Come ampiamente dimostrato da Eliade, lo stesso atto della fondazione di edifici, templi, città, rappresentava, presso le società tradizionali, una ripetizione della cosmogonia primordiale, in una sorta di palingenesi cosmica riportata sul piano terrestre. E così, ogni edificio o spazio sacro costituiva lo specchio di qualcosa che risiedeva nel cielo. Le città babilonesi avevano il loro archetipo fra le stelle: Sippar nella costellazione del Cancro; Ninive nell’Orsa Maggiore, Assur in Arturo. Nota Pietro Mander:
Ogni città sumerica era — rispetto alla divinità che ne era padrona e patrona — una città santa. Se ora, con uno sforzo immaginativo, proviamo a figurarci il Paese di Sumer, lo vedremmo dall’alto come un cielo stellato in terra, o, meglio, come la proiezione in terra del cielo stellato, in cui ogni città, con il suo santuario cittadino, ci appare come una stella. Ma questo non è un volo della fantasia, bensì la concezione sumerica del territorio di Sumer.
La lezione fu ben imparata, se anche il Tempio di Gerusalemme, a detta di Flavio Giuseppe, faceva corrispondere alle sue tre parti le tre regioni cosmiche: il cortile rappresentava il “mare”, ossia le regioni infere; la santa casa rappresentava la terra e il santo dei santi il cielo; le dodici parti che si trovavano sulla tavola erano i dodici mesi dell’anno: i sette bracci dei dieci candelabri rappresentavano i Decani. Fondando il Tempio “non si costruiva solamente il mondo, ma anche il tempo cosmico”."
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