martedì 31 gennaio 2012

L'altro Oscar Luigi Scalfaro




E’ morto Oscar Luigi Scalfaro. Come già per Giorgio Bocca possiamo immaginare la classica “santificazione post-mortem” che, il tipico tempismo italiota, investirà anche questo padre della (loro) patria. Per questo ripubblichiamo due vecchi articoli di giornale per inquadrarne un pò meglio le origini… ed i “meriti” che sono valsi a quest’uomo i tanti onori che gli verranno oggi tributati.

Oscar Luigi Scalfaro: da P.M., mandò al muro 8 persone
di Paolo Pisanò
Sono otto, salvo conguaglio, le condanne a morte di fascisti,chieste ed ottenute, dal pubblico ministero Oscar Luigi Scalfaro, con i suoi colleghi del “tribunale del popolo”, e della “Corte d'’Assise Straordinaria” di Novara, dopo il 25 aprile 1945. Ciò, a dispetto della biografia ufficiale dell'’attuale presidente della Repubblica, diffusa subito dopo la sua ascesa al Colle, che parla invece dello Scalfaro di cinquant’anni or sono, come di un giovane magistrato “sbalzato in Corte d'’Assise a soli 26 anni”, che si trovò alle prese, suo malgrado,con il caso di un solo imputato per il quale ”secondo la legge allora in vigore, la condanna a morte era inevitabile”…
E Scalfaro fu costretto a chiederla, ma non rinunciò ad esternare ai giudici il suo tormento, chiudendo la sua arringa con queste parole: ”A questo punto, però, il pubblico ministero rende noto alla corte che non crede nella pena di morte”.
E c'’è anche il lieto fine; l'’imputato, condannato alla fucilazione,venne poi graziato, e la condanna non ebbe mai luogo. Fin qui la favola presidenziale. Ma la realtà è un po’ diversa.
Ecco infatti le tappe salienti della carriera del magistrato Scalfaro, ricostruite in base ai fatti certi che siamo in grado di documentare:
1943 - Il futuro presidente della Repubblica entra in magistratura durante l’ultimo fascismo.
1°Maggio 1945 - Lungi dall'’essere “sbalzato” in Corte d'’Assise suo malgrado, Oscar Luigi Scalfaro assume volontariamente la carica (politica, lottizzata dal CLN locale), di vice presidente del “tribunale del popolo” di Novara.
13 Giugno 1945 - Sostituiti i “tribunali del popolo” con le CAS “Corti d’Assise Straordinarie”, nell'’opera di pulizia antifascista, Oscar Luigi Scalfaro passa a fare il Pubblico Ministero presso la CAS di Novara, e sostiene con altri due colleghi, l’accusa nel processo contro Enrico Vezzalini, soldato valoroso e pluridecorato, fascista integerrimo e fedele fino all’estremo ai suoi ideali, già capo della Provincia di Novara durante la RSI. Basti pensare che durante il clima di linciaggio di quei giorni, il cronista de “La Voce del Popolo” di Novara, il 14 giugno 1945, tratteggia la figura di Vezzalini mescolando alla faziosità più scontata anche queste annotazioni. ”E’ un lottatore fortissimo…..Ha un ingegno superiore alla media non è un cieco sanguinario, non un manigoldo, non un losco…..Supera tutti i suoi per innegabili qualità personali…..Era un tribuno avvincente e un profondo conoscitore delle passioni popolari:nessuno dimenticherà infatti gli applausi riscossi in un teatro cittadino con un'’astuta tirata contro gli industriali…”
15 e 28 Giugno 1945 - L'’ufficio del pubblico ministero ottiene la condanna a morte di Enrico Vezzalini e di altri cinque fascisti: Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Condanne eseguite all'’alba del 23 settembre 1945. Il cronista de “La Voce del Popolo” annota: ”Vezzalini non smentì se stesso fino all’ultimo”
A questo punto, Oscar Luigi Scalfaro ha già chiesto o contribuito a chiedere e ottenere la condanna di almeno sei persone.
16 Luglio 1945 - Settima vittoria dell'’accusa antifascista a Novara: il Pubblico Ministero chiede e ottiene la morte di Giovanni Pompa, 42 anni, già appartenente alla Guardia Nazionale Repubblicana. Sentenza eseguita il 21 ottobre 1945.
12 Dicembre 1945 - Sono trascorsi quasi otto mesi dalla “Liberazione”, ma la sete di “giustizia” capitale in Oscar Luigi Scalfaro, che pure ha già visto scorrere il sangue della vendetta politica, non si è placata:lo zelante magistrato chiede ed ottiene la condannate di un ottavo fascista, Salvatore Zurlo. Dal “Corriere di Novara” del 19 dicembre 1945: ”Il PM Scalfaro parla con vigoria ed efficacia che lo fanno ascoltare senza impazienza dal pubblico che partecipa alle considerazioni dell’egregio magistrato con frequenti assensi.Il PM, dopo la chiarissima requisitoria conclude domandando la pena di morte per lo Zurlo, e il pubblico esprime la sua approvazione e con sentimento”.
E questo, che strappa perfino l’applauso a un pubblico ancora inebriato di morte, sarebbe il giovane magistrato pieno di dubbi e di tormenti ”sbalzato in Corte d’Assise suo malgrado”, come vorrebbe farci credere l’icona presidenziale di cinquant’anni dopo?
L’unica verità del quadretto postumo, è che di lì a poco,il ripristinoi della legalità vera, consentì un processo d’appello e che la sentenza di morte contro lo Zurlo (non la prima e l’ultima, ma l’ottava),almeno di quelli che siamo in grado di confermare a dispetto delle lacune delle fonti dopo mezzo secolo) fu annullata.
2 Giugno 1946 - Almeno otto condanne a morte ottenute, sette eseguite nell’arco di otto mesi, costituiscono per un pubblico accusatore agli esordi un successo superiore alle possibilità di carriera offerte da un tribunale di provincia.
Oscar Luigi Scalfaro, brillante inquisitore da “tribunale del popolo” si è ormai messo in luce abbastanza per tentare le vie della politica, candidandosi con successo all’Assemblea Costituente e, pur senza abbandonare la magistratura con relative prebende, avviarsi verso la gloria di Roma.
(Fonte: “Il Giornale”, 1995)


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La verità sul partigiano Oscar Luigi Scalfaro
di Paolo Granzotto
(Domanda) Caro Granzotto, nei ludi cartacei celebrativi la figura di Oriana Fallaci, giornalista che stimo ma non ammiro per i suoi trascorsi di esponente di punta del radicalismo chic antiamericano solo in tarda età riscattati dalla veemenza con la quale ha denunciato lo scontro di civiltà e messo in guardia contro il pericolo islamico, è stato posto l’accento sulla sua partecipazione alla lotta partigiana. Alla quale la giornalista, al tempo poco più che bimba, avrebbe partecipato nella funzione di «osservatrice». A ben vedere di partigiani doc, quelli col Tomphson sotto il braccio, se ne conterebbero pochissimi. Il grosso è rappresentato da «staffette», «vedette», «vivandiere», «portaordini» ed altre attività irrilevanti, fino a quella che può vantare il presidente onorario della Repubblica e della Associazione Nazionale Partigiani Oscar Luigi Scalfaro. Se non sbaglio lei scrisse che il contributo di Scalfaro alla guerra di Liberazione si limiterebbe ad aver messo temporaneamente a disposizione di una banda partigiana dei locali della Azione Cattolica di Novara. Le chiedo: date le premesse, mio padre titolare di una autofficina che ai primi del 1944 riparò, con pecetta di gomma e mastice, il pneumatico di un motofurgone che poi si seppe era stato utilizzato da un gruppo di partigiani per trasferirsi sulle alture sopra Arezzo, ha diritto a dirsi partigiano anche lui?
(Risposta) Pieno diritto, caro Bellin. Può anche inoltrare domanda per una medaglia. Come lei saprà, un mese circa addietro, ovvero sessantacinque anni dopo i sedicenti fatti, il Presidente Napolitano ne appuntò una «al merito per la lotta antifascista» sul gonfalone della città di Bari. Pertanto dica pure a suo padre di farsi sotto: non è mai troppo tardi per entrare nel pantheon degli eroici combattenti per la libertà. Visto che siamo in argomento vorrei rettificare una mia inesattezza. Scrissi, è vero, che l’unico gesto di Oscar Luigi Scalfaro riconducibile alla Resistenza fu quello di ospitare un drappello di partigiani in un locale della Azione Cattolica. Non è così o quanto meno non solo così. Grazie a Pierangelo Maurizio e Giorgio Mulè, autori di un servizio televisivo andato in onda su Kosmos, Rete 4, ho appreso che di ben altro pondo fu il suo contributo alla lotta antifascista. L’onorario presidente ha rivelato infatti che subito dopo la fine della guerra si ritrovò ad essere «consulente tecnico-giuridico» dei «tribunali militari dei partigiani». Per la verità non erano tribunali, ma anticamere di mattatoi: l’imputato non aveva diritto alla difesa, non poteva nemmeno prendere la parola. Giorgio Bocca assicura che con giudizio sommario - il dibattimento durava in media una decina di minuti - furono mandati a morte tra i 12 e i 15mila «nemici del popolo». Secondo Giorgio Pisanò furono non meno di 40mila. Ecco dunque qual è l’apporto di Scalfaro alla lotta di Liberazione: l’aver dato il proprio contributo tecnico e giuridico a quella bella prova di giustizia partigiana. Una giustizia così schifosa, così ripugnante da indurre il Comando Alleato ad ordinare (comandavano loro, gli Alleati, non i «liberatori» del Cln) che quelle corti cessassero l’attività e venissero sostituite con regolari Corte d’Assise.
Il reclutamento di quanti avrebbero dovuto comporle - tutti volontari - andò però a rilento: per ancora sei mesi la Corte avrebbe applicato infatti il Codice di guerra che prevedeva la pena di morte ed erano pochi i magistrati disposti a seguitare, seppure con tutti i crismi della legalità, la mattanza. Si ricorse così agli incentivi, sottoforma di consistenti scatti di carriera. Difficile credere che ciò influenzò la scelta di Oscar Luigi Scalfaro: troppo saldo è il suo senso morale e civile per decidere in base al personale tornaconto. Probabilmente giocò, nella sua scelta, la fruttuosa esperienza coi tribunali del popolo. Fatto sta che si ritrovò Pubblico ministero presso la Corte Straordinaria di Assise di Novara. E in quel ruolo chiese ed ottenne la pena capitale - fucilazione - per sei disgraziati colpevoli di «collaborazione con il tedesco invasore». Sei. Che all’alba del giorno venuto - 28 giugno 1945 - andò ad abbracciare, uno per uno. In quanto, racconta, ci aveva un magone grosso così. Avrebbe avuto tre buoni motivi per non farselo venire: rifiutando di far parte di quella Corte, non richiedendo la pena di morte o trovando un cavillo - figurarsi se mancava - per protrarre la sentenza in attesa che di lì a qualche settimana decadesse il Codice di guerra. Ma lui, niente. Al muro, tutti e sei. Diverso tempo dopo la figlia di uno dei condannati a morte gli scrisse chiedendogli: ma mio padre era davvero colpevole? E Scalfaro le rispose: «Stia tranquilla, perch´ suo padre dal Paradiso pregherà per lei». Capito caro Bellin? Roba che ti vien voglia di passare coi talebani. (Paolo Granzotto)
(Fonte: “Il Giornale” - 21 Ottobre 2006)

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