A spasso nella storia: lo strano caso di Crespi d’Adda
di Elena Gorla.
Crespi d’Adda è un piccolo e tranquillo abitato adagiato sulla riva sinistra del fiume Adda, isolato nel triangolo di terra (e in tal modo protetto dallo sviluppo urbanistico delle località circostanti) creato dalla confluenza del fiume Brembo nell’Adda, penisola ideale comunemente denominata Isola Bergamasca. Un luogo che sembra incantato, magicamente cristallizzato nel tempo, che pare scorrergli attorno senza intaccarlo, e immerso nella natura rigogliosa che si affaccia sulle impetuose acque del fiume.
Fra i comuni di Capriate e Canonica d’Adda, in un punto in cui le copiose acque dei corsi fluviali lì presenti assicuravano l’energia necessaria al funzionamento dei telai, nel 1878 sorse il cotonificio della famiglia Crespi e, di lì a poco, i primi insediamenti abitativi di Crespi d’Adda: inizialmente soltanto tre palazzotti comprensivi di mensa e dormitori per gli operai che lavoravano nella grande fabbrica tessile che, però, rappresentano il nucleo originario di un vero e proprio villaggio.
Per volontà di Silvio Benigno Crespi, figlio primogenito del fondatore Cristoforo Benigno Crespi, infatti, si avviò la costruzione del villaggio operaio, su modello delle Company Town d’impostazione anglosassone, nate come risposta dell’imprenditoria borghese al degrado delle grandi città industrializzate che era all’origine delle rivolte della classe proletaria, spesso costretta in condizioni igienico sanitarie indecorose e al limite della sopravvivenza. Sulla scia delle grandi teorie utopistiche della scienza sociale ed urbanistica, a cavallo fra il secolo diciannovesimo e ventesimo, in tutta Europa iniziano a sorgere questi villaggi-fabbrica, espressione emblematica del paternalismo imprenditoriale nella delicata fase di passaggio dalla società pre-industriale a quella industrializzata imperniata sul sistema fabbrica. L’atteggiamento filantropico dei proprietari delle fabbriche sfociò in progetti villaggistici di stampo feudale, cosa ben evidente anche a Crespi d’Adda sia negli edifici dedicati agli spazi della vita che in quelli legati alla morte: nel cimitero situato alla fine del villaggio il grandioso mausoleo della famiglia Crespi, con le sue imponenti dimensioni ed il suo stile vagamente esotico, non lascia dubbi sulla strutturata gerarchia sociale che vigeva in quei luoghi. L’atteggiamento paternalistico adottato dai proprietari verso i dipendenti riuscì a porre le basi per la vera rivoluzione operata nel corso del secolo seguente dall’industria: la rivoluzione nel costume sociale. Le forme e gli spazi della vita nel villaggio vengono ad incarnare uno stile di vita lineare e regolato, espressione primaria della classe sociale che ne fu promotrice, la borghesia. Creando un microcosmo unitario, autosufficiente e organizzato la borghesia aveva così trovato uno strumento in grado di garantirle un duplice vantaggio: nell’immediato, infatti, riusciva a prevenire qualsiasi forma di protesta mentre, nel lungo periodo, agiva profondamente sulle masse proletarie favorendo il costituirsi ed affermarsi di un mondo fatto di valori e principi desunti dallo stile di vita borghese. I lavoratori venivano accolti in un mondo protetto e, poco a poco, lo interiorizzavano e lo facevano proprio, estraniandosi in tal modo da un concetto di appartenenza a una classe sociale che li rappresentasse realmente.
Al Villaggio Crespi, infatti, in un’area separata rispetto alle belle ed eleganti ville a due piani dotate di un grande giardino sui quattro lati e confinanti con un vicino boschetto che erano riservate alle famiglie dei dirigenti e degli impiegati, sorgono le case operaie, villini bifamiliari, tutti uguali e dotati di un piccolo orto-giardino: su tutti gli edifici, all’ingresso del villaggio, ovviamente, svetta la sontuosa villa-castello, residenza privata della famiglia Crespi. In un periodo storico in cui gli stati non erano ancora strutturati in modo da fornire tutele, garanzie e infrastrutture anche alle classi meno abbienti, il villaggio operaio non offriva solo un tetto per la notte ma anche, tramite l’offerta di servizi sociali, igienici e ricreativi (un dopolavoro attrezzato con bocce e altre attività ricreative e sportive, ma anche bagni pubblici, una struttura ospedaliera, una scuola dotata di teatro, una chiesa edificata sul modello del duomo di Busto Arsizio, città di origine della famiglia Crespi), un modello di vita e famiglia, quello, per l’appunto, borghese. L’operaio, tramite l’assegnazione e, dunque, il possesso, della casa viene vincolato e posseduto dal sistema produttivo in cui è inserito: assume e si conforma ai valori di quel sistema fondato sulla proprietà privata. Per queste ragioni, anche se dopo la seconda guerra mondiale il modello di villaggio operaio è andato morendo, i valori costitutivi di quel modello sociale sono rimasti quali elementi portanti, oramai interiorizzati da generazioni, della morale diffusa anche fra le classi lavoratrici.
La scala di valori della famiglia Crespi si rispecchia chiaramente nelle forme e negli spazi del villaggio operaio: già dal cancello d’ingresso, lo sguardo abbraccia l’imponenza della fabbrica scandita dalle geometrie ordinate delle palazzine dirigenziali su cui svetta, fulcro prospettico e morale dell’intero complesso, l’alta ciminiera.
Lungo il viale principale si allineano con ordine i capannoni che si rifanno ad uno stile apertamente inglese nelle architetture come nei decori in cotto e mattoni, offrendo un modello esemplare dell’architettura industriale d’inizi Novecento. L’edificio più caratteristico è, tuttavia, la casa padronale della famiglia Crespi: ben più di una villa sontuosa, un vero e proprio castello che, rifacendosi alle architetture medioevali, incarna tramite una simbologia piuttosto esplicita, lo spirito feudale che regnava nel cotonificio.
Nel 1995 il villaggio di Crespi è stato inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale Protetto dell’UNESCO in quanto esempio tra i più significativi e meglio conservati fra i villaggi industriali nel Sud Europa, proprio in virtù dell’enorme valore storico-architettonico di questo sito industriale. Da Crespi, per chi voglia dedicare alla visita un’intera giornata (magri rimandando la gita di qualche mese, verso gli inizi della primavera), l’escursione può proseguire con una passeggiata lungo le rive dell’Adda, capaci di offrire scorci suggestivi e incontaminati come pregevoli esempi dell’operosità umana: il Naviglio della Martesana con le sue dighe, le chiuse e i ponti maestosi e la centrale idroelettrica (sempre voluta da Benigno Crespi che, con occhio lungimirante, già agli inizi del secolo scorso, pretese che fosse realizzata in armonia con l’ambiente).
venerdì 14 dicembre 2012
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