La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio
di Marco Aime - Einaudi, 2014
Tenere d'occhio l'orologio, controllare il calendario, iniziare una frase con l'espressione "ai miei tempi", riconoscersi nelle esperienze di un coetaneo, confrontare le generazioni presenti e passate, sono tutte azioni che compiamo abitualmente e che passano sotto traccia nell'esperienza quotidiana di ognuno. In realtà, non solo il concetto di tempo è culturalmente prodotto, ma la misurazione delle diverse età della vita cambia in funzione dei gruppi umani come pure all'interno di una stessa società seguendo il mutare degli eventi storici.
Tra nascita e morte, le comunità culturali hanno distinto più o meno rigidamente una serie variabile di fasi dell'esistenza, caratterizzate dall'attribuzione progressiva di diritti e doveri, e segnalate da precisi "riti di passaggio". Il più diffuso, e probabilmente il più significativo, rito di passaggio è quello che permette la transizione dall'infanzia all'età adulta, da una dimensione protetta e dipendente dalla famiglia a una situazione di autonomia decisionale ed economica riconosciuta dall'intero gruppo sociale.
L'importanza del rituale - pubblico, simbolico e condiviso - dipende dal fatto che l'abbandono della condizione infantile durante l'adolescenza costituisce un momento cruciale di costruzione dell'identità e quindi, sottolinea Aime, «è quanto mai necessario che la comunità da un lato stabilisca in modo chiaro il confine tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, e che dall'altro ne "protegga" il passaggio, collocando segnali, punti di riferimento ben visibili».
Nell'immaginario occidentale i riti di passaggio sono associati a epoche passate, premoderne, oppure alle narrazioni derivate dagli studi etnografici di società altre, che descrivono riti di iniziazione solitamente legati al corpo: prove di forza, di coraggio e di sopportazione del dolore, per gli uomini; il primo ciclo mestruale o la prima gravidanza, per le donne.
Il saggio di Marco Aime sovverte tale immaginario, interrogando direttamente le pratiche culturali di misurazione dell'età nella società italiana contemporanea: quali sono i nostri riti di passaggio? E qual è, oggi, la loro funzione?
Fino a qualche decennio fa, era possibile identificare nel servizio militare obbligatorio il rito di passaggio maschile più comune, che imponeva ai diciottenni un anno di distacco dalle famiglie e richiedeva l'obbedienza a rigide regole di comportamento. Allo stesso modo il matrimonio, soprattutto nel cerimoniale cattolico, segnalava attraverso un rituale preciso il passaggio a un nuovo status sociale e la nascita di una famiglia. Inoltre, grazie alla sempre maggiore scolarizzazione della popolazione italiana, l'esame di maturità ha assunto i connotati di un vero e proprio rito di passaggio, affrontato contemporaneamente e collettivamente da migliaia di giovani ogni anno. Infine, l'ingresso nel mondo del lavoro, preceduto da un periodo di apprendistato, rappresentava il momento di transizione all'autonomia economica e quindi a un nuovo potere negoziale all'interno della società.
Fatta eccezione per l'esame di maturità, le mutate condizioni politico-economiche hanno messo a repentaglio l'effettiva realizzazione di questi rituali, determinando forme di dipendenza prolungata dalla famiglia e allungando quello «stato liminale» in cui all'avvenuta maturazione biologica non corrisponde il riconoscimento della maturazione psico-sociale.
Attraverso un'analisi acuta e a tratti pungente, Aime mette in evidenza le ragioni politiche, istituzionali e sociali che hanno condotto alla progressiva dissoluzione del confine tra giovani e adulti, depotenziando il carattere rituale del passaggio tra due mondi esistenziali e lasciando l'adolescente privo di punti di riferimento definiti.
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