti vicini a Giuseppe Bottai ed a collaborare in “Primato” e neppure di esporre nel 1941. Allibisco nuovamente nel leggere su Wikipedia che “l'esposizione avvenne nella Bottega di Corrente” aggiungendo che “pur partecipando da tempo in modo attivo a Corrente, il periodico di opposizione culturale al regime, Sassu preferì optare per una personale, non aderendo alle mostre collettive degli artisti del tempo”.
Apprendiamo così che v’era, al tempo della dittatura di Mussolini un noto oppositore e sorvegliato speciale che partecipava “in modo attivo a Corrente, il periodico di opposizione culturale al regime”. Sì proprio così: c’era in quella dittatura un periodico, liberamente stampato, che esercitava “opposizione culturale al regime”. I casi sono due ed uno esclude l’altro: O “Corrente” non era affatto un giornale non allineato al regime o quel regime non era affatto una dittatura. Scegliete voi.
Siamo arrivati al termine dell’elenco con il nome di Orfeo Tamburi che, per quanto ne so, non merita di essere compreso nell’elenco dei voltagabbana per il solo fatto di essersi messo in luce con le esposizioni che il fascismo metteva a disposizione dei giovani artisti.
Diversamente da come è accaduto al suo amico Malaparte, cui la definizione di voltagabbana non solo calza a pennello ma può coniugarsi benissimo con quella di versipelle, che, attribuita anche all’autore de “La Pelle”, s’intona benissimo, non possiamo rimproverare a Tamburi se oltre a partecipare all’attività artistica del suo tempo giovanile (III Quadriennale di Roma, nel 1939) ha collaborato a giornali e riviste e, fra queste, a “Primato” di Bottai con disegni e scritti. 
Terminato l’elenco, perché non vi siano comode scuse ed equivoci interpretativi, trascrivo letteralmente, chiaro e tondo, l’invito lanciato da Giuseppe Bottai all’atto della fondazione della rivista “Primato”: “Con questo spirito, dunque, Primato chiama a raccolta le forze vive della cultura italiana; e tenta, attraverso un’azione ordinata concorde, e, il più possibile, nobilmente popolare, di rendere concreto ed efficace il rapporto tra arte e politica, tra arte e vita; col proposito, insomma, di operare l’unione fra alta cultura e letteratura militante, fra Università e giornale, fra gabinetto scientifico e scuola d’arte, lavorando nel nome e nell’interesse della Patria... Il coraggio della concordia: risultante di quel nutrito amore all’arte e alla Patria e mezzo indispensabile per imporre il Primato spirituale degli Italiani di Mussolini”. 
Pur tuttavia dal lungo elenco indifferenziato fatto da Bruno Vespa dei collaboratori “infedeli” di Giuseppe Bottai, che a sua volta divenne “infedele” lui stesso, non si comprende appieno la trasformazione riassunta dalla frase sbrigativa: “Tutti fascisti, tutti antifascistI!”.
Vi fu chi non cambiò gabbana, perché una cosa è chiara: a pagare furono quelli che non cambiarono bandiera per “serbar la pelle intera” ma che ancora serbavano “sangue nelle vene”. E non furono pochi e vanno ricordati con grande rispetto.
Gli altri, meno quelli con la schiena diritta e la fronte alta, erano sì tutti fascisti, ma in modo diverso e divennero tutti antifascisti anch’essi per ragioni diverse.
Io, diversamente da Vespa che “fa di tutto un fascio un’erba”, ho voluto differenziare i voltagabbana per le diverse ragioni che necessitarono la loro scelta obbligata dalla convenienza del momento o solo per viltà o per semplice ignavia.
Comunque si pensi due cose appaiono molto chiare: che il Ventennio fascista non fu affatto un deserto culturale come critici sprovveduti, e se non tali perlomeno ignoranti, affermano, così che tanti uomini di indubbia cultura poterono esprimersi in un clima di libertà che sarebbe stato impensabile nel regime comunista cui tanti dimostrarono poi di aspirare. 
Dei riflessi di quel clima culturale visse il periodo post-fascista fino a quando, estintesi per ragioni anagrafiche quelle figure che avevano trascorso la loro infanzia letteraria nel fascismo, la cultura italiana è precipitata nell’oscurità più profonda. Ed oggi è ancor più profonda che mai.
Non credo ci sia bisogno di provarlo. Nessun Bruno Vespa potrebbe fare, in alcun tempo, un elenco tanto lungo di uomini di cultura quanto quello dei voltagabbana, ma anche di quanti la schiena non piegarono all’antifascismo, il che a mio avviso è assai più interessante.

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