giovedì 15 agosto 2013

Un grande medico alla fine del Rinascimento



I contemporanei lo hanno insultato e perseguitato, i colleghi lo hanno odiato, i poveri lo hanno esaltato. Personalità contradditoria, carattere orribile e terribile, polemista di tempra eccezionale, lavoratore furibondo: quarantotto anni trascorsi in vagabondaggi, in ricerche, in lotte penose senza fine. Ma soprattutto – nei discorsi, nei consulti, negli scritti – invettive e proteste, parolacce e odio contro i detrattori. Contestatore impenitente: lezioni universitarie tenute in “lingua volgare”, abiti sporchi, disprezzo per i “classici della medicina”. Orgoglioso e presuntuoso: Paracelso, personaggio scomodo e irritante.

Di statura misera (150 centimetri), di carnagione flaccida, goffo con quella enorme spada che gli serve quasi da sostegno (spesso girava munito di una spada imponente dalla quale difficilmente si separava, anche perché in una apertura dell'elsa celava le sue pillole di laudano – nota mia), Paracelso perde spesso la pazienza quando si rivolge ai nemici veri o immaginari: "Io vi dico che il mio cappello ha più esperienza di tutte le vostre Università e che i peli della mia barba sono più sapienti di voi e dei vostri autori; le fibbie delle mie scarpe sono più dotte di Galeno e Avicenna, la mia barba ha più esperienza delle vostre accademie. O Greci, Latini, Francesi, Italiani, io sarò il vostro Re."
Volevano discutere le sue tesi rivoluzionarie? Risposta: "Non posso dunque dare la pappa in bocca a ogni somaro rustico…". Figuratevi con che gioia avrà buttato alle fiamme i libri di Avicenna e Galeno, pronunziando le solenni parole: "Si disperda nel fumo ogni mala cosa!".

Paracelso, come medico, non temeva rivali. Poteva essere calunniato ma, nei momenti gravi, tutti bussavano alla sua porta. Come chirurgo si rivelò abilissimo e come manipolatore di farmachi probabilmente non fu superato da alcuno dei contemporanei. Ma questo stesso grande medico non rinuncerà mai alla magia e alla meditazione occulta. Combatterà la gretta superstizione, ma si invischierà in tesi e affermazioni incredibilmente ingenue: metterà in rapporto le malattie con le calamità, cercherà nella forma delle piante l'immagine corrispondente dell'organo da curare, parlerà di vampiri e incubi-succubi come di enti provenienti dallo sperma sparso nei conventi e nei postriboli. Scruterà le costellazioni nefaste, converserà con le streghe e con il demonio, ma giurerà sull'efficacia della terapia chimica, osservando il malato con assoluto rigore.

Nell'ambito della psico-patologia avrà intuizioni mirabili, e basti il riferimento alla motivazione inconscia nella genesi dell'isterismo, ma – meditando sul furore maniacale – approverà l'intervento orribile: tagliare al malato le dita dei piedi o delle mani per permettere all'aria fresca di temperare il fuoco degli umori.[…] 

E poi insorgono altre difficoltà. Ricostruire la vita e gli itinerari di Paracelso è faccenda problematica, collegare le fasi del suo pensiero è fatica improba, capire il legame tra lo spirito scientifico e l'atteggiamento magico diventa spesso impossibile. Quasi quattrocento scritti, un miscuglio inaudito di tesi mediche e di speculazioni occulte, pagine contradditorie e volutamente provocatorie. […] Scrive, scrive come un forsennato. Ma anche qui avrà poca fortuna: troppo spesso le autorità proibiranno la pubblicazione e la diffusione delle sue opere (la gran parte sarà pubblicata dopo la sua morte). 

Come prendere-afferrare-definire questo personaggio, come e dove "collocarlo"? Ma, in fondo, forse è sterile voler dividere con un taglio netto, nel Cinquecento, l'atteggiamento magico dall'atteggiamento tecnico-scientifico, perché (osserva Geymonat) la ricerca in quei tempi si svolgeva veramente così, nella continua oscillazione di motivi razionali e irrazionali. E forse l'originalità di Paracelso è tutta qui, nel suo essere un uomo tragico che si dibatte tra due strade, che si agita tra due mondi: è furioso nell'entusiasmo occultistico, è iconoclasta nell'entusiasmo scientifico. Si impegna sempre a fondo, con assoluta generosità, pagando di persona. Uomini come Paracelso non possono essere felici. Essi sono in tutto e per tutto degli "irregolari" e la loro esistenza è come una corsa affannosa. E, per quanto possa sembrare strano, sono in fondo delle anime fragili, perché eternamente sensibili ai più disparati richiami. Paracelso occultista, medico, predicatore insonne: ogni tappa sembra quella decisiva, ma in realtà non è altro che il preludio di cambiamenti successivi.

E la condizione umana di Paracelso è dura: egli è l'uomo della solitudine più desolata. Nessun amico a sostenerlo fino in fondo, nessun discepolo fidato, non un solo sorriso femminile in tutta la vita. Nel testamento si dichiareràmiserabile creatura e implorerà perdono e, alla morte, nonostante le cure prodigiose che avevano suscitato tanto entusiasmo e tanta invidia, non gli rimarranno che due soldi da distribuire ai poveri.
Di Silvia C.

Da Paracelso, medico e mago – Antonio Miotto (Ferro edizioni, Milano - pagg. 13 e seguenti)


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