giovedì 30 giugno 2016

A Verona un punto geomagnetico attivo che crea fenomeni inspiegabili

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A Verona esiste un luogo fuori dalle regole della fisica! Basta salire sulle Torricelle, proprio per via Torricelle, passato il Minigolf e passata la Terza Torricella tenendo la destra si imbocca via Bonuzzo Sant'Anna. Fatti una cinquantina di metri si nota che la stradina diventa ripida, bene se in quel tratto di strada fermate la macchina e la lasciate in folle, vedrete che la vettura, invece di andare verso valle, lentamente  prosegue in salita.
Di luoghi di questo genere in Italia e nel mondo ne esistono parecchi, ma nessuno ne vuol parlare. Pensate che Fellini, che era appassionato di stranezze e un cultore di luoghi "magici" quando gira la parte finale del film "Cabiria", con la banda che suona a cui la povera e tenera prostituta si accoda dimenticando tutte le disgrazie che le sono capitate,  va a fare le riprese proprio in un luogo molto simile a quello  di Verona. Due salite similari  con caratteristiche anomale.
Qualcuno afferma che gli artisti riescono, in questi siti, ad avere facilmente l'ispirazione e anche l'uomo comune avverte un qualcosa di strano....
Nonostante Ariccia disti più di 500 chilometri da Verona, energie simili sono attive nell'alterare le leggi della fisica, aberrazioni di un medesimo fenomeno , inspiegabile ed affascinante al tempo stesso.
Il tratto di strada in questione filmato da Fellini si trova sulla Strada Statale 218 Appia: si devia per Velletri, si segue la via dei laghi e si giunge a un quadrivio,che porta in direzioni diverse. Prendendo la strada a destra, per 'Ariccia', all'inizio troveremo una discesa, dopo di ché inizia una 'salita': questo è il punto dove si manifesta l' anomalia in questione.
In ambedue i tratti di strada, qualsiasi oggetto tende in modo curioso a risalire la pendenza, appare frenato. Questo lo scrivo perché ho avuto l'occasione di recarmi in entrambi questi luoghi "bizzarri".
Posti che da sempre sono al centro delle attenzioni dei curiosi, studiosi, scettici, perché presentano uno stravolgimento inspiegabile delle leggi della fisica e innescano tutta una serie di discussioni o polemiche a seconda dei soggetti.
I giornalisti se ne guardano bene dal parlarne, specialmente a Verona, tutto deve essere ignorato......Discesa e salita si confondono, un mondo alla rovescia, dove, a mio parere, esistono delle energie che agiscono sulla nostra mente.
La Bibbia proibita
Sembra paradossale che un sistema come quello cattolico, che dovrebbe essere basato proprio sulla Bibbia, parli di questo libro come di un testo chiuso, nascosto, inavvicinabile dalla maggioranza delle persone e che solo ora, grazie a qualche casa editrice, esso sia finalmente sciolto da catene secolari. Come credenti e semplici cristiani, siamo indubbiamente lieti di tale evento, anche se non possiamo fare a meno di rilevare come sia stata la stessa chiesa cattolica romana a diffidare per lunghi secoli della lettura della Bibbia, perseguitando coloro che desideravano accostarvisi senza l'indispensabile imprimatur cattolico (1). Un po' di storia In genere, le repressioni e persecuzioni citate vengono giustificate asserendo che "erano altri tempi e che ora la chiesa cattolica è profondamente cambiata". Tuttavia ci domandiamo perplessi: la chiesa Romana che produsse quelle azioni, non fu forse guidata da papi "infallibili" proprio come oggi? A tale domanda Giovanni Paolo II risponde affermativamente. Nell'introduzione al Nuovo Catechismo si legge che la chiesa Romana custodisce "in ogni tempo" il deposito della fede. Diamo uno sguardo alla Storia per averne conferma. Il Dictatus Papae di Gregorio VII (1075) e più tardi la bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII (18-11-1302) asserivano l'autorità assoluta del papa, la sua santità e l'impossibilità per chiunque a criticarne l'operato. È singolare che tale custodia, tale santità, tale infallibilità, siano state esercitate scoraggiando e proibendo la lettura del testo biblico. Persecuzioni Un primo atto ufficiale contro la lettura biblica risale al secolo XIII. Il Concilio di Tolosa (1229), d'accordo con papa Gregorio IX, decretò nel canone 14 la proibizione per i laici di possedere copia della Bibbia. Nel 1234 il Concilio di Tarragona ordinò che tutte le versioni della Bibbia nelle lingue parlate venissero, entro 8 giorni, consegnate ai vescovi per essere bruciate! Divieti simili furono emanati in tutta Europa da vescovi e da Concili provinciali fino al XVI secolo. Un'attività intensissima si ebbe soprattutto tra il XVI e XVII secolo, volta a frenare la diffusione della riforma protestante in Europa. La nuova Inquisizione romana, istituita da papa Paolo III con la bolla “Licet ab initio” del 1542, aveva tra i suoi compiti anche quello di controllare la produzione, la vendita e la diffusione degli stampati. Il primo Indice dei libri proibiti fu compilato nel dicembre del 1558 sotto il pontificato di Paolo IV. Vi erano elencate, tra l'altro, 45 edizioni proibite della Bibbia e del Nuovo Testamento e i nomi di 61 stampatori responsabili della pubblicazione di libri eretici. Persino il Concilio di Trento, pur non pronunciandosi apertamente sulla lettura della Bibbia, compose un catalogo di libri di cui veniva proibita la lettura (sess. 18, 26-2-1562). Un paio di anni più tardi, il 24 marzo 1564, quel catalogo fu pubblicato in una bolla papale (Index librorum prohibitorum). Questo documento introduceva dieci Regole, la quarta delle quali proibiva la lettura della Bibbia in lingua volgare, se non dietro particolare licenza del vescovo. Gregorio XV, nel 1622, eliminò anche questa remota possibilità revocando tutte le licenze concesse dai suoi predecessori. Nel 1631, Urbano VII ingiunse di nuovo a tutti i possessori di copie della Bibbia di consegnarle alle autorità per bruciarle, pena la denuncia alla "santa" Inquisizione. Più recentemente, Pio VII (1820) condannò con decreto la traduzione italiana della Bibbia, ivi inclusa quella di mons. Antonio Martini (1776), arcivescovo di Firenze. E la Bibbia fu nuovamente posta all'indice dei libri proibiti! Oggi, a 30 anni dal Concilio Vaticano II, ci pensano degli editori a consentire la distribuzione della Bibbia. Un'apertura che appare tardiva e che rimane macchiata del sangue di molti cui la chiesa Cattolica Romana ha chiuso per secoli il testo biblico. Di quel sangue non s'è mai chiesto perdono. Ci auguriamo che reclamizzare oggi la Bibbia come un bel romanzo affascinante non serva ad addolcirne il messaggio, e che la voglia di leggerla non passi con la rapidità di un consiglio per l'acquisto. 1) Nota: Fino ai primi del '900 diversi papi si sono espressi contro la diffusione della Bibbia. Nel 1849, inoltre, la prima iniziativa di papa Pio IX una volta ripreso il potere fu di bruciare tutte le copie "evangeliche" del Nuovo Testamento (versione Diodati) introdotte in Roma. Ancora negli anni '30 dello scorso secolo furono frequenti i roghi di Bibbie evangeliche.

mercoledì 29 giugno 2016

Un antichissimo meccanismo per calcolare il calendario siderale e lunare

Il mistero del Meccanismo di Anticitera 
Una guida stellare di 2200 anni fa
L’oggetto più misterioso nella storia della tecnologia è una guida filosofica del cielo. Un’opera di microingegneria che, attraverso un complesso sistema a ruote dentate, ha predetto i movimenti dei corpi celesti del Sole, della Luna. E le eclissi. Il Meccanismo di Anticitera risale a circa il 200 avanti Cristo. L’autore è ignoto. Ed è un anacronismo: troppo sofisticato per l’epoca. Le conoscenze teoriche, come il rotismo differenziale, arriveranno molti secoli dopo. E anche la precisione dell’assemblaggio sembra impossibile per la grecia antica (alcune componenti hanno le dimensioni di 7 millimetri). In più si è sempre creduto che la civiltà che lo ha costruito non aveva conoscenze astrali così sofisticate. E, tra i reperti archeologici finora scoperti, non c’è niente che gli somigli.



Il Meccanismo è stato ritrovato, per caso, da un gruppo di pescatori di spugne che si rifugiarono sull'isola di Cerigotto per mettere al riparo la loro barca. Mentre aspettavano il ritorno delle acque tranquille decisero di occupare il tempo esplorando il fondale: la sorpresa fu incredibile. Da allora le ipotesi su cosa fosse questa strana macchina si sono avvicendate. Completamente ossidata e ridotta in frammenti, di cui solo il 40 per cento è sopravvissuto al tempo, è impossibile da ricostruire. 



Oggi è conservato al Museo Nazionale di Atene e, a maggio, un gruppo di ricercatori è riuscito a spiegare parte del funzionamento e, soprattutto, a cosa serviva. Tutto è stato raccontato in un numero speciale della rivista di storia della scienza Almagest. I lavori di ricerca sono iniziati dodici anni fa, con analisi ai raggi x dei frammenti sopravvissuti. Poi, con il progredire della tecnica, sono stati fatti ulteriori passi in avanti. Grazie alla scansione 3D computerizzata, più di cento anni dopo il ritrovamento, è stato possibile ricostruire le iscrizioni presenti sulla parte esterna del meccanismo. Alcune di queste sono alte solo 1,2 millimetri e, a causa dello stato di conservazione dell’oggetto, erano rimaste illeggibili.
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lunedì 27 giugno 2016

Le Pleiadi: le sette stelle della costellazione del Toro

http://forum.politicainrete.net/2627248-post145.html LE PLEIADI E LA LEGGENDA DELL'ATLANTIDE PERDUTA Il più bell’oggetto del cielo Le Pleiadi sono senz’altro l'oggetto più spettacolare e suggestivo del cielo visibile alle nostre latitudini. La loro carat­teristica forma, la loro composizione insolita, il loro bagliore discreto eppure intrigante, non mancano di colpire anche chi si avvicina per la prima volta all'astronomia e addirittura chi ri­volge casualmente lo sguardo al cielo invernale. Capita sovente, infatti, nelle serate osservative pubbliche, di sentirsi chiedere particolari su quello strano gruppetto di stelle, da molti identificato, proprio per la sua forma, con l'Orsa Minore. Il grande astronomo Otto Struve ha affermato che le Pleiadi sono state l'oggetto più fotografato e studiato del cielo al di là del sistema solare. Possiamo tranquillamente affermare che questo primato continua tuttora con le legioni di astrofotografi che cercano in tutti i modi di catturare, con ogni tipo di camere e configurazione ottica, la debole nebulosità che circonda il gruppo. Il famoso astronomo dilettante americano Leslie Peltier disse che le Pleiadi costituirono il ricordo del primo oggetto celeste da lui osservato. Quanti astrofili in tutto il mondo condividono la sua opinione? Molti, senza dubbio. Sul mio libretto di ap­punti delle osservazioni che iniziavo a compiere, dodicenne, con un rifrattore di 50 mm, scrivevo, in un'imprecisata notte dell'inverno del 1972: “...non mi ricordo quando le ho osservate la prima volta, ma da allora le osservo quasi ogni notte”. Pensare che utilizzavo, all'epoca, un oculare da 12 mm che mi dava una pupilla d'uscita di solo 1 mm! Eppure l'occhio era sempre lì, per primo, tutte le notti, e lo è ancora adesso, nelle lunghe notti autunnali e invernali. Certamente, con il tempo, ho capito come i migliori strumenti per osservare le Pleiadi siano telescopi a grande campo e binocoli. Anche in un 7 x 50 il loro aspetto è affascinante, perfino all'occhio del profano, ma in un 20 x 80 la visione è altamente spettacolare, e col mio attuale 20-30-37 x 100 è da mozzare il fiato. Con piccoli telescopi è necessario utilizzare bassi ingrandimenti, in modo sia da avere l'intero gruppo nel campo, sia da ottenere una pupilla d'uscita almeno di 5-6 mm. Di recente, perfino con un 114, usando un oculare da 40 mm (pupilla d’uscita di 5 mm), ho avuto, con cieli molto scuri, visioni assolutamente straordinarie. Poiché le nove stelle più brillan­ti sono racchiuse in un campo di circa un grado, sarà possibile averle tutte nell'oculare utilizzando anche telescopi fino a 25 cm di diametro, con focali fino a due metri, con oculari di focale sui 50 mm. Con strumenti del genere sono visibili nel campo migliaia di stelle, delle quali però non tutte, forse non più di 500, sono reali componenti l'ammasso. Le Pleiadi nelle culture antiche Fin dall'antichità le Pleiadi hanno colpito la fantasia popolare. La prima citazione del gruppo è contenuta in annali cinesi risa­lenti al 2357 a.C. Esse rivestivano a quel tempo una notevole im­portanza, poiché si trovavano, a causa del movimento precessionale, presso il punto equinoziale di primavera (3° a nord). Nell'antica Cina erano venerate come Le sette sorelle dell'operosità, ma in seguito vennero conosciute come Mao, Mauo Maou, che significa “La Costellazione” per antonomasia o come Gang, di etimo incerto. In Persia dove, come per altre culture, esse costituivano una delle stazioni lunari più importanti (divisioni del percorso della Luna in cielo in 27 “case” collocate in varie costellazioni, a fini calendariali), erano chiamate Pervis, Peren oParur. Per i popoli mesopotamici rappresentavano, insieme con le Iadi, Mas-tab-ba-gal-gal-la, “I grandi gemelli dell'eclittica” poiché il percorso del Sole è proprio a metà strada fra i due gruppi. Più in particolare, gli Assiro-Babilonesi chiamavano le Pleiadi Kimtu, molto simile al siriano Kima, e all'ebraico Kimah, aventi tutti pressappoco lo stesso significato di “Grappolo, Gruppo”. Nell'Antico Egitto le Pleiadi erano note come Chu oChow e identificate con la dea Nit (“La navetta”), una delle maggiori divinità del Basso Egitto, equivalente alla greca Atena e alla romana Minerva. Un altro nome usato dagli Egizi eraAthur-ai o “Stella di Hathor”, la dea dal corpo di donna e dalla testa di vacca, singolarmente simile ad Al Thurayya, il termine arabo con cui l'ammasso veniva designato (“Il gruppo”). Anche gli Arabi peraltro chiamavano le Pleiadi “La Costellazione” (Al Najm) per eccellenza, confermando così ulteriormente l'enorme importanza ad esse attribuita nell'antichità. Quasi tutte le civiltà e culture, del resto, hanno coniato dei nomi propri per questo straordinario oggetto celeste. Gli antichi Teutoni lo chiamavano Seulainer, i Gaelici Griglean, gli Ungheresi Fiastik, i Finlandesi Het e wa ne, i LapponiNiedgierreg, i Groenlandesi Killukturset (“Cani che lottano contro un orso”), i Gallesi Y twr tewdws (“Il pacchetto chiuso”), i Russi e i Polacchi Baba e Baby (“La vecchia moglie” e “Le vecchie mogli”), i Francesi Cousiniere (“Zanzariera”), gli Italiani La racchetta, gli Spagnoli Las siete cabrillas (“Le sette caprette”). Come è noto, un appellativo comune presso molti popoli è Le gallinelle oppure La chioccia con i pulcini; in Italiano, appunto, abbiamo Gallinella o Gallinelle, in Francese Pulsiniere o Poussi­niere, in Tedesco Gluckhenne (“La chioccia”), in Russo Nasedha(“La gallina seduta”), in Danese Aften Hoehne, (“La gallina della vigilia”), in Greco moderno Pouleia (“Pollaio”), in Inglese Coop(con il medesimo significato del Greco). Perfino gli aborigeni dell'Africa e del Borneo identificano in questo modo le Pleiadi. Per gli indigeni delle Isole Tonga e della Società, invece, esse erano Matarii (“I piccoli occhi”), e dividevano in due stagioni l'anno, con il loro apparire, Matarii i nia e Matarii i raro, che vuol dire “I piccoli occhi sopra e sotto” (l'orizzonte). Anche per gli abitanti del gruppo delle Hervey le Pleiadi rappresentavano dei piccoli occhi (Matariki): secondo loro esse erano anticamente una stella singola, così brillante che il dio Tane, morso da invidia, ottenendo il sostegno di Aumea (Aldebaran) e Mere(Sirio) la scacciò, costringendola a rifugiarsi in un fiume. Ma Mere prosciugò il corso d'acqua e Tane scagliò Aumea contro il fuggiasco rompendolo in sei pezzi; da allora le stelle si chiama­rono Tauono, “Le sei”, appunto. Anche alcune tribù del Sudamerica conoscevano le Pleiadi come Cajupal, “Le sei stelle”. Gli aborigeni australiani, invece, le vedevano come Le giovani ragazze che giocavano con i Giovani uomini, rappresentati dalle stelle della Cintura di Orione. Per gli abitanti delle isole Salomone erano Togo ni samu (“Compagnia di Vergini”). Alcuni Pellerossa americani le chiamavano “Danzatori”, mentre altri vi avevano connesso una storia suggestiva, ispirata alla Mateo Tepe o Torre del Diavolo, una curiosissima formazione rocciosa, Monumento Nazionale degli Stati Uniti, che si erge come un tronco d'albero pietrificato, alto 400 metri, sopra le pianure del Wyoming nordorientale (figg. 3 e 4). Secondo i Kiowa e i Cheyenne la Torre fu eretta dal Grande Spirito per proteggere sette ragazze inseguite da degli orsi giganteschi; le ragazze furono in seguito poste in cielo e diventarono le Pleiadi, e le striature verticali sulla torre sarebbero il segno lasciato dalle unghiate degli orsi. Le Pleiadi sono citate diverse volte nella Bibbia, particolarmente nel Libro di Amos,dove (cap. V, verso 8) troviamo riferimento a: Lui che fa le Sette Stelle e Orione... E nel Libro di Giobbe (XXXVIII, 31): Puoi tu incatenare la dolce influenza delle Pleiadi, o perdere i legami di Orione? Diverse ricerche archeoastronomiche sembrano dimostrare che molti manufatti ed edifici dell'antichità erano orientati in direzione del sorgere o del tramontare delle Pleiadi. Anthony Aveni afferma che l'allineamento più importante della leggendaria città di Teotihuacan (fig. 5), a nord di Città del Messico, costruita agli inizi della nostra era, è proprio verso il punto del loro tramonto. Alcuni templi greci, secondo le ricerche condotte da F.C. Penrose verso la fine del XIX secolo, il tempio di Esculapio a Epidauro, il tempio di Capo Sunio, il tempio di Bacco ad Atene, il Partenone e i templi a questo precedenti nell'Acropoli di Atene, erano tutti orientati verso il sorgere delle Pleiadi all'epoca della loro costruzione (dal XVI al V secolo a.C.). Presso molte culture le Pleiadi rivestivano delle importantissime funzioni di regolazione dei riti, costumi, usanze della società civile. Molti popoli primitivi facevano iniziare l'anno con novembre, il “Mese delle Pleiadi”. A seconda delle varie epoche, nei primi giorni di questo mese o, al più, negli ultimi di otto­bre, avveniva la culminazione del gruppo a mezzanotte. In tale giorno, gli antichi re di Persia non potevano respingere alcuna petizione loro presentata; gli aborigeni australiani eseguivano grandi danze in loro onore; gli Aztechi, per i quali esse erano l'asterismo più importante (raffigurato anche sulla celeberrimaPiedra del sol e conosciuto come Tianquiztli, “Le molte”, fig. 6), celebravano la cerimonia del “Giro del calendario” con la quale aveva inizio il grande anno di 52 anni. Sempre restando in Messico, è probabile che una delle osservazioni più importanti che venivano fatte dai tubi zenitali che si trovano nell'edificio P di Monte Alban, nello stato di Oaxaca e a Xochicalco nello Stato di More­los fosse proprio il passaggio allo zenit delle Pleiadi. Facendo i conti per la precessione, si trova che esso avveniva nei due siti rispettivamente verso il 310 a.C. e nel 50 d.C. Mentre la prima data è in ottimo accordo con quella presunta per l'erezione dell'edificio P di Monte Alban (250-275 a.C.), la seconda è sfalsata di circa sette secoli; tuttavia a Xochicalco il tubo zenitale era molto ampio e sicuramente l'osservazione poteva essere compiuta anche nell'VIII secolo d.C., data di fondazione del centro cerimoniale. L'istante della culminazione superiore delle Pleiadi a mezzanotte segnava il periodo del culto dei defunti presso molte culture primitive e in molte religioni come il Druidismo o lo Zoroastrismo. Nel Medioevo all'istante citato fu attribuita una sinistra influenza, tanto che esso servì per stabilire la data del Sabba delle streghe, o Black Sabbath, la notte in cui si svolgevano orge profane fra gli alti dirupi del Caucaso o sul monte Brocken in Germania. É possibile che tracce di questi culti e di queste pratiche siano riscontrabili nelle attuali feste del 31 ottobre (la All Hallows' Eve, abbreviata in Hallowe'en, (Vigilia di Ognissanti), del 1° novembre (Ognissanti) e del 2 novembre (Commemorazione dei Defunti), anche se attualmente la precessione ha portato in realtà le Pleiadi a culminare alla mezzanotte del 18 novembre. Secondo W.T. Olcott queste antiche commemorazioni erano correlate alla celebrazione di un immane cataclisma occorso in tempi remotissimi e che portò alla scomparsa di moltissime vite umane. Il riferimento alla leggenda della mitica Atlantide è quasi obbligato, anche pensando all'appellativo, le Atlantidi (perché figlie di Atlante) con cui le Pleiadi sono spesso indica­te nella mitologia greca. Ma il pericolo di questi collegamenti, come si sa, soprattutto in assenza di indizi seri su cui lavora­re, è di far galoppare troppo la fantasia. Le Pleiadi e i lavori agricoli Il sorgere eliaco del gruppo (il primo giorno nel quale è possi­bile osservarlo prima del crepuscolo mattutino) era altrettanto importante. Esso veniva osservato dagli Incas, che chiamavano le Pleiadi Collca. Per la civiltà di Teotihuacan coincideva con il primo passaggio del Sole allo zenit della città. Nell'antica Gre­cia costituiva l'occasione per la “Festa del lavaggio delle vesti” che veniva celebrata all'inizio della raccolta del grano, e anche per le elezioni annuali presso gli Achei. In molti casi, addirittura, l'intero anno veniva scandito dalle varie posizioni celesti assunte dalle stelle dell'ammasso. Il medico greco Ippo­crate, per esempio, aveva diviso l'anno in quattro stagioni, cia­scuna dominata dalla loro posizione: l'inverno iniziava quando il loro tramonto coincideva con l'alba; la primavera iniziava all'e­quinozio e terminava con il loro sorgere eliaco; l'estate durava fino al sorgere eliaco di Arturo; l'autunno finiva, concludendo il ciclo, con il loro tramonto eliaco. Ancor oggi, del resto, gli Indiani Papago dell'Arizona basano il loro anno su questi medesimi aspetti, collegati inoltre ai ritmi principali della tradizione agricola. Il sorgere eliaco del gruppo coincide con la semina, la culminazione all'alba segna la fine della semina, superata la culminazione si inizia il raccolto, nella posizione fra meridiano celeste e orizzonte ovest avviene la caccia al cervo, al tramonto eliaco ha luogo la festa del raccolto. Le connessioni con l'agricoltura appaiono chiare anche per molte tribù del Sudafrica, per le quali le Pleiadi erano le “Stelle dell'aratura”, per gli abitanti delle isole Salomone e per tutta una serie di popoli dell'emisfero meridionale per i quali il tramonto eliaco dell'ammasso coincideva con la ripresa delle attività agricole. Anche nel mondo classico sono numerosi i cenni alla funzione re­golatrice delle Pleiadi sui tempi agricoli. Nelle Opere e giornidi Esiodo, ad esempio, si legge (versi 383-387): Quando sorgono le figlie di Atlante, le Pleiadi, incomincia la mietitura; l'aratura quando tramontano; esse infatti quaranta notti e quaranta giorni stanno nascoste, poi, volgendosi l'anno, appaiono per la prima volta quando viene l'ora di affilare gli arnesi. E (v. 614-617): Poi, dopo che le Pleiadi e le Iadi e il forte Orione sono tramontati, ricordati di arare, è il momento opportuno, e che l'anno sia propizio ai tuoi campi. Nelle Georgiche, Virgilio mette in guardia il contadino dal semi­nare il grano prima dell'epoca del loro tramonto. Nel mondo lati­no le Pleiadi erano chiamate Vergiliae o Sidus vergiliarum (“Le stelle della primavera”), titolo simile a quello usato presso altre culture, soprattutto orientali, che le chiamavano “Stelle dell'abbondanza” o “Stelle della stagione dei fiori”, essenzial­mente a causa del fatto che il loro sorgere eliaco avveniva in maggio, mese della fioritura. A questo proposito possiamo citare che nelle scritture buddiste si trova un riferimento, probabilmente collegato alle Pleiadi, quando si dice che la nascita del sacro bambino fu profetizzata nel periodo “quando la stella del fiore brilla ad est”: in effetti il Buddha nacque, nel 563 a.C., a metà maggio, in un giardino, proprio in coincidenza con la le­vata eliaca dell'ammasso. Le Pleiadi e il tempo Le Pleiadi furono collegate anche al tempo atmosferico e alla navigazione. Anzi, secondo un'ipotesi il loro stesso nome è dovuto alla pratica della navigazione, poiché deriva da plein, “navigare”, appunto (secondo un'altra ipotesi il nome deriva dapleios, forma epica di pleos, che significa “molti, molte”, attribuzione, come detto, usata da parecchi altri popoli). Il sorgere eliaco delle Pleiadi, nella prima decade di maggio, apriva, in Grecia, il periodo adatto ai viaggi per mare mentre quando esse cominciavano a tramontare prima che l'alba tingesse il cielo di chiaro, verso i primi di novembre, la stagione finiva, come ci ricorda Esiodo (Opere e giorni, v. 618-622): Ma se della navigazione pericolosa il desiderio ti prende, sappi che quando le Pleiadi, la forza terribile d'Orione fuggendo, si gettano nel mare nebbioso, allora infuriano i soffi di tutte le specie di venti. E non è più il tempo d'avere la nave sul fosco mare,... Il momento citato veniva generalmente associato anche all'arrivo dell'inverno, come adombrato dai seguenti versi di Arato di Soli (Fenomeni e pronostici, v. 1084-1086): ...un inverno molto burrascoso porterebbero le Pleiadi al loro ritorno. E da Ippocrate che, nel trattato Sulle epidemie, afferma che, nel periodo in cui le Pleiadi corrono i cieli interamente nelle ore notturne, si producono spesso febbri ardenti e molte persone trovano la morte. Tenendo fede al loro nome, le Pleiadi erano comunque anche usate direttamente per la navigazione, sia nell'antichità greca, come dimostrato, ad esempio, dai versi con i quali Omero descrive la partenza di Ulisse dall'isola di Calipso (Odissea, V, 269-272): Lieto del vento, drizzò le vele il luminoso Odisseo. Così col timone guidava sapientemente il cammino, seduto: mai gli occhi cedevano al sonno, fissi alle Pleiadi e a Boote che tardi tramonta... sia in diverse altre culture come ad esempio quella del gruppo delle Hervey prima citato, che le usavano come riferimento privilegiato nei viaggi notturni fra un'isola e l'altra. É stato anche possibile rintracciare una funzione di indicatore orario di queste stelle. Già nel quinto secolo a.C. Euripide le cita come orologio notturno. Nelle campagne del Bellunese gli an­ziani rammentano un vecchio proverbio, che sicuramente ha un corrispondente in altre regioni italiane: Le brave filaresse de genaro le va a dormir co le sette va a punaro. Che significa: “Le brave filatrici nel mese di gennaio vanno a dormire quando le Pleiadi (le sette) tramontano (vanno al pol­laio)”. Un facile calcolo mostra che queste povere ragazze lavo­ravano fino alle 3 del mattino! Le Pleiadi nella letteratura Le Pleiadi sono quasi sicuramente l'oggetto celeste più citato, dopo il Sole e la Luna, in opere letterarie. I poemi omerici ed esiodei contengono diverse altre citazioni, oltre a quelle ripor­tate. Esiodo chiama le Pleiadi anche le “Sette vergini” o le “Stelle vergini”. Virgilio le chiama le “Atlantidi del mattino”. Milton “Le sette sorelle atlantiche”, Chaucer “Le sette figlie atlantiche”. Ma forse la più famosa citazione delle Pleiadi è quella di Saffo (frammento 14): Tramontata è la Luna e le Pleiadi: a mezzo è la notte: il tempo trascorre; e io dormo sola. Nelle opere dei poeti mediorientali le Pleiadi vengono spesso paragonate a gioielli della volta celeste. Hafiz di Persia, nel XIV secolo, scrisse a un amico poeta: Ai tuoi poemi il cielo affisse la Perla Rosata delle Pleiadi come segno di immortalità Nel XIII secolo leggiamo nel Gulistan del poeta persiano Sadi: Era come se il suolo fosse cosparso di smalto colorato, e le collane delle Pleiadi sembravano appese sopra i rami degli alberi... La più famosa citazione delle Pleiadi nella letteratura inglese è quella di Tennyson (Locksley hall): Molte notti vidi le Pleiadi, sorgenti attraverso l'aria serena, brillare come uno sciame di lucciole aggrovigliate in una treccia d'argento. Nella poesia italiana, piuttosto nota è la citazione del Pascoli (Il gelsomino notturno): La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolio di stelle. Ma le Pleiadi hanno avuto un'altra singolare influenza nel campo del pensiero, in quanto spesso il loro nome è stato utilizzato per battezzare vari gruppi letterari, filosofici, e altro. Ricordiamo soltanto la Pleiade filosofica del sesto secolo a.C., nota anche come i Sette saggi di Grecia (Bias, Chilo, Cleobulo, Epimenide, Pittaco, Solone e Talete); la Pleiade alessandrina, un gruppo di sette poeti tragici del terzo secolo a.C., con ogni probabilità i più grandi di quel periodo (Alessandro Etolo, Omero di Bisanzio, Filico di Corcira, Licofrone di Calcide, Sositeo di Alessandria Troade, Eantide, Sosifane di Siracusa), la Pleiade letteraria di Carlomagno, di cui faceva parte lo stes­so imperatore; la Pléiade, la scuola poetica francese del XVI se­colo; la Pleiade berlinese, un gruppo di sette scacchisti tede­schi formatosi fra il 1837 e il 1840. Inoltre, è noto che Gabriele D’Annunzio concepì un progetto poetico, le Laudi, realizzato solo in parte, che prevedeva la produzione di sette libri, uno per ogni stella delle Pleiadi. Le prime tre (Maia, Elettra, e Alcyone) vennero pubblicate nel 1903. Il quarto libro (Merope), apparve nel 1912, mentre il quinto, Asterope, vide la luce nel 1918. Le Pleiadi nella “nostra” mitologia Nella mitologia greca le Pleiadi erano le figlie di Atlante e Pleione, che le aveva partorite sul Monte Cillene in Arcadia. Atlante (fig. 7) era figlio di Giapeto e dell’Oceanina Climene. Apparteneva alla generazione divina anteriore a quella degli Dei Olimpici. Partecipò alla lotta dei Giganti contro gli Olimpici. Dopo la sconfitta, Zeus gli inflisse la punizione di reggere sulle spalle la volta del Cielo. Secondo una tradizione più tarda, Atlante era un astronomo che insegnò agli uomini le leggi del cielo, e che per questo fu divinizzato. Pleione era figlia di Oceano e di Teti. É talvolta considerata anche madre delle Iadi. Sul conto delle Pleiadi sono state narrate diverse leggende. Secondo Eschilo, le sorelle sarebbero state assunte in cielo in seguito al dolore per le sventure del padre (secondo altri, invece, per la morte del fratello Iante, morso da un serpente). Secondo Pindaro, Esiodo e altri le Pleiadi, insieme con la madre Pleione, fuggirono per cinque anni attraverso i campi della Beozia dinanzi alla bramosia del cacciatore Orione finché gli dei, trasformatele in colombe (in greco peleiades), ne immortala­rono l'immagine fra le stelle. Com'è noto, questa storia ha una controparte reale in ciò che avviene realmente, con il gruppo che precede di poco il sorgere, la culminazione e il tramonto della costellazione di Orione. Un'altra leggenda identificava nelle Pleiadi delle colombe che volavano dal padre Zeus a portargli l'ambrosia proveniente dalla lontana terra dell'Oceano. I nomi delle sorelle (fig. 8), così come noti fin dall'antichità, si ritrovano nei Fenomeni di Arato (v. 261-263): ...e sette vengono quelle chiamate per nome: Alcione, Merope, Celeno, Elettra, Sterope, Taigete e l'augusta Maia. La più importante, come già adombrato dai versi citati, era sicuramente Maia (fig. 9) che, insieme a Zeus, generò Ermes. Ovidio, nelle Metamorfosi, cita spesso Mercurio semplicemente con il titolo “figlio di Maia”; Dante (Par., XXII, 144) usa addirittura il suo appellativo, da solo, per indicare il pianeta Mercurio. Virgilio, nel luogo delleGeorgiche evocato in precedenza, utilizza il nome di Maia in rappresentanza dell'intero gruppo stellare. Maia era in effetti la primogenita e la più bella delle sorelle. A Roma, ai tempi di Cicerone, che la chiama sanctissima, era adorata come la Grande e Feconda Madre, Rhea-Cibele, che diede il nome, (tramite il colle­gamento, già ricordato, con il levare eliaco del gruppo), al mese romano majus, il nostro maggio.

Un testo cult fondamentale per approfondire la maestosa descrizione dei miti primordiali

La Dimora Artica nei Veda
Bâl Gangâdhar Tilak


Un testo
Siamo legati ad Orione , come i Dogon

Da età immemorabili l'uomo ha sempre cercato di scoprire le sue Origini, attraverso miti, rivelazioni e congetture, sognando Paradisi perduti e Paradisi a venire, per colmare, con un Destino, il vuoto di un presente troppo spesso fatto di miseria, fatica e angoscia. In questo libro, scritto agli albori del nostro secolo, la «notte dei tempi» diventa qualcosa di tangibile: la lunga notte del Circolo Artico, questa prolungata «morte del sole», ravvivata da aurore boreali, preceduta e seguita da interminabili e meravigliosi crepuscoli. 

Nella sua minuziosa ed erudita interpretazione dei Veda e degli altri testi sacerdotali dell'India, Tilak prosegue nell'affascinante ipotesi, formulata in Orione, di una Patria ariana in prossimità del Polo Nord, discorso capitale per intendere le basi culturali dei successivi sviluppi ideologici che tanta parte hanno avuto nella storia contemporanea. Costruito con strumenti che, all'epoca, erano «allo stato dell'arte», e con sovrana padronanza dell'antica lingua sacra (il sanscrito), il testo qui presentato si dipana dalla lotta annuale di Indra per la «settuplice ruota del Sole» al mito di Persefone, dai «tre passi» di Vishnu ai «nove passi» di Thor, e dalla precessione degli equinozi alla deriva dei continenti, proponendoci un affresco vasto e coerente dei miti indoeuropei.

DAL TESTO – “Queste caratteristiche, è inutile ormai ripeterlo, sono peculiari solamente dell’alba al Polo Nord. Specialmente l’ultima o quinta si rinviene solo nelle terre presso il Polo Nord, non ovunque nella regione artica. Possiamo, dunque, concludere con sicurezza che le dee vediche dell’alba sono, in origine, polari. Ma urge dire che, mentre l’alba polare dura da 45 a 60 giorni, le Albe vediche durano solamente 30 parti di un lungo giorno. Questa differenza deve essere tenuta presente prima di accettare la conclusione che l’Alba vedica sia di carattere polare. La differenza non è grave. Abbiamo constatato che la durata delle aurore dipende dalla potenza di rifrazione e riflessioni dell’atmosfera; che varia col variare della temperatura del lungo e delle condizioni meteorologiche. Non è, comunque impossibile che la durata dell’alba al Polo, quando il clima era più mite possa essere stata più corta di quanto noi pensiamo, al presente, in cui il clima è rigido. È più probabile, però, che l’alba descritta nel Rig-Veda non sia l’alba che un osservatore, posto precisamente al Polo Nord, può osservare. Come ho fatto rilevare prima, il Polo Nord è un punto e se gli uomini vivevano presso il Polo, in quei tempi primordiali, possono esser vissuti un po’ a Sud di quel punto. Così è del tutto possibile avere un’Aurora di 30 giorni che si muove come una ruota, dopo la lunga notte artica di 4 o 5 mesi. Per questo riguarda l’astronomia, la descrizione dell’alba che si legge nella letteratura vedica non ha nulla di inverosimile. Dobbiamo anche pensare che l’Aurora vedica spesso si protraeva a lungo sull’orizzonte ed i fedeli le chiedevano di non indugiare, affinché il Sole non potesse cercarla come si cerca un nemico (V-79,9)”. 

http://www.archiviostorico.info/libr...rtica-nei-veda

Il carrocio scomparso da San Zeno

L'imperatore Barbarossa sconfitto dalla lega Lombarda e Veronese, dopo lunghe trattative, riconobbe le autonomie comunali (pace di Costanza, 1183). Il simbolo dell'indipendenza e unità comunale fu assolto da un carro che portando le insegne comunali, accompagnava i soldati comunali alla battaglia.Un classico: sul carroccio un prete diceva messa durante la battaglia e impartiva i sacramenti a chi nello scontro veniva colpito a morte. Il carro, rimase per anni un simbolo dell'indipendenza e riccamente addobbato con i simboli della città veniva portato in processione per Verona in occasione delle grandi festività. Sarà custodito gelosamente nella basilica del Santo Moro, fino XVI sec, quando i monaci tedeschi di San Zeno,che dipendevano da un vescovo teutonico, forse sentendosi probabilmente umiliati dai ricordi che esso evocava, simbolo preciso del giogo d'oltre alpe, lentissimamente lo smontarono anno dopo anno. Un pezzettino alla volta lo fecero scomparire, almeno questo è quello che afferma Cesare Marchi al contrario di quello che è riportato in vari siti sul web.

La maschera e le profondità della mente riaffiorano

L’attore e la maschera di Alessandro Orlandi
Socrate: “E Dio, togliendo a loro la mente, li adopera come suoi ministri, e fa lo stesso con gli oracolanti ed i divini vaticinatori, così che noi, udendoli, ci avvediamo che non sono essi, esseri umani, a dire cose mirabili, ma lo stesso Dio che per loro bocca parla a noi […] niente altro sono i poeti se non interpreti degli Dei e ciascuno è ispirato da quel Demone che lo ispira: e Dio, ciò mostrando manifestamente, per il più sciocco poeta ci cantò il canto più bello. Non ti sembra che io dica il vero?”(Platone – Jone – V) Nel teatro antico gli attori erano soliti nascondere il volto dietro una maschera che raffigurava il personaggio da essi interpretato. Questa usanza derivava direttamente dai Misteri iniziatici (ad esempio quelli Dionisiaci [1]) in cui il ruolo della maschera era ad un tempo quello di nascondere, rivelare, spaventare e trasformare. Le maschere sono, da sempre, messe in relazione col mondo dei morti e con l’Oltretomba, perché sono rigide ed inanimate come il volto di un cadavere. D’altro canto la loro eterna stasi è la condizione perché il divino possa assumere forma e rivelarsi agli uomini; le maschere sono dunque il mezzo attraverso il quale il sacro può mostrarsi, il velo che permette il collegamento tra il mondo degli Dei e quello degli uomini. Sono comiche o spaventevoli poiché ci pongono sempre di fronte ad aspetti della nostra natura colti nella loro essenzialità archetipica, atemporale, e dunque possono suscitare divertimento in chi si accorge che la maschera non è che uno specchio del profondo, ma anche paura e repulsione da parte di chi rifiuta di riconoscersi. [2] Anche oggi ogni attore di teatro, quando recita, deve mediare tra una maschera immobile, costituita dalla sua parte scritta e codificata nel testo, ed il pubblico vivo e concreto che gli sta davanti, legato all’attimo della situazione contingente. Per poter riuscire nell’impresa di far vivere il suo personaggio egli deve avere le capacità di rivolgersi ad ogni spettatore con un linguaggio particolare ed apparire vecchio ai vecchi e giovane ai giovani, malato ai malati e sano ai sani, saggio ai saggi e stolto agli stolti, facendo sì che ciascuno possa vedere nella maschera la forma che gli corrisponde. È così, raccogliendo sulla propria persona le proiezioni dei presenti, che egli risveglia le figure morte e rigide che deve mettere in scena, dando loro un’anima. Perché questa funzione di mediazione totale tra maschera e pubblico sia possibile, l’attore deve essere in grado di stabilire tra sé e chi lo guarda delle “direzioni universali”, di trascendere totalmente la propria soggettività di uomo, di dimenticare sé stesso, di essere agito più che agire, di essere parlato più che parlare, di essere mosso più che di muoversi. Egli diviene un semplice mezzo, uno strumento attraverso il quale il pubblico dialoga con se stesso. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per l’artista e l’opera d’arte. L’artista è qualcuno che cerca di catturare le essenze e richiuderle dentro la forma che da alle sue opere. Perché ciò gli sia dato egli deve avere in sé una forza creativa, demiurgica, divina, che lo renda mediatore tra le cose celesti e quelle terrene, tra le ombre e gli archetipi, tra il cristallo immobile della sua creazione e l’energia che la anima. Per rendersi degno di una tale investitura egli deve però diventare conscio che quella forza non gli appartiene, di essere solo un umile servitore che porta a compimento azioni di cui non conosce né il senso né la finalità. È ben noto che solo in tempi relativamente recenti colui che si distingue nel campo dell’arte viene fatto oggetto di forme di culto della personalità ed il suo carattere è studiato ed esaltato come se questo potesse spiegare la vitalità delle opere prodotte dall’artista. Nel medio evo i pittori, gli scultori, i musicisti ed i costruttori di cattedrali mantenevano l’anonimato e si consideravano interpreti e prosecutori di una tradizione iniziatica. Se in quel tempo era concepibile un’arte viva e popolare, che mediasse direttamente tra gli aspetti profani della vita quotidiana e la dimensione del sacro, non deve meravigliare che le opere d’arte siano oggi preda dei mercanti oppure rinchiuse nei musei, oggetto di dispute tra eruditi, con la funzione di essere solo segni ed indicatori della civiltà e della storia passata dell’uomo: se nell’artista si riconosce solo l’aspetto umano, personale ed individuale, della sua opera sopravvivrà solo il lato cadaverico della maschera. Se è vero che il mestiere dell’attore e quello dell’artista esemplificano particolarmente bene la necessità di un passaggio attraverso la parte sovrapersonale del proprio essere, questo imperativo non ha meno valore se lo applichiamo ad altri tipi di lavoro. Ogni lavoro svolto da un uomo è infatti, innanzi tutto, un servizio reso agli altri. Perché ciò avvenga non è necessario alcuno sforzo, né di volontà né di coscienza. Col suo stesso esistere ed agire ognuno di noi offre agli altri inconsapevolmente la visione della propria esteriorità, di un modo d’essere, del proprio ruolo, di un compito che è necessario che qualcuno si assuma. Che tale maschera sia allegra o truce, spaventevole o comica, benevola o malevola, attraente o repulsiva, non ha poi molta importanza. Se il lavoro viene svolto bene, e cioè in maniera impersonale, la maschera attingerà la sua energia, la sua vitalità dal “daimon” che la abita e mostrerà dunque, attraverso l’uomo che la indossa, un lato del divino. [3] Papi ed eretici, poliziotti e ladri, suore e prostitute, reazionari e rivoluzionari, banchieri e mendicanti possono svolgere egualmente bene il loro compito nel mondo. Non abbiamo, né possiamo avere, alcun controllo dell’immagine che mostriamo all’esterno, nessun volto vede la maschera che lo copre, ma è possibile diventare bravi attori della parte che dobbiamo recitare. Note 1. Cfr: il saggio di Kerenji “Uomo e Maschera” in “Miti e Misteri”; il saggio di Burckart “La maschera sacra”; il saggio di Lanza “L’attore” in “Oralità, scrittura e spettacolo”. 2. Le due etimologie proposte per il termine greco che designava l’attore (hypokrites) sono “colui che risponde” e “colui che spiega”. 3. Corrispondentemente a ciò, si parla di due stadi di evoluzione del mercurio. Uno, detto “impuro”, in cui tutte le cose vengono misurate col metro soggettivo; l’altro detto mercurio “purificato”, in cui l’uomo è mosso da intenti transpersonali. Così scrive l’alchimista Zosimo in “Apparecchi e forni”: “Accade anche che si trovino in tutti i mestieri persone che lavorano ad una stessa arte con strumenti e procedimenti diversi e ne conseguono in misura diversa l’intelligenza e la riuscita delle operazioni”. Esonet.it-Pagine scelte di Esoterismo - L’attore e la maschera

domenica 26 giugno 2016

Le antiche terme romane di Verona, luogo terapeutico aperto a tutti i cittadini pressoché gratuitamente


La dove oggi sorge la Cattedrale di Verona: Santa Maria Matricolare, fino al IV secolo il sito era deputato alle terme della Verona romana. Chi osserva la base del campanile dall'abside del Duomo vede in maniera precisa le grosse pietre romane reimpiegate, materiale edile recuperato dalla demolizione delle antiche terme.
Grancelli afferma che il luogo sacro era dedicato a Giove dio che presiedeva  all'aspetto ludico e gioioso dell'esistenza umana. Le terme erano aperte a tutte le classi sociali, anche le più povere dato che l'usufruire di questi servizi era gratuito e supportato dallo stato come la distribuzione settimanale del farro affinché a tutti i cittadini romani fosse garantito una base alimentare ed igenico terapeutica.

sabato 25 giugno 2016

In fondo era un traditore, perché giurò fedeltà a Roma

Questo è il grandioso monumento che i tedeschi tra il 1838 e il 1875 costruirono nella foresta di Teutoburgo in ricordo della totale sconfitta dell'esercito romano guidato dal generale Varo. La disfatta romana fu opera, come vogliono ricordarlo i tedeschi del principe dei Chernusci e condottiero: Gaius Iulius Arminius. Difatti era ex prefetto di una coorte cherusca dell'esercito romano, nonché traditore del Senato e del Popolo di Roma, dato che aveva giurato fedeltà all'impero. Arrivò nelle sue terre di origine proprio al seguito del generale Varo, ed ad un certo punto abbandonò il suo esercito per unirsi alle popolazioni avversarie!

Carlo Magno, spinto dal papato, arrivò, per certi versi, a vendicare la disfatta di Teutoburgo

Come è bizzarra la storia sarà proprio la Roma cristiana, attraverso le armi e l'esercito di un barbaro a vendicare la disastrosa battaglia di Teutoburgo clamorosamente vinta dalle tribù sassoni che si erano coalizzate al comando dell'ufficiale romano Arminio. Carlo Magno un barbaro che fu incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero farà ciò che la Roma dei Cesari mai riuscì, in quelle terre insidiose ed ostili dove il dominio dell'Urbe fu sempre incerto.

Carlo Magno, spinto dal papato, vendicò la disfatta di Teutoburgo

Come è bizzarra la storia sarà proprio la Roma cristiana, attraverso le armi e l'esercito di un barbaro a vendicare la disastrosa battaglia di Teutoburgo clamorosamente vinta dalle tribù sassoni che si erano coalizzate al comando dell'ufficiale romano Arminio. Carlo Magno un barbaro che fu incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero farà ciò che la Roma dei Cesari mai riuscì, in quelle terre insidiose ed ostili dove il dominio dell'Urbe fu sempre incerto.

venerdì 24 giugno 2016

San Givanni Battista ripreso da Leonardo: ovvero l'androgino

San Giovanni Battista il Precursore, il mito pagano e l’androgino di Leonardo
“Io, in verità, vi battezzo nell’acqua per la penitenza, ma colui che verrà dopo di me…..vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco” (Vangelo secondo Matteo) La notte del solstizio estivo segna un passaggio importante: è il momento in cui il Sole entra in contatto con la costellazione del Cancro governato dalla Luna (elemento acqua) e rappresenta la notte più breve dell’anno. E’ il trionfo massimo della luce ma anche il suo opposto, il lento declino fino al suo sommo culmine a dicembre. Nella massima congiunzione del trionfo del Sole sulla Luna, diversi erano i riti propiziatori di tale Unione. Il 24 giugno nella festa di San Giovanni era usanza antica raccogliere le erbe che sarebbero servite poi per i medicamenti e per la protezione sia fisica che spirituale di tutta la famiglia, la più nota è quella propriamente detta di San Giovanni, l’iperico o scacciadiavoli (Hypericum perforatum), pianta officinale del genere Hypericum con note proprietà antidepressive e antivirali. Ancora vi erano i falò di San Giovanni, che ricordano le usanze del fuoco celtiche, il fuoco rappresentato dai falò o ruote infuocate che si usavano per simboleggiare il dio Sole e il suo potere di purificare e l’acqua, elemento femminile e Lunare chiamata “guazza di San Giovanni” a cui si attribuiscono poteri di guarigione e rigenerazione. La “Guazza di San Giovanni” infatti è la rugiada che doveva esser raccolta nella notte di San Giovanni sui campi prima dello spuntar del sole, che garantiva fecondità e salute, per lo stesso motivo in quella notte si raccoglievano le erbe le cui virtù terapeutiche sembravano accresciute proprio per esser state accarezzate dalla “guazza” magica. A Napoli, celebre era la Festa di San Giovanni in cui si associavano rituali legati al mare. Infatti in prossimità della Chiesa San Giovanni a Mare si riunivano fra la notte del 23 e l’alba del 24, sia uomini che donne, i quali denudati si riversavano in acqua e approcciavano alla danza per propiziare la fertilità, ed assicurarsi l’abbondanza derivante dall’antico culto di Partenope e quello di Priapo. L’acqua marina utilizzata diventava simbolo di purificazione o nuovo battesimo. Giovanni Battista dunque come guardiano della porta della Dea Madre, lui sacerdote iniziato al culto del Femminile, ancora oggi è venerato in molte società esoteriche e logge iniziatiche come quella dei Massoni che ai due Giovanni dedicano un intero discorso. Visto spesso come simbolo della consapevolezza, comprensione e conoscenza di sè (Piccola Opera) necessario alla fase successiva, la metamorfosi della coscienza dell’Io in esperienza, coscienza e percezione del Sè (Grande Opera) o ancora nel processo di individuazione, come la realizzazione del proprio Sè individuale (San Giovanni Battista) che precede quello del Sè Supremo (Cristo). Il Santo già presente nell’immagine di Sofia, che compare a Novgorod nel Mille, come ci ricorda E. Zolla, parlando della Santa Mercuriale: “Il suo aspetto infuocato deriva forse dalle descrizioni dell’Arcangelo Purpureo della Suprema Illuminazione contenute negli scritti dei neoplatonici persiani. Nella mano sinistra tiene il caduceo e con la mano destra si stringe al seno una pergamena contenente i segreti esoterici. Alla sua destra è la Vergine incinta del Bambino, alla sua sinistra san Giovanni Battista. Questi due assistenti, i due canali che trasmettono la sua influenza al livello della effettiva manifestazione, sottolineano entrambi la trascendenza delle divisioni sessuali”. Il San Giovanni di Leonardo, infine, ci da delle ulteriori indicazione del ruolo ermetico della figura del Santo. L’opera di Leonardo consiste nel ribaltare la tradizionale iconografia del Battista, patito eremita scarnificato dagli stenti, e raffigurare un san Giovanni giovane, sensuale, ambiguo, bello, attraente e finanche invitante; quasi fosse un soggetto sincretico tra cristianesimo e paganesimo. Il dipinto ebbe modo di ammirarlo anche Carlo Emilio Gadda, che definì il San Giovanni Battista leonardesco come un “Bacco angelizzato privo di polarità sessuale che appare in un’ombra stupenda, accostatosi all’ultimo momento alla sua croce-idea” culmine della tecnica del chiaroscuro da parte del genio toscano.
A questo punto, nel Precursore metà santo e metà peccatore, c’è chi legge due messaggi-insegnamenti, manifestati attraverso le mani “parlanti” dell’artista. Il primo, quello “ufficiale”, espresso dalla mano sul cuore, allude all’umanità del Messia di cui Giovanni profetizza la venuta, in contrapposizione complementare con l’altra mano che indica il cielo per segnalarci anche la natura divina del Cristo che verrà. Oppure scorgere nella mano sinistra che accenna al cuore, un richiamo al corpo e alle pulsioni e nell’altra che tale strada appare necessaria per l’accesso al Divino. Un Leonardo alchemico, come ricorda il Vasari: “Tanti furono i suoi capricci, che filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole. Per il che fece ne l’animo un concetto sì eretico, che e’ non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano”. Immagini: San Giovanni Battista, dipinto a olio su tavola di noce (69×57 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1508-1513 e conservato nel Museo del Louvre a Parigi; Bacco su un precedente san Giovanni Battista, dipinto a olio su tavola trasportata su tela (177 × 115 cm) attribuito a Leonardo da Vinci e bottega, databile al 1510-1515 e conservato sempre nel Museo del Louvre a Parigi.

giovedì 23 giugno 2016

Junker ubriaco fa gli onori di casa.

Questo è il presidente della commissione europea: ubriaco spolpo. Cosa ci possiamo aspettare da questa Europa? Solo disastri......



Un testo fondamentale per capire le concezioni sacro religiose del Veneto legato al governo della Serenissima Repubblica. L'anno iniziava il primo marzo al risveglio della primavera

Un testo interessante di Moreno Menini: "Nostalgia dell'eterno ritorno nel capodanno Veneto"
"Nostalgia dell'eterno ritorno nel capodanno Veneto" Il Capodanno Veneto al 1 Marzo era celebrato nelle nostre campagne sotto una miriade di nomi: Brusa Marso, Bati Marso, Trato Marso, Nar incontra Marso, Cantar Marso, Osade de Marso, Sella Marso, Fora Febraro etc. Questa antichissima festa sacra dell’anno nuovo, nella quale il tempo viene ritualmente sacrificato per rigenerarsi a nuova vita, si è conservata nel Folklore del Veneto (e di qualche altra località dell’Altaitalia) fino al secondo dopoguerra. Dalla loro analisi emerge la certezza arcaica che la vita umana e cosmica non terminano con la morte ma possono sempre ricominciare un “nuovo inizio”. Nella tesi presentata da questo volume anche la Storia e l’Arte hanno tratto linfa dalle feste del Capodanno Veneto: intorno al 1000 d.C. Venezia celebrerà il suo “nuovo inizio”, l’indipendenza politica e culturale da Bisanzio, istituzionalizzando il 1 Marzo come suo Capodanno ufficiale. A partire dallo stesso periodo i più grandi maestri scultori, pittori e miniatori della Valpadana eterneranno la scena di questi riti sul mese di Marzo degli splendidi Calendari Medievali Cristiani che adornano le nostre Chiese e Palazzi.

Il solstizio ogni anno diverso....

Peppe Caridi 

LA NOTTE DEL SOLSTIZIO


E' la notte del Solstizio d'Estate 2016, che quest'anno scocca alle 22:43 UTC del 20 giugno (le 00:43 del 21 Giugno in Italia): per pochi minuti, quindi, il momento del Solstizio combacerà con la fatidica data convenzionale del 21 giugno. Ma quest'anno c'è una coincidenza speciale e rarissima: la notte del Solstizio, infatti, combacia con la Luna piena. Una circostanza rarissima che accade una volta ogni 70 anni, e che quindi per molti una sola volta nella vita. Ma il solstizio è molto altro: un giorno di particolare importanza sin dall'antichità, nel quale molte culture ancora oggi celebrano vari eventi. Dal punto di vista scientifico, il Sole si trova alla sua declinazione massima e quindi alla sua massima altezza sull'orizzonte.

Il Sole e il suo simbolo, il fuoco, sono al centro di tutte le religioni delle antiche civiltà e rappresentano le divinità positive, contrapposte a quelle tenebrose e malvagie. Astronomi e sacerdoti, quindi, all'alba della civiltà, si identificano. Altari e osservatori astronomici si confondono. Non c'è da stupirsi, quindi, se in ogni tempo e luogo il giorno del Solstizio viene celebrato con feste, falò, rituali magici e religiosi. Ancora oggi si celebra la natività cristiana di Giovanni Battista, uno dei personaggi più importanti della storia biblica. Non a caso è anche conosciuta come "la notte di San Giovanni", che cade tra il 23 ed il 24 Giugno. Nel corso di questa notte si usa bruciare le vecchie erbe nei falò e andare alla raccolta delle nuove oltre che mettere in atto diversi tipi di pratiche per conoscere il futuro perchè, come dice il detto, " San Giovanni non vuole inganni". La festa di San Giovanni è una celebrazione legata intimamente alle credenze pagane, pre-cristiane, ed al periodo della raccolta delle piante e delle erbe da usare nelle operazioni magiche.

In Gran Bretagna, a Stonehenge, sopravvivono gli imponenti ruderi di un tempio druidico: due cerchi concentrici di monoliti che raggiungono le 50 tonnellate. L'asse del monumento è orientato astronomicamente, con un viale di accesso al cui centro si erge un macigno detto "pietra del calcagno" (Heel Stone). Al solstizio d'estate il Sole si leva al di sopra della Heel Stone. Pare che alcune combinazioni tra i macigni permettessero di prevedere le maree e le eclissi di Luna e di Sole secondo un ciclo di 56 anni. Stonhenge, insomma, sarebbe non solo un tempio, ma anche un calendario, un osservatorio e una calcolatrice.




Stonehenge all'alba del solstizio d'estate (21 giugno 2005)



Tracce di culti solari si incontrano in tutto il mondo, dalla Polinesia all'Africa alle Americhe, e giungono fino ai nostri giorni: per gli eschimesi il Sole è la Vita mentre la Luna la Morte, in Indonesia il Sole si identifica con un uccello e con il potere del volo, tra le popolazioni africane primitive la pioggia è il seme fecondatore del dio Amma, il Sole, creatore della Terra. Ma facciamo qualche passo indietro. Per gli Inca, la cui massima fioritura si ha intorno al quindicesimo secolo, la divinità Inti è il Sole, sovrano della Terra, figlio di Viracocha, il creatore, e padre della sua personificazione umana, l'imperatore. Attorno a Cuzco, capitale dell'impero, sorgono i Mojones, torri usate come "mire" per stabilire i giorni degli equinozi e dei solstizi. A Macchu Picchu, luogo sacro degli Inca, si può ancora vedere il Torreon, una pietra semicircolare incisa per osservazioni astronomiche, e l'Intihuatana, un orologio solare ricavato nella roccia.

Sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie tra il 21 e il 22 giugno, è visto come un momento particolare e magico. Il "sole che rotola via" è associato, in un certo senso, alla testa del San Giovanni decapitato, che nella memoria religiosa si sovrappone al sole che cambia direzione. La trasversalità di queste tradizioni, comuni a popoli così diversi, è facilmente spiegabile. In molte zone d'Italia ancora oggi si svolgono riti e feste di origine pagana, che la Chiesa ha cercato di cancellare, non riuscendoci completamente, perché tali credenze sono radicate nelle usanze popolari. Così oggi, per la festa di San Giovanni, si svolgono celebrazioni con questa strana mescolanza di elementi sacri e profani.


Stralcio di un articolo di Peppe Caridi - dal sito MeteoWeb

L'articolo completo

Frasi recuperate dai suoi libri, per ricordare Ida Magli


Ai suoi studi antropologici si devono le analisi più coraggiose
e anticonformiste su sessualità religione, sui significati che alla donna sono stati assegnati dalla teologia e dalla fantasia maschile.
Per evitare che sia ricordata solo per le sue prese di posizione contro l’unificazione europea, riporto alcune sua riflessioni tratte dai libri che più raramente vengono citati e che hanno avuto tanta parte nel mio percorso all’interno del femminismo italiano.
(da “La Madonna. Dalla Donna alla statua”, Rizzoli 1987)
“Uno dei punti di connessione fra immagine ideale e immagine della Madonna è ben visibile nel tema della “madre” (…) Perciò è attraverso la figura della madre che si cerca di far parlare il bambino, di dargli significato: la sua fragilità, la su mancanza di consapevolezza, il suo abbandono vengono trasmessi attraverso l’atteggiamento della madre. Questa, dunque, non parla di sé, ma della funzione di madre, così come la vogliono gli uomini: ‘essere per’ il bambino. La “madre” non è persona, non è individuabile se non come prototipo idealizzato, come la vede l’uomo, tutta protesa su di lui, in una fisicità sublimata che nulla possiede della pesantezza della maternità. (…) E’ il “corpo” immaginario della teologia quello che l’arte rappresenta, un corpo che ha partorito senza coito, senza doglie, senza sangue né feci.”
(da “La sessualità maschile”, Arnoldo Mondadori Editore 1989)
“Che fare allora delle donne? Saranno offerte dai maschi a Dio. Nasce la consacrazione delle vergini. Nasce il monachesimo. (…) Un processo lungo e quasi del tutto inconsapevole in cui l’opera della Chiesa è concentrata nello sforzo di appropriarsi del rito matrimoniale, sottraendolo alla società laica (…).
La sessualità, comunque, rimane per sempre il centro delle preoccupazioni dei cristiani: il discorso sul sesso diventa primario e non può, alla fine, non scontrarsi con la struttura fondamentale soggiacente che era rimasta fin dall’ebraismo sempre implicita, nascosta: l’omosessualità.”
(da “Sulla dignità della donna. La violenza sulle donne, il pensiero di Wojtyla”, Guanda 1993)
“Il corpo della donna, infatti, è l’ ‘oggetto’ per eccellenza in quanto è la moneta con la quale i maschi instaurano la comunicazione tra loro. Una moneta che costituisce la riserva aurea del gruppo che la possiede e che pertanto non deve mai andare perduta perché qualsiasi scambio in tal caso diventerebbe impossibile.
E’ il motivo per il quale lo stupro delle donne del nemico costituisce la verifica, concreta e simbolica, della propria vittoria.”
(da “Storia laica di donne religiose, Longanesi 1995)
“E’ questo il dramma che ha sempre accompagnato le donne nel cristianesimo e sotto il cristianesimo: “liberarsi”, assolutizzando la propria condizione di vittime, e spingendo le altre vittime loro affidate –bambini, poveri, malati, schiavi, ignoranti- ad accettare, ad abbracciare la propria condizione di vittime. Le donne hanno favorito, così, senza saperlo e senza volerlo, lo strutturarsi in un Potere sempre più forte delle gerarchie ecclesiastiche, visto che nulla favorisce i Potenti quanto l’atteggiamento di subordinazione e di sacrificio dei sudditi.” (…)
E’ vero che sono stati gli uomini-maschi, gli artisti, i poeti, a immaginare, a cantare, a teorizzare l’amore romantico, come del resto qualsiasi altra creazione culturale (almeno fino ad oggi); ma sono state (e sono) le donne a credervi in assoluto, vivendolo, concretizzandolo, consumando la vita nello sforzo di realizzarlo. L’innamoramento romantico è sempre desiderio, sogno, irrealizzato e irrealizzabile, perché nella “fusione” si annulla il Tu (…) Il “misticismo” nelle donne è questo: l’Amore romantico, la Passione assoluta, che trova la sua possibilità di realizzazione perfetta perché il Tu, l’Altro da amare è Dio, perché il Tu Dio non pone limiti, si piega ad essere quello che l’Amante vuole, in una unione che arriva ad essere fusione totale perché il corpo dell’Altro è fantasticato, immaginato, proiettato dal Soggetto che ama.”

Un luogo incantato e poco conosciuto

Il Palazzo Ducale di Revere
Il palazzo ducale di Revere è stato costruito nella seconda metà del 1400,  per volontà di Ludovico III Gonzaga (quello raffigurato nella camera degli sposi a Mantova...), dall'architetto Luca Fancelli, prima opera di una lunga serie di opere in territorio mantovano. 
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Lo stile architettonico e decorativo è rinascimentale e raffinatissimo nonostante gli stravolgimenti e le incurie di cui ha sofferto il pregevole manofatto.
Palazzo residenziale, sede di una corte rurale dei Gonzaga, svolgeva, in virtù della sua posizione strategica sul po, sia funzioni di avamposto militare sia di centro di riscossione dei dazi di passaggio.
All'interno del palazzo è possibile oggi visitare il museo dedicato al fiume po. Con l'occasione merita una visita anche la torre campanaria, appartenente ad un antico sistema fortificato oggi distrutto.

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