martedì 29 aprile 2014

Le antiche usanze pagane milanesi

Le antiche usanze milanesi che propiziavano l'arrivo della pioggia. Da Santa Maria Segreta a San Giovanni in Conca...


Giuseppe Tesorio

Gli angeli «meteorologi» di Santa Maria Segreta


Milano intorno al Mille. Santi e peccatori intrecciano storie, che si attaccano alle cose, che stanno nascoste dentro i palazzi o le belle chiese. Diventano miracoli oppure leggende. Al tempo Ariberto di Antimiano (o Intimiano, consacrato vescovo di Milano il 29 marzo 1018), invocare il cielo con novene e processioni, era di moda tra il popolo. In attesa di un miracolo, anche piccolo. Come far piovere o far uscire il sole. Ai tempi, il tempo meteorologico era una grazia oppure una disgrazia. Si temeva la siccità o le troppe piogge. Così, il volere del Signore andava un pò guidato. Con due angeli, per esempio. Uno per (invocare) la pioggia, l'altro per (fermare) la siccità. Bell'idea, quella del parroco di Santa Maria Segreta, chiesina eretta nell'836, nell'omonima attuale via dietro il Cordusio (nel 1600, la chiesina viene ampliata per poi essere demolita negli anni Dieci del Novecento, per la costruzione del nuovo Palazzo delle Poste). Dunque, nella chiesa erano conservati due angeli biondi assolutamente identici. Sulla mensola di destra stava quello che intercedeva per il bel tempo, su quella di sinistra, l'angelo «della pioggia». Il sagrestano l' esponeva sull' altare, il popolo pregava, e la previsione desiderata si avverava. Se non funzionava, la colpa era del sagrestano che aveva confuso i due angeli. Si ripeteva l'operazione e si aspettava con speranza. Il Municipio stanziava persino uno scudo, fino alla seconda metà del '700, per il parrucchiere di piazza Cordusio, che aveva il compito di pettinare le chiome dei due angeli. 

Gli angeli «meteorologi» di Santa Maria Segreta






Bruno Pellegrino

Angeli, preghiere e verdure cotte: i riti contro la siccità


Fino a metà dell' Ottocento, quando la siccità minacciava le colture, era in uso tra i milanesi recarsi alla chiesa di Santa Maria Segreta dove si conservava una statua di angelo che veniva esposta dinanzi alla porta del tempio per impetrare la tanto sospirata pioggia. A richiesta del podestà il curato rivestiva l' angelo di vesti variopinte mentre un parrucchiere, fatto venire dal Cordusio, provvedeva a pettinargli la bella parrucca bionda. La statua, fra canti e spari di mortaretti, veniva portata sul sagrato dove restava fintantoché non sopraggiungeva un bell' acquazzone. L' usanza durò fino al 1859 mentre la chiesa - all'angolo tra l' omonima contrada e la via Gaetano Negri - le sopravvisse ancora per mezzo secolo, dopo di che venne abbattuta per far luogo all' erigendo palazzo delle Poste. Il titolo passò a denominare un nuovo tempio eretto nel 1918 in piazza Tommaseo, dove traslocò altresì il famoso angelo propiziatore della pioggia. Lo stesso che tuttora si può ammirare nell' ultima cappella di destra. Ma quando la siccità era ostinata e anche l' angelo di Santa Maria Segreta aveva fatto cilecca, non restava che recarsi a San Giovanni in Conca (in piazza Missori non ne avanza, ahimè, che un brandello dell' abside) e disporre sul sagrato della chiesa delle enormi caldaie in cui venivano messe a cuocere carni e verdure. Dopo aver acceso sotto di esse un bel fuoco, i milanesi attendevano per ore e giorni che a spegnere le fiamme intervenisse quella stessa pioggia che già aveva evitato a San Giovanni d' essere fritto nell' olio bollente. Meno fortunato fu San Calimero che i pagani uccisero gettandone poi il corpo in un pozzo dove più tardi sorgerà la chiesa a lui intitolata. Dallo stesso pozzo, che si conserva nella cripta di San Calimero, a Porta Romana, i milanesi attingevano una gran secchia d' acqua che poi vuotavano al suolo ogni qual volta le campagne languivano nella siccità, al fine d' ottenere la grazia della pioggia. Ce lo assicura lo storico secentista Serviliano Latuada nella sua «Descrizione di Milano». 


Gli antichi riti della pioggia

Riscoprendo gli antichi riti pagani per attirare la pioggia



Preghiere, processioni e croci nei campi: "Non resta che affidarsi a Dio". Dalla Toscana al Veneto, fiumi a secco e raccolti a rischio: "Ormai è emergenza". A Firenze il cardinale Betori scrive una lettera ai parroci: organizzate veglie


di Jenner Meletti

Trebaseleghe (Padova) - Forse sarà meglio procurarci dei rami di ontano. "Con un coltellino si toglieva la corteccia e appariva il legno bianco. E con questi rami si preparavano le croci, da mettere all'inizio di ogni campo. Servivano a tenere lontano la siccità, la grandine e ogni altro disastro". Quando era bambino, Lorenzo Zanon - sindaco di Trebaseleghe e insegnante di religione - andava con i suoi genitori alle "rogazioni".

"Per tre giorni, alla mattina presto, si facevano le processioni. Si partiva da un pilastrino dedicato alla Madonna, si passava da un campo all'altro mettendo queste croci bianche, si arrivava a un altro capitello. Il prete in testa, con tutti i paramenti, le candele, i chierichetti... Si recitavano le litanie speciali. "A fulgure et tempestate libera nos Domine". Signore, liberaci dai fulmini e dalla tempesta. E se le campagne erano secche, il vescovo invitava i preti ed i fedeli a una processione o a un pellegrinaggio "ad petendam pluviam", per invocare al pioggia". Ci sarà davvero bisogno, dei rametti di ontano.

Secondo il climatologo Giampiero Maracchi nell'inverno e in questo inizio di primavera è arrivato solo il 30% della pioggia che cade di solito. La Coldiretti stima in particolare un calo superiore al 50% al Nord e compreso fra il 25 e il 50% al Centro e in Sardegna. L'appello dei cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, a "pregare per il dono della pioggia", non giunge a caso. L'invaso del Bilancino che disseta mezza Toscana è appena a un terzo della capienza, il fiume Arno porta solo un decimo dell'acqua mediamente presente in questa stagione. "La siccità - ricorda il sindaco insegnante - è fra le dieci piaghe d'Egitto. Le preghiere per la pioggia sono sempre esistite. L'idea che Dio mandi l'acqua in risposta ai comportamenti umani è già nella Bibbia.

"Se seguirai i miei comandamenti, ti manderò la pioggia". Nell'antica Roma durante la cerimonia chiamata "aquilicium" matrone scalze e con i capelli sciolti salivano sul Campidoglio e facevano ruzzolare pietre, invocando Giove Pluvio e simulando il rumore del tuono. Gli Atzechi invocavano l'acqua sacrificando a Xipe Totec, "nostro Signore lo Scuoiato", nemici e schiavi. "Nella religione cristiana - dice Lorenzo Zanon - il sacrificio è stato sostituito dalla preghiera. Già nel IV secolo il papa Liberio trasforma la cerimonia pagana in "invocazione delle precipitazioni". Ad petendam pluviam inizia in quei tempi".

"L'invocazione del sacro di fronte alle calamità - dice Roberto Roda, che guida il centro etnografico del Comune di Ferrara - è ancora presente. Si fanno processioni sugli argini e le statue dei Santi vengono messe con i piedi nell'acqua. Come dire: siete in prima linea, dovete proteggerci. Alla sacca di Goro Sant'Antonio da Padova, a giugno, viene messo su un palo in mezzo alla valle. Anche da noi contro grandine o siccità si mettevano le croci nei campi: ma erano fatte di canne e intrecciate con l'ulivo".

A Farra d'Alpago il parroco don Lorenzo Sperti sta già organizzando una processione perché il cielo mandi la pioggia. "Forse non ci sarebbe bisogno - dice padre Renato Gaglianone, consigliere ecclesiastico della Coldiretti - di una preghiera specifica. Già nel "Padre Nostro" c'è l'invocazione giusta: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Senza la pioggia il grano non nasce e non cresce, senza il grano non si fa il pane". Ma nel Messale c'è una "Colletta" - una preghiera che il sacerdote recita a nome di tutta la comunità di fedeli - che così invoca la grazia dal Cielo. "O Dio dal quale tutte le creature / ricevono energia, esistenza e vita / dona alla terra assetata / il refrigerio della pioggia / poiché l'umanità sicura del suo pane / possa ricercare con fiducia il bene dello Spirito".

A Bolzano i meli sono già fioriti, con un mese di anticipo. Questo marzo è il più caldo degli ultimi 15 anni. In Veneto sono in pericolo mais, grano e radicchi. In Toscana il frumento non riesce a crescere e forse sarà perduta metà della produzione, due milioni di quintali che valgono 60 milioni di euro. "Con il caldo arrivato così presto - racconta Amedeo Gerolimetti, coltivatore diretto di Castelfranco Veneto - quasi tutti hanno anticipato di un mese la semina del mais. Il terreno era perfetto, sull'asciutto si lavora bene.

Ma il troppo calore adesso ha ridotto le zolle in polvere, e allora c'è bisogno di acqua per fare crescere le piantine di granoturco e per attivare gli anticrittogamici messi contro gli infestanti. Chi ha l'impianto a pioggia, se la può cavare, anche se io non avevo mai visto annaffiare a marzo. Ma chi usa l'irrigazione a scorrimento, non sa come fare. L'acqua viene infatti mandata nei campi attraverso i solchi ma questi si scavano, una fila sì e una no, quando il mais è già alto trenta o quaranta centimetri. E invece sta appena spuntando. Chi non ha seminato, è ancora più disperato. Il sole ha cotto le zolle come fossero mattoni, e se vedi nelle campagne un gran polverone, vuol dire che un contadino sta cercando di spaccare la crosta con l'erpice, per poter seminare".

La siccità può diventare un incubo, e anche i Santi a volte non sanno fare il loro dovere. In Sicilia, nel 1893 - come ha raccontato l'antropologo Marino Niola - non piovve per sei mesi. Per protesta San Giuseppe fu gettato in un giardino bruciato dal caldo. A Caltanissetta furono strappate le ali d'oro a San Michele Arcangelo e sostituite con ali di cartone. Lo stesso angelo, a Licata, fu denudato e minacciato d'impiccagione. "O la pioggia o la corda", gridavano i fedeli. Almeno per ora, meglio preparare soltanto le croci bianche di ontano.


(31 marzo 2012) © Riproduzione riservata

Caldo record e piogge in calo del 50% il Nord riscopre gli antichi riti anti-siccità - Repubblica.it

Il Paganesimo è vivo più che mai del filosofo: Alberto Giovanni Biuso






              Nelle Pieghe del mondo


                              
Il paganesimo è vivo, nascosto ma vivo. Esso pulsa nei documenti antichi, negli inni delle civiltà più diverse, nella dimensione esoterica della dottrina cattolica e in quella popolare dei suoi culti: la Grande Madre, il Dio divorato -Dioniso- che risorge ogni volta dalla propria morte, il pantheon dei santi…Il paganesimo vive nei movimenti e negli individui che hanno ancora rispetto per la Natura e in essa percepiscono la perennità del Sacro. Il paganesimo vive in ogni forma di panteismo del passato e del presente, delle religioni come delle filosofie. Pagana è l’ebrezza di Nietzsche nei suoi euforici giorni torinesi. Pagana è la tensione neoplatonica «verso la vita e verso la luce» (Poimandres, v. 85). Pagana è l’identità fra il Tutto e il Nulla. Pagana è l’accoglienza di tutte le religioni, di tutti gli Dèi, di tutte le fedi, quel sentimento irenico che fa dire a Proclo : «Voi che reggete il timone della saggezza santa / dèi che accendete il fuoco del grande Ritorno (…) Che infine possa vedere io / l’uomo che sono e il dio / immortale in me» (Inno a tutti gli Dèi).
Pagana è la felicità senza ombre di Pan. È la vita nella sua pienezza tragica, nel suo essere qui, ora, senza senso alcuno al di là di se stessa, un essere impersonale e finalmente libero dall’asservimento agli scopi. Pan tiene ancora unita l’identità molteplice del politeismo mentre l’imporsi dei tre grandi monoteismi ha impoverito il mondo della sua strepitosa e costitutiva varietà, ha fatto vincere la coscienza egoica di un soggetto monocorde. Pan è l’unità psicosomatica che siamo. È nel trionfo del corpo che –nonostante il grido riferito da Plutarco che pose fine al mondo antico- Pan è vivo e sempre lo rimarrà. Sempre, finché un corpo umano e animale pulserà del desiderio di vita e del suo terrore.
Pagana è la consapevolezza della necessità che domina su ogni cosa, compresi gli Dèi, espressa in forma perfetta nelle Moire che intrecciano «con gesti di diamante le infinite / trame degli eventi a cui non si sfugge / Aisa, Khloto e Lachesis, / figlie della Notte» (Simonide, Alle dee del destino, vv. 2-3). Pagana è soprattutto la Luce, il sentimento solare di una vita insensata, eterna e sacra. La filosofia nasce in Grecia da questo sostrato luminoso e ctonio, nasce come unione inseparabile di teologia, antropologia, cosmologia, nasce come comprensione del posto che spetta all’umano nel mondo. Molto diversi dal Dio biblico e coranico, gli Dèi pagani non provano alcuna gelosia verso altre divinità, non pretendono una conversione totale ed esclusiva poiché gli umani non potrebbero mai allontanarsi, anche se lo volessero, dalla sacralità naturale e profonda da cui sorgono e che gli Dèi rappresentano in forme antropomorfiche. I pensatori greci arcaici (i “presocratici”) costituiscono le superstiti ramificazioni della foresta del mito, della sacralità animistica, del panteismo originario di ogni cultura umana.
Il Divino è perfezione immutabile e felice, espressa nella politeistica unità dei dodici Dèi del pantheon ellenico. «Gli dèi che fanno il mondo sono Zeus, Poseidone e Efesto; lo animano Demetra, Era e Artemis; Apollo, Afrodite e Hermes lo accordano; mentre Hestia, Atena e Ares stanno a guardia» (Salustio, Sugli dèi e il mondo, 6, 3, 1-6). Sono essenze di un mondo imperituro e ingenerato. Il divino di nulla ha bisogno e da niente può essere scalfito. Culti, sacrifici e preghiere hanno quindi senso solo dal punto di vista umano ed è agli uomini che servono. Tale fiducia offre agli esseri umani non la hybris di paradisi oltremondani ma la felicità della comprensione del qui e dell’ora nell’unità dell’eterno. È il presente, non il futuro, il tempo del paganesimo.
Ananke non proviene dall’esterno, non è la costrizione di un ordine ricevuto da altri umani. Ananke è la necessità che nasce da noi stessi, dal carattere, dalla natura, dall’insieme sottile e potente dei pensieri del corpo. Di tale natura è segno supremo l’ambiguità di Atena, la quale porta sul petto la Gorgone, orrenda immagine della Necessità. Il paganesimo accetta il terribile delle nostre nature, senza attribuirne le dinamiche interiori e collettive alla sola malattia. Il paganesimo sottrae l’umano alla patologizzazione delle morali monoteistiche per cogliere il tratto di gentilezza e di misericordia –e non solo di ferocia e di indifferenza- che intesse la vita del mito.
Il pullulare di movimenti religiosi settari, la grande diffusione dell’astrologia e delle varie forme di esoterismo in una società disincantata, economicistica e ipertecnicizzata, confermano ancora una volta che senza una spiegazione altra rispetto al semplicemente visibile gli esseri umani non riescono proprio a vivere. In effetti, ogni dichiarazione di morte del Divino mostra di essere un po’ troppo prematura. Il Sacro è una categoria che va ben al di là del religioso. Esso comprende la Natura e il suo ordine, la Società e la sua potenza, gli Umani e il loro senso. Nei politeismi pagani non ha senso contrapporre naturale e soprannaturale poiché la molteplicità degli Dèi si coniuga alla unità monistica del cosmo, nella quale convergono identità e differenza, singolarità e pluralità, maschio e femmina, vita e morte, senso e significato, somatico e psichico.
Il paganesimo costituisce, nella varietà delle sue espressioni storiche che vanno dall’Oriente e dal Mediterraneo antichi sino ai politeismi polinesiani e africani, una forma nella quale l’umano esplica la propria tensione verso l’intero, prima di ogni dualismo e oltre ogni speranza. La sua logica non chiede rinuncia o ascesi, non perviene agli estremi di un impossibile amore universale –pronto naturalmente a capovolgersi in ipocrisia e in guerra- ma fa delle relazioni umane il luogo naturale di un conflitto non mortale, preparato sempre alla mediazione della prestazione e del possesso. Il paganesimo è meno di una religione perché non possiede dogmatiche, caste sacerdotali e aspirazioni alla trascendenza. Ed è più di una religione poiché costituisce un integrale stile di esistenza radicato nella corporeità gloriosa delle statue e degli idoli, nella ricchezza delle relazioni e dei conflitti, nella benedizione del tempo. Di questo tempo e non dell’eterno. Il paganesimo offre la serenità dell’inevitabile e relativizza le pretese di assoluto. La grandezza del paganesimo sta nel sapere e non nello sperare. Anche per questo una rappresentazione adeguata del divino pagano sono i kouroi, il loro enigmatico sorriso.
Non si tratta di reinventare improbabili culti neo-pagani o di indugiare in un paganesimo estetico e letterario; si tratta di comprendere le ragioni per le quali ancora oggi l’Europa non può non dirsi pagana e da questa comprensione far discendere delle coordinate esistenziali differenti, davvero nuove perché radicate in una identità ancora viva. Allo storicismo, alla temporalità lineare e irreversibile che postula un significato intrinseco della storia -intrinseco poiché radicato nella volontà dell’unico Dio- va opposta la consapevolezza (anche cosmologica) che non si dà alcun inizio assoluto del tempo e ogni passato è ancora da venire. Il divino non abita nel totalmente Altro, al di là e al di fuori della natura, delle cose, del mondo. Dio si dispiega qui e ora.
La contraddizione sta in ogni società, individuo, esperienza; la differenza significa ricchezza, confronto, arricchimento reciproco; la vita stessa è molteplicità di forme, obiettivi, strutture. Sensibile alla dissonanza, il paganesimo è l’opposto dell’evangelico «tutti siano uno» (Gv., 17, 11-23). Il precetto dell’unità giustifica ogni inquisizione ed è una delle radici dei moderni totalitarismi, i quali hanno tentato di rendere una l’umanità a partire da un principio fortissimo, esclusivo, salvifico, che fosse la razza, la classe o il libero commercio.
Abitare il Tempo in forma pienamente sacrale significa farlo nei modi di un vivere familiare, iniziale, straordinario eppur misurato. Di questo soggiornare, la filosofia è la forma suprema. Non c’è stata caduta ma il limite fa da sempre parte dell’essere, non esiste colpa se non quella di esistere. Non ci sono peccati al di fuori dell’ignoranza «di chi eravamo, di che cosa siamo diventati, di dove eravamo, di dove siamo stati gettati, del luogo verso cui tendiamo, di che cosa possa liberarci, di che cosa sia davvero stato la nascita, di come possiamo riscattarla e finalmente rinascere» (Excerpta ex Theodoto, 78). La conoscenza di tutto questo è la Filosofia. Non una fede o un procedimento soltanto logico ma un sapere intuitivo della condizione umana e cosmica; non una teologia ma un’esperienza completa, sofferta e gloriosa dello stare al mondo; non un ripetere formule altrui ma il ripercorrere da sé il cammino di ogni ente dalla Pienezza al Limite.
L’umanità è intrisa di Luce dionisiaca e di titanica cecità. L’umanità è una goccia del Sacro annegata nel mare dell’ignoranza. Lo scopo vero dell’esistenza, quello per il quale merita esserci, consiste nel conoscere questa nostra natura, nel riconoscerla, nella immensa serenità che tale sapere offre. La comprensione intellettuale non è mai -se è davvero comprensione- separata dai gesti e dal corpo. Il Corpo è sacro. I corpi degli Dèi che gli umani hanno bisogno di sentire accanto a sé, impressi nel marmo e nel bronzo. Le chiese cristiane sono davvero povere e malinconiche. Esse sostituiscono al tripudio della carne il gusto del soffrire, alla gloria di Zeus quella di un condannato a morte, sostituiscono ad Afrodite -la divinità che solleva la propria veste in un gesto di divertita conquista- la paura del corpo. Ma il bisogno della Bellezza Sacra permane, aere perennius, e con esso quella degli Dèi. Morto il Dio monoteistico (ebraico, cristiano, islamico), vive il Divino molteplice, panteistico, enoteistico.
Nelle pieghe del mondo. È lì che gli Dèi si sono nascosti ma è nello spazio sacro, nel loro tempo eterno, che abitano ancora. «Tauta de egheneto men oudepote, esti de aei» (Salustio, 4, 8, 26), queste cose mai avvennero e sempre sono.

Quando quel matto di Guido Keller volò sul parlamento italiano gettandovi un pittale con dentro un mazzo di rape!

Keller e il gruppo Yoga (Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione)

                                   

Guido Keller (Milano, 6 febbraio 1892 – Otricoli, 9 novembre 1929) è stato un aviatore italiano ed uno dei partecipanti all'impresa di Fiume guidata da Gabriele D'Annunzio. Fu autore di un conferenza autobiografica dal titolo Nel pensiero e nelle gesta.
Personaggio scapigliato, apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese di origine elvetica. Nel corso della prima guerra mondiale fu ufficiale pilota del Corpo Aeronautico Militare nella 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca.
Fu fondatore a Fiume del gruppo Yoga - che aveva come simbolo la svastica e la rosa a cinque petali e che fu un gruppo con tendenze esoteriche e naturistiche, si oppose alla frangia reazionaria fiumana (secondo quanto evidenziano gli scritti del gruppo Yoga pubblicati su Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione).


"Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista, settimanale, per diffondere le idee della Lega di Fiume. Rifacendosi a un vago misticismo indiano allora di moda, la chiamano «Yoga», con il sottotitolo «Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»; alla sua sinistra è raffigurata una svastica, l'antico simbolo ariano del sole: «La Yoga riunirà sotto il suo segno l'antichissima e misteriosa svastica, tutti gli uomini forti e fieri, che ambiscono di spezzare questi falsi idoli che sono sulla terra e nelle credenze del nostro spirito, tutti gli uomini che hanno per numi Vita e Bellezza».
Ne usciranno solo quattro numeri; il tredici, venti, ventisette novembre e il quattro dicembre. Secondo Umberto Carpi è stato lo stesso D'Annunzio a contrastarne la pubblicazione, a causa delle reazioni negative espresse dalle forze più moderate presenti a Fiume. Le idee programmatiche della rivista sono esposte in due articoli, Prolegomeni e Prospettive ltaliche, privi di firma, come del resto tutti gli altri; gerente responsabile è lo stesso Keller.
In breve: il «Genio della razza italica», aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle «razze negative», inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre le idee di democrazia e uguaglianza «copiate» dalla rivoluzione francese e dal positivismo «materialista», hanno creato con la grande industria una massa di schiavi. E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello «spirito italico», compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l'artigianato e sul «binomio perfetto di terra e mare». La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all'agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando «dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai».
Emblematico di queste concezioni è il breve articolo, comparso sul n. 3 del 27 novembre 1920, in favore del nazionalista croato Stefano Radic, capo del partito dei contadini:

Le sue idee sono queste: la Croazia è una terra contadina. Il governo della Croazia deve essere scelto tra i contadini. I croati devono restare come sono: vivere della terra. Stefano Radic ha l'anima da poeta e il cervello che antivede perché sa. La Croazia sta attraversando la crisi dell'uomo di campagna presso al quale la città ingrandendosi è venuta a confinare. Egli sente i suoi vestiti e le sue scarpe e le sue mani callose come aspetti inadatti al nuovo stato, ma egli non si può mutare il cuore e se un superficiale entusiasmo e meraviglia lo turba e male lo fa considerare: dura è la sua radice. Si guardi la Croazia dall'invasione industriale, sia questa americana, francese, tedesca o italiana - pensa Stefano Radic - l'Italia sta scontando la sua leggerezza nell'aver lasciato radicare nel suo suolo i templi ed i sistemi delle razze formali, Croazia, sappi che oggi essi sono le nostre pietre più indigeste – si potrebbe soggiungere noi ed ammonire.

Nell'articolo Vogliamo vivere (20 novembre 1920, n. 2) vi è una feroce denuncia dell'alienazione del lavoro salariato, per «l'esaltazione dell'individualità»:

L'operaio moderno è più libero? è più felice? No, anzi è più schiavo, è più misero, perché crede di aver migliorato le sue condizioni, perché con ogni aumento di paga e con ogni diminuzione di lavoro crede di migliorare il suo stato. mentre diventa invece sempre più schiavo, sempre più abbietto. Che cosa fai tu, che cosa senti, operaio nell'officina? Sei lo schiavo di una macchina. Dotato dalla natura dell'intelligenza di un dio e della bellezza degli angeli, ti sei abbassato a servire una macchina. Il fuochista che consuma la sua vita (VITA! VITA!), per dar cibo alla vertiginosa locomotiva o alle insaziabili fornaci dell'insensato Transatlantico... è scontento della sua paga. Con quanta ragione. oh Dio creatore! L'unico suo torto è questo, credere che esista una paga sufficiente... per tale lavoro!

In «Yoga» vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, ispirati da Comisso, che si rifanno alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana «Valori Plastici» e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo infantile israelitico. «Voga», come il movimento metafisica, voleva restaurare i «valori dello spirito», di contro al materialismo positivista. Per questo si oppone al futurismo che invece esalta il meccanicismo e il modernismo. E’ questa la contraddizione di Keller; ama l'aeroplano, che era l'espressione più alta della tecnologia dei suoi tempi, ma disprezza la civiltà industriale. Del resto, come D' Annunzio, concepiva il velivolo come un prodotto artigianale che doveva, ispirandosi a Leonardo, imitare il volo degli uccelli. Scrive a tale proposito Sandro Pozzi, il legionario fiumano «legato a Keller da una strana amicizia rotta da frequenti e clamorosi litigi», nella sua biografia dell'amico:

Non certo il volo meccanico, né il motore rombante e travolgente l'avevano conquiso. Egli intese nell'aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi ed astrarsi della materia verso i misteri più alti e più puri della natura. E fu quell'alone eroico che l'aviazione ai suoi albori (con tanti suoi olocausti pionieri) effondeva, che l'attrasse ed affascinò: egli sempre andava là dove maggiore era il rischio e la bellezza del sacrifìcio.

In occasione della firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che sanciva un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller progetta di rapire Giolitti mentre si recava in treno all'incontro. Fallito l'improbabile piano per la defezione dei suoi «seguaci», ripiega su un gesto dimostrativo. Vola su Roma e lascia cadere un vaso da notte, con dentro un mazzo di rape, sopra il Parlamento; unito vi è un biglietto: «Guido Keller - Ala azione nello splendore - dona al parlamento ed al governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Getta anche un mazzo di rose rosse sul Quirinale in onore della regina madre di cui ricorreva il compleanno, e uno su San Pietro «per frate Francesco».
L'episodio ebbe un'eco vastissima su tutta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano per avere il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un «pazzoide». Solo «Yoga» lo difende con un articolo pubblicato sul n. 3 del 27 novembre 1920 intitolato significativamente Montecagorio:

Molti giornali vogliono far passare il Keller per un pazzoide, figura secondaria di Fiume. Noi ricordiamo che egli, asso della Squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e tra i più fidi seguaci di Gabriele D'Annunzio, al quale è legato da forte affetto. In Fiume d'Italia Keller è una testa di ferro per la quale la conclusione amorosa del Tasso è una sentenza sublime che santifica le labbra della pura follia «amore tanto esser più nobile quanto è men governato dalla ragione». Egli è l'intelligenza, l'audacia, la fede= pazzia. Come tutti i buoni volatori, Keller è un folle, è un Ulisse dal «Folle volo». È, in una parola, un Italiano, indicibilmente Italiano; è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. Ha in sé un po' del Cecco Angiolieri e del Fanfulla, spirito bizzarro, non scettico, fiero, che da solo vale tutta la
ballonzolante moltitudine dei greppaioli di Montecagorio. E un soldato di ventura, che si batte per un soldo d'ideale e di libertà; è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci. In quest'era di vigliaccheria e di vituperio della Patria Keller rappresenta fedelmente e con luce i soldati di ventura di Fiume, i belli lanzichenecchi della libertà e dell'eresia; i garibaldini spavaldi della libertà che volano e volando sputano, non dico sull'aiuola dantesca, ma sul caccatoio d' Italia e lanciano quelle spregiate crete che possono essere utilissime in ogni evenienza, a tutti i cagoia ed a tutti i Misiano dell'Italico Regno. Keller è il volatore fiumano tipico che vola con qualsiasi tempo, per ore e ore sul petroso Carso a venti metri da terra, leggendo e declamando, atterrando magari nelle doline senza minimamente scalfire le tele ed i legni del suo apparecchio; vola parlando alla sua mascotte: una civetta; vola tenendo per suo compagno di volo un paziente asinello dall'occhio umano. È un volatore magnifico."


(da L'aeronautica italiana: una storia del Novecento di Paolo Ferrari)

Guido Keller (Milano, 6 febbraio 1892 – Otricoli, 9 novembre 1929) è stato un aviatore italiano ed uno dei partecipanti all'impresa di Fiume guidata da Gabriele D'Annunzio. Fu autore di un conferenza autobiografica dal titolo Nel pensiero e nelle gesta.
Personaggio scapigliato, apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese di origine elvetica. Nel corso della prima guerra mondiale fu ufficiale pilota del Corpo Aeronautico Militare nella 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca.
Fu fondatore a Fiume del gruppo Yoga - che aveva come simbolo la svastica e la rosa a cinque petali e che fu un gruppo con tendenze esoteriche e naturistiche, si oppose alla frangia reazionaria fiumana (secondo quanto evidenziano gli scritti del gruppo Yoga pubblicati su Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione).

"Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista, settimanale, per diffondere le idee della Lega di Fiume. Rifacendosi a un vago misticismo indiano allora di moda, la chiamano «Yoga», con il sottotitolo «Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»; alla sua sinistra è raffigurata una svastica, l'antico simbolo ariano del sole: «La Yoga riunirà sotto il suo segno l'antichissima e misteriosa svastica, tutti gli uomini forti e fieri, che ambiscono di spezzare questi falsi idoli che sono sulla terra e nelle credenze del nostro spirito, tutti gli uomini che hanno per numi Vita e Bellezza».
Ne usciranno solo quattro numeri; il tredici, venti, ventisette novembre e il quattro dicembre. Secondo Umberto Carpi è stato lo stesso D'Annunzio a contrastarne la pubblicazione, a causa delle reazioni negative espresse dalle forze più moderate presenti a Fiume. Le idee programmatiche della rivista sono esposte in due articoli, Prolegomeni e Prospettive ltaliche, privi di firma, come del resto tutti gli altri; gerente responsabile è lo stesso Keller.
In breve: il «Genio della razza italica», aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle «razze negative», inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre le idee di democrazia e uguaglianza «copiate» dalla rivoluzione francese e dal positivismo «materialista», hanno creato con la grande industria una massa di schiavi. E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello «spirito italico», compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l'artigianato e sul «binomio perfetto di terra e mare». La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all'agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando «dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai».
Emblematico di queste concezioni è il breve articolo, comparso sul n. 3 del 27 novembre 1920, in favore del nazionalista croato Stefano Radic, capo del partito dei contadini:

Le sue idee sono queste: la Croazia è una terra contadina. Il governo della Croazia deve essere scelto tra i contadini. I croati devono restare come sono: vivere della terra. Stefano Radic ha l'anima da poeta e il cervello che antivede perché sa. La Croazia sta attraversando la crisi dell'uomo di campagna presso al quale la città ingrandendosi è venuta a confinare. Egli sente i suoi vestiti e le sue scarpe e le sue mani callose come aspetti inadatti al nuovo stato, ma egli non si può mutare il cuore e se un superficiale entusiasmo e meraviglia lo turba e male lo fa considerare: dura è la sua radice. Si guardi la Croazia dall'invasione industriale, sia questa americana, francese, tedesca o italiana - pensa Stefano Radic - l'Italia sta scontando la sua leggerezza nell'aver lasciato radicare nel suo suolo i templi ed i sistemi delle razze formali, Croazia, sappi che oggi essi sono le nostre pietre più indigeste – si potrebbe soggiungere noi ed ammonire.

Nell'articolo Vogliamo vivere (20 novembre 1920, n. 2) vi è una feroce denuncia dell'alienazione del lavoro salariato, per «l'esaltazione dell'individualità»:

L'operaio moderno è più libero? è più felice? No, anzi è più schiavo, è più misero, perché crede di aver migliorato le sue condizioni, perché con ogni aumento di paga e con ogni diminuzione di lavoro crede di migliorare il suo stato. mentre diventa invece sempre più schiavo, sempre più abbietto. Che cosa fai tu, che cosa senti, operaio nell'officina? Sei lo schiavo di una macchina. Dotato dalla natura dell'intelligenza di un dio e della bellezza degli angeli, ti sei abbassato a servire una macchina. Il fuochista che consuma la sua vita (VITA! VITA!), per dar cibo alla vertiginosa locomotiva o alle insaziabili fornaci dell'insensato Transatlantico... è scontento della sua paga. Con quanta ragione. oh Dio creatore! L'unico suo torto è questo, credere che esista una paga sufficiente... per tale lavoro!

In «Yoga» vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, ispirati da Comisso, che si rifanno alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana «Valori Plastici» e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo infantile israelitico. «Voga», come il movimento metafisica, voleva restaurare i «valori dello spirito», di contro al materialismo positivista. Per questo si oppone al futurismo che invece esalta il meccanicismo e il modernismo. E’ questa la contraddizione di Keller; ama l'aeroplano, che era l'espressione più alta della tecnologia dei suoi tempi, ma disprezza la civiltà industriale. Del resto, come D' Annunzio, concepiva il velivolo come un prodotto artigianale che doveva, ispirandosi a Leonardo, imitare il volo degli uccelli. Scrive a tale proposito Sandro Pozzi, il legionario fiumano «legato a Keller da una strana amicizia rotta da frequenti e clamorosi litigi», nella sua biografia dell'amico:

Non certo il volo meccanico, né il motore rombante e travolgente l'avevano conquiso. Egli intese nell'aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi ed astrarsi della materia verso i misteri più alti e più puri della natura. E fu quell'alone eroico che l'aviazione ai suoi albori (con tanti suoi olocausti pionieri) effondeva, che l'attrasse ed affascinò: egli sempre andava là dove maggiore era il rischio e la bellezza del sacrifìcio.

In occasione della firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che sanciva un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller progetta di rapire Giolitti mentre si recava in treno all'incontro. Fallito l'improbabile piano per la defezione dei suoi «seguaci», ripiega su un gesto dimostrativo. Vola su Roma e lascia cadere un vaso da notte, con dentro un mazzo di rape, sopra il Parlamento; unito vi è un biglietto: «Guido Keller - Ala azione nello splendore - dona al parlamento ed al governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Getta anche un mazzo di rose rosse sul Quirinale in onore della regina madre di cui ricorreva il compleanno, e uno su San Pietro «per frate Francesco».
L'episodio ebbe un'eco vastissima su tutta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano per avere il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un «pazzoide». Solo «Yoga» lo difende con un articolo pubblicato sul n. 3 del 27 novembre 1920 intitolato significativamente Montecagorio:

Molti giornali vogliono far passare il Keller per un pazzoide, figura secondaria di Fiume. Noi ricordiamo che egli, asso della Squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e tra i più fidi seguaci di Gabriele D'Annunzio, al quale è legato da forte affetto. In Fiume d'Italia Keller è una testa di ferro per la quale la conclusione amorosa del Tasso è una sentenza sublime che santifica le labbra della pura follia «amore tanto esser più nobile quanto è men governato dalla ragione». Egli è l'intelligenza, l'audacia, la fede= pazzia. Come tutti i buoni volatori, Keller è un folle, è un Ulisse dal «Folle volo». È, in una parola, un Italiano, indicibilmente Italiano; è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. Ha in sé un po' del Cecco Angiolieri e del Fanfulla, spirito bizzarro, non scettico, fiero, che da solo vale tutta la
ballonzolante moltitudine dei greppaioli di Montecagorio. E un soldato di ventura, che si batte per un soldo d'ideale e di libertà; è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci. In quest'era di vigliaccheria e di vituperio della Patria Keller rappresenta fedelmente e con luce i soldati di ventura di Fiume, i belli lanzichenecchi della libertà e dell'eresia; i garibaldini spavaldi della libertà che volano e volando sputano, non dico sull'aiuola dantesca, ma sul caccatoio d' Italia e lanciano quelle spregiate crete che possono essere utilissime in ogni evenienza, a tutti i cagoia ed a tutti i Misiano dell'Italico Regno. Keller è il volatore fiumano tipico che vola con qualsiasi tempo, per ore e ore sul petroso Carso a venti metri da terra, leggendo e declamando, atterrando magari nelle doline senza minimamente scalfire le tele ed i legni del suo apparecchio; vola parlando alla sua mascotte: una civetta; vola tenendo per suo compagno di volo un paziente asinello dall'occhio umano. È un volatore magnifico."

(da L'aeronautica italiana: una storia del Novecento di Paolo Ferrari)

Re-volvere

Il filosofo che rese la filosofia accessibile a tutti: i suoi pensieri cardine



                                        
Friedrich Nietzsche in una delle sue più note opere , " La Gaia Scienza " del 1882 , coniò quello che diventò il suo più famoso aforisma : " Gott is tot " ( Dio è morto ) .
Con questa affermazione Nietzsche indicava la graduale perdita di tutti quei valori , su cui si basava la società a lui contemporanea e che lui considerava illusori .
Alla " morte di Dio " si accompagnava il " disincanto " tipico dell'essere umano moderno , una tematica che sarà di primaria importanza per l'esistenzialismo novecentesco di cui lo stesso filosofo tedesco è considerato precursore .

Il vuoto causato dalla perdita dei valori di riferimento diede impulso alla nascita e alla consolidazione di sistemi di pensiero e ideologie che in qualche modo sarebbero diventate una nuova fede : dal positivismo che si basava sulla credenza assoluta nella scienza e nel razionalismo , radicalizzando in questo modo lo spirito illuminista , e sul versante politico alle varie forme di socialismo e specialmente al comunismo marxista .


Nietzsche in esse non vedeva altro che nuove illusioni , in quanto basate sulla fede nel progresso , del tutto rifiutata dal filosofo originario diRocken .


Alla morte dei valori Nietzsche proponeva come soluzione una sua particolare interpretazione delnichilismo , che si doveva articolare in due fasi : il " nichilismo passivo " , ovvero la negazione di tutto ciò che rimaneva dei vecchi valori , e il " nichilismo attivo " , ovvero la " negazione della negazione " e al contempo la preparazione per l'avvento dell' oltreuomo e la costruzione dei nuovi valori su cui fondare lo stesso .


Il concetto di oltreuomo , popolarmente meglio noto come " superuomo " , è stato spesso frainteso e ben poco compreso , anche se in effetti il pensiero nicciano è tendenzialmente molto ambiguo ed aperto alle più diverse interpretazioni .


L'oltreuomo può essere identificato però anche come una metafora di un miglioramento interno , e/o di un percorso interiore e/o spirituale volto a trascendere certi limiti imposti da determinati dogmi sociali .


Inoltre bisogna ricordare che Nietzsche era figlio del suo tempo , e che sosteneva idee molto discutibili ma allo stesso tempo bisogna riconoscere che la sua filosofia è ricca di spunti per riflettere , ed oggi è più che mai attuale .


Difatti la società contemporanea sta vivendo quella che lui indica come l' "epoca del nichilismo " o la società dell' " ultimo uomo " , che vienedescritto come sostanzialmente " nichilista passivo " , in quanto non credente più a nulla se non in modo opportunistico e sostanzialmente in preda alla noia quotidiana , da cui tenta di evadere con le ampie distrazioni di massa .


Questa descrizione è ben adatta a rappresentare la società dell'immagine moderna , dominata dall'apparenza totale dietro il cui immenso velo di Maya si cela in sostanza il nulla .



Occorre , per quanto possibile , allontanarsi dai modelli veicolati da essa e dalle tante speranze illusorie e false promesse vendute ogni giorno , rifiutando in questo modo i falsi valori su cui è fondata , a partire dal culto dogmatico del denaro dal quale discende la mercificazione totalizzante e totalitaria di ogni aspetto della vita sociale e non .


Serve costruire una nuova alternativa , andando oltre i dogmi imposti ogni giorno da questa società , ponendo in questo modo le basi per una società migliore , consapevole , etica e responsabile fondata sull'unione imprescindibile tra libertà e solidarietà , lasciandosi alle spalle le false illusioni che finora ci sono state vendute .

Nietzsche e la crisi della società moderna ~ Informazione Consapevole

domenica 27 aprile 2014

La scienza occidentale attesta l'esistenza dei meridiani in agopuntura: meglio tardi che mai!

L’esperimento che prova l’esistenza dei meridiani di agopuntura

L’esistenza dei meridiani di agopuntura, stante la loro non esperibilità “anatomica” diretta, ha costituito il primo e principale scoglio per l’accettazione dell’agopuntura da parte della Medicina “scientifica” occidentale; un discorso analogo è dovuto alla terminologia e alla nomenclatura medica cinese che fa ricorso a descrizioni di energie non propriamente fisiche, quanto non riconducibili al tipo di energie postulate ed ammesse dalle scienze naturali occidentali.
1958142_209919425872990_1687495644_nTuttavia delle evidenze a favore della teoria dei meridiani sono facilmente attingibili dall’osservazione che la maggior parte delle dermatiti (più dell’80%)  si manifestano lungo il tragitto dei meridiani, così come di alcuni fenomeni algici (spesso in Medicina Cinese descritti come Sindromi ostruttivo-dolorose) che seguono di frequente il percorso individuato da un  meridiano. Va giusto ricordato che questi meridiani energetici sono -nel loro percorso-  del tutto indipendenti dalla circolazione ematica e linfatica, così come dal decorso delle fibre nervose. Oggigiorno tecniche di scansione a infrarossi permettono di evidenziare sensibili variazioni di temperatura lungo aree descritte dai meridiani o su specifici agopunti. Inoltre è stata verificata una differente conduzione elettrica sui punti di agopuntura, fatto su cui ritornerò più avanti.
La prima evidenza sperimentale, peraltro schiacciante e sorprendente nei suoi risultati, fu quella ottenuta sul finire degli anni ’80 in Francia da Darras e de Vernejoul, e colleghi.
Già un decennio prima, due biofisici, R. Becker e M. Reichmanis, mostrarono l’effettiva presenza di correnti elettriche nei percorsi dei meridiani.
De Vernejoul e  Darras condussero una serie di esperimenti su 80 pazienti e 50 volontari sani presso il reparto di urologia dell’ospedale Necker di Parigi. Veniva iniettato un radioisotopo del Tecnezio, il Tc99, nel punto KI7 Fu Liu, e in una zona random fuori meridiano e priva di significanza agopunturale. In questi punti (al rilevamento condotto in camera a raggi gamma) fu tracciato che il Tecnezio 99 si diffondeva a raggiera in modo casuale. Il Tecnezio 99 iniettato in KI7 si diffondeva invece in modo grosso modo rettilineo lungo il percorso del meridiano di Rene percorrendo circa 30 cm in circa 5 minuti.

0_0_0_0_250_304_csupload_48188999 L’evidenza di questo risultato mostra inequivocabilmente che esistono dei percorsi privilegiati nel corpo umano, e alcuni di essi sono stati intuiti dall’antica Medicina Cinese. In questi “percorsi” si muovono delle correnti che orientano gli elettroliti – come è accaduto al radioisotopo impiegato nell’esperimento-  in maniera uniforme in contrasto con la diffusione casuale e omogenea delle altre zone della matrice extracellulare. Questi flussi come detto prima sono indipendenti, ad esempio, dai vasi linfatici dell’anatomia fisica. Questo effetto sulle correnti di elettroliti e sulla loro differente concentrazione è alla base della differenza di conduttanza associata ai punti di agopuntura. Su questo meccanismo sono basati ad esempio metodi diagnostici o di rilevazione come quello studiato da Voll con la sua elettroagopuntura.

Si impone qui però una riflessione epistemologica più generale. Di per sé infatti questi flussi di elettroliti (probabilmente solidali col flusso dei liquidi interstiziali) non vanno confusi tout court con i meridiani né con il Qi ad essi associato: questa confusione sarebbe come quella di chi prendesse “il dito per la luna”. Il flusso di elettroliti (forse anche della frazione di acqua della matrice) risponde forse ad un ipotetica differenza di potenziale elettrochimico ma questa di per sé non è sufficiente a spiegare il percorso rettilineo  o rettiforme di questi flussi. Dobbiamo ancora una volte ritornare sul concetto di energie sottili e di Forze plasmatricidel piano eterico, che orientano da un livello superiore, iperfisico, ma immediatamente contiguo al piano fisico, le forze più grossolane o “dense”.  Le stesse forze orientano ad esempio gli ioni nel cosiddetto effetto corona, in atto nei fenomeni Kirlian. Fenomeno assolutamente descrivibile e noto alla fisica anche sugli oggetti inanimati (nessuno ha mai negato che un sasso abbia un campo eterico), ma in grado di dare disposizioni particolari soltanto in presenza di forme viventi (o di significative variazioni in ragione dello stato emozionale e vitale dei soggetti).
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Solo postulando questo piano di forze, che non coincide con nessuna delle energie della fisica (meccanica, termica, elettromagnetica o elettrochimica), ma di cui le energie note alla fisica sono la manifestazione sul piano più denso, si possono spiegare appieno determinati fenomeni altrimenti inesplicabili (come ad esempio il biochimico Sheldrake ha indicato in relazione non solo a fenomeni complessi come l’etologia animale ma anche in relazione alla cristallografia e alla chimica inorganica). Ogni altro tentativo “riduzionista”  è destinato non solo a fallire -perché poggiato su assunti falsi- ma anche a coprirsi a volte di una certa dose di ridicolo.
Il termine “Qi” è un modo tipico cinese per indicare forze di questo ordine iperfisico. Questa ultima riflessione è volta, fra l’altro, a giustificare appieno l’utilizzo di questo termine  della nomenclatura cinese, assolutamente indispensabile per descrivere il campo d’azione dell’agopuntura. Tentativi riduzionistici di spiegazione dell’agopuntura (es. modelli neurologici come la teoria dei cancelli) ne spiegano solo degli aspetti parziali come l’effetto anestetico,  ma non la totalità degli effetti terapeutici multi livello, compresi gli effetti psichici. Ugualmente il concetto di Qi racchiude una serie di sensi e di significati (oltre a una sua specifica realtà ontologica ignota alla scienza occidentale) irriducibile a concetti fisicalisti. Il che evidenzia che l’accettazione della Medicina Cinese in senso integrale suppone un differente paradigma scientifico ed epistemologico che include anche un’ontologia del tutto divergente da quella della scienza occidentale e che in Occidente verrebbe ascritta alla “metafisica”.



Bibliografia :

Il sedimento delle diatomee benefico e adsorbente, una medicina a costo zero!

I benefici per la salute della terra diatomacea (antiparassitario, ripulisce l’intestino, disintossica dai pesticidi e dai metalli pesanti).


La terra diatomacea non è altro che il residuo dei microscopici esoscheletri delle diatomee (piante unicellulari) che nel corso del tempo si sono accumulati sul fondale marino. Laddove questi banchi si sostanza silicea emergono si hanno delle vere e proprie cave di terra diatomacea, una sostanza inerte, non tossica, che contiene tra l’altro manganese, magnesio, ferro, titanio, silicati di calcio. Quando questi scheletri vengono opportunamente sminuzzati diventano come aghi affilati e sono nocivi per i per i parassiti, i funghi, i lieviti, i vermi e le amebe, ma sono innocui per gli esseri umani e per gli altri animali a sangue caldo. NON PROVATE però ad assumerla polvere senza diluirla con l’acqua, e soprattutto se volete provarla UTILIZZATE SOLO QUELLA DI GRADO ALIMENTARE (vedi un esempio di tale prodotto al linkhttp://www.fitoplus.it/terra-diatomacea.html) dal momento che esistono anche prodotti a base di terra diatomacea che contengono però anche altre sostanze chimiche (e che servono per esempio per i sistemi di filtraggio delle piscine).


Il dottor Andreas Kalcker suggerisce di utilizzare la terra diatomacea all’interno del suo protocollo antiparassitario (egli consiglia 18 giorni di assunzione e 10 di sospensione, in base ai cicli lunari su cui sono sintonizzati i parassiti). L’uso di tale sostanza richiede piccole dosi (per gli adulti al massimo un cucchiaino da the tre volte al giorno), ed in caso di costipazione è meglio ridurre ulteriormente il dosaggio (se poi il problema persiste forse è meglio evitarne l’assunzione).

Sui numerosi benefici della terra diatomacea vedi anche l’articolo
che menziona tra le virtù salutari di tale prodotto l'abbassamento della pressione sanguigna (per chi è iperteso) , la rimozione di residui di farmaci, di metalli pesanti e pesticidi, per non parlare dei benefici per la pelle e per i polmoni.

Sull’uso antiparassitario della terra diatomacea anche negli animali domestici vedi

Sul possibile uso come insetticida naturale vedi
  
La terra diatomacea è utile anche contro le zecche e le pulci degli amici a quattro zampe, come spiega il già citato articolo sul sitointegratorialimentarisani