giovedì 31 gennaio 2013
Scoperto a Trieste il più antico accampamento romano
La notizia e di qualche settimana ed è sorprendente che tutt'ora riusciamo a trovare testimonianze così vive che ci riportano ai primi insediamenti romani nell'area della X° Regio.
Il castrum, che potrebbe essere quello descritto da Tito Livio, è stato individuato un team di ricercatori italiani grazie a un telerilevamento laser
di Alice Danti
Ricostruzione del castrum individuato vicino Trieste di Guido Zanettini
Il modello digitale
La pianta dell'accampamento romano: si tratta di un modello digitale del terreno (DTM) ottenuto tramite l'elaborazione di dati LiDAR acquisiti da elicottero. L'area su cui sorge l'accampamento è completamente ricoperta da un bosco e le strutture, da terra, sono quasi invisibili. Nelle immagini derivate dai dati LiDAR si vedono due strutture fortificate di forma rettangolare: la più grande, che misura 165 m x 134 m, orientata perfettamente N-S, potrebbe essere la più antica, riferibile alla terza guerra istrica (178-177 a.C.). La più piccola, le cui dimensioni sono 100 m x 43 m, è all'inteno della precedente ma ha un'orientazione un po' diversa. Al suo interno sono state trovati frammenti di anfore repubblicane.
Vedi anche
Ai confini dell’ImperoL'archeologia 2.0 a portata di manoSandali e scarpe dell'antica Roma ritrovati in Scozia
Il più antico castrum romano è stato scoperto non lontano da Trieste da un team di ricercatori italiani: secondo gli studiosi potrebbe essere quello descritto da Tito Livio in uno dei capitoli della sua raccolta Ab Urbe Condita.
L’accampamento è stato individuato grazie alla rielaborazione dei dati Lidar acquisiti a bordo di un elicottero, e se le future prospezioni geofisiche e gli scavi dovessero confermare le prime ipotesi degli studiosi, il forte triestino sarebbe con ogni probabilità più antico di almeno 100 anni dell’accampamento romano finora ritenuto il più antico: quello identificato nel 2012 a Hermeskeil, in Germania, e riferibile alle guerre galliche.
Indagini ad alta quota
Il LiDAR (light detection and raging) è una tecnica di telerilevamento che grazie all’uso di un fascio laser, montato su un elicottero o un aereo, permette di ottenere delle mappe altimetriche tridimensionali del terreno anche attraverso la copertura degli alberi. In questo studio gli archeologi hanno utilizzato i dati che la Protezione Civile della Regione Friuli Venezia Giulia ha acquisito nel corso degli anni per il monitoraggio ambientale, rielaborandoli con dei software appositamente dedicati al rilevamento archeologico.
Già nei primi anni del Novecento uno studioso aveva segnalato l’esistenza di una doppia cerchia muraria sul Monte Grociana, a pochi chilometri da Trieste, ma attualmente le strutture descritte non erano più visibili visto che l’area è ricoperta da una fitta boscaglia.
Federico Bernardini, archeologo del Centro di fisica sperimentale Abdus Salam di Trieste (ICTP), nonché uno degli autori dell’articolo pubblicato sul Journal of Archaeological Science, racconta che “la scoperta è avvenuta quasi per caso, inaspettatamente. Quando abbiamo iniziato ad analizzare i dati ottenuti con il LiDAR in realtà ci aspettavamo di trovare i resti del castelliere dell’Età del Bronzo descritto da Marchesetti nel 1903, cioè di un piccolo villaggio fortificato a pianta circolare; invece è apparsa una struttura rettangolare molto grande che, vista la sua forma regolare, non poteva essere di certo protostorica”. La struttura individuata è infatti costituita da una doppia cerchia muraria di forma rettangolare: quella esterna, orientata nord-sud, ne contiene una più piccola orientata in maniera leggermente diversa (vedi immagine a destra).
L’origine romana della struttura è stata poi confermata da una successiva ricognizione archeologica del sito che ha portato alla luce alcuni frammenti di orli di anfore. I due frammenti ceramici sono stati sottoposti ad una microtomografia computerizzata a raggi X, in modo da ottenere una dettagliata ricostruzione virtuale del profilo che ne consentisse una datazione precisa su base tipologica. Sulla base dei profili ottenuti presso il Laboratorio multidisciplinare dell’ICTP, entrambi i frammenti sono risultati appartenere ad una tipologia di anfore diffuse tra la fine del II secolo a.C e l’inizio del I.
La conferma nelle fonti storiche e nei reperti
Come racconta Tito Livio nelle sue cronache Ab Urbe Condita, durante la prima fase della terza guerra contro gli Istri la flotta romana si sarebbe mossa dal Lacus Timavi, cioè il mare di fronte a Monfalcone, per dirigersi verso il primo porto delle coste istriane. Da lì due legioni consolari si sarebbero accampate più all’interno, a circa sette chilometri dalle navi.
Così, sulla base della posizione geografica - il monte Grociana si trova proprio a 7 chilometri dall’antico porto di Stramare, uno dei primi approdi della regione istriana - delle fonti letterarie e dei reperti ceramici, secondo gli archeologi l’antico castrum coinciderebbe proprio con l'accampamento descritto da Tito Livio, e sarebbe quindi stato costruito durante le guerre contro Istri e Carni, iniziate nel 181 a.C. con la fondazione di Aquileia e conclusesi nel 177 a.C. con la definitiva conquista dell’Istria.
Archeologia del futuro
Per Bernardini, lo studio delle immagini LiDAR ha permesso inoltre la scoperta di molti più siti - tra cui tumuli funerari, fortificazioni e terrazzamenti agricoli che vanno dalla preistoria all’età romana - di quanti non siano stati individuati in anni di indagini archeologiche sul campo.
“Il nostro studio, oltre ad aver individuato uno degli accampamenti romani più antichi, conferma che il LiDAR è una delle tecniche di indagine archeologica più promettenti per il futuro. Questa tecnologia infatti consente di vedere le strutture sepolto nel sottosuolo anche al di sotto della copertura arborea e con un risoluzione centimetrica”.(22 gennaio 2013) © RIPRODUZIONE RISERVATAarcheologia, antichi romani, tecnologia
nel pdl la mignotta non manca mai
Liste PDL da vomito. Ci sono almeno 10 mignotte. Parola di Feltri
Le olgettine di Silvio
"Le liste del Pdl mi fanno venire i conati di vomito, Berlusconi ha ricandidato i soliti, mi sono saltati agli occhi i nomi di una decina di mignotte”. Lo dichiara Vittorio Feltri ai microfoni de “La Zanzara”, su Radio24. “Sono operazioni incomprensibili” – continua l’editorialista de “Il Giornale” – “Ad esempio, mettere la Polverini nel Lazio che fa perdere i voti per la vicenda Fiorito. Ma non potevano metterla da un’altra parte, magari in Trentino?”. E aggiunge: “La Polverini è un respingente, perché quella storia dei soldi ha indignato tutti. Poi certe persone che volevano andare con Monti, vedi la Roccella, sono state ricandidate e premiate”. Riguardo alla mignottocrazia, Feltri afferma: “Non siamo mica nati ieri e sappiamo che Berlusconi ha candidato di nuovo delle mignotte, intese come persone che si adattano a fare qualsiasi cosa, che fanno quegli esercizi che non sono titolo di merito. Non è che se io faccio una scopata allora merito un aumento di stipendio“.
mercoledì 30 gennaio 2013
la Chiesa in Argentina aiutò i carnefici
Desaparecidos: la Chiesa in Argentina aiutò i carnefici
Scritto il 07/8/12 • nella Categoria: segnalazioni
Una vera e propria valanga di dichiarazioni è uscita dalla bocca dell’ex dittatore Jorge Videla durante gli ultimi interrogatori. Le informazioni ricavate hanno messo fine ad un lungo dibattito sui modelli di transizione dal regime alla democrazia in Argentina, durante l’ultimo periodo della dittatura militare. In molti nello Stato del Sud America criticavano la riapertura dei processi per crimini contro l’umanità, sostenendo che l’obiettivo di giungere ad una condanna penale rischiava di ostacolare il raggiungimento della verità. Gli stessi esaltavano, invece, il modello sudafricano consistente nell’ottenere informazioni in cambio dell’impunità. Ciononostante, in Argentina, sono già state pronunciate oltre 250 sentenze di condanna al termine di processi che hanno garantito tutti i diritti alla difesa, tanto che vi sono state anche due dozzine di sentenze di assoluzione. Il flusso di informazioni, però, non solo non si è arrestato, ma è addirittura aumentato, portando a galla molte testimonianze e verità storiche.
Le successive confessioni del condannato Videla a diversi giornalisti che lo hanno intervistato in carcere hanno fatto luce sulla complicità con il regime dei grandi imprenditori, dei principali partiti politici e perfino della Chiesa Cattolica. Nell’ultima intervista, l’ex dittatore ha sostenuto che il nunzio apostolico Pio Laghi, l’ex presidente della Conferenza Episcopale Raul Primatesta e altri vescovi, hanno fornito al suo governo consigli su come gestire la situazione dei detenuti “desaparecidos”. Secondo quanto rivelato da Videla, la Chiesa si spinse addirittura ad “offrire i suoi buoni uffici” affinché il governo informasse della morte dei figli tutte le famiglie che si fossero impegnate a non rendere pubblica la notizia e smettere di protestare. Questo dimostra che la Chiesa non solo era a conoscenza dei crimini della dittatura militare, ma ne era addirittura complice; come risulta dai documenti segreti pubblicati in libri e articoli e la cui autenticità l’Episcopato è stato costretto a riconoscere dinanzi alla giustizia.
La prova di un coinvolgimento attivo dell’Episcopato per garantire il silenzio dei familiari delle vittime sembra ormai accertato. Lo stesso silenzio che la Chiesa aveva adottato sul caso desaparecidos. Videla ha dichiarato che, dal regime, non vennero fornite informazioni sui desaparecidos affinché nessuna madre si chiedesse “dove è sepolto mio figlio per portargli un fiore? Chi l’ha ucciso? Perché? Come l’hanno ucciso? A nessuna di queste domande fu data risposta”. Il ragionamento fu lo stesso che Videla fece il 10 aprile 1978, nel corso di un cordiale pranzo alla presenza della commissione esecutiva dell’Episcopato. Secondo la nota informativa inviata dai vescovi al Vaticano, Videla aveva detto loro che «sarebbe ovvio» affermare che nessuno è desaparecido, che «sono morti», ma che una tale affermazione avrebbe «alimentato una serie di domande sul luogo della sepoltura. Era forse una fossa comune? E in tal caso: chi li ha messi in questa fossa? Insomma, una serie di domande alle quali il governo non poteva rispondere sinceramente per le conseguenze a carico di alcune persone», vale a dire per proteggere i sequestratori e gli assassini.
«Il primo ufficiale che ha confessato la partecipazione personale al massacro, il capitano della Marina Adolfo Scilingo, mi raccontò che quando il comandante delle Operazioni Navali lo aveva informato che i prigionieri sarebbero stati gettati in mare dagli aerei, gli aveva anche detto che si erano consultati con le autorità ecclesiastiche per trovare la soluzione più cristiana e meno violenta. Quando tornò turbato dal primo volo e si rivolse al cappellano della sua unità militare, il sacerdote lo tranquillizzò raccontandogli alcune parabole bibliche. Disse che era una morte cristiana perché non avevano sofferto», dichiara il giornalista Jacobo Timerman.
Nel corso del primo processo contro esponenti della giunta militare, lo stesso Timerman raccontò che quando aveva chiesto per quale ragione non avevano applicato apertamente la pena di morte, uno degli ufficiali più alti in grado della Marina gli aveva risposto: «In questo caso sarebbe intervenuto il Papa e sarebbe stato difficile fucilare i detenuti se il Pontefice avesse fatto pressione». Il generale Ramon Diaz Bessone diede la medesima spiegazione alla giornalista francese Marie-Monique Robin: «Pensate alle pesanti critiche rivolte dal Papa a Franco nel 1975 per la fucilazione di appena tre persone. A noi ci sarebbe saltato addosso tutto il mondo. Non sarebbe stato possibile fucilare 7000 persone». Questo spiega perché, fino ad oggi, la Chiesa non ha scomunicato Videla e nessuno degli altri condannati, tra i quali il sacerdote cattolico Christian Von Wernich.
(Luca Michetti, “Argentina, l’ex dittatore Videla confessa: la Chiesa aiutò il regime con i desaparecidos”, dal newsmagazine “You-ng” del 3 agosto 2012, ripreso da “Megachip”).
Ricorre oggi l'uccisione della Grande Anima
Ricorre il 30 gennaio l'anniversario della morte di Mohandas Gandhi.
Nel ricordare Gandhi con inestinguibile e vieppiù crescente gratitudine, ancora una volta affermiamo con profonda persuasione l'evidenza di questa verità: che solo la nonviolenza può salvare l'umanità.
La nonviolenza è l'unica forma adeguata e coerente di opposizione al razzismo e al maschilismo; è l'unica forma adeguata e coerente di opposizione a sfruttamento, inquinamento e guerra. Il concetto di nonviolenza e' sinonimo di antitotalitarismo e di antibarbarie. Nonviolenza è forza della verità, rispetto per la vita, impegno concreto per la convivenza e la liberazione comune.
Domande a Napolitano da Marcello Veneziani
3 domande di Marcello Veneziani sul Giornale di oggi al presidente Napolitano
3 domande di Marcello Veneziani sul Giornale di oggi al presidente Napolitano sul suo vibrante discorso sul Fascismo e l' antisemitismo....
La prima. Sapeva che il presidente dell' infame tribunale della razza,nonché firmatario del manifesto della razza, Gaetano Azzariti, divento' il piu' stretto collaboratore del suo leader Togliatti al ministero di grazia e giustizia,dopo essere stato guardasigilli con Badoglio? Avete mai avuto nulla da ridire, lei ed il suo partito,sul fatto che poi,grazie e questi precedenti, lo stesso Azzariti sia diventato presidente della corte costituzionale fino alla sua morte nel 1961?
La seconda.. Sapeva che il primo concordato tra lo stato Italiano e gli ebrei fu fatto nel 1930 dal regime fascista? una commissione composta da tre rappresentanti degli ebrei e tre giuristi varo' un concordato in cui,scrive De Felice,"il governo fascista accetto' pressoche' in toto il punto di vista ebraico". Il presidente del consorzio ebraico,Angelo Sereni,telegrafo' a Mussolini " la vivissima riconoscenza degli ebrei italiani" e sulla rivista ebraica ISRAEL Angelo Sacerdoti defini' la nuova legge " la migliore di quelle emanate in altri stati"
Terza domanda. Presidente Napolitano, ha mai detto e scritto qualcosa sulle centinaia di italiani,comunisti,antifascisti e a volte anche ebrei, che fuggirono dall' Italia fascista e furono uccisi nella Russia comunista con l' avallo del suo partito, il sullodato Togliatti? In Italia, persino sotto il Duce, avrebbero avuto una sorte migliore....
Ecco Napolitano
RENDETEVI CONTO QUANTO NAPOLITANO SIA MORALMENTE SPORCO E FALSO !
QUI LO VEDIAMO A CAPO DEI GRUPPI UNIVERSITARI FASCISTI DI NAPOLI !!
SI, E' PROPRIO NAPOLITANO QUELLO CHE VEDETE INDICATO DALLA FRECCIA, LO STESSO CHE HA DETTO CHE IL FASCISMO E' ABERRAZIONE !!!
Giorgio Napolitano un ammasso di bugie e contraddizioni
Proprio lui il presidente di questa povera Italia, quante parole a vanvera, retoriche e colme di ipocrisia e opportunismo politico, sei solo un uomo vecchio dato che in questi anni non hai mai coltivato la saggezza, mi vergogno di avere un presidente del genere.
Ecco le parole sull'Operazione Barbarossa (in tedesco Unternehmen Barbarossa) è stata la denominazione in codice tedesca per l'invasione dell'Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale; tale nome fu ispirato dalle gesta dell'imperatore Federico Barbarossa.
GIORGIO NAPOLITANO: «L'Operazione Barbarossa civilizza i popoli slavi: dato che il nostro sicuro Alleato [è] lanciato alla conquista della Russia vi è la necessità assoluta di un corpo di spedizione italiano per affiancare il titanico sforzo bellico tedesco, allo scopo di far prevalere i valori della Civiltà e dei popoli d'Occidente sulla barbarie dei territori orientali.» (Giorgio Napolitano - "BO' ", Luglio 1941, giorn. univ. del GUF di Padova)
lunedì 28 gennaio 2013
Comincia oggi il giubileo hindu
Comincia oggi il giubileo hindu
Circa 10 milioni di fedeli indu’ sono attesi al ‘Maha Kumbh Mela’, un grande raduno religioso che si svolge ogni 12 anni nello stato dell’Uttar Pradesh, alla confluenza dei fiumi sacri Gange e Yamuna e del mitologico Saraswati. Lo riferiscono oggi i media locali. Il gigantesco happening e’ iniziato all’alba con il primo bagno rituale in occasione del ‘Maga Sangranti’, celebrazione che indica il passaggio del sole nella costellazione del Capricorno. Si concludera’ il 10 marzo. Le autorita’ della citta’ di Allahabad hanno dispiegato migliaia di poliziotti e volontari per prevenire attentati terroristici e incidenti dovuti al sovraffollamento, come spesso capita in questi eventi. Gli organizzatori si aspettano un aumento del 10% di pellegrini rispetto all’altro raduno del 2001. Ma, come scrice oggi il Times of India, le strutture di accoglienza non sono ancora pronte e sarebbero sorti anche problemi sanitari tra coloro che sono accampati nelle tende.
(ANSA).
L'abbazia di Quin
L'abbazia di Quin (Co. Clare, Eire), che si trova a soli 8 km fuori Ennis, è stato costruita nel XV secolo, secondo la tradizione monastica dei Francescani Irlandesi. I Padri Purcell e Mooney, dopo aver preso i voti sotto l'Ordine di San Francesco, avevano come obiettivo, quello di fondare monasteri francescani in tutta l'Irlanda, e il luogo in cui è stato finalmente costruito Quin sembrava perfetto per questo scopo. Il luogo scelto apparve da subito ideale, in quanto si trova vicino a un fiume e sulla strada principale che collega Limerick a Galway, il che fornisce un facile accesso sia per il trasporto che per il commercio. L'abbazia di Quin fu eretta all'inizio di questo periodo di attività costruttiva, tra l'anno 1402 e 1433. Originalmente, un monastero fu fondato a Quin molto tempo prima, ma andò bruciato nel 1278. Dopo l'incendio, Thomas DeClare, un comandante normanno, costruì un castello fortificato sulle rovine, pensando che fosse indispensabile edificare una fortezza in un punto così strategico.
DeClare pensava che un caposaldo in quel punto, condividendo l'idea dei Padri Purcell e Mooney, fosse fondamentale per una futura espansione territoriale verso Ovest. Il Castello fortificato fu costruito con enormi torri rotonde, le cui rovine si possono ancora ammirare. Il castello venne successivamente abbandonato, e il clan MacNamara eresse una nuova chiesa sulle sue rovine,a partire dall'anno 1350, usando le mura a Sud del castello di DeClare per costruire la chiesa con orientamento da Est a Ovest. A nord della chiesa sorge una sacrestia e gli alloggi per il clero.
Questa chiesa comunque, non durò molto, e nel 1402 Sioda Cam MacNamara cominciò a costruire il chiostro principale dell'attuale abbazia per il frati francescani. Una vecchia storia narra che, diversi anni prima, il figlio di MacNamara cadde nel fiume Ryan mentre giocava vicino alle rovine del castello. Secondo il racconto, MacNamara fece voto a Dio che se Egli avesse risparmiato la vita di suo figlio, avrebbe compiuto una buona azione per la Chiesa. Pertanto, quando suo figlio sopravvisse all'incidente, decise di edificare l'abbazia sulle rovine del vecchio castello. Nel 1430, con l'approssimarsi della fine dei lavori, Mahon MacNamara aggiunse il campanile e la Cappella della Madonna. La costruzione venne completata nel 1433, e da quel momento i frati sono stati incoraggiati a insediarsi nella zona, e venne concessa loro la licenza a vivere lì. Non vi sono notizie certe del monastero per i successivi cento anni, quindi si presume che i frati vivessero le loro esistenze tranquillamente e pacificamente. Il folklore locale racconta che ogni sera, durante questo periodo, alcuni frati scendevano in un luogo chiamato Ardsolas, "Il Tumulo di Luce", e accendevano un faro per i viaggiatori che attraversavano il fiume.
Durante la Riforma Inglese nel 1541, il monastero fu confiscato da Enrico VIII, e parte dei terreni appartenenti alla chiesa fu concesso a qualsiasi capitano fosse disposto a pagare l'altissimo prezzo imposto dal Re per quelle terre. Questo nuovo sistema di possesso individuale è drasticamente differente dal tradizionale possesso "in cooproprietà" del vecchio Clan. Il "miglior offerente" per Quin fu Conor O'Brien, Earl di Thomond, che lasciò andare in rovina l'edificio. Mantenne il possesso dell'abbazia solo fino al 1584, quando venne attaccato da Donnchadh O'Brien. Donnchadh sconfisse Conor, ma la sua vittoria fu di breve durata, fino a che le truppe inglesi furono inviate a riprendere l'abbazia. Sebbene Elisabetta I abbia perdonato questo attacco, gli Inglesi in Irlanda sapevano che non potevano permettersi di lasciare correre episodi del genere, e decisero di punire Donnchadh appendendolo ancora vivo al campanileMolte riparazioni dovettero essere fatte all'abbazia, e gli Inglesi rimasero in forze a Quin fino a quando la minaccia di un nuovo attacco non fosse stato ridotta al minimo. Successivamente i MacNamara riacquistarono il controllo dell'abbazia e, con l'aiuto dei nuovi frati, intrapresero le necessarie riparazioni che Conor O'Brien e gli inglesi avevano trascurato. Dal 1641 in poi, nel monastero venne aperta una scuola che serviva quasi 800 studenti. Quando però arrivò Cromwell, dieci anni più tardi, i frati vennero tutti messi a morte e il monastero distrutto e profanato. Diciannove anni più tardi, l'abbazia è stata restaurata e restituita ai frati ancora una volta, ma pochi di loro sono tornati a Quin questa volta. I frati andariono e venirono per alcuni anni, fino al 1691, quando l'esercito Irlandese sconfitto si ritirò fin sotto le mura del monastero. I frati mantennero il loro legame con il monastero fino al 1760, quando furono espulsi. Tuttavia, il frate John Hogan rimase dentro le rovine del castello fino alla sua morte nel 1820. Il frate soggiornò nell’ abbazia, rimanendone a guardia per diversi anni, e quando non è stato nominato successore dopo la sua morte, la storia dei frati dell’Abbazia di Quin ebbe fine.
McGlen's Mysteries: Quinn's Abbey
Dove esiste il malaffare il Vaticano non manca mai
Ecco le "forze" politiche ed economiche che intervengono nella scelta dei consiglieri del Monte dei Paschi di Siena legati a precise forze politico religiose.
I membri del consiglio vengono scelti non sulla base di una competenza tecnica bancaria rigorosa bensì secondo i seguenti canoni, noti, conosciuti e accettati da tutti, 16 consiglieri vengono eletti dal sindaco di Siena, attualmente un burocrate funzionario del PD, nei 25 anni precedenti un burocrate del PDS e del PCI; 10 membri vengono scelti da un “consorzio locale di imprenditori” che altro non è che il gruppo di tre logge massoniche senesi, una delle quali molto nota per essere stata molto vicina a quella del grossetano Licio Gelli; infine 2 consiglieri che operano anche come arbitri interni, scelti ed eletti dal Vaticano, uno di provenienza Ior e l’altro di provenienza territoriale cattolica confessionale, cosiddetti “azionisti curiali”.
Questo non è uno scoop, magari lo fosse!
Questo è il segreto di Pulcinella.
Il potere e le reliquie
Riporto le parole di Wikipedia che sottolineano le "manie" di Hitler verso una particolare reliquia, la Lancia di Longino. Chi studia la storia è a conoscenza che da sempre, il potere politico ha cercato ed usufruito del presunto potere delle reliquie in maniera convulsa ed esoterica. Anche la tradizione Islamica non ne è immune, anche se in netta conntradizione con gli insegnamente coranici. Si arriva anche a santificare le impronte che la tradizione islamica attribuisce al Profeta Muḥammad, sono numerose. La più celebre è l’impronta conservata a Gerusalemme nella Cupola della Roccia (Qubbat al-Ṣakhra), prodottasi miracolosamente in occasione del viaggio celeste del Profeta, il mi‘rāj. Essa si trova attualmente nell’angolo sud-ovest della Roccia, dentro a un reliquiario
. Altre impronte sono conservate a Ṭā’if in Arabia
Saudita sul monte Abū Zubaydah, una al Cairo nel mausoleo di Qā’it
Bay, una a Tanta, nel delta egiziano, custodita all’interno del mausoleo
del celebre sufi Aḥmad al-Badawī (m. 1260), e una nella Masjid alAqdām a sud di Damasco
30
. Nella moschea al-Karimiyya ad Aleppo,
un’impronta attribuita al Profeta è posizionata in senso verticale, in modo da permettere a dell’acqua di percorrerne la superficie, prima di esser
raccolta in un bicchiere, pronta per essere bevuta, nella ricerca della benedizione che ne deriva. Due impronte sono custodite nel palazzo Topkapi a Istanbul, assieme ad un gran numero di reliquie attribuite al Profeta, che i governanti islamici si sono tramandate attraverso
la storia come segno di religiosità e potere.
Oggetti appartenuti a Maometto al Museo del Topkapi ad istambul.
domenica 27 gennaio 2013
La reliquia di maometto: il pelo
davanti al santuario di Hazrat Bal dove all'interno si trova il veneratissimo pelo presunto appartenere a Maometto.
Come ogni anno, a Srinagar in India (cashemire), il giorno del Mouloud (la commemorazione della nascita di Maometto) le folle di credenti musulmani si prosternano davanti a ciò che dicono di essere il pelo (della barba) del loro profeta.
Dopo il raccoglimento viene la rabbia: dei musulmani brandiscono e gridano degli slogan islamici
Nel 1964, il pelo presunto appartenere al profeta dei musulmani era stato rubato nel santuario musulmano di Hazrat Bal a Srinagar nel Cachemire sotto amministrazione indiana.
Ciò aveva causato sommosse generalizzate su tutto il territorio contestato, poiché numerosi musulmani credevano che le autorità indiane, che sono per la maggior parte indù, avevano orchestrato il furto della reliquia.
Le violenze che seguirono durarono molti mesi e si diffusero su tutta la regione fino a che il pelo riappare finalmente, senza che non sia mai stabilito chi lo avesse rubato. Alcuni giorni più tardi,ci furono altre violenze quando un uomo politico indiano mise in dubbio l' autenticità della reliquia.
Sentendo anche altre punti di vista!
OLOCAUSTO
Quello che gli storici non dicono
La collaborazione tra nazisti ed organizzazioni ebraiche sioniste
e l'ipocrisia dell'occidente democratico
di Gianfredo Ruggiero
Nel sito di Excalibur è visionabile l'articolo completo con le note di approfondimento.
Nella drammatica vicenda della persecuzione hitleriana vi sono due aspetti poco noti e per nulla dibatuti, mi riferisco allattiva collaborazione tra regime nazista e organizzazione sioniste per agevolare il trasferimento degli ebrei tedeschi in Palestina e latteggiamento ipocrita dellOccidente che se da un lato esprimeva solidarietà agli ebrei vessati dai nazisti dallaltro si rifiutava di ospitarli.
Adolf Hitler fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per indurli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno allemigrazione. Questultimo aspetto rispecchiava lideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare.
Come risultato il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e lemigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41. Questa politica portò al cosiddetto Accordo di Trasferimento noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato allacquisto di attrezzi per lagricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.
A questo accordo tra governo tedesco e Mapaï, lantenato del partito Laburista israeliano, contribuirono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri israeliani David Ben-Gurion e Golda Meir.
Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre questa collaborazione è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sullaltra la stella di David.
Laltro aspetto poco approfondito riguarda il sostanziale rifiuto delle nazioni democratiche di accogliere nei loro confini i profughi ebrei. Atteggiamento confermato dal fallimento della conferenza di Evian del 1938 dove i trentadue due stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L'unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza abbandonandoli, di fatto, al loro destino.
Altra questione poco dibattuta riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dellesistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia.
Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosiddetti paladini della libertà?
Nel Giorno della Memoria esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici.
Gianfredo Ruggiero, presidente del Circolo Culturale Excalibur-Varese
medaglia commemorativa della collaborazione tra nazisti e organizzazioni ebraiche sioniste
Larticolo completo con gli approfondimenti e i relativi riferimenti storici è visionabile nel sito: excaliburitalia.wordpress.com
Non esiste un'astrologia giudaica
Non è mai esistita un'astrologia giudaica (alcuni, pochi, ottimi astrologi ebrei sì, viceversa - su tutti il grandissimo Ibn-Ezra). La ragione è facile da comprendere. Il monoteismo mosaico presupponeva-comportava l'eradicazione di tutti gli dei che risplendono negli enti di Madre Terra e dell'universo (di qualunque credenza in essi), A COMINCIARE dagli astri beati e scintillanti. Doveva troneggiare sinistro, su una natura resa cosa inanimata e infinitamente manipolabile, solo quel Monos, l'arconte senza volto e senza nome, inattingibile, alieno, il Super-Ego tirannico delle tribù israelitiche che aveva fin da subito posto, nella loro mitologia - nel loro delirio -, il mondo e i suoi viventi in pugno alle mani "elette", stringendo con esse un "Patto" indissolubile. Com'è noto gli akhûm, i non-ebrei, gli stranieri, i gentili, per il Talmud, che porta alle estreme conseguenze le premesse contenute nella Torah, non sono semplicemente sottouomini, ma bestie(1) - il loro seme e coito è bestiale(2), sicché nel Midrash Kohêleth può leggersi: "Il santo e benedetto Iddio ha detto: io non ho inviato alcun profeta agli idolatri, i quali sono chiamati bestiame, come (Giona 4,11) viene detto: inoltre anche molti animali, come io [ne] ho mandati agli Israeliti, i quali sono chiamati uomini, come (Ezechiele 34,31) è detto: voi [siete] uomini"(3). E la parola "akhûm" è costituita dalle iniziali delle espressioni "abhôdhath kôkhâbhîm ûmazzâlôth", "abhdehê kôkhâbhîm ûmazzâlôth", ovvero culto o adoratori delle stelle e delle costellazioni (= idoatria, idolatri)(4). Nessuna corrispondenza, nessun rapporto tra l'"alto" e il "basso", il cielo e la terra, se non per il tramite di qualche invasato mitomane o di operazioni (cabala et similia) volte, in ogni caso, alla manipolazione, al possesso radicale e al dominio dell'immanente, della morta gora mammonica. Nella quale, massimo loro "trionfo", siamo ormai tutti imprigionati e dannati, nessuno escluso.
NOTE
(1) Baba meçia,114b.
(2) Kethuboth, 3b, Tôsâphôt; Synhedrin, 74b, Tôsâphôt.
(3) Cfr. Andreas Eisenmenger, Entdektes Judentum. Zeitgemäss überarbeitet und herausgegeben von Dr. Franz Xaver Schieferl, Dresden 1893, p. 298.
(4) Cfr. D. Hoffman, Der Schulchan Aruch un die Rabbinen über das Verhältniss der Juden zu Andersgläubigen, Berlin 1885, pagg. 106 sgg.
sabato 26 gennaio 2013
Le velleità dello strapotere vaticano
Nacque così, alla fine del 1951, la famosissima casa discografica RCA controllata per il 90% dalla casa madre statunitense e per il 10% dal Vaticano tramite l'Istituto per le Opere di Religione (IOR): la prima ragione sociale dell'azienda era Radio e Televisione Italiana S.p.A. (RTI), che pochi mesi dopo fu cambiata definitivamente in RCA Italiana S.p.A..
Come presidente fu nominato il conte Enrico Pietro Galeazzi, (ingegnere dipendente del Vaticano, uomo di fiducia del Papa nonché amico di Francis J. Spellman, già potente vescovo di New York), mentre a capo della fabbrica di via Tiburtina fu posto l’ingegnere Antonio Giuseppe Biondo. Fino ad allora, l'unica fabbrica di dischi in Italia si trovava a Milano ed era di proprietà de La Voce del Padrone.
Il Vaticano voleva condizionare anche le scelte musicali del Nostro Paese. Volevano il controllo totale Bernabei alla TV, Andreotti alla censura e pretendevano anche di agire sui gusti musicali dei giovani.
Da Panorama.it
La canzone italiana? L'ha inventata il Vaticano
Uno stabilimento alle porte di Roma, gli uffici nei pressi di Villa Borghese e un parco artisti senza eguali: Morandi, Battisti, Baglioni, Cocciante e molti altri. Tutti i segreti della storica casa discografica, finanziata dagli americani ma voluta da Pio XII. Che in nome dell'hit parade benedisse anche la protesta dei nostri cantautori.
di Lorenza Foschini
L'uomo che inventò la parola cantautore regnò per oltre 30 anni sulla canzone per volere del Papa. Ennio Melis è stato padrone e signore della Rca, la succursale italiana della grande industria musicale americana che negli anni Cinquanta lanciò Rita Pavone e Gianni Morandi, Nico Fidenco, Edoardo Vianello, Gianni Meccia e Jimmy Fontana, e poi Lucio Battisti e Renato Zero, Paolo Conte e Patty Pravo, Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Claudio Baglioni, insomma i protagonisti della storia della musica leggera italiana.
Pochi sanno che il Vaticano ne conservò la presidenza dalla fondazione fino alla chiusura, una quindicina di anni fa (quando la casa discografica americana fu acquistata dal gruppo tedesco Bertelsmann). Oggi quella fabbrica, a Roma, al dodicesimo chilometro della Tiburtina, che vide nascere motivi meravigliosi, con sale di registrazione all'avanguardia per quei tempi (nello studio A, il più grande del mondo, Frank Sinatra, venne a registrare i suoi Caroselli per la Perugina), è un casermone fatiscente, un deposito di scatoloni pieni di vestiti scadenti. Eppure, resistono ancora i segni del suo glorioso passato: alle pareti favolose boiserie e tra i vetri rotti si intravedono le sale di regia. In un altro paese forse non sarebbe stato permesso questo oblio e la sede della Rca sarebbe, se non un museo, almeno una facoltà di musica.
«La storia» racconta Melis «comincia verso la fine del 1949 quando il cattolico Frank M. Folson, consigliere delegato della più grande azienda elettronica del mondo, la Rca, si reca in udienza dal Papa per consegnargli l'obolo di San Pietro. La società aveva inventato il televisore e vendeva migliaia di dischi. "Santità" gli chiede "posso fare qualcosa per Roma?". Gli risponde Eugenio Pacelli: "Voi avete bombardato l'Italia, ma anche Roma. Sono andato a San Lorenzo e ho visto il disastro che avete combinato. Se volete, costruite un'industria in quel quartiere". Folson tornato negli Stati Uniti chiama i suoi scagnozzi e gli chiede: "Cosa stiamo facendo in Italia?". "Stiamo costruendo una fabbrica di dischi a Milano, tutta l'industria discografica italiana si trova in quella città". "Fatela a Roma" ordinò e chiuse la discussione.
«Nel '51 la fabbrica venne costruita con l'intervento di tecnici statunitensi. Gli uffici erano in via Caccini, vicino a Villa Borghese. Il cast artistico non era male, c'erano Nilla Pizzi, Katyna Ranieri, Paolo Bacilieri e fra gli altri un giovane che si chiamava Domenico Modugno. Dopo poco, Folson telefonò al conte Enrico Pietro Galeazzi, che era il presidente della Rca Italia, per comunicargli che si doveva chiudere».
Galeazzi era l'uomo di fiducia del Papa, trattava tutti gli affari economici della Santa Sede, specialmente con gli americani. Era amico di Spellman, il potentissimo cardinale di New York.
Melis giovanissimo, dopo varie peripezie al seguito degli Alleati che lo avevano portato da Firenze a Roma, era diventato il suo segretario a 21 anni grazie a un annuncio letto sul Messaggero; nel corso dei nove anni passati in Vaticano si era conquistato sempre di più la fiducia del suo datore di lavoro. «Accompagnavo i giornalisti e i cineoperatori statunitensi che si recavano dal Papa, soprattutto a Castel Gandolfo» continua. «Una domenica il conte mi invita a caccia nella sua riserva. Durante una pausa chiacchierando gli dico: "Peccato che chiudono la Rca, al Papa dispiacerà". Galeazzi mi guarda e mi dice: "Melis, se ne vuole occupare lei?". Io rimango di stucco e lui: "Ci pensi un attimo". Il lunedì successivo ricapito a Castel Gandolfo per delle riprese. Quando gli operatori vanno via, mi avvicino al Papa per accomiatarmi e Pio XII mi dice: "Senta Melis, com'è questa storia della Rca?". Rispondo: "Non so, è un peccato se la chiudono". E lui: "Veda lei cosa si può fare". Pensai: "Se il Papa mi ci manda e poi le cose vanno male, qui mi riprenderanno!".
«Trovai una situazione tipicamente italiana: uffici lussuosi, molti posti di lavoro inutili, insomma spese superiori ai finanziamenti. Chiusi via Caccini e trasferii la parte amministrativa e artistica sulla Tiburtina. Presi una decisione molto dolorosa: licenziai 128 persone riassumendo personale nuovo in maniera oculata. I primi tempi furono duri. I dischi di Elvis Presley si vendevano così e così, ma uscì Harry Belafonte con Banana Boat che ci permise di respirare. Inoltre buttammo via i vecchi 78 giri e portammo tutta la produzione sul 45 giri che nasceva allora. Una decisione rischiosa, anche perché gli americani ci portarono delle presse riciclate che funzionavano male e i nostri rivenditori erano scettici su quei dischi così piccoli. Questo, invece, ci diede un grande vantaggio sugli altri.
«Incontrai un ragazzo con la chitarra, Nico Fidenco, che mi fece sentire per la prima volta Legata a un granello di sabbia. Lo presi subito e con lui Gianni Meccia, Jimmy Fontana, Edoardo Vianello: i quattro moschettieri li chiamavo. Un giorno Vincenzo Micocci, il direttore artistico, mi dice: "Questi cantano però sono anche autori" e io: "Chiamiamoli cantautori".
«Negli Stati Uniti quelli della Rca volevano che ci limitassimo a distribuire le incisioni americane e diedero battaglia. Arrivò un loro emissario che incominciò a controllare, a minacciare licenziamenti: alla fine fu licenziato lui. Un'altra volta mandarono uno molto legato all'ambiente cattolico. Alla fine si decise a mandare un telegramma negli Stati Uniti informandoli che bisognava impedire la pubblicazione di un disco perché conteneva propaganda comunista. Si trattava di una canzone di Nilla Pizzi che era stata in Russia, Dasvidania Mosca. La risposta fu: "Basta che venda". La verità era che cominciavamo a guadagnare, anche tanto, e per gli americani questo è sempre stato l'argomento più convincente.
«Ingrandimmo la fabbrica sulla Tiburtina. Accanto allo stabilimento dove si facevano le miscele di vinile costruimmo un campo di calcio. Morandi, Dalla, tanti altri dopo mangiato andavano a giocare a pallone.
«All'entrata degli studi c'era il bar, un porto di mare dove si poteva incontrare chiunque: Rita Pavone, Patty Pravo, Gabriella Ferri, Gino Paoli, Lucio Battisti, ma anche Pier Paolo Pasolini che parlava con Ennio Morricone o John Huston con Aurelio De Laurentiis, registi, ma anche grandi soprano, direttori d'orchestra, celebri solisti come Arthur Rubinstein. Questo grandissimo pianista in attesa di suonare Chopin si metteva seduto solo solo davanti a un tavolino su cui stendeva un tovagliolo bianco. Tirava fuori da una borsa un uovo alla coque e ci inzuppava un biscottino tranquillamente. Un giorno passò una ragazza di borgata che cercavamo di fare cantare, vide la scena e dandogli una manata sulla spalla gridò: "Nonnetto bravo che se magna l'ovetto!". Non dimenticherò mai la faccia di Rubinstein.
«A proposito di musica classica, noi innovammo completamente il mestiere di arrangiatore chiamando diplomati in conservatorio come Luis Bacalov ed Ennio Morricone. Nascono così i famosi arrangiamenti Rca, come l'introduzione di In ginocchio da te o la costruzione di un marchingegno da far rotolare in studio per Il barattolo di Meccia.
«Mi ricordo il primo incontro che ebbi con Antonello Venditti e Francesco De Gregori in un ristorante sulla Nomentana. Il terrore di Micocci che li aveva scoperti al Folkstudio era che quei due ragazzi colti, intelligenti, di sinistra, molto diversi dai soliti cantanti, potessero rifiutarsi di avere a che fare con un rappresentante di una multinazionale americana. Non fu così, dal ristorante passammo direttamente nel mio ufficio e firmammo i contratti.
«Non abbiamo mai fatto censure politiche. Il Vaticano, che aveva la presidenza, possedeva solo il 10 per cento di capitale sociale e non ha mai interferito. Ha telefonato qualche prelato per raccomandare un cantante e io gli dicevo: "Monsignore, se volete dargli una mano, fate comprare 10 mila copie del suo disco". Ho saputo molti anni dopo che qualcuno segnalò agli americani la nostra disinvoltura nei riguardi della politica e che un uomo della Cia fu spedito in Italia per controllarci!
«Ho passato ore fuori dal lavoro a chiacchierare con Paoli, Cocciante, Dalla. Lucio credo che abbia superato di gran lunga i 20 anni di permanenza in Rca. Cominciò con una jazz band, poi si mise da solo, ma non riusciva a sfondare. La prima vendita vera arrivò dopo anni con 4 marzo 1943 che aveva portato a Sanremo, ma fu un episodio isolato. Il problema era la sua dipendenza dai parolieri. Era lui a ispirare le parole, ma era restio a scriverle. A un certo punto lo posi davanti a un aut aut: "O scrivi da solo le tue canzoni o rompiamo il contratto". "Ma devo fare ancora un lp" mi rispose. "Pazienza, vuol dire che ti pagheremo i danni". Se ne andò via indispettito. Tornò qualche giorno dopo: "Un pezzo l'ho scritto" disse. Nella palazzina degli uffici c'era una stanza col pianoforte, si mise a suonare e cantò Come è profondo il mare. Mi commossi nell'ascoltarlo e gli dissi: "Vedi?". Credo di non avere preso granchi nel puntare sui cantanti che sentivo vincenti.
«Mi ricordo quando in riunione feci ascoltare il disco di De Gregori Rimmel. Il direttore delle vendite disse : "Nessuno ci capirà niente". Ma io gli controbattei: "Prova ad ascoltarlo come un racconto, come impressioni che risvegliano la tua memoria, e vedrai che capirai il senso". Lui lo sentì con attenzione e osservò: "È vero, ma alla gente chi lo spiegherà?". "La gente è più intelligente di noi, vedrai che piano piano capirà" gli risposi.
«Nel 1983, erano passati più di 30 anni, mi resi conto che la realtà era cambiata. Era necessario ridurre il personale: c'erano 600 persone, ne sarebbero bastate 200, ma avevo cominciato questa avventura licenziando tante persone e non me la sono sentita di ripetere un'operazione così triste. Me ne sono andato, ma ancora oggi se incontro i capi delle aziende che vendono dischi mi dicono: "Noi campiamo ancora sui successi tuoi" e aggiungono: "Bei tempi quelli!"».
DOPO LA MUSICA, GLI SPARI
Melis, Mussolini jr e Anselmi: va in onda «La piccola storia»
Non c'è la S maiuscola alla storia raccontata dal nuovo programma di RaiSat Extra, il lunedì sera, La piccola storia, a partire dal 14 febbraio. La visione prospettica è dichiarata dal titolo: personaggi minori, rimasti nell'ombra, aiutano a ripercorrere decenni della grande storia.
L'intervista a Ennio Melis, il fondatore della Rca, inaugura la serie di monografie curate da Lorenza Foschini e Anna Vinci che vedranno protagonisti Fey Von Hassel, figlia del cospiratore che attentò alla vita di Adolf Hitler; Romano Mussolini, figlio del Duce; Tina Anselmi, protagonista della vita politica italiana del dopoguerra; Silvana Farinelli, nipote di Pietro Mascagni amante segreta di Ennio Flaiano.
Marco Giudici, direttore di RaiSat Extra, alterna l'orgoglio per la nuova trasmissione all'amarezza gestionale. Spiega: «Compriamo a uno a uno il meglio dei programmi Rai dell'ultimo periodo: in questo modo mettiamo insieme buona parte del palinsesto. Perché non avviene mai il contrario, ovvero che la Rai acquisti le nostre produzioni sperimentali tanto apprezzate?».
Il carteggio inedito tra Junger e il teorico sionista Scholem
Dal quotidiano la Stampa.it cultura: IL CARTEGGIO INEDITO TRA LO SCRITTORE E IL TEORICO SIONISTA
Jünger-Scholem
amici per un fantasma
Due intellettuali agli antipodi, attratti da un affetto comune
ALESSANDRA IADICICCO
BERLINO
«Non intenderà mio fratello Werner?». Il dubbio che ci fosse un malinteso era venuto subito a Gershom Scholem allorché, un mattino di fine febbraio del 1975, uscito nel giardino davanti alla sua casa di Rehavia, il quartiere di Gerusalemme popolato di emigranti tedeschi, aveva trovato nella cassetta delle lettere una cartolina con il timbro postale di Wilflingen.
Era proprio il vecchio eremita di Wilflingen a scrivergli: Ernst Jünger, il filosofo soldato, il reduce pluridecorato di due guerre mondiali che dal 1955 viveva nel suo rifugio di «Anarca» in Alta Svevia, ospite nella foresteria del castello di von Stauffenberg, l’attentatore di Hitler. E: «mi ha commosso leggere la sua scrittura dopo aver studiato con attenzione due suoi libri», confidava il vecchio ebreo, teorico del sionismo, storico delle religioni e studioso della kabbala, nelle prime righe della lettera recapitata nel giro di poche settimane in risposta.
Iniziava così, all’insegna della curiosità reciproca e di un dichiarato rispetto, lo scambio tardivo tra due longevi testimoni del secolo breve. Due giganti che non sarebbero potuti essere più diversi. «Che mai avranno avuto da dirsi?», si sono chiesti i critici tedeschi di fronte al carteggio finora inedito, menzionato nelle opere di entrambi (nei diari dello Jünger centenario Siebzig Verweht e nell’edizione ebraica dell’autobiografia di Scholem Da Berlino a Gerusalemme) e ora pubblicato nell’ultimo numero di Sinn und Form, la rivista dell’Akademie der Künste di Berlino. Un «documento sensazionale», da leggere «con il fiato sospeso»: così, «elettrizzato», Ijoma Mangold su Die Zeit. L’ennesima riprova del riguardo sempre riservato da Jünger agli intellettuali ebraici: così Heimo Schwilk, il suo biografo, su Die Welt. Confessioni, rivelazioni, dichiarazioni di straordinarie affinità spirituali, ovviamente, non ce n’è. E, tanto per cominciare, i due grandi vecchi - quasi ottantenne Jünger alla data della prima Postkarte spedita il 16 febbraio, di due anni più giovane il suo destinatario - dovevano appunto prevenire ogni malinteso.
«Leggo continuamente il suo nome sulla stampa e mi chiedo: sarà mica lo stesso Scholem che era tra i miei Schulkameraden a Hannover (1914)?». In caso di erronea omonimia non si dia pena di rispondermi, concludeva Jünger con laconica cordialità. Scholem, con tanto d’occhi e con la matita in mano, annotava lì per lì sulla missiva jüngeriana la prima idea che gli passava per la mente: «Non intenderà mio fratello Werner?».
I personaggi per imbastire un piccolo racconto confidenziale, per rievocare un capitolo autobiografico di storia europea, entrano subito in scena tutti assieme. Jünger che, già sedotto dalle letture nietzscheane e dall’estetica della guerra, dopo la maturità conseguita a Hannover si sarebbe arruolato nella Legione Straniera per andare a giocare i suoi Ludi africani. Scholem che, traducendosi in «Gershom» da «Gerhard» qual era, si ribellò alla famiglia assimilata berlinese e, sostenitore di uno Stato nazionale ebraico in Palestina, migrò a Gerusalemme sin dal ’23. Tra i due, fautore di «un incontro pericoloso», catalizzatore del loro fulmineo, fulminante contatto, il primogenito Werner, enfant terribile di casa Scholem. Vicino (di banco) a un cultore del superuomo quanto ai sottoproletari di Hannover. Pacifista educato alla stessa scuola dell’eroe delle «tempeste d’acciaio». Oppositore - dall’interno, dall’estrema sinistra in Parlamento, dai seggi della Kpd occupati come deputato al Reichstag - di quel governo tedesco da cui il fratello minore volle anche geograficamente estraniarsi. Estraneo a tutti i nazionalismi che invece chi gli era vicino - fratelli o compagni di scuola, sionisti o nazionalbolscevichi che fossero - ciascuno a suo modo propugnava.
È l’ombra di Werner - il terzo uomo assente, il fantasma di colui che, arrestato all’indomani dell’incendio del Reichstag, imprigionato a Dachau, deportato e ucciso a Buchenwald nel ’40 - a visitare i sogni e le attenzioni reciproche dei due vegliardi. Delle dieci lettere che si scambiarono fino all’81, le più belle sono quelle che ne ricordano la fisionomia, il carattere, lo spirito insubordinato e l’impegno radicale. Attratti l’uno all’altro da quell’affetto comune, i due intellettuali collocati per convenzione ideologica agli antipodi scoprono di avere conoscenze e perfino tratti specularmente comuni. «Fu Lei a intercedere per salvare Walter Benjamin nel 1940? Me lo ha scritto Adorno», chiede Scholem. «Non ricordo. Può essere. Quando ero a Parigi avrei avuto il potere di farlo. Ma temo che il suo amico abbia perso l’ultimo treno per la fuga» risponde il veterano della Wehrmacht. Che, nel giugno del ’76, annotava: «L’altra sera, dopo un’interminabile partita di calcio, L’ho vista in Tv. Parlava di kabala, delle lacune della creazione, dell’inesorabile “imperfezione del mondo”. È un problema che mi inquieta sin dall’infanzia...».
Lo vogliono fare morire conosce troppe cose!
Questo è un personaggio scomodissimo dava soldi a tutto l'arco politico e ingrassò a dismisura la Fininvest che riusci ad incassare tutti i soldi dalla Parmalat un po' prima del fallimento conclamato. Il marciume finanziario era sotto gli occhi di tutti, ma chi doveva controllare aveva dei suoi precisi interessi da perseguire.
Quando leggo notizie relative alla giustizia italiana, mi viene spesso alla mente il caso di Calisto Tanzi e non riesco a capire chi ha deciso di farlo morire in carcere. Non voglio giudicare la persona, che, evidentemente, non era un esempio di rettitudine imprenditoriale, non era insomma un bravissimo ragazzo, ma da lì a farlo morire in una cella... ce ne passa.
In Italia abbiamo fior di criminali oggi liberi; pensiamo ad Erica e Omar, i quali massacrarono a coltellate la madre e il fratellino di lei: sono liberi.
Pensiamo al pluriergastolano Battisti oggi libero in Brasile. Pensiamo a Prospero Gallinari, recentemente deceduto a casa sua da uomo libero. Gallinari era carceriere e rapitore di Aldo Moro e non un ladro di galline. Perfino Ali Agca, che sparò al Pontefice, è libero da quasi tre anni. Chissà quanti altri assassini, brigatisti e mafiosi sono oggi liberi e Tanzi, mostrato ai processi con un sondino nel naso e una cera da malato grave, è detenuto e dimenticato.
Io credo che vi siano responsabilità gravi di chi ha preso una simile decisione, responsabilità come giudici e soprattutto come uomini. Gli arresti domiciliari sono concessi nel nostro Paese senza una logica uniforme e comprensibile. Si sbattono in galera innocenti per 22 anni, come recentemente abbiamo appreso (parlo di quel muratore liberato perchè innocente dopo che la sua vita è stata rovinata per sempre) e si lasciano in libertà pluriomicidi e pedofili. La giustizia è uno dei punti cardine di una democrazia occidentale ed è per questo che vorrei chiedere alla magistratura dove può scappare un anziano signore senza passaporto con il sondino al naso.
I cristiani uccisero Ipazia e poi la trasformarono in Santa Caterina
Santa Caterina d'Alessandria e Ipazia unite da un comune destino di vita e atroce martirio. Ipazia figura storica filosofa pagana legata alla scuola di Plotino, perseguitata,torturata e uccisa dai cristiani per le sue idee e conoscenze, santa Caterina, pure, solo che la figura di santa Caterina celebrata dalla Chiesa, creduta, e fatta credere ai fedeli, quale figura reale e storicizzata è soltanto un'icona, emblematica, frutto di una mitizzazione acculturatrice ad opera della Chiesa, che di certo non pregiudica il valore spiriturale, ma pone l'obbligo e spunto di serie e importanti riflessioni in merito.
La filosofa Ipazia d'Alessandria
La mai esistita Santa Caterina d'Alessandria
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Di Fra' Ettore Marangi
I preti, i vescovi e i frati, che con tanto entusiasmo parlano di lei durante le omelie invocandone l’intercessione, lo sanno benissimo. Per questo sono portatori di una doppia verità: se alla gente umile che va a pregare nel santuario si racconta dei miracoli della Santa, alla gente colta che va a visitare il museo si spiega come è nata la sua leggenda. MA CHE CORAGGIO! Così non tradiamo proprio coloro che amiamo e ci amano di più?
Se qualcuno poi si permette di dire come stanno attualmente le cose, lo si accusa di mancare di rispetto alla ‘fede dei semplici’ e di ‘scandalizzare i più piccoli’. Ma perché non chiediamo loro cosa ne pensano? Saranno essi stessi a dirci se è mancanza di rispetto dir loro la verità o nasconderla. Chi è che non li rispetta veramente? Chi li considera dei sempliciotti incapaci di capire o chi li considera dotati di cervello come tutti gli 'atei' studiosi?
Il problema non è forse la mancanza di fede di coloro che guidano il popolo di Dio? Mi spiego: chi crede veramente in Dio? Colui che cerca la verità perché sa che alla fine proprio mediante la verità verrà glorificato Dio o colui che la nasconde perché teme che la verità possa generare la miscredenza? Ma Crediamo davvero che lo splendore della verità della fede in Dio possa fondarsi sul vuoto?
Se spieghiamo alla gente che la nascita delle leggende non ha niente di ingannevole, ma che è, come il racconto, uno strumento antico dell’umanità di tutte le latitudini, usato per trasmettere i valori in cui si crede, la gente capirà! Continuerà ad urlarci dietro solo qualche fondamentalista (suo malgrado) pescato all’interno di qualche circolo UAAR (Unione-Atei-Agnostici-Razionalisti).
Se è vero che di Santa Caterina d’Alessandria non si sa niente, è anche vero che di una certa Ipazia di Alessandria, quasi a lei contemporanea, si sa tutto; in questo caso però le notizie circa la sua vita sono storicamente certe e ci sono raccontate da Teone, il padre, da Filostorgio, Suda, Socrate Scolastico, Damascio e Pallada.
Ipazia era un’eminente filosofa neoplatonica ed una astronoma; come Caterina, esercitava un grande fascino per la sua sapienza; come Caterina perciò si attirò l’inimicizia degli intellettuali ‘maschi’ contemporanei (Caterina secondo la leggenda si attirò l’inimicizia dei filosofi pagani, Ipazia invece quella dei monaci cristiani); come a Caterina anche a lei venne chiesto di abiurare alle proprie convinzioni; come Caterina anche lei si rifiutò tenacemente; e per questo infine, come Caterina, anche Ipazia fu denudata, atrocemente torturata e fatta a pezzi (in una Chiesa!).
A questo punto non è difficile accorgersi come tra la vita di Caternia e quella di Ipazia ci sia un parallelismo fortissimo, e come non sarebbe fuori luogo ipotizzare che per Ipazia sia avvenuto quanto, secoli successivi, sarebbe avvenuto alle divinità dei negri trasportati come schiavi in America, i quali cominciarono a venerare negli eroi cristiani quasi una reincarnazione dei propri eroi africani (cf. il fenomeno della Santeria).
In tal caso la venerazione per Santa Caterina sarebbe stata una trovata della ‘povera gente’ per continuare a venerare senza pericolo la propria eroina, la propria santa, fatta fuori dai poteri forti dell’epoca. A suffragare questa tesi ci sarebbero alcuni affreschi che raffigurano Ipazia nella cappella medievale di Purgg, in Austria, consacrata proprio a Santa Caterina.
Se le cose sono andate veramente così, questa vicenda sicuramente disonora quei cristiani che in nome del loro Dio si posero e continuano a porsi dalla parte degli intolleranti e dei fondamentalisti, ma certamente non offusca la fede autentica della Chiesa basata sulla testimonianza del Nuovo Testamento in cui la Maddalena – poi purtroppo identificata con l’adultera del vangelo di Giovanni, da papa Gregorio Magno – in un mondo maschilista e patriarca le è scelta come l’“Apostola degli Apostoli”.
Da questo punto di vista la festa di Santa Caterina di Alessandria potrebbe rappresentare un’occasione unica per evidenziare come lo Spirito non indietreggia di fronte all’offensiva dei detentori del sapere ufficiale, ma continua la sua lotta nei cuori della povera gente, scorrendo per tutta la storia dell’umanità, e facendo germogliare, in particolare, nella tradizione giudaico-cristiana donne come: Maria di Nazaret che ‘compone’ una canzone rivoluzionaria (“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”); Chiara d’Assisi che strappa al potere clericale il diritto di avere una regola; Annalena Tonelli che, per seguire Cristo (e senza mai parlare di apertamente di lui!), spende la vita come medico in Africa ed, a causa delle sue denuncie nei confronti dell’esercito keniano ed islamico somalo, finisce per essere ammazzata.
Buona Festa di Santa Caterina allora per il prossimo 25 novembre, giorno in cui ‘per pura coincidenza’ si celebra la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.
venerdì 25 gennaio 2013
L'esaltazione di un modello deleterio
Gianni Agnelli: ealtare l'inesaltabile. Ieri anche il presidente della Repubblica Italia è intervenuto a commemorare i dieci anni della morte dell'Avvocato che avvocato non era!
Il presidente Napolitano ne ha esaltato la figura, come tutte le altre maschere che si sono succedute a fare i soliti discorsi senza sugo. In realtà Giovanni Agnelli ha una storia tutt'altro che edificante: da ufficiale riuscì ad evitare di essere mandato in Russia e rimase in una delle sue tenute in Toscana sotto gli occhi di tutti. La Fiat era la fabbrica per eccellenza del regime, ma l'avvocato(come tutta la famiglia Agnelli) aveva contatti con la resistenza, con gli intrallazzi vaticani, sempre nell'ombra, iniziando una vita dissoluta di eccessi e bagordi. Un uomo che ha cominciato a lavorare a 45 anni, drogato, rampollo di una dinastia industriale sostenutà da sempre sia dal fascismo che dall'Italia repubblicana, con una industria foraggiata arrivando a regalare, con Prodi, l'Alfa Romeo. Quando arrivò al comando della FIAT, dopo Valletta consolido, con l'aiuto della classe democristiana italiana, i più grandi disastri che il paese ha conosciuto: quella migrazione senza precedenti dal Sud dell'Italia a Torino, un esodo biblico , attraverso il Treno del Sole che portava migliaia e migliaia di braccia dal sud al nord con famiglie a seguito. Di paripasso si allagò a dismisura la rete viaria stradale distruggendo il trasporto marittimo (l'Italia è una penisola non dimentichiamolo) e fluviale, al contrario del nord Europa che con grande risparmio, ancora oggi, è largamente usato per le merci. Ciliegina sulla torta, Cossiga lo farà senatore a vita come premio. Certa stampa lo ha apostrofato come l'ultimo re d'Italia. E' vergognoso! Le istituzioni che messaggio mandano ai giovani?
sabato 19 gennaio 2013
Non esiste il caso, solo il momento più opportuno
L'inizio del Concilio Vaticano II
"Non attribuiva al caso il fatto che il Concilio Ecumenico fosse stato fissato nell'anno 1962. E' il 7 febbraio di quell'anno che ha inizio l'Età dell'Acquario. In questa costellazione sono compresi i sette pianeti conosciuti dagli antichi e la Chiesa, la cui sorte è legata alla costellazione declinante dei Pesci, mette sotto il nuovo influsso la sua grandiosa manifestazione, nella speranza di rendere benefico tale influsso. Sempre per questa ragione, diceva l'astrologo, si vedono sorgere all'orizzonte furbi religiosi che vengono ad accarezzare i massoni. La Chiesa sa che la costellazione della massoneria è l'Acquario, e che di conseguenza essa diventerà la nuova religione"
I primi cristiani e le divinità nuragiche
I primi cristiani
e le divinità nuragiche: di Massimo Pittau
È un fatto ben conosciuto dagli storici che il cristianesimo primitivo non negava affatto l’esistenza delle divinità pagane, ma sosteneva che si trattava di “divinità malefiche”, cioè di “demonî”. Pertanto il cristianesimo primitivo in effetti procedeva a “demonizzare” le divinità pagane, rispetto alle quali invitava i fedeli a guardarsene con la massima cura e in tutti i modi. Ebbene per la Sardegna antica, nel periodo di passaggio dall’epoca classica a quella cristiana, abbiamo sufficienti elementi per ritenere che anche rispetto ad alcune divinità dei Nuragici i primi cristiani hanno appunto proceduto a “demonizzarle”.
Il primo caso è relativo al latino (però probabilmente di origine etrusca) Orcus, Orchus, Horcus, Urgus «dio dei morti», il quale in Sardegna (ma anche in altri siti del dominio romanzo o neolatino) fu declassato al ruolo di Orcu, Babbu Orcu, Babbái Urcu, Tzi' Orcu «Orco» (letteralmente "Babbo, Nonno, Zio Orco") e sua moglie era Orca, Mamma Orca, Orcheredda, Orculana «Orchessa, strega».
Il secondo caso è relativo al dio lat. Mercurius (anch’esso probabilmente di origine etrusca), al quale corrisponde il nome di un demonio chiamato a Nùoro Murguriò. A causa del suo accento sull’ultima sillaba è da escludersi che questo vocabolo sia di matrice latina, mentre è quasi certo che sia di matrice sardiana o protosarda.
Un terzo caso è quello della etrusco/latina Manturna «dea del matrimonio», al nome della quale con verosimiglianza potrebbe corrispondere l'appellativo mantumma «spauracchio femminile» (Seui).
Quarto caso è quello della dea Minerva, divinità latina, ma in origine sicuramente etrusca: MENERVA, MENARVA. Il culto di questa divinità in Sardegna è dimostrato sia dal nome del Monte Minerva, esistente tra Bosa e Villanova Monteleone, sia dai toponimi sardiani o protosardi Manorváe (Posada), Manorgái (Orosei). Ebbene la demonizzazione di questa divinità etrusco/latina è chiaramente indicata dalla locuzione María Menacra (attraverso le forme intermedie *Menavra, *Menabra, *Menagra), con la quale si indicava a Nùoro un «demone e spauracchio femminile»<1>.
In generale è notevolissimo il fatto che, fino ad alcuni decenni fa nella Sardegna agro-pastorale, preceduti dal nome cristiano di Maria, esistessero demoni e spauracchi femminili, molti allogati nei nuraghi oppure nelle domos de Janas, chiamati: María Balletta «Maria ballerina», María Branca «Maria branca, artiglio», ++(Orgosolo) María Burra «coperta da un manto» (demone femminile richiamato per far tacere i bambini piagnucolosi; dal lat. burra (DILS, NVLS, Maria Iscorronca «scorticatrice», María Illiberada «scatenata», María Ispilurtzi «scarmigliata», María Lettolada o Lettolu «coperta da un lenzuolo», María Petten(edd)a, Teppenedda «munita di pettine che strappa i capelli», María Rajosa «rabbiosa o che fa venire la rabbia», María Vrassata «nascosta da una coperta», María Mangroffa<2>. È evidente che questo fenomeno magico-linguistico è stato favorito dal culto cristiano delle molte Madonne, però sfugge l’esatto significato di questo stranissimo accoppiamento.
Anche perché è documentato in Sardegna pure questo strano nome di alcuni uccelli e insetti: María pica «ghiandaia» (Nùoro); María pupusa «upupa» (Bitti, Lodè); María pesabola «coccinella» (Ollolai), da María + pesa! «sollèvati!» e bola! «vola!»; María sartáine «libellula» (Lodè), da María + sartáine «padella», con incrocio di sartare «saltare» (perché il suo volo è saltellante)<3>.
Un demone femminile esisteva anche in un nuraghe di Oliena, chiamato Arrennégula, cioè «Rabbiosa, Collerica», uguale a María Rajosa «Maria Rabbiosa» di molti nuraghi; da s'arrennegare «arrabbiarsi», a sua volta dall’antico spagn. renegar «prorompere in parole di sdegno»<4>.
E a Noragugume questo demone si chiama Zorzía rajosa «Giorgia rabbiosa», che in questo caso indica un antico menhir ivi esistente.
Più semplicemente questo demone femminile si chiama Giorgía, Giolzía, Jorghía «Giorgia», il quale abiterebbe nei nuraghi o nelle domos de Janas<5>.
Perfino il famoso nuraghe di Barumini spinge a pensare che il suo nome facesse riferimento anch’esso a una divinità “rabbiosa e vendicativa”. Per il toponimo infatti è possibile pensare a una etimologia greco-bizantina e precisamente io prospetto la sua derivazione dall'aggettivo greco barúmēnis (pronunziato ormai barúminis) «collerico, rabbioso, vendicativo» (questa etimologia ha un alto grado di probabilità, perché è molto improbabile che la corrispondenza perfetta di ben 8 fonemi tra il toponimo sardo Barúmini e l’aggettivo greco-bizantino barúminis sia il frutto di un puro caso).
C’è da tenere ben presente e da sottolineare che questo nome di Barumini e quasi tutti quelli citati in precedenza in realtà sono da riportare all’epoca bizantina, quando per l’appunto il cristianesimo – secondo la nota e precisa testimonianza del pontefice Gregorio Magno – cominciò a penetrare nelle zone interne dell’Isola.
E di tali nomi è possibile dare due differenti spiegazioni: o i primi cristiani procedevano a “demonizzare” antiche divinità femminili venerate dai Protosardi nei nuraghi e nelle domos de Janas, oppure il clero cristiano creava ex novo il nome di quei demoni e spauracchi femminili al fine di stornare i fedeli dal frequentare quegli antichi luoghi di culto dei Nuragici.
Qualcosa di analogo si deve pensare che sia avvenuto per il nome di due castelli, ormai diroccati, che probabilmente è da riportare anch’esso all’epoca bizantina, il «Castello della Medusa», situato tra Asuni e Samugheo e il «Castello della Medusa» di Lotzorai, in Ogliastra<6>.
Nessuno fino ad ora era riuscito a dare una effettiva spiegazione di questo strano nome dei due castelli: premesso che dappertutto, rispetto ai castelli abbandonati e diroccati, si è sempre favoleggiato della presenza di fantasmi e di streghe, a me sembra verosimile che la nota figura mitologica della Medusa sia stata chiamata in causa rispetto ai due castelli per il “terrore” che essa suscitava col suo viso orrendo e coi suoi capelli costituiti da serpenti. In effetti è verosimile che Medusa = «Terrore» fosse il corrispondente di María o Giorgía Rajosa = «Rabbiosa».
E in questo stesso modo e per lo stesso motivo si spiega l’esistenza ad Asuni e nella zona circostante, del pur esso stranissimo cognome sardo Perseu, il quale corrisponde al nome del mitico Perseo, uccisore della Medusa<7>.
* * *
Giorgía, Giolzía, Jorghía aveva come compagno, Giorgi (log.), Giordi (camp.) «Giorgio». Costui indica anche un fantoccio che tuttora nel carnevale sardo in molti villaggi viene portato in giro e poi bruciato, probabilmente a ricordo di un originario rito agrario, come fa intendere il significato del greco Geórgios = «agricoltore». Per il vero i nomi sardi di questo personaggio sono molto recenti, dato che derivano rispettivamente dallo spagn. Jorge e dal catal. Jordi. Però il suo culto deve essere molto più antico e risalire addirittura all’epoca dell’arrivo, nel secolo XIII avanti Cristo, dei Sardi dalla Lidia, in Anatolia o Asia Minore, dalla cui capitale Sardis o Sardeis è molto probabile che sia derivato lo stesso nome dei Sardi e della Sardinia.
È abbastanza noto che un San Giorgio uccisore di un drago non è mai esistito come reale santo cristiano. Ebbene, io ho già messo in risalto che probabilmente il mito di San Giorgio cristiano sia derivato da un mito del popolo della Lidia.
Nel Museo Nazionale di Cagliari è conservato un piccolo cippo in arenaria, di forma triangolare, forse proveniente da Tharros, nel quale è raffigurato in rilievo un eroe che abbatte un mostro alato. Finora gli studiosi che se ne sono interessati null'altro hanno saputo affermare se non che «probabilmente si tratta di qualche ignoto mito orientale»<8>. Troppo poco, dico io; invece io ritengo che si tratti della raffigurazione di un mito molto noto nella Lidia, il quale è stato riprodotto pure in monete lidie e compare anche scolpito nel frammento di una raffigurazione in pietra rinvenuto a Sardis<9>: il re Manes o Masdnes - padre del re Atys, quello che promosse la grande trasmigrazione dei Lidi verso la Sardegna e la Toscana - abbatté un drago che in precedenza aveva ucciso il suo amico Tylos e inoltre egli risuscitò costui facendo uso di un'erba che era in possesso dello stesso drago<10> (fig. 1 e 2).
Finalmente costituisce un macroscopico esempio di “demonizzazione” di divinità nuragiche da parte dei primi cristiani, la distruzione da loro effettuata del tempio del Sardus Pater del Sinis, di cui ha parlato il geografo greco-alessandrino Claudio Tolomeo (III, 3, 5), distruzione effettuata anche con la frantumazione minuta, a colpi di mazza, delle circa 30 statue dei Guerrieri di Monti Prama di Cabras. Come ritengo di avere già dimostrato, questa distruzione fu effettuata dai cristiani a seguito e ai sensi di una costituzione del 399 dopo Cristo, emanata dall’imperatore romano Teodosio il Grande, la quale prescriveva: Si qua in agris templa sunt sine turba ac tumultu diruantur «se nei campi esistono templi, siano distrutti senza la presenza della turba e senza tumulto»<11>.
* * *
Ad un altro dio nuragico invece è andata molto meglio: probabilmente perché molto importante nel pantheon dei Nuragici e molto venerato da loro, i primi cristiani, nonché “demonizzarlo”, hanno proceduto ad adottarlo come “santo cristiano”.
Il culto di una divinità molto famosa, di origine anatolica e assai probabilmente lidia, risulta entrato nella Sardegna antica e addirittura allunga le sue propaggini nella Sardegna attuale: Bacco, il dio del vino. Oltre che sicuri ritrovamenti archeologici relativi a questo dio<12>, molto notevole è in Sardegna la venerazione di uno strano santo cristiano Bakis (latinizzato in Bachisius), del quale non si trova alcuna notizia nel Martyrologium Romanum. Esso dovrebbe corrispondere a uno dei tre santi che dalla Bibliotheca Sanctorum sono ricordati col nome di Bacco e che sarà arrivato in Sardegna durante la dominazione bizantina<13>. Senonché, per ragioni linguistiche e per ragioni etnografiche si intravede abbastanza chiaramente che la figura e il nome di questo santo cristiano si sono inseriti e fusi, col noto fenomeno del “sincretismo religioso”, con quelli del precedente dio pagano del vino.
Sul piano linguistico infatti c'è da precisare che il nome sardo Bakis non corrisponde esattamente alla forma greca né a quella latina del nome di Bacco, mentre corrisponde meglio alla forma lidia Baki-. Ed anche i suoi diminutivi sardi Bakilli, Baghilli, Bakkillodde corrispondono esattamente al lidio bakillis = «bacchico», con un suffisso che sicuramente è anche tirrenico e protosardo.
Sul piano etnografico innanzi tutto molto notevoli e perfino stupefacenti sono alcune raffigurazioni che si trovano nella chiesa di Bolotana (NU) dedicata al suo patrono Santu Bakis e terminata appena nel 1594: sulla facciata esterna e anche nei capitelli dei pilastri interni si trovano in bassorilievo figure di danzatori, uomini e donne, e i maschi hanno i genitali scoperti.
Oltre a ciò, al culto di Santu Bachis è connessa la credenza di donne che sarebbero possedute o invasate dal santo e come tali sarebbero considerate e visitate dalle altre donne con devozione; ed è, questo, un ricordo abbastanza evidente delle Baccanti o Menadi possedute o invasate dal dio Bacco<14>.
Ma ancora più interessante e quasi incredibile era un'usanza documentata fino a poco più di 50 fa in alcuni villaggi della Barbagia (Olzai e Mamoiada): in occasione dell'impianto di una nuova vigna, al quale venivano invitati tutti i parenti e amici del padrone, costui, alla fine della giornata di lavoro, veniva preso di forza e sottoposto a grossolani scherzi a carico dei genitali. Dopo, legato strettamente e adornato di edera, di foglie di altre piante e di fiori campestri, veniva trascinato a casa sua, dove la moglie procedeva al "riscatto del prigioniero" con una prima offerta di vino e di dolci ai sequestratori. La festa poi terminava con una abbondante cena fino a tarda notte con canti e risa. Ebbene, in questa usanza è facile trovare stringenti connessioni col racconto del rapimento del giovane Bacco da parte di pirati “tirreni” (non si trascuri questo particolare!), racconto tramandato dallo pseudo-omerico Inno a Bacco, nel quale si ha pure la più antica citazione dei Tirreni<15>. Anche in questo racconto infatti risulta che da una parte Bacco viene preso a forza e legato strettamente all'albero della nave, dall'altra i pirati tirreni procedono al suo rapimento in vista di un "riscatto" da chiedere ai genitori del rapito. La sua liberazione poi avviene con una serie di prodigi, quando i legami che lo avvincono all'albero della nave si mutano in tralci di vite e di edera e in fiori ed egli si trasforma in un terribile leone<16>.
Infine è notevole un bronzetto nuragico rinvenuto ad Ittiri (SS) che raffigura un individuo col fallo eretto (itifallico) e che suona il flauto doppio, di probabile origine lidia, simile alle launeddas sarde, l'antichissimo flauto triplice: si tratta chiaramente di uno dei Satiri o Sileni, pur’essi itifallici e suonatori di flauti, che facevano parte del corteo di Bacco. La presenza di questi esseri mitologici nella Sardegna antica è probabilmente confermata anche dal toponimo odierno Silenu di Ploaghe (SS)<17>.
N O T E
<1> Vedi M. Pittau, Lessico Etrusco-Latino comparato col Nuragico, Sassari 1984, pagg. 194-196; M. Pittau, La Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001 (Libreria Koinè Sassari), pagg. 166-167, 158, 153.
<2> Cfr. mandroffa «scarpa vecchia» (Norbello), che probabilmente deriva da prantoffa, pantròffola «pantofola» incrociato con mandrone «poltrone» (DILS, NVLS).
<3> Vedi M. Pittau, Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, I vol., Cagliari 2000, II vol. 2003.
<4> Cfr. M. Pittau, I toponimi della Sardegna – Significato e origine, II Sardegna centrale, Sassari, 2011, EDES (Editrice Democratica Sarda), pag. 418.
<5> Cfr. M. Pittau, La Sardegna Nuragica, Sassari 1977, 5ª ristampa 1988, §§ 31-35; II ediz. riveduta e aggiornata, Cagliari 2006, Edizioni della Torre.
<6> Cfr. D. Turchi, Samugheo: il fascino delle più antiche tradizioni della Sardegna centrale, ecc., Roma 1992.
<7> Cfr. M. Pittau, Dizionario dei Cognomi di Sardegna, voll. 3, Cagliari 2006, “L’Unione Sarda”.
<8> Cfr. A. Taramelli, Guida del Museo Nazionale di Cagliari, Cagliari 1914, pag. 39 (che però sbaglia a pensare a Bellerofonte e la Chimera); G. Pesce, Sardegna punica, Cagliari 1961, pag. 84, fig. 73; S. Moscati, Fenici e Cartaginesi in Sardegna, Milano 1968, pag. 160, tav. 67; F. Barreca, in Ichnussa cit., pag. 411, fig. 399; Idem, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari 1986, pag. 156, fig. 120.
<9> Ora nel «Metropolitan Museum of Art» di New York; cfr. Sardis Guides 3, Archaeological Exploration of Sardis, Art Museum of Harvard University 1982 [pag. 3].
<10> Cfr. D. Briquel, L'origine lydienne des Étrusques - Histoire de la doctrine dans l'Antiquité, Rome 1991, pagg. 18, 44.
<11> Cfr. M. Pittau, Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama, I ediz. 2008, II ediz. 2009, Sassari, EDES (Editrice Democratica Sarda), pagg. 11-3, 41-42.
<12> Cfr. G. Spano, Culto di Bacco in Sardegna, nel «Bullettino Archeologico Sardo», 1987, III, pagg. 97-100. È notevole e significativo che, sia pure con riferimento all'epoca romana, siano state trovate in Sardegna ben 9 statuine di Bacco e 3 di Baccanti; cfr. P. Meloni, La Sardegna Romana, Sassari 1990, II ediz., pag. 395.
<13> Cfr. Biblioteca Sanctorum, Roma 1962, II, pag. 687; Socii Bollandiani, Bibliotheca Hagiographica Latina, Bruxelles 1900-1901; Idem, Bibliotheca Hagiographica Graeca, 1968. E poi Enciclopedia Cattolica, Roma 1949, s. v.; E. De Felice, I nomi degli Italiani, Venezia 1982, pag. 271; Idem, Dizionario dei Nomi Italiani, Milano 1986, pag 84, s. v. Bachisio.
<14> Si veda l’importante studio di Italo Bussa dedicato a Santu Bakis nei “Quaderni Bolotanesi”, num. 37, pagg. 114-149, del quale però io non condivido alcune conclusioni.
<15> Vedi Inno a Bacco, 7, 8 (pag. 66 dell'edizione di A. Baumeister).
Da parecchio tempo ormai ho dimostrato che Tirreni (greco Tyrrhenói) significava «costruttori di torri», come lo erano in primo luogo e in principale modo i Nuragici della Sardegna.
<16> Cfr. M. Pittau, Lessico Etrusco-Latino cit., pagg. 66-70; M. Pittau, Storia dei Sardi Nuragici, Selargius (CA) 2007, ediz. Domus de Janas, § 35.
<17> Cfr. Arias P. E., Satiri e Sileni, nell'«Enciclopedia dell'Arte antica classica e orientale», Roma 1966, vol. VII; Pittau M., Lessico Etrusco-Latino cit., pagg. 61-63.
giovedì 17 gennaio 2013
L'Alessandria d'Egitto di Alessandro Magno e le affinità con la fondazione diVerona romana
La planimetria della Verona Romana
E' Giulio Magli, archeoastronomo del Politecnico di Milano, che ci informa sull'allineamento della città di Alessandria d’Egitto, sede di una delle sette meraviglie del mondo antico, il possente Faro. Inoltre l'altro allineamento cardine potrebbe essere legato astronomicamente al suo fondatore: la principale strada che attraversa la città da est a ovest non segue la costa, ma segna la posizione del Sole all’alba nel giorno della nascita di Alessandro Magno nel IV secolo a.C. “Con un leggero spostamento del giorno, il fenomeno è visibile ancora oggi”, spiega lo studioso.
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