venerdì 7 gennaio 2011
Addio Freud
Addio a Freud: le ragioni di Jung
di Marco Garzonio - 04/01/2011
Fonte: Corriere della Sera
Se c’era bisogno di una conferma che Jung non fu allievo di Freud,
ecco la prova provata: la testimonianza del protagonista, Jung. Di lui
Bollati Boringhieri ha pubblicato l’attesissimo Libro rosso (pp. 371
+XXII, e 150), l’inedito a ragione definito evento editoriale. Per
numerosi motivi. Tecnici innanzi tutto: mole e formato da tomo
enciclopedico; stampa a colori in facsimile del codice pergamenaceo
rilegato in pelle rossa (di qui il titolo) in cui tra il 1913 e il
1930 Carl Gustav Jung trascrisse le sue esperienze in caratteri
antichi, con capilettera miniati e disegni potenti; traduzione,
apparati introduttivi e note indispensabili per comprendere un
materiale tanto vasto nei riferiment i e s t u p e f a c e n t e p e r
vulcanicità. Nei contenuti, dal punto di vista storico l’avvio
dell’opera risale alla rottura con Freud. In realtà alla vigilia dei
40 anni Jung decise di ritirarsi in se stesso ed avviò un drammatico
confronto con l’inconscio: sogni, immagini, fantasie, che lo
invadevano col rischio di travolgerlo. Abbandonò lo «spirito del
tempo» , valori e codici ispirati a riconoscimenti esterni
(«Appartenevo alle persone e alle cose. Non appartenevo a me stesso» )
e scelse di ascoltare lo «spirito del profondo» . Nel «cercare la
propria via» ebbe come ispiratori due antichi filoni del sapere: il
«conosci te stesso» della classicità e il monito evangelico «rinnega
te stesso» se vuoi seguire la via del Signore e ritrovarti. Una
discesa dolorosa agli inferi che ha per modello Dante e, più prossimo
per cultura e tempi, Nietzsche; con una differenza però rispetto a
quest’ultimo: Zarathustra inneggia alla morte di Dio; in Jung, invece,
v’è la scoperta della rinascita di Dio. Certo, un Dio non
confessionale, realtà numinosa e potenza spirituale universale più che
persona come vuole il Cristianesimo; comunque dimensione trascendente
che dà spessore alla ricerca di senso del singolo e accomuna gli
uomini. Non è un caso che il vero titolo dell’opera (sottotitolo del
volume) è Liber novus, cioè annuncio di trasformazione interiore e
rinascita, conquista dell’ «uomo nuovo» . L’intero drammatico viaggio
di Jung per ritrovare se stesso, la sua soggettività, il «chi sono io»
, è il prototipo del «processo di individuazione» , un’avventura
personale che assurge a schema psicologico dotato di validità
generale, uno dei fondamenti della psicologia analitica. Nel testo,
negli apparati straordinari messi a punto dal curatore Sonu Shamdasani
v’è la riprova che quando va da Freud a Vienna (1907) Jung è studioso
e terapeuta già formato. Vanta convinzioni sue sull’avventura onirica
(il sognatore che svolge più parti come in un dramma), sull’inconscio
(non è solo rimosso), sul principio trascendente e vitale (l’anima).
Riconosce maestri Goethe, Schopenhauer, Nietzsche; in psicologia si
sente debitore verso Flournoy, Bleuler, Janet; ha frequentazioni coi
movimenti dadaista e simbolista. Alle spalle fondanti sono gli anni
universitari a Basilea, i riferimenti al concetto di coscienza
individuale di Lutero e al filone umanistico-rinascimentale di
Burkhardt, teso a ricostruire il nesso tra senso della storia e
sviluppo della psiche. Resta la domanda, come mai Freud e Jung che a
prescindere l’uno dall’altro han costruito ipotesi su origini della
nevrosi, senso della sofferenza e della cura, metodo di analisi,
nozione di inconscio e di libido, abbiano subito un’attrazione
reciproca così forte da rendere tanto fragorosa poi la rottura. La
risposta non sta nelle teorie, ma nei rapporti umani e nelle
proiezioni che innescano; da esse i fondatori non erano vaccinati
evidentemente. Freud, fiero delle sue scoperte («La psicoanalisi è una
mia creazione» ) investì su Jung e lo designò erede; Jung, bisognoso
di legittimazioni dopo l’esempio devastante del padre (persa la fede
continuò il ministero di pastore), gradì il ruolo di figlio, salvo poi
cercar di liberarsene alla sua maniera, uomo d’ingegno ma d’un
carattere che gli farà confessare in Ricordi, sogni, riflessioni: «Ho
offeso molta gente» . V’è da augurarsi ora che Bollati Boringhieri
realizzi un’edizione praticabile, in 8 ° , con testo, introduzione,
note e una cinquantina di immagini, rendendo il Libro rosso
accessibile a un pubblico vasto, oltre gli specialisti o i cultori di
emozioni superficiali e svianti (s’è parlato di «santo Graal
dell’inconscio» o di «nuova Bibbia» !). Occorre voltar pagina e
ripartire dalle scoperte di Jung su di sé. Egli rivendicò di essere un
empirico (il Libro lo prova), non guru né fondatore di una religione,
nemmeno l’anti Freud, perché la psicologia del profondo è plurale.
Sulla scia di Jung che pone il «fantasticare» accanto al «pensare
indirizzato» , logico e verbale, si schiudono orizzonti nuovi per la
portata immaginifica, plastica, creativa della psiche.
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