Non so quanti di voi sanno che a Roma ci fosse una delle porte degli inferi, questo almeno secondo gli antichi romani che popolavano la città diciamo, meno di due decenni dopo la morte di Cristo. Io, devo dire la verità non lo sapevo e ne sono venuto a conoscenza da poco e ho pensato che questo viaggio lo potevamo fare insieme. Questo ingresso agli inferi si trovava del Terentum o Tarentum che dir si voglia, che a sua volta era in Campo Marzio, zona piuttosto vasta che occupava l’ansa del Tevere poco prima dell’isola sacra estendendosi fino alle attuali Piazza del Popolo e Piazza Navona.
Il Terentum è una località assai poco conosciuta a noi non addetti ai lavori e di cui siamo a conoscenza per dei documenti del 17 dc che ci dicono che si trovasse in “extremo Campo Martio”, dove si tennero i Ludi Terentini, in seguito divenuti Ludi Seculares tenendosi una volta ogni, più o meno, cento anni.
Lo storico Valerio Massimo del I secolo dc, ci narra che questi ludi ebbero origine dal capostipite di una antichissima gens maior del patriziato romano Volusus Valerius, giunto a Roma dalla Sabina al seguito di Tito Tazio per sanare le relazioni tra Romani e Sabini mediando tra costui e Romolo.
I suoi figli si ammalarono di peste ed egli si rivolse ai Lares. Il racconto prosegue e lui udì, proveniente dal bosco, una voce che gli ordinava di portare i figli lungo il Tevere fino al Tarentum e di far bere ai figli dell’acqua attinta dal fiume presso l’ara di Dis e Proserpina. Valesio eseguì e i figli caddero in uno sonno che riuscì a guarirli: in sogno videro una divinità maschile che ordinava loro di immolare vittime nere e di celebrare giochi notturni in tre notti consecutive.
Intenzionato a costruire lui stesso un altare, Valesio cominciò a scavare e trovò già pronto un altare a Dis e Proserpina, precedente occultato dai Romani affinché nessun non-Romano potesse trovarlo.
L’altare del racconto dello storico romano, come testimoniato dall’archeologo, ingegnere e cartografo, Rodolfo Lanciani, fu ritrovato nell’inverno del 1886 durante i lavori di sbancamento di Corso Vittorio Emanuele II in una zona tra la Vallicella e le rive del Tevere vicino San Giovanni dei Fiorentini, mentre lo studioso era però in America.
Tieni presente che questa zona all’epoca era una macchia vuota topograficamente parlando, una terra ignota secondo le mappe della città di Roma, perché il Terentum è mistero dall’inizio alla fine.
I rapporti degli operai addetti allo sbancamento parlano in maniera vaga del ritrovamento di cinque o sei muri paralleli, costruiti in conci di peperino, di gradini in marmo al centro di questo singolare monumento, di porte con stipiti ed architravi in marmo, che immettevano negli spazi tra i sei muri paralleli e, infine, di una colonna istoriata con fogliame.
“Al mio ritorno a Roma, nella primavera del 1887, ogni traccia del monumento era scomparsa sotto Corso Vittorio Emanuele. Interrogai i capomastri, gli operai; consultai i registri delle imprese; ogni giorno visitavo i cantieri ancora attivi su ogni lato del Corso per la costruzione dei palazzi Cavalletti e Bassi: infine esaminai la “colonna istoriata con fogliame” che, nel frattempo era stata trasferita nel cortile del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio.
Questo frammento di marmo, l’unico sopravvissuto agli scavi, mi ha dato la chiave per risolvere il mistero. Non era una colonna, era un “pulvinus”, o capitello, di un colossale altare marmoreo, degno di essere paragonato, per dimensioni e valore artistico, all’Ara Pacis scoperta sotto Palazzo Fiano, nonché a quella degli Antonini scoperta sotto Monte Citorio ed ad altre strutture monumentali simili.
Non ci fu allora esitazione nel determinare la natura delle scoperte fatte a Corso Vittorio Emanuele: era stato trovato un altare e questo altare doveva essere quello consacrato a Dis e Proserpina, dal momento che nessun altro altare è menzionato nella storia nel versante nord occidentale del Campo Marzio.
I disegni che illustrano la mia tesi, provano che l’altare si innalzava su una base di 10 mq, circondata su tutti i lati da tre o quattro gradini marmorei; che la base e l’altare erano circondati da tre setti murari posti ad un intervallo di 10 m l’uno dall’altro e che sul lato est della piazza scorreva l’ euripus, o canale, largo circa tre m e mezzo, profondo un m e venti e delimitato da blocchi di pietra, la cui pendenza verso il Tevere era di 1:100”.
Il Terentum era stato individuato con certezza nonostante del preziosissimo materiale degli scavi non sia rimasto praticamente nulla e sappiamo anche che il nome deriva proprio da quello della pozza di fumante acqua sulfurea sita in quella “vallicella”.
Ecco quindi dove era l’ingresso degli inferi che molti avevano erroneamente collocato presso Piazza dell’Oro, molto più vivina alle sponde del Tevere.
Ora però sarai curioso di sapere dove si trova oggi questa porta degli inferi. La tavola 14 del Lanciani ce la indica, e il toponimo “vallicella” è sopravvissuto fino ai nostri giorni in quella che oggi è comunemente indicata a Roma come Chiesa Nuova davanti a Piazza dell’Orologio, visibile sempre in quella tavola.
La Chiesa Nuova è in realtà la Chiesa di Santa Maria in Vallicella e qui, comincia un’altra storia perché Roma è un sovrapporsi di luoghi, storie e misteri che sembrano non finire mai.
Siamo nel VI, quando del Terentum e della sua porta infernale che doveva trattarsi di una grotta ancora esistevano e dovevano essere luoghi malsani e terrificanti. Con il consolidarsi del cristianesimo si diffonde la pratica di trasformare i luoghi di culto pagani, in luoghi di culto cristiani. Ci pensa Papa Gregorio Magno, sul finire del VI secolo, a decidere di mettere una sorta di tappo sul Terentum facendo costruire il primo nucleo della Chiesa di Santa Maria in Vallicella, nella zona dove oggi sorge la Chiesa Nuova.
Le leggende narrano che i cristiani chiusero l’ingresso alla grotta dove si accedeva all’altare di Dite e Proserpina e la inondarono niente po’ di meno di acqua benedetta, ma la fantasia popolare vuole che gli spiriti maligni andarono via solo quando ettolitri di vino allagarono il luogo. Tieni presente che l’utilizzazione del vino è intesa come sangue dell’uva, in stretto rapporto con il sangue e di conseguenza con il sacramento cristiano.
Gli osti però devono aver approfittato della leggenda, perché nella zona fiorirono osterie dove si vendeva il “liquido” scaccia diavoli. Una buona scusa per bere vino.
Di questo primo nucleo del VI non sappiamo molto, ma considerate altre situazioni simili di Roma ho buoni motivi per credere che fu l’inizio della cancellazione del Terentum dalla memoria storica dei romani, operazione che a me sembra sia andata a buon fine.
Le prime notizie storiche certe che abbiamo su questa chiesa, le troviamo in una bolla di Papa Urbano III del 14 febbraio 1186 dove è denominata come Santa Maria in Vallicella, come parrocchia dipendente da San Lorenzo in Damasco e che quindi doveva preesistere a questa data.
Poi la ritroviamo nel XIII secolo ma con il nome di Chiesa della Natività della Madonna, mentre dal XIV secolo al XVI sarà Santa Maria in Puteo albo dal nome della contrada che a sua volta lo aveva preso da un’antica “vera di pozzo” in marmo bianco. Non mettevi paura, la “vera di pozzo” altro non era che una balaustra che impediva di caderci dentro (puteale).
Dobbiamo però arrivare fino al 1574 per avere un momento di gloria, quando accade che un affresco della Madonna del tipo della Nicopeia collocato sul muro esterno di una “locale della stufa” ovvero un bagno pubblico, venga colpito per sfregio da un sasso. Inutile dire che cominciò a sanguinare e inutile dire che diventò subito oggetto di culto per i romani e comunque alla fine lo abbiamo detto.
Si decise allora di staccarlo da un muro probabilmente poco consono per una reliquia, per essere affidato al rettore della vecchia chiesa medioevale di santa Maria in Vallicella che però stava ormai sprofondando nel terreno. Lo ricordi ancora che tipo di luogo era il Terentum?
Solo un anno dopo Papa Gregorio XIII affida a Filippo Neri ed ai suoi preti la piccola e fatiscente chiesa medioevale di S. Maria in Vallicella, a due passi da S. Girolamo e da S. Giovanni dei Fiorentini, erigendo al tempo stesso con la Bolla “Copiosus in misericordia Deus” la “Congregatio presbyterorm saecularium de Oratorio nuncupanda” ovvero l’accanto Oratorio di San Filippo.
Se non sei romano probabilmente non ti rendi conto di dove si trova questo grande complesso che comprende in un unico bocco, l’Oratorio di San Filippo Neri e la Chiesa Nuova, ovvero la Chiesa di Santa Maria in Vallicella. Siamo tra Corso Vittorio Emanuele II e via del Governo Vecchio e il complesso da le spalle a Piazza dell’Orologio, toponimo presente sulla Tavola 14 del Lanciani.
Se dai un’occhiata alla Tavola ti rendi conto che sorge esattamente sul Terentum e per renderti conto delle dimensioni possiamo aggiungere che oltre alla Chiesa di Santa Maria in Vallicella, vennero inglobate anche le chiese di Santa Elisabetta a Pozzo Bianco e santa Cecilia a Monte Giordano.
Una volta finita la costruzione della Chiesa Nuova (il cui nome ufficiale, non mi stancherò mai di ripetere, è Santa Maria in Vallicella) affresco miracoloso venne dapprima ricollocato nella cappella di destra, poi in quella di sinistra e alla fine nell’altare Maggiore affidando la realizzazione della Pala centrale e dei due dipinti laterali a Peter Paul Rubens, sì, proprio al pittore fiammingo.
Ruben realizza un’opera forse unica nel suo genere nella Pala centrale Intorno alla nicchia che ospita l’immagine sacra, posiziona cerchi concentrici di angeli e cherubini adoranti e invece di un quadro, realizza una macchina barocca forse unica nel suo genere, ma sicuramente unica a Roma.
L’immagine sacra oggetto di culto, viene protetta da una lamina di rame sulla quale il pittore fiammingo dipinge una Madonna Benedicente con Bambino. Attraverso un sistema di corde e pulegge, la lamina di rame scende fino a mostrare l’icona sacra.
Non solo, perché non dimentichiamo che siamo a Roma. La prima realizzazione sarà un olio su tela, ma non risulterà soddisfacente a causa dei riflessi e qui entra in gioco la genialità di Rubens decida di rifare tutto dipingendo su lastre di ardesia eliminando l’inconveniente dei riflessi, cosa che potete constatare da soli recandovi a vedere la chiesa. Impiegherà due anni per realizzare l’opera e nel tempo libero (scherzo ovviamente) realizzerà anche i due quadri a lato della Pala centrale, i santi Gregorio Magno, Papia e Mauro e a destra i santi Flavia Domitilla, Nereo e Achilleo.
Queste sono le uniche opere che si possono vedere del pittore fiammingo a Roma gratis senza pagare un centesimo perché Roma è un incredibile museo a cielo aperto.
Il Terentum è definitivamente dimenticato coperto per sempre dal complesso dell’Oratorio di San filippo Neri e della Chiesa Nuova. Dentro la chiesa, proprio davanti all’altare Maggiore, dove adesso è posizionato un secondo altare, c’è un grande cerchio di marmo come pavimento e, tieni a mente, che tutto il pavimento della chiesa dove cammini è in realtà un cimitero.
Bene, a me piace pensare che quel cerchio sia il punto esatto dove era l’entrata degli inferi, quella sorta di tappo voluta da Papa Gregorio Magno sul finire del VI secolo.
Tieni presente che a causa di cedimenti del pavimento nell’area davanti all’altare maggiore è severamente vietato calpestarlo e non è accessibile…per me è il Terentum romano che sotto ribolle…La Grande Madre mediterranea che, nonostante tutto, sopravvive, a dispetto di tutti e di tutto.
Un ultimo dettaglio, in molti siti troverete un ceppo con la scritta DITE PATRI E PROSERPIN SACRUM che si vorrebbe mettere in relazione con il Terentum. Ho fatto una ricerca, in realtà si trova presso il Museo Romanico-Germanico di Colonia e non ha nulla a che vedere con i luoghi di cui abbiamo parlato.
Per la galleria immagini che contestualizzerà alcuni paragrafi di questo viaggio clicca sul link
Se vuoi vedere il quadro motorizzato di Rubens clicca sul link
Roma Esoterismo e Mistero di Roberto Quarta Editoriale Olimpia 2007