Black Athena, “Atena nera" è il titolo che nel 1987 Martin Bernal diede a un libro,
destinato a suscitare accesi dibattiti, in cui si proponeva di denunciare il mito
eurocentrico della civiltà classica, facendo presente il grande debito che la civiltà
occidentale ha nei confronti delle più antiche civiltà del Vicino Oriente antico, in
particolare quelle dell'Egitto e della Mesopotamia. Il titolo-shock deriva dalla
consapevolezza (diffusa già presso gli antichi) di una identificazione della dea greca
Atena con la dea Neith egiziana. Non intendo qui soffermarmi sulla validità delle tesi
di Bernal. Quello che mi preme sottolineare è la disinvoltura con cui questo autore (e
con lui più o meno tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito sul libro, sia
favorevoli sia contrari alle sue posizioni) considera "nero" come sinonimo di
"africano". Né gli antichi egizi né i popoli mesopotamici dell'antichità erano di pelle
"nera". E neppure tutti i popoli del Nordafrica dall'Egitto fino all'Atlantico. Al
massimo saranno stati bruni di capelli e con la carnagione facile all'abbronzatura,
come tutti i popoli intorno al Mediterraneo. Ma qui "black" sta proprio per
"melanoderma": "negro" come si dice in italiano e come oggi è tabù dire in inglese.
Negli Stati Uniti, come si sa, ogni qual volta si intende parlare di una persona di
colore si evita di alludere direttamente al colore della pelle, e si usa il termine
"African". In questo modo, però, si "forza" il significato letterale della parola, facendo
coincidere l'"africanità" con un dato tipico solo delle popolazioni dell'Africa a sud del
Sahara (la pigmentazione scura della pelle), e si lascia in ombra una vasta parte del
continente, che per quanto se ne sa, perlomeno dal neolitico è popolata da genti di
pelle bianca.
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