domenica 23 novembre 2008
giovedì 20 novembre 2008
La sua tomba
Chi per curiosità cercasse la tomba dove è sepolto Umberto Grancelli avrebbe non poche difficoltà a trovarla. Chi si incammina nella città dei morti ,quale è il cimitero monumentale di Verona, è colpito dalla sontuosità e dalla ricchezza delle tombe,nomi illustri, ma anche i loculi dei più umili sono impreziosite da nomi del defunto, scritte, marmi e fiori. Nel lato destro ,rispetto all'entrata in un antro oscuro si susseguono sul pavimento vari chiusini e nella parete sono poste, a bel vedere, le foto con il nome dei cari estinti.
Umberto Grancelli, nonostante l'anagrafe mortuaria ci abbia indicato il numero, è difficilmente rintracciabile, nessun nome nessuna foto ci aiuta la ricerca.
Il visitatore attento potrà leggere sul chiusino 138 solo la scritta, scarna,incisa sulla pietra: Grancelli.
Lì sotto riposa il corpo di Umberto.
In linea con l'umiltà e la semplicità della sua esistenza terrena, la tomba è anonima riportando solo l'indizio della "gens" di appartenenza.
Questo Uomo che ha dedicato la sua vita allo studio e alla ricerca dell'Anima da ancora fastidio ad una certa intellighenzia veronese.
Contrastato in vita e dimenticato ad ogni costo in morte, da quel chiusino senza nome, i suoi studi, che qualche sciocco definisce bizzarri, troveranno voce e continuità. Il tempo ricerca la verità, nell'opera di Umberto Grancelli si schiude l'infinito religioso che ha determinato le passioni della sua esistenza.
Al Maestro Umberto Grancelli
figlio illustre di Verona, sei sempre con noi
Umberto Grancelli, nonostante l'anagrafe mortuaria ci abbia indicato il numero, è difficilmente rintracciabile, nessun nome nessuna foto ci aiuta la ricerca.
Il visitatore attento potrà leggere sul chiusino 138 solo la scritta, scarna,incisa sulla pietra: Grancelli.
Lì sotto riposa il corpo di Umberto.
In linea con l'umiltà e la semplicità della sua esistenza terrena, la tomba è anonima riportando solo l'indizio della "gens" di appartenenza.
Questo Uomo che ha dedicato la sua vita allo studio e alla ricerca dell'Anima da ancora fastidio ad una certa intellighenzia veronese.
Contrastato in vita e dimenticato ad ogni costo in morte, da quel chiusino senza nome, i suoi studi, che qualche sciocco definisce bizzarri, troveranno voce e continuità. Il tempo ricerca la verità, nell'opera di Umberto Grancelli si schiude l'infinito religioso che ha determinato le passioni della sua esistenza.
Al Maestro Umberto Grancelli
figlio illustre di Verona, sei sempre con noi
Breve biografia
Umberto Grancelli
Umberto Grancelli nacque il 4 marzo del 1904 da Floriano, insegnante di storia al Maffei (liceo classico di Verona) e da Elena Simeoni, sorella del grande studioso e divulgatore dell'arte e della storia veronese. I suoi testi pubblicati oltre al Piano di fondazione di Verona romana, furono: Il mistero di Verona romana, Preistoria veronese, Gli ominidi alla conquista del mondo e Il simbolo nella vita di Gesù opera in cui l'autore dà prova di tutta la sua profonda conoscenza etnico-religiosa ed ermetica (il testo originale ha l'introduzione dell'insigne studioso di metapsichica de Boni, dell'omonima fondazione e biblioteca bolognese Bozzano de Boni). Inoltre Grancelli lavorò intensamente negli ultimi anni della sua vita ad un testo che doveva essere la summa delle sue ricerche, ma alla sua morte la sua biblioteca ed il suo ultimo lavoro furono persi, probabilmente a causa del disinteresse della moglie. Morì di cancro il 1° marzo 1970 e volle essere sepolto nella piccola tomba di famiglia senza nessuna foto e nemmeno il nome: la grande modestia che lo accompagnò lo conttraddistinse anche nelle ultime volontà. Una grande persona di una umiltà sconcertante. Personaggio strano per il suo tempo. Svolse il suo lavoro presso la provincia diventandone segratario generale, un'attività che gli permise di visitare tutta la Verona sotterranea e anche approfondire i luoghi insoliti dislocati nella provincia. Contrastò in più occasioni la liberalizzazione della caccia, ma suo malgrado dovette desistere per le disposizioni precise arrivate da Roma. Si interessò alla salvaguardia degli strati più poveri della popolazione: per la loro sussistenza primaria e per l' assistenza sanitaria. Tenne rapporti con tutti i rappresentanti della cultura veronese del suo tempo, in particolare con Monsignor Ongaro (insegnante di aramaico antico, ebraico, greco e latino nel locale seminario) scambiò per anni idee, confrontandosi con la grande conoscenza che il prelato aveva di antiche religioni e sembra che esistesse un carteggio fra i due, ricco di considerazioni sul cammino del cristianesimo, ed in particolare sulle numerose eresie cristiano-gnostiche dei primi secoli e sulle religioni antecedenti alla Chiesa Cattolica Romana. Frequentava molti circoli, sebbene non fosse accademico era invitato a tenere conferenze nella stessa Accademia di Agricoltura di Via Leoncino. Negli ultimi anni frequentò anche un gruppo ufologico senza però intervenire attivamente, la sua insaziabile curiosità lo portava ad interessarsi di tutto ciò che lo lambiva. Molti lo ricordano come persona anche dalla battuta mordace, ma a lui interessava soprattutto l'uomo e l'umanità e la sua vita fu spesa a rispondere alle eterne domande: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Alla sua morte fu operata, da parte dell'intelligenza veronese, una sorta di "dannatio memoriae": venne rimosso dal mondo cattolico date le sue idee paganeggianti, ma anche la sinistra lo volle rimuovere dato che il suo nome era legato al fratello Luigi, avvocato che aderì di slancio al fascismo senza però macchiarsi di nessuna infamia. Chi ancora oggi legge il suo testo chiave Piano di fondazione di Verona romana ne resta affascinato per il viaggio mandalico che l'autore intraprende in una città completamente sconosciuta e da scoprire pagina per pagina. Fuori dalle solite banalità turistiche e di luoghi comuni, ma per conoscere una città diversa, con i sui riti di fondazione, vicina alla tradizione prisca legata per allineamenti ad altre città sacre ed importanti come: Firenze, Pavia, Rimini, Padova, Milano, Parigi e Roma.
Umberto Grancelli nacque il 4 marzo del 1904 da Floriano, insegnante di storia al Maffei (liceo classico di Verona) e da Elena Simeoni, sorella del grande studioso e divulgatore dell'arte e della storia veronese. I suoi testi pubblicati oltre al Piano di fondazione di Verona romana, furono: Il mistero di Verona romana, Preistoria veronese, Gli ominidi alla conquista del mondo e Il simbolo nella vita di Gesù opera in cui l'autore dà prova di tutta la sua profonda conoscenza etnico-religiosa ed ermetica (il testo originale ha l'introduzione dell'insigne studioso di metapsichica de Boni, dell'omonima fondazione e biblioteca bolognese Bozzano de Boni). Inoltre Grancelli lavorò intensamente negli ultimi anni della sua vita ad un testo che doveva essere la summa delle sue ricerche, ma alla sua morte la sua biblioteca ed il suo ultimo lavoro furono persi, probabilmente a causa del disinteresse della moglie. Morì di cancro il 1° marzo 1970 e volle essere sepolto nella piccola tomba di famiglia senza nessuna foto e nemmeno il nome: la grande modestia che lo accompagnò lo conttraddistinse anche nelle ultime volontà. Una grande persona di una umiltà sconcertante. Personaggio strano per il suo tempo. Svolse il suo lavoro presso la provincia diventandone segratario generale, un'attività che gli permise di visitare tutta la Verona sotterranea e anche approfondire i luoghi insoliti dislocati nella provincia. Contrastò in più occasioni la liberalizzazione della caccia, ma suo malgrado dovette desistere per le disposizioni precise arrivate da Roma. Si interessò alla salvaguardia degli strati più poveri della popolazione: per la loro sussistenza primaria e per l' assistenza sanitaria. Tenne rapporti con tutti i rappresentanti della cultura veronese del suo tempo, in particolare con Monsignor Ongaro (insegnante di aramaico antico, ebraico, greco e latino nel locale seminario) scambiò per anni idee, confrontandosi con la grande conoscenza che il prelato aveva di antiche religioni e sembra che esistesse un carteggio fra i due, ricco di considerazioni sul cammino del cristianesimo, ed in particolare sulle numerose eresie cristiano-gnostiche dei primi secoli e sulle religioni antecedenti alla Chiesa Cattolica Romana. Frequentava molti circoli, sebbene non fosse accademico era invitato a tenere conferenze nella stessa Accademia di Agricoltura di Via Leoncino. Negli ultimi anni frequentò anche un gruppo ufologico senza però intervenire attivamente, la sua insaziabile curiosità lo portava ad interessarsi di tutto ciò che lo lambiva. Molti lo ricordano come persona anche dalla battuta mordace, ma a lui interessava soprattutto l'uomo e l'umanità e la sua vita fu spesa a rispondere alle eterne domande: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Alla sua morte fu operata, da parte dell'intelligenza veronese, una sorta di "dannatio memoriae": venne rimosso dal mondo cattolico date le sue idee paganeggianti, ma anche la sinistra lo volle rimuovere dato che il suo nome era legato al fratello Luigi, avvocato che aderì di slancio al fascismo senza però macchiarsi di nessuna infamia. Chi ancora oggi legge il suo testo chiave Piano di fondazione di Verona romana ne resta affascinato per il viaggio mandalico che l'autore intraprende in una città completamente sconosciuta e da scoprire pagina per pagina. Fuori dalle solite banalità turistiche e di luoghi comuni, ma per conoscere una città diversa, con i sui riti di fondazione, vicina alla tradizione prisca legata per allineamenti ad altre città sacre ed importanti come: Firenze, Pavia, Rimini, Padova, Milano, Parigi e Roma.
mercoledì 19 novembre 2008
Nascita di una città, secondo Umberto Grancelli
Volutamente dimenticato dall'intellighenzia del dopoguerra e ostracizzato anche in seguito, un po' per paura un po' per incomprensione, comunque le sue idee cominciano a prendere luce.
Nella sua grandissima conoscenza, storica, umana e spirituale coglie nella città di Verona gli aspetti sacrali, interpreta dove si collegano gli allineamenti della fondazione romana, che rispettano, per certi versi anche il reticolo ortogonale presente nella vecchia città sinistra Adige presente prima dell'arrivo di Roma.
Nelle viscere di quel colle(l'attuale colle San Pietro) si nascondono cunicoli, anfratti, ipogei, acque, condotti e pozzi che mai nessuno si è preso la briga di indagare ufficialmente e di capirne gli usi sacro sacerdotali, una incuria voluta e mirata.
Nel testo di Grancelli "Piano di fondazione di Verona romana" si prospettano cammini mandalici che preparano e conducono l'uomo a lasciare il piano umano per aspirare al divino.
Senza parlare della bellezza che Verona dona al turista attento e curioso, bisogna uscire dai percorsi usuali. Gli stili e le testimonianze preromane, romane, medioevali, rinascimentali, barocche convivono in una armonia unica e irrepetibile.
I misteri di una città sono nei suoi sotterranei nelle cripte,
negli strati inferiori, qui si indaga, con difficoltà per conoscere
la personalità nascosta della villa e i suoi misteri.
Il popolo di una città si porta i segreti ancestrali, i
Miti ,gli archetipi ,nei comuni gesti di tutti i giorni.
Oggi si assiste ad un continuo svuotamento dello
organismo collettivo tutto è appiattito dalla falsa scienza,
Cercare la porta che conduce all'averno, al regno dell'ade
un luogo solo di paure? oppure il tempio dell'anonima ed
assai misteriosa morte mistica prima della grande rinascita, e questo è uno dei tanti temi affrontati da Grancelli
Il culto qui si concentra in modo specifico sul fenomeno
della morte ,senza il sapore di rimembranze familiari e
lutto personale,ma un’anticamera per l’eternità.
Il piano della città svela il suo segreto, un cosmogramma
mandalico da percorrere come un pellegrinaggio consapevole.
Percorrere il sacrario per raggiungere il MISTERIUM MAGNUM
conseguendo l'iniziazione.
I nativi americani piantavano un palo, come centro visibile del villaggio
Punto visibile su cui ruotano le attività delle persone.
Ancora oggi nelle città la colonna o il monumento assolvono al topos visivo
,il riferimento e di ricordo per dotare della giusta potenza la città.
Chissà se riusciremo a salvare il colle sacro di Verona?
Le città nascono e sono fondate sempre da un sacerdote che delimita i
suoi primi confini ,ma anche il centro , attraverso un rito solo. Così
si costituisce l'urbe, la civitas è più un agglomerato di case senza
genialità.
Tutto grava sul centro della città e da li si espande in armonia con
il territorio, seguendo un andamento simmetrico e ordinato Quando la
città perde il suo centro di fondazione è il caos ,e bisogna ritrovarlo
al più presto
martedì 18 novembre 2008
Il tempio di Palestrina
Questa è la ricostruzione del tempio della Fortuna Primigena di Palestrina.
Notate le forti somiglianze
Notate le forti somiglianze
lA RICOSTRUZIONE DELL'ACROPOLI DI VERONA
sabato 8 novembre 2008
Perché credere a Cristo e non ad Ermes
A questo punto è inevitabile una semplice osservazione. Oggi una persona normale è propensa a credere alle vicissitudini di Cristo come fatti storici, viceversa quelle degli Dei Olimpici passano per pure fantasie.
Vedete come la "cultura" contingente agisce e condiziona la psiche degli uomini.
Vedete come la "cultura" contingente agisce e condiziona la psiche degli uomini.
venerdì 7 novembre 2008
Poesia titolata Adese-un momento di serenità
L'Adese
nasse italian
da na mare todesca a Passo Rèsia.
El se destaca da la teta de giasso.
El scapa a salti, a sbrufi:
discolo, garibaldin
-no gh'è rosta che tègna
-da Val Venosta, freda maregna,
el vien zò a rebaltoni.
A Maran el s'à fato i ossi.
I vol scarparlo,
imbragarlo.
Gnente!
Descàlso el core,
selvàdego,
co l'ocio verdegrìso,
co na canta mata tra i denti.
Ai monti ghe ride le greste:
tute rosse dal ridàr, iè.
A Bolzan l'è un giovinoto
vestì de pomàri e de vegne
co l'ultima resina nel fià.
A Trento el va soldà:
la caserma l'è sul monte griso,
insulso, pelado.
Iè scarponi le scomode rive,
iè stelete le stele del cel.
I sogni dei vint'ani
i se impìssa,
i se indrìssa,
i va in oca,
i se perde
drio'l canto verde
de na ràcola,
un gril.
Ala,
Peri,
Dolcé.
La naia la fenisse,
l'Adese sliga el sangue.
A Ceraìn el sbréga la divisa;
el spùa na parolassa
contro el Forte de Rivoli tognin,
el ghe volta la schena,
el sbàte via
l'ultimo ciodo de la crucarìa.
El se cava i scarponi,
el core in sata,
el respira,
el se destira,
el se veste de persegàri,
l'è maùro,
l'è morbinoso,
el ga vòia de sposarse.
Pescantina, Parona,
i vol fermarlo al Ceo:
el barufa con la Diga,
el sbordèla,
el vinse,
el passa.
Eco Verona
sotobrasso de Ponte Castelvècio:
l'è tuta bela,
tuta ciara e calda.
L'Adese l'è imamàdo,
l'è in confusion,
l'è timido,
el se pètena,
el se lustra,
el se veste de muraiòni,
el se méte in testa i ponti,
el canta de tuta vena.
Adesso el se scadèna
el ciapa fià,
el la basa.
Co na "esse" el la brinca tuta,
co na "esse" el la ciama Sposa.
"In eterno! In eterno!"
sbroca tute le campane.
Nono Rengo el se desmìssia,
el stranùda.
el se incocòna,
el discòre come un sindaco,
el se torna a indormensar.
Castel San Piero l'è un altar.
Fiori bianchi iè i cocài:
i ga in beco un "si" bramoso.
"In eterno" In eterno!"
le campane no ga più vosse,
le va in leto a una a una.
Ponte Nave,
Dogana.
Al Camposanto l'Adese capisse:
adio Verona,
adio Verona.
L'Angelo da la tromba
el saluda co na sonada
ingiassada,
dura,
garba,
fàta de làgreme e de piera.
L'Adese el se despera,
el camìna come 'n òbito,
el ga l'anima de un vedovo,
el se smòrsa,
el se trascura,
el se spòia de muraiòni,
el se lassa la barba longa,
el tase tuto,
el vol morir.
Al Ponte de la Ferovia
el struca i denti,
el scantòna,
el vol desmentegàr Verona,
el vol tornar baléngo,
desbriàdo,
e che la vita torna a sventolàr.
El camina de onda,
el rìva al Porto,
el buta l'òcio a l'ultima montagna.
A San Michel
el sfodra la campagna,
Boche de Sòrio,
Zevio.
Eco la Bassa
svacada nel lùame,
rassegnada,
descàlsa,
dai giorni imbriàghi de sol,
da le noti in man a le rane.
L'Adese el se impìsola,
el mete pansa,
el rònfa:
nasse sogni pitòchi,
cuciàdi,
stofegàdi.
Ronco,
Albaredo,
ècolo che'l se svéia:
l'è rabioso,
l'è dispetoso,
el camìna a bissabòa.
A Legnago l'è cativo,
el fa dano,
el se ribèla,
l'òcio neto el ghe se intòrbola,
no'l dorme più,
no'l ride più.
Gh'è qua la Tera Polesana
che l'è na mare straca de fiolar:
agra,
monta,
grendenàda:
la se spalanca a Badia
co na ragosa e dura poesia.
L'Adese ormai l'è sordo,
el còa el so morir come i veci,
l'è un vecio,
la fumara
ghe fa bianca la barba.
Al campanil de Cavàrzere
el sente 'l mar nel naso.
El sospira,
el capisse,
el lassa un testamento:
"Le me aque a la gente vèneta,
a Verona l'anima mia".
Dèsso l'è in agonìa:
el rantola,
el se sbianca, el se tàca a la tera,
el spalanca la boca
come par saludar.
Ormai l'è quasi mar.
Eco,
dèsso l'è mar.
Toldo da Re
nasse italian
da na mare todesca a Passo Rèsia.
El se destaca da la teta de giasso.
El scapa a salti, a sbrufi:
discolo, garibaldin
-no gh'è rosta che tègna
-da Val Venosta, freda maregna,
el vien zò a rebaltoni.
A Maran el s'à fato i ossi.
I vol scarparlo,
imbragarlo.
Gnente!
Descàlso el core,
selvàdego,
co l'ocio verdegrìso,
co na canta mata tra i denti.
Ai monti ghe ride le greste:
tute rosse dal ridàr, iè.
A Bolzan l'è un giovinoto
vestì de pomàri e de vegne
co l'ultima resina nel fià.
A Trento el va soldà:
la caserma l'è sul monte griso,
insulso, pelado.
Iè scarponi le scomode rive,
iè stelete le stele del cel.
I sogni dei vint'ani
i se impìssa,
i se indrìssa,
i va in oca,
i se perde
drio'l canto verde
de na ràcola,
un gril.
Ala,
Peri,
Dolcé.
La naia la fenisse,
l'Adese sliga el sangue.
A Ceraìn el sbréga la divisa;
el spùa na parolassa
contro el Forte de Rivoli tognin,
el ghe volta la schena,
el sbàte via
l'ultimo ciodo de la crucarìa.
El se cava i scarponi,
el core in sata,
el respira,
el se destira,
el se veste de persegàri,
l'è maùro,
l'è morbinoso,
el ga vòia de sposarse.
Pescantina, Parona,
i vol fermarlo al Ceo:
el barufa con la Diga,
el sbordèla,
el vinse,
el passa.
Eco Verona
sotobrasso de Ponte Castelvècio:
l'è tuta bela,
tuta ciara e calda.
L'Adese l'è imamàdo,
l'è in confusion,
l'è timido,
el se pètena,
el se lustra,
el se veste de muraiòni,
el se méte in testa i ponti,
el canta de tuta vena.
Adesso el se scadèna
el ciapa fià,
el la basa.
Co na "esse" el la brinca tuta,
co na "esse" el la ciama Sposa.
"In eterno! In eterno!"
sbroca tute le campane.
Nono Rengo el se desmìssia,
el stranùda.
el se incocòna,
el discòre come un sindaco,
el se torna a indormensar.
Castel San Piero l'è un altar.
Fiori bianchi iè i cocài:
i ga in beco un "si" bramoso.
"In eterno" In eterno!"
le campane no ga più vosse,
le va in leto a una a una.
Ponte Nave,
Dogana.
Al Camposanto l'Adese capisse:
adio Verona,
adio Verona.
L'Angelo da la tromba
el saluda co na sonada
ingiassada,
dura,
garba,
fàta de làgreme e de piera.
L'Adese el se despera,
el camìna come 'n òbito,
el ga l'anima de un vedovo,
el se smòrsa,
el se trascura,
el se spòia de muraiòni,
el se lassa la barba longa,
el tase tuto,
el vol morir.
Al Ponte de la Ferovia
el struca i denti,
el scantòna,
el vol desmentegàr Verona,
el vol tornar baléngo,
desbriàdo,
e che la vita torna a sventolàr.
El camina de onda,
el rìva al Porto,
el buta l'òcio a l'ultima montagna.
A San Michel
el sfodra la campagna,
Boche de Sòrio,
Zevio.
Eco la Bassa
svacada nel lùame,
rassegnada,
descàlsa,
dai giorni imbriàghi de sol,
da le noti in man a le rane.
L'Adese el se impìsola,
el mete pansa,
el rònfa:
nasse sogni pitòchi,
cuciàdi,
stofegàdi.
Ronco,
Albaredo,
ècolo che'l se svéia:
l'è rabioso,
l'è dispetoso,
el camìna a bissabòa.
A Legnago l'è cativo,
el fa dano,
el se ribèla,
l'òcio neto el ghe se intòrbola,
no'l dorme più,
no'l ride più.
Gh'è qua la Tera Polesana
che l'è na mare straca de fiolar:
agra,
monta,
grendenàda:
la se spalanca a Badia
co na ragosa e dura poesia.
L'Adese ormai l'è sordo,
el còa el so morir come i veci,
l'è un vecio,
la fumara
ghe fa bianca la barba.
Al campanil de Cavàrzere
el sente 'l mar nel naso.
El sospira,
el capisse,
el lassa un testamento:
"Le me aque a la gente vèneta,
a Verona l'anima mia".
Dèsso l'è in agonìa:
el rantola,
el se sbianca, el se tàca a la tera,
el spalanca la boca
come par saludar.
Ormai l'è quasi mar.
Eco,
dèsso l'è mar.
Toldo da Re
A Iside Istar
A Iside il potere del femminile
Rinvenuto a Nag Hammadi, Egitto; risalente al III-IV secolo a.C.:
Perché io sono la prima e l’ ultima
Io sono la venerata e la disprezzata,
Io sono la prostituta e la santa,
Io sono la sposa e la vergine,
Io sono la madre e la figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli,
Io sono la donna sposata e la nubile,
Io sono Colei che dà alla luce e Colei che non ha mai partorito,
Io sono la consolazione dei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
E fu il mio uomo che nutrì la mia fertilità,
Io sono la Madre di mio padre,
Io sono la sorella di mio marito,
Ed egli è il mio figliolo respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono la Scandalosa e la Magnifica.
Potrei aggiungere: nera e formosa, il nero si accosta all'umus e
formosa perché eternamente bella nella grazia struggente delle tue forme. O divina sei il prototipo
delle divinità Femminili che si susseguiranno nei millenni fino
alle religioni moderne.
TU SEI SEMPRE CON NOI
Rinvenuto a Nag Hammadi, Egitto; risalente al III-IV secolo a.C.:
Perché io sono la prima e l’ ultima
Io sono la venerata e la disprezzata,
Io sono la prostituta e la santa,
Io sono la sposa e la vergine,
Io sono la madre e la figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli,
Io sono la donna sposata e la nubile,
Io sono Colei che dà alla luce e Colei che non ha mai partorito,
Io sono la consolazione dei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
E fu il mio uomo che nutrì la mia fertilità,
Io sono la Madre di mio padre,
Io sono la sorella di mio marito,
Ed egli è il mio figliolo respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono la Scandalosa e la Magnifica.
Potrei aggiungere: nera e formosa, il nero si accosta all'umus e
formosa perché eternamente bella nella grazia struggente delle tue forme. O divina sei il prototipo
delle divinità Femminili che si susseguiranno nei millenni fino
alle religioni moderne.
TU SEI SEMPRE CON NOI
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