giovedì 11 dicembre 2008



Piloton di Montorio veronese

Sulla dorsale a nord del Castello di Montorio, dopo il Forte Austriaco in direzione di San Fidenzio sulla strada detta appunto della Preafita, esiste una curiosa pietra fitta, di cui nessuno sa e l’origine ne tanto meno l’uso. La costruzione di megaliti (la parola deriva dal greco, e vuoi dire “grosse pietre”) iniziò dopo la scoperta dell’agricoltura; quel termine viene impiegato per definire qualsiasi struttura architettonica costituita da grandi massi.

I betili sono il tipo più semplice di megalito. Il loro nome deriva forse dall’ebraico beth ‘EI, che significa “casa di Dio”; questo termine è valido per l’area mediterranea, mentre nei paesi atlantici e baltici i betili vengono chiamati con la parola bretone menhir (che significa “pietra lunga”).

Per l’uomo primitivo il betilo era una pietra sacra: egli pensava che fosse animata di vita divina e che talvolta impersonasse il Dio stesso. Oggi, è accertato che attorno al betilo si svolgevano cerimonie a sfondo magico-religioso rivolte anche a favorire la fertilità sia umana che della terra (maschio-femmina, seme-terra, sole-luna), come se nella pietra si celasse uno spirito fecondatore.

I betili sono pietre a forma allungata di varia grandezza, grezze o parzialmente scolpite. Rappresentano il corpo umano o i suoi elementi sessuali sia maschili che femminili.

La forma del betilo suggerisce: per quello maschile la forma del fallo; quello femminile reca scolpite delle mammelle sia in rilievo e sia in negativa a forma di coppe. In queste ultime, i “primitivi” attuali inseriscono delle palle di grasso, che con il calore del Sole si sciolgono e ungono la pietra. Spesso il betilo tende ad un colore particolare: il rosso o il bianco.

Secondo la tradizione il colore rosso indicava il vigore solare associato all’ energia maschile, mentre il bianco simboleggiava la forza lunare racchiusa nella fertilità femminile. Infatti il Sole è l’astro che dà forza e calore a tutte le creature della Terra, mentre la Luna influenza la germinazione delle piante e la rugiada notturna le mantiene in vita nei periodi di siccità.

Tra l’altro, gli uomini di quel tempo dovevano aver colto la corrispondenza dei cicli fecondativi della donna con quelli lunari.

Queste pietre più o meno grandi venivano conficcate verticalmente sul terreno e pertanto oggi vengono chiamate “pietre fitte”, o “pietre dritte” e sono ancora considerate elementi sacri in molte aree.

La più antica testimonianza scritta della presenza di betili la troviamo nella Bibbia: «Giacobbe giunse a Caran e passò la notte, prese una delle pietre del posto e la usò come guanciale e fece un sogno. Sognò una scala appoggiata sulla terra e la sua cima arrivava fino al cielo, gli angeli di Dio salivano e scendevano e il Signore stava sopra di essa… Svegliatosi dal sonno Giacobbe disse:”Veramente il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”… “Quanto è degno di venerazione questo luogo. Questo non è altro che la casa di Dio e la porta del cielo”… Quindi Giacobbe, prese la pietra che aveva usato come capezzale, la eresse in cippo e versò dell’olio sulla sua sommità, e dette a quel luogo il nome di Betel… ” E questa pietra che ho eretto in cippo diventerà la casa di Dio”» (Genesi, 28,10).

Queste poche righe ci spiegano la funzione del betilo che unisce la terra al cielo e su di esso stava il Dio, il luogo dove è collocato diventa sacro; perciò tutti i posti sacri devono possedere il betilo. Questo è confermato dalle popolazioni “primitive”, e non, tutti usiamo tuttora compiere riti religiosi attorno ai betili.

Il clero cristiano condannò il culto dei betili, ma visto che le forme repressive nei confronti del popolino pagano che adorava queste pietre davano modesti risultati, cercò il compromesso: le pietre sacre vennero “battezzate”, si diede loro il nome di una santa o di un santo, vi si scolpì o si pose sopra una croce e in alcuni casi vi si issarono sopra statue di santi.

La regione ricca di betili più vicina a noi è la Sardegna, ove i primi betili risalgono a circa 5000 anni fa (verso la fine del Neolitico).

In un primo momento venivano erette verticalmente pietre rozze nei luoghi sacri. Con l’Età del Rame i betili vengono sbozzati a colonna; nell’Età del Bronzo medio (circa 3300 anni fa) assumono caratteri sessuali più evidenti: i maschili con forme cilindriche con la sommità spianata o concava, i femminili con forme troncoconiche; trecento anni dopo i betili prendono forme antropomorfe. In epoca punica e romana vengono costruiti con forme più plastiche, presentandosi come colonne lisce e regolari, mentre i più piccoli recano a volte delle sculture, questo ci permette di ricostruire i riti che si svolgevano attorno ad essi.

Il folclore sardo è ancora legato alle pedras fittas o longa (i Sardi hanno adorato i betili almeno sino al papato di S. Gregorio Magno, 590-604), perciò possiamo comprendere più facilmente l’utilizzazione di tali pietre da parte dell’uomo e il significato rivestito da queste.

Nella tradizione orale i sardi associano ai betili figure mitiche oppure santi, o anche cattivi cristiani pietrificati.

Un nome ricorrente è quello di sa Perda de Luxia Rajosa (la Pietra di Lucia Radiosa), una fata o la santa martire siciliana che viene invocata per propiziare la fertilità e la vita.

Nel veronese la pietra fitta più curiosa si trova sulla dorsale a Ovest di Montorio a Nord del Forte Austriaco sulla strada detta appunto della Preafita.

Oggi questo monolito colonnare in pietra bianca è ridotto di altezza, perchè mi è stato raccontato da una persona anziana del luogo, che fino a pochi anni fa nei pressi del Piloton esisteva un roccolo (di fatti la casa vicina si chiama Roccolo) e ai cacciatori dava fastidio il Piloton così alto e pensarono bene di abbassarlo con la mazza; i pezzi rotti si trovano attorno al Piloton.

Una domenica, il 13 maggio 1950, nel corso di una delle tante passeggiate archeologiche fatte con mio padre, ricordo bene, avevo 10 anni, venni issato sul Piloton sul quale notai un avvallamento con infisso un moncone di ferro, forse la base di una croce. Poi misurammo il monolito: era alto 3,20 m sul terreno, la circonferenza alla base era di 2,05 m e alla sommità di l,80 m.

Data la forma regolare, mio padre ritenne trattarsi di un betilo di età romana, quando si associavano le pietre termini che delimitavano i confini con il culto al Dio Termine. Infatti un toponimo del luogo era Terminon; qui, durante il Regno Lombardo Veneto, tra l’altro si incontravano i confini dei Comuni di Poiano, S. Maria in Stelle, Montorio e Castel S. Felice.

L’anno dopo Umberto Grancelli grande amico di mio padre - scrisse sul “L’Arena”, In Valpantena scoperto un menhir e lo classificò di età romana.

All’inizio del 1977 mi recai alle case Praele (a Nord-Est di Novaglie), e a una vecchietta del luogo chiesi se aveva da raccontarmi alcune storielle del posto. Per quanto riguarda il Piloton mi raccontò che i suoi nonni appoggiavano l’ orecchio al Piloton e sentivano il rumore del mare o quello dei cavalli in corsa.

In primavera le ragazze dopo aver ascoltato la Messa a San Fidenzio, andavano al Piloton e appoggiavano l’orecchio per sentire se entro l’anno incontravano il fidanzato.

E ridendo mi raccontò che l’uomo che sta guidando il trattore si chiama Giorgetto e da bambino passava sempre alla larga del Piloton perchè ai bambini bugiardi il Piloton li avrebbe schiacciati con il suo peso.

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