sabato 30 agosto 2014

Castel Gandolfo l'antica Albalonga

 Distruzioni e le innumerevoli donazioni di Costantino alla cristianità nascente

Nel Liber Pontificalis è contenuta una donazione fatta sotto il pontificato di Silvestro I (314-335) dall'imperatore Costantino I alla basilica cattedrale di San Giovanni Battista (identificata con la cattedrale di Albano, ora intitolata asan Pancrazio martire):[14] nella donazione praticamente tutta la proprietà imperiale, e gran parte delle località vicine, vennero donate alla nascente Chiesa albanense.
Non sappiamo se questa donazione sia stata reale o meno, forse la proprietà imperiale entrò a far parte di qualche patrimonium o domusculta, nuclei rurali di produzione tipici del Lazio altomedioevale: ma di certo la villa imperiale dell'Albanum cadde in abbandono. La villa divenne cava di marmi e materiali da costruzione, sorte analoga a quella di altri edifici antichi: sappiamo per certo che i suoi marmi nel XIV secolo furono utilizzati per costruire e rivestire il Duomo di Orvieto.[13]
L'uso dei marmi della villa per la costruzione della cattedrale orvietana è stato studiato da Luigi Fumi in una pubblicazione del 1891: "Il duomo di Orvieto e i suoi restauri".[15] In pratica gli allora feudatari del luogo, i Savelli, nel1321 diedero l'autorizzazione a smantellare le strutture della villa:[15] i lavori di distruzione durarono 36 giorni. I marmi raccolti furono imbarcati allo scalo di ponte Fratto sulla via Ostiense, alla confluenza tra le Acque Salvie ed ilfiume Tevere,[15] e portati via fiume fino ad Orvieto. Dagli atti dell'epoca si delinea un vero e proprio business dietro lo smantellamento di questi monumenti: Rodolfo Lanciani trasse spunto da questi attenti studi del Fumi per ricavarne un exemplum sul riutilizzo dell'immenso materiale marmoreo e lapideo dei monumenti antichi di Roma e dei suoi dintorni.[15]
Intorno al X secolo un antico ninfeo della villa, inglobato in epoca severiana nel complesso dei Castra Albana e riadattato ad impianto termale, fu consacrato ad uso religioso: nacque il santuario di Santa Maria della Rotonda, oggi venerato luogo di culto di Albano, ospitato nel singolare edificio di età domizianea noto -appunto- come "la Rotonda".


Il complesso della villa, ricostruzione possibile

giovedì 28 agosto 2014

L'immagine di DIO

questa immagine mi avvicina al mio concetto di Dio Padre e un po' Madre.

mercoledì 27 agosto 2014

Il mistero delle linee si complica e diventa sempre più difficile capirne il senso e il fine

NUOVI GEOGLIFI NEL DESERTO DI NAZCA


Sorvolando il famoso deserto di Nazca, il ricercatore Eduardo Herrán Gómez de la Torre ha individuato dei nuovi geoglifi, forse resi visibili dalle recenti tempeste di sabbia che hanno spazzato via il terreno che le copriva. La notizia è stata diffusa dal sito online del quotidiano peruviano El Comercio.

Le linee di Nazca, evidenziate chiaramente per la prima volta nel 1927 nell'area del Sud-ovest del Perù vicina all'oceano, sono delle immagini tracciate sul terreno (in tutto circa 700) che gli scienziati pensano siano state realizzate dai Nazca, antica popolazione della zona, nell'arco di migliaia di anni - dal 500 a. C. al 500 d. C. Rappresentano oggetti naturali (uccelli, camelidi, e serpenti) e forme geometriche e si pensa che siano state create rimuovendo le pietre rivestite di ossido di ferro a una profondità tra i cinque e i dieci centimetri, creando un vistoso contrasto con la sabbia più chiara sottostante. Le immagini sono di varie dimensioni, la più grande è lunga circa 285 metri.



Le nuove figure emerse dalle sabbie di Nazca. 
Foto da El Comercio


Le nuove figure viste da de la Torre rappresentano un serpente, lungo circa 60 metri, un uccello, un camelide (forse un lama) e alcune linee frastagliate. Si trovano sulle colline nella El Ingenio Valley e nelle Pampas di Jumana sul fondo del deserto. Archeologi e studiosi si stanno recando sul posto per autenticare il ritrovamento.

Il significato dei geoglifi è ancora incerto, le ipotesi avanzate sono legate alla religione e all'acqua. Si pensa che siano state create usando una singola linea che non incrocia mai se stessa. Simile a un disegno fatto a matita, senza mai alzare la punta dal foglio. È interessante che molte delle immagini dipinte dai geoglifi appaiano anche su terrecotte dello stesso periodo.


sabato 23 agosto 2014

La chiesa di Cà degli Oppi ci riporta alle radici pagane del cristianesimo

Pochi giorni fa sono passato da Cà degli Oppi, ridente frazione della città di Oppeano, e ho notato con molto stupore che sull'entrata della nuova chiesa una iscrizione inaspettata colpiva l'occhio e che mi ha fatto pensare!
(Chiesa inaugurata intorno agli anni sessanta, senza però la scritta in esame)

L'iscrizione:
DEO OPTIMO MAXIMO IN HONORE........
Optimo e Maximo erano epiteti propri di Giove, il migliore e il più importante degli dei.
Scritte simili erano poste sui templi romani dedicati al Padre degli dei Jupiter

venerdì 22 agosto 2014

Stalin ospitato dagli anarchici italiani, quelli stessi che ordinò di sterminare in Spagna

Per chi suona la campana, ovvero, il segreto di san Lazzaro degli Armeni

Da Pensierospensierato
Per chi suona la campana, ovvero, il segreto di san Lazzaro degli Armeni
San Lazzaro degli Armeni
Finalmente ho risolto i problemi che mi tediavano da qualche tempo sul fronte internet. Ripristinata la connessione ADSL, posso riappropriarmi del mio amato blog e continuare a parlare di misteri. Oggi voglio addentrarmi ancora una volta nel territorio di Venezia, e precisamente nella Laguna, per parlarvi di un'isola molto speciale: San Lazzaro degli Armeni.
Le prime notizie cominciano a circolare a partire dal IX secolo d.C., quando la Serenissima decise il suo affidamento all'abate del Monastero benedettino di S.Ilario di Fusina.
Quando l'ospedale dei lebbrosi di S. Trovaso venne trasferito a San Lazzaro per iniziativa del nobile Leone Paolini (1182), l'isola assume il nome attuale con chiaro riferimento all'attività svolta. A quest'epoca risale anche la costruzione della prima chiesa intitolata a San Leone Magno. Nel XIV secolo viene costruita l'attuale chiesa di San Lazzaro. La riduzione drastica dei casi di lebbra induce il Senato a decidere una ridestinazione d'uso dell'isola a favore dei poveri (metà del '500).
Presto si decide il trasferimento di ogni attività a Veneziapresso S. Giovanni e Paolo (1601), e l'isola rimane così deserta fino al 1651 quando certi padri Domenicani profughi da Creta si sistemano a San Lazzaro per circa 20 anni. Nel 1678 è la volta dei Gesuiti, che la abitano per poco tempo in quanto il Senato della Repubblica ne decide la trasformazione in fabbrica di armamenti per le proprie esigenze belliche dovute al conflitto di Morea in Grecia.
Alla fine del '600 San Lazzaro risulta abitata da un cappellano che vi officia messa ogni giorno. Nel 1717 il Senato dona l'isola per sempre ai Padri Armeni Mechitaristi perseguitati dai Turchi e l'isola completa così il suo nome in quello attuale.
Seguendo i progetti di Mechitar vengono svolti lavori di restauro e costruzione della chiesa e del convento. San Lazzaro diviene poi sede di una stamperia per testi in lingue orientali (1789) cosa che la salverà dall'editto napoleonico di sopressione degli Ordini religiosi (1807) in quanto considerata sede culturale. Durante l'800 ed il '900 alcuni lavori di bonifica e manutenzione del territorio le conferiscono l'aspetto attuale.
Come moltissime altre isole, anche San Lazzaro nasconde i suoi segreti e i suoi misteri. Si dice infatti che un giovanissimo Rodolfo Valentino – studente all’istituto nautico della città – rubò un rimorchiatore la notte del Redentore, affondò una gondola e salvò una ereditiera inglese, ricevendo in cambio una settimana d’amore all’Hotel Excelsior del Lido
Ma il personaggio che maggiormente lega il suo nome a San Lazzaro degli Armeni è un personaggio storico, perchè come sempre più spesso accade quando si parla di Venezia, in quest'isola magica, storia e mistero si fondono assieme per donare qualcosa di unico e irripetibile.
Per chi suona la campana, ovvero, il segreto di san Lazzaro degli Armeni
Un giovane Stalin
Josif Vissarionovic Djugatchsvili nel 1907 aveva appena 28 anni, la barba rossa e incolta ed era appena fuggito dalla Russia zarista.
Essendo un esponente di primo piano di quella frangia estremista del partito socialdemocratico russo, i cui appartenenti erano conosciuti come bolscevichi, fu costretto a scappare dalle grinfie della polizia politica zarista, di soppiatto, partendo ben nascosto a bordo di una nave da carico che trasportava grano.
La nave partì dal porto di Odessa, diretta ad Ancona. Qui, Josif ottenne dapprima ospitalità dagli anarchici locali, trovando poi un lavoro come portiere notturno all’hotel “Roma e Pace”, in cambio di vitto e alloggio. Ma il suo carattere chiuso e timido, per quanto gentile e sorridente, non riuscì farlo sentire a suo agio con la clientela. Così, nascosto nella sala macchine di un piroscafo di linea, dopo pochi giorni sbarcò a Venezia.
Anche in laguna Josif fu bene accolto dal mondo anarchico veneziano, che lo ribattezzò “compagno Bepi”, e poi “Bepi del Giasso”, questo per ricordarne il luogo di provenienza.
Convintosi a rimanere, il “compagno Bepi” decise di sfruttare le frequentazioni avute nella natia Georgia con la comunità armena. Dal momento che parlava perfettamente la lingua e avendo per di più studiato alla scuola ecclesiastica di Gori e quindi nel seminario cristiano ortodosso di Teflis (da cui era stato espulso a causa delle sue simpatie politiche nel 1899),Josif sapeva servire messa con i riti latino e ortodosso, nonché suonare le campane con i rintocchi richiesti da entrambe le confessioni.
Per queste ragioni si presentò ai padri mechitaristi di San Lazzaro, chiedendo un’occupazione all’abate Ignazio Ghiurekian.
Dopo aver a lungo parlato con Bepi, dopo aver appreso cosa aveva fatto e cosa sapeva fare, padre Ghiurekian ne fu ben impressionato, e decise quindi di ospitarlo chiedendogli di suonare le campane del convento secondo il rito latino.
Per chi suona la campana, ovvero, il segreto di san Lazzaro degli ArmeniMa il compagno Bepi s’intestardì invece a dare forti rintocchi, come era di abitudine secondo il rito ortodosso, e questo ovviamente non mancò di sollevare un certo scompiglio nella piccola isola.
Alla fine, dopo aver sopportato per alcuni giorni, e sperando - senza esito - che Josif cambiasse stile, il padre generale lo mise di fronte a una scelta: se desiderava rimanere, doveva accettare le norme della congregazione che gli stava dando ospitalità, e chiedere l’ammissione alla comunità nel ruolo di novizio.
Josif declinò l'offerta, poichè star ligio a questo tipo di regole non gli andava esattamente a genio.
Ripartì, raggiunse la Svizzera e, poco più tardi, tornò in Russia. Fece in tempo a vivere la rivoluzione. Per divenire, qualche anno dopo… Segretario generale del partito comunista e guida dell’Unione Sovietica, con il soprannome di “Piccolo Padre” e l’universale pseudonimo di “Stalin”. Josif Stalin.
Fonte: Raffaele K. Salinari, Stalin in Italia ovvero “Bepi del giasso”, ed. Ogni uomo è tutti gli uomini, Bologna, 2010.

giovedì 21 agosto 2014

Il principio (femminile), mater, materia e matrice delle cose

 Il culto del principio femminile nell'antica Europa
Intorno alla seconda metà del ventesimo secolo si è affermata in Occidente una nuova scuola di studi e ricerche, divenuta essenziale disciplina del pensiero moderno, presente in accademie e università, i cui lavori continuano ad influenzare in modo rilevante le discipline umanistiche, in particolare Storia, Archeologia, Antropologia, Psicologia, Etnologia, Storia delle religioni e Storia della filosofia. Tra i precursori di tali indirizzi va annoverato lo svizzero C. Gustav Jung, psicologo e studioso del mito,il primo a concepire un modo strutturato di interpretazione del materiale mitico e mitologico,al fine di utilizzarlo per nuovi modelli cognitivi, utili a comprendere l'essere umano e il suo mondo.

Altre importanti figure hanno affiancato Jung, tra le principali l'ungherese Caroly Kerényi, il rumeno Mircea Eliade, gli inglesi M. Esther Harding e, in ambito mitostorico e letterario, Robert Graves.

Uno dei temi centrali emerso da queste ricerche riguarda la scoperta di una millenaria e obliata fase storica del nostro passato , segnata dalla presenza di civiltà "matrifocali", civiltà dove il principio femminile fu al centro di culti e culture per un lungo periodo di tempo che, iniziato nel Paleolitico, trovò la sua decadenza nell'età del Bronzo. A dare il definitivo crisma dell'ufficialità accademica a questi studi è stata un'archeologa lituana da poco scomparsa, Marija Gimbutas, il cui indirizzo di ricerche interdisciplinari continua in vari ambiti del mondo culturale moderno.

Il lavoro svolto dalla Gimbutas ha valore epocale, poichè permette di ridefinire il quadro storico del nostro passato e i modelli culturali e religiosi che lo determinarono, in primis il modello archetipico di una Grande Dea della terra, la madre terra,esplicita forma simbolica del principio femminile creatore e divino le cui rappresentanti, le donne, ne furono le prime interpreti e adepte.

Riassumiamo sinteticamente alcune delle principali conclusioni a cui hanno portato i lavori e le ricerche degli autori precedentemente citati.

Carl Gustav Jung (1875-1961) studiò approfonditamente miti e simboli della psiche umana, analizzando il vasto materiale reperibile in varie tradizioni del passato, con particolare attenzione alla tradizione ermetica degli alchimisti medioevali. Nei suoi due libri sull'ermetismo, "Psicologia e alchimia"(1944) e "La psicologia del transfert" (1946), Jung mette a fuoco alcuni punti fondamentali. Secondo lo psicologo svizzero , l'alchimia fu essenzialmente un tipo di "processo di individuazione" dell'essere umano, praticato dai "filosofi" dell'ermetismo medioevale che chiamarono tale processo "La Grande Opera". Questo fu il supremo compito riservato al vero uomo di conoscenza (e di fede); l'obiettivo finale, al pari della psicologia junghiana, concerneva la realizzazione del "Sè",autentico e recondito centro della psiche umana.
La realizzazione della Grande Opera alchemica era imperniata sulla congiunzione degli opposti "coniunctio oppositorum" ovvero sul principio di integrazione di elementi opposti e complementari: luce e tenebra, maschile e femminile, acqua e fuoco ecc... Tale unione, e più in generale il concetto stesso di integrazione degli opposti, fu il vero fine delle operazioni alchemiche ed ermetiche.
Da tali premesse Jung elaborò un concetto di "anima", femminile, contrapposto all' "animus", maschile. La visione junghiana dell'anima portò alla definizione di un principio femminile considerato sotto nuova luce, rivelatore di valenze e scenari del tutto nuovi. Il principio "Femineo Eterno" (così lo chiamò Goethe nel Faust) fu per i saggi della tradizione ermetica il centro focale della vita, del culto e della cultura. Il tema venne sviluppato da una delle principali allieve di Jung, la dottoressa M. Esther Harding, che pubblicò varie opere, tra cui "I misteri della donna" (Woman's mysteries, 1971). Fu l'ungherese Caroly Kerényi ( 1897- 1973), anche lui collaboratore di Jung, a sviluppare una preziosa ricerca sul senso intrinseco degli antichi miti, dedicando al principio femminile alcune opere, tra cui "Figlie del Sole" (Tochter der Sonne, 1944) e, assieme a Jung, "Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia" (Einfurung in das Wesen der Mythologie, 1940-1941) dove sono studiati gli archetipi del Fanciullo divino e della Fanciulla divina (Kore).

Da tutti questi lavori emersero nuovi stimoli e nuove prospettive, tra i quali è da segnalare l'enciclopedico lavoro di Robert Graves(1885-1985), in particolare "La Dea Bianca"(The White Goddess, 1948), incentrato sull'antica civiltà celtica e i suoi rapporti con quella Mediterranea, con la tradizione ebraica, la cristiana e, in sintesi, riscoprendo il culto di una Grande Dea in tutta l'antica Europa.
A livello prettamente accademico la tematica del principio femminile nelle civiltà premoderne fu sviluppata dal fondatore della prima cattedra di Storia delle Religioni (Chicago,1957), il rumeno Mircea Eliade. Per primo, egli propose un'esauriente e chiara interpretazione delle antiche religioni e cosmologie, comprese quelle matriarcali.

In tempi più vicini, l'archeologa lituana Marija Gimbutas (1921-1994) Ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca di testimonianze archeologiche sull'antico culto di una Grande Dea della terra, riuscendo a datare e a definire i tempi e i luoghi del primordiale culto. Grazie ai nuovi dati archeologici, le iniziali ricerche di Jung, di Graves e degli altri, sono oggi suffragate da prove concrete, tangibili e materiali, che confermano l'esistenza di una longeva civiltà matrifocale nell'antica Europa, tesi che fino a pochi decenni fa era ancora considerata ipotetica e marginale.
L'origine del culto matrifocale viene fatto risalire dalla Gimbutas all'età paleolitica, dunque ai primordi della civiltà umana. Il dato è degno della massima attenzione, in quanto permette di definire la prima e la più longeva fase cultuale e culturale del passato dell'umanità . A medesime conclusioni sembrano portare varie ricerche effettuate nei continenti extraeuropei, così da potersi parlare di un vero "primato" del principio femminile alle origini della storia umana.
Riportiamo un passo della Gimbutas dove viene data una definizione di civiltà matrifocale: "Cultura caratterizzata da un dominio della donna nella società e dal culto di una dea che incarna il principio creativo come Fonte e Dispensatrice di tutto". Si tratta di una cultura "pre-indoeuropea .....matrifocale e probabilmente matrilineare, agricola e sedentaria, egualitari a e pacifica. In netto contrasto con la successiva cultura proto-indoeuropea, patriarcale, stratificata, dedita alla pastorizia, nomade e bellicosa, instauratasi in tutta Europa, eccettuate alcune aree a sud e a ovest, durante tre ondate di invasioni dalle steppe russe, tra il 4500 e il 2500 a.C.".
A conferma di quanto affermato, la Gimbutas ha pubblicato i disegni, le foto e la catalogazione di un innumerevole quantità di reperti archeologici che attestano l'antico culto. La Gimbutas scrive che: "Circa 20.000 piccole sculture (della Dea) in argilla, marmo, osso, rame o oro sono oggi conosciute, da un totale di circa 3.000 siti del Neolitico e del Calcolitico dell'Europa sud-orientale". L'area presa in esame dalla Gimbutas è compresa tra: Italia centro-meridionale, Grecia, Balcani e area danubiana, Creta, Mar Egeo, Anatolia e sponde occidentali del Mar Nero. L'epoca di sviluppo di una civiltà matrifocale in quest'area è fissata intorno al VIII millennio a.C.. Stessa data gli storici assegnano all'inizio della "rivoluzione neolitica". E ancora: stessa data che i ritrovamenti di ambra permettono di attribuire all'inizio della navigazione sui mari.
L'inizio dell'era del Bronzo (2000 a.C. circa) viene fatta corrispondere dalla Gimbutas alla fase di decadenza delle antiche civiltà matrifocali. Fine e decadenza che i grandi cantori epici del passato, Omero e Virgilio, celebrarono nei loro poemi sulla caduta di Troia e sui viaggi nel Mediterraneo compiuti da eroi greci e troiani (Ulisse, Enea) alla ricerca di nuove terre. La storia e il mito di Troia sono in assonanza con avvenimenti decisivi e cruciali dell'età del Bronzo finale (1200 a.C. circa): la caduta dell'ultimo baluardo della Grande Dea, Ilio o Troia, fu causata da invasori indoeuropei, i "nuovi Greci", forse i Dori, gli Achei o altri popoli patriarcali scesi da est nelle terre mediterranee.

Nonostante il lento decadere ed estinguersi delle civiltà matrifocali, forme e archetipi del principio femminile continuarono a trovare espressione e, in non pochi casi, a riemergere significativamente in fasi cruciali della storia umana. Il culto di una Grande Dea sopravvisse nei secoli sotto varie forme presso tutte le maggiori civiltà europee. In Italia, con la civiltà etrusca (X secolo - I d.C.) la Grande Dea e il suo culto furono al centro della vita religiosa e sociale per molti secoli. Il culto patriarcale si instaurò soprattutto in seguito all'espandersi della civiltà romana e di quella ateniese, arrivando infine la Chiesa cristiana a promuovere una lunga e sanguinosa repressione contro la "vecchia religione", destinandola a una sempre più estrema clandestinità e illegalità.
L'impatto tra Cristianesimo e mondo"pagano" (dove ancora sussisteva il culto della Dea) fu meno violento nel mondo celtico. Ne è prova il sopravvivere di tradizioni relative a importanti figure femminili di età medioevale (come Guinevere e Morgana ) la cui vera identità rimanda ad antiche divinità del pantheon celtico, Gwenddydd e Morrigan.
Nell'antico Egitto il culto di Iside fu perpetuato nei secoli da celebri regine, Nefertiti e Cleopatra le più note. Ad Alessandria d'Egitto, in quella che fu la più importante Biblioteca del mondo antico, furono depositati i testi del "Corpus Hermeticum", vero tesoro di conoscenze ermetiche e cosmologiche dove il primordiale simbolismo del principio femminile era conservato nella sua forma originaria . Il Corpus Hermeticum fu tradotto a Firenze nel 1463 da Marsilio Ficino,per conto di Cosimo de' Medici.
Molti templi e sacrari della Grande Dea, una volta sconsacrati o interdetti , divennero in seguito importanti luoghi di culto della cristianità. Dalle ricerche archeologiche risulta che Lourdes, Fatima e molti altri luoghi delle apparizioni Mariane, furono già luoghi sacri in epoca preistorica. Chiese dedicate alla Madonna, sorte su siti pagani (greci, etruschi, celtici...), sono numerosissime. La sovrapposizione di templi di diverse religioni dimostra anche che il culto cristiano della Madonna e il suo peculiare simbolismo fu sovrapposto intenzionalmente su quello di una grande dea pagana, spesso conservandone alcuni tipici aspetti naturalistici (Madonna del Bosco, della Fonte, delle Rocce, dei Serpenti, delle Formiche ecc.).

Ad Efeso, nell'attuale Turchia, davanti al tempio della dea Artemide si trova un edificio che la tradizione indica come "Casa della Madonna". L'edificio, sorto accanto ad acque sorgive ritenute curative, fu in parte costruito con le pietre prelevate dal vicino tempio di Artemide, Secondo la tradizione, dopo la crocifissione di Gesù, Maria venne a vivere ad Efeso in questa casa, davanti al celebre santuario dell'Artemide Efesina dove, già in quei tempi, esisteva la venerata sorgente , meta di pellegrinaggi, visibile ancora oggi.

Nel Perù, dopo la conquista spagnola, il culto andino-incaico della madre-terra ( la Pachamama) fu integrato a quello della Madonna cristiana, così che oggi ambedue le figure divine sono venerate dalla popolazione di lingua quechua.

Il culto di una grande dea ha tra le sue terre d'elezione l'India.
Qui sopravvivono tradizioni antichissime, incentrate sul culto di vari aspetti del femminile, venerato nelle figure di Lakshmi, Parvati, Durga e altre dée del pantheon hindu.
Secondo la tradizione riportata nei Veda, i libri sacri dell'hinduismo, la nostra epoca corrisponde al Kali yuga, era governata dalla dea Kali, ovvero il principio femminile nel suo aspetto distruttivo. La fine di quest'era, tormentata e afflitta dai demoni dell'egoismo non più sotto controllo, coinciderà con l'inizio di un nuovo ciclo stoico.
Nei Veda è scritto che la dea Kali, al termine del suo ciclo storico, sfogherà contro la terra tutto il suo potere distruttivo. Contemporaneamente il suo divino compagno, Shiva, dormirà in un fatale estraniamento dalla vita. Ma, nel momento in cui il dio si risveglierà, la dea cesserà la sua danza di morte e distruzione e si riunirà a lui. Avrà allora inizio una nuova fase evolutiva, per tutte le creature viventi, all'insegna della pace e dell'armonia. Dal mito vedico risulta l'ambivalenza della dea. Possiede aspetti creativi e distruttivi allo stesso tempo. E' anche evidente che la pace e l'armonia dipendono dall'unione di Shiva e di Kali ( coniunctio oppositorum ).

Nelle antiche concezioni misteriosofiche la dea era la stessa terra. Monti, fiumi, caverne, laghi e boschi erano i luoghi sacri del suo corpo fisico, i suoi centri vitali. Il potere della dea , genitrice e creatrice universale, si manifestava ovunque, sotto mille nomi e forme diverse ma, come scrisse Apuleio, "unica è la sua essenza".
In tale antica cosmovisione il mondo manifestato, della vita e del divenire, quindi tutto il creato, ricade sotto la tutela del principio femminile. Il mondo invisibile delle essenze, al di là delle forme manifeste, è invece sotto la tutela del principio maschile. Nelle civiltà matrifocali, se al principio femminile spettava un ruolo centrale, quello maschile non era però escluso o sottostimato.

In ultima analisi era la "coppia" e la sua armonica interazione ad essere centrale e fondante. Analogamente ,nella congiunzione degli opposti della tradizione ermetica, i due principi, maschile e femminile, congiunti secondo arte e conoscenza, indicavano la via per risolvere armoniosamente conflittualità e opposizioni. Tale via può essere riscoperta e rivalutata oggi, epoca di catastrofici conflitti globali, alimentati da primitive ideologie e dalla rigidità di paranoici fondamentalismi.
Kali e Shiva, archetipi divini, possono ricostituire l'ordine cosmico. Il ruolo degli esseri umani, nel propiziare questo matrimonio del Cielo e della Terra, è fondamentale. La posta in gioco è il futuro della vita.

APPENDICE
Quadro cronologico delle civiltà matrifocali dell'antica Europa


7000 a.C Area matrifocale: Grecia, Yugoslavia, Balcani, Egeo, Creta, Italia centro-meridionale, Anatolia, mar Nero occidentale

6000 a.C Neolitico, era megalitica: la pietra e la sua lavorazione quali elementi del culto della terra

5500 a.C. Calcolitico: apice delle civiltà matrifocali

4500 a.C. Prime invasioni da est di popoli seminomadi e patriarcali

3000 a.C. Stonehenge (I fase) : piramide di Giza, Misteri di Iside, Sumer, alfabeto cuneiforme , culto di Ishtar

2500 a.C. Civiltà minoica, culto di Arianna, Pasife e il dio-toro

2000 a.C. età del bronzo : invasioni indoeuropee nel bacino mediterraneo

1450 a.C. fine della civiltà minoica

1250 a.C. Invasioni indoeuropee ( Dori, Achei)

1200 a.C. Caduta di Troia

1100 a.C. Grande migrazione tirrenica: gli Etrusco-Tirreni portano nel centro-Italia il culto di una grande dea e del dio-toro

VI sec. a.C. Nascita della Repubblica Romana e inizio della decadenza etrusca. Ascesa del culto patriarcale di Giove in Roma e di Zeus ad Atene. E' anche di quest'epoca la prima compilazione scritta del Vecchio Testamento, libro sacro del patriarcale Ihawhe.


Giovanni Feo

Le immense capacità dell'essere umano

Paola Giovetti

LE POTENZIALITÀ DELL'UOMO E LA SUA CREATIVITÀ





Noi siamo abituati a porre limiti molto precisi - e abbastanza angusti - alle nostre possibilità e riteniamo di non poter andare, sia a livello fisico che psichico e intellettuale, oltre determinati confini. Certi fenomeni definiti paranormali, cioè nell'accezione popolare quasi miracolosi, mostrano invece che questi limiti possono essere enormemente dilatati e indicano potenzialità umane insospettate e ben più ampie di quanto avremmo mai potuto immaginare. Il loro significato non è tanto da individuarsi nei fenomeni in se stessi, quanto nel simbolo che essi rappresentano. Si conoscono per esempio certe prestazioni degli yogi e dei fachiri indiani, che pure sono uomini come noi, che possono apparire miracolose ma che rientrano nelle umane possibilità: mi riferisco a capacità da loro acquisite attraver¬so pratiche ascetiche, digiuni, mortificazioni corporali e lunghissimi training. Essi acquisiscono in questo modo una completa padronanza del proprio corpo e divengono capaci di un'incredibile resistenza a prove psichiche che ai comuni mortali non sembrerebbero possibili. Yogi e fachiri invece superano tutto con serenità e addirittura con indifferenza, a dimostrazione della superiorità della mente e dello spirito sul corpo.

Lo yogi è in grado di operare il perfetto controllo delle proprie funzioni fisiologiche: si rivela insensibile al dolore, controlla l'attività respiratoria, il battito cardiaco, la circola¬zione del sangue. In altre parole, può ridursi a uno stato catalettico per molti aspetti simile al letargo invernale di certi animali, senza praticamente nutrirsi e senza subire radicali cali di peso. In tale stato catalettico lo yogi può effettuare il famoso esperimento del seppellimento, molto noto anche in Occi¬dente, dove è stata sovente offerta l'occasione di assistervi e di operare controlli. Nel 1951 yogi Ramananda si fece seppellire alla presenza di numerosi testimoni e rimase in stato di profonda catalessi per beri 28 giorni, al termine dei quali fu rianimato e riscaldato: era in buona salute e ben poco calato di peso. La drastica riduzione dell'attività cardiaca, respiratoria e circolatoria riduce infatti drastica¬mente anche necessità e consumi del corpo. Nel 1986 e 1987 lo yogi indiano Gyanander Kumar di New Delhi si è fatto seppellire nel corso di un congresso a Riva del Garda, rimanendo sotto terra, in strette condizioni di controllo, rispettivamente per 30 ore e 5 giorni. Un'altra straordinaria facoltà di yogi e fachiri è il cosiddetto "tapas", cioè la capacità di creare calore, di autoriscaldarsi, per cui possono restare immobili in medita¬zione ore e ore seduti sui ghiacciai.

L'immagine tipica del fachiro è quella che lo mostra disteso su un letto di chiodi, prestazione resa possibile dall'insensibilità autoindotta attraverso le tecniche sopra descritte. Si tratta indubbiamente di forme religiose esaspe¬rate (ma in Calabria non abbiamo i cosiddetti «flagellanti», che è tuttora possibile vedere durante la settimana santa?), che mostrano tuttavia un totale e straordinario autocontrollo fisico e sensoriale. Vivere su un letto di spine o di chiodi significa per il praticante ascetismo, penitenza, padronanza del corpo, al fine di avvicinarsi alla divinità e meglio percepirla. L'insensibilità al dolore che i fachiri dimostrano durante tale pratica è prodotta - si presume - da una forma di autoipnosi che crea stati di anestesia o analgesia, ovvero la non percezione del dolore da parte della coscienza. 

Indipendentemente da tecniche e meccanismi, le capacità straordinarie di yogi e fachiri, che in ultima analisi sono persone come noi, dimostrano che il corpo umano cela in sé capacità insospettate, rare ma indubbiamente rientranti nella sfera naturale. «I miracoli» diceva Sant'Agostino «non avvengono in contrasto con la natura, ma con ciò che noi sappiamo della natura.»

Paola Giovetti, I misteri intorno a noi (RCS Rizzoli 1988, pag. 159 e seguenti)

martedì 19 agosto 2014

L'ORIGINE DELLE MUMMIE EGIZIE RETRODATATA DI 1500 ANNI

La pratica dell'imbalsamazione avrebbe origini più antiche di quanto si pensasse: lo rivelano le analisi chimiche delle bende funerarie che avvolgono mummie risalenti al 4500-3350 a.C. La loro mummificazione fu intenzionale, e non causata dagli agenti atmosferici.





 
La Tomba delle Mummie d'oro a Bahariya, Egitto. RON WATTS/CORBIS


Le mummie sono antiche per antonomasia, ma ora si scopre che sono addirittura più vecchie del previsto: l'origine dei riti di imbalsamazione nell'Antico Egitto sarebbe da retrodatare di 1500 anni. A sostenerlo è uno studio britannico-australiano delle Università di York, Macquarie e Oxford pubblicato su PLOS ONE.

MUMMIE AL NATURALE
Secondo le teorie tradizionali sulle pratiche di mummificazione egizie, in epoca tardo Neolitica e nel periodo Predinastico (tra il 4500 e il 3100 a.C.), le salme che dovevano essere preservate venivano avvolte in bendaggi ed esposte all'esterno, dove il clima secco e la sabbia del deserto le essiccavano naturalmente. Finora le prove scientifiche di una mummificazione intenzionale, compiuta con resine naturali, si limitavano a qualche sporadico caso risalente alla fine dell'Antico Regno (2200 a.C. circa). Queste pratiche funerarie divennero più comuni durante il Medio Regno (2000-1600 a.C.).

UN ANTICHISSIMO CIMITERO
Diversi egittologi sospettavano, però, che il processo avesse origini più antiche. Per avvalorare la loro ipotesi, gli archeologi delle tre Università hanno effettuato analisi biochimiche dei tessuti funerari di alcune mummie rinvenute in una delle più antiche necropoli egizie mai documentate: quella di Mostagedda (o Mustagidda), un sito archeologico dell'Alto Egitto (ossia la parte meridionale della Valle del Nilo). Le bende erano conservate in alcuni musei del Regno Unito.

FINALMENTE, LE PROVE
Le avanzate tecniche per l'identificazione delle sostanze organiche, come la cromatografia-spettrometria di massa, hanno rivelato la presenza, sui bendaggi, di olii vegetali e grassi animali, resine di conifere, zuccheri, petrolio naturale, estratti aromatici vegetali e agenti antibatterici. La stessa ricetta, e con simili proporzioni, utilizzata anche per le mummificazioni del pieno periodo faraonico, 3 mila anni più tardi.

Il raffinato mix di ingredienti proverebbe, ancora una volta, che gli antichi egizi erano esperti imbalsamatori. E che la pratica ha origini più remote di quanto creduto finora.


giovedì 14 agosto 2014

Renato Mieli figlio di Roberto e la storia distorta


simone
DI ENRICO GALOPPINI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Vorrei far notare solo un piccolo ma significativo particolare che riguarda il modo in cui la notizia della morte a Gaza del videoreporter italiano Simone Camilli è stata data dai media italiani.

Il sito dell’Ansa – la principale agenzia di notizie italiana fondata niente meno che, tra gli altri, da Renato Mieli (1), uno strano ‘comunista’ arrivato coi “Liberatori” e padre del più noto Paolo – ha inserito da qualche tempo a margine delle notizie la possibilità di commentarle, a patto di essere iscritti a Facebook.


È una possibilità offerta generalmente per ogni tipo di notizie, da quelle “serie” a quelle ben oltre il limite della curiosità e del pettegolezzo. Ognuno, com’è d’uso nei “forum”, dice “la sua”, e per essere sinceri il livello della maggior parte dei commentatori sul sito dell’Ansa non è che sia di livello eccelso. Anche se è degno di nota rilevare che persino in questa sede ufficiale le quotazioni degli Stati Uniti e di “Israele” sono in caduta libera, mentre sono in rialzo quelle della Russia e di Putin. Segno evidente che oramai esiste un progressivo scollamento tra le versioni e le interpretazioni unilaterali fornite dai “media” e settori rilevanti dell’opinione pubblica italiana.

Per leggere dei commenti in qualche caso interessanti quanto gli articoli stessi ci si deve tuttavia rivolgere da qualche altra parte, ad esempio su Effedieffe o Comedonchisciotte. Che garantiscono un’assoluta libertà di commentare.

Sul sito dell’Ansa si viene invece esclusi dalla possibilità di farlo quando, per capacità d’analisi ed acume, si oltrepassa decisamente la media e si rischia così di far aprire gli occhi sul Sionismo e la Palestina anche a qualche sopravvalutato “top commentator” e, perché no, anche a qualche redattore precario della stessa agenzia di stampa. È il caso, recente, mentre imperversava quest’ultimo massacro a Gaza, di Claudio Negrioli, che su Comedonchisciotte si firma “Clausneghe”: (2)

Ma Russia Today s’è spinta oltre nel fare chiarezza su queste ordinarie storie di censura, affermando che nei momenti di acuzie della perpetua opera di vessazione sionista ai danni dei palestinesi i cosiddetti media ufficiali giungono a censurare oltre il 95% dei commenti. (3)
Di che ci si meraviglia quando è arcinoto a chi sono in mano i “mezzi d’informazione” e perché sono stati imbastiti? Neppure c’è da fare tanto gli sbalorditi nel prendere atto che da anni sia Effedieffe che Comedonchisciotte (4) figurano immancabilmente in un isterico “Rapporto sull’antisemitismo” redatto da un “osservatorio” specializzato di una grande università israeliana. Eh già, Lorsignori, oltre che “informare”, “osservano” dalla mattina alla sera e davvero non gli sfugge nulla.

Non dev’essergli sfuggito quindi il fatto che, lasciando aperta la possibilità di commentare sulla pagina dedicata alla morte di Simone Camilli (5), causata da un ordigno israeliano inesploso che alcuni artificieri palestinesi cercavano di disinnescare, si sarebbe scatenata una caterva di commenti a dir poco ostili nei confronti della “unica democrazia del Medioriente”.

Così, per evitare di smentire per eccesso le già disperanti stime di Russia Today ed imporre perciò un 100% di commenti censurati, questa volta una ‘manina’, forse consigliata da un solerte “osservatore”, ha scelto di non permettere ai lettori dell’Ansa di esprimere la loro opinione al riguardo di un giornalista italiano (di un collega della ‘manina’ stessa, quindi) ammazzato da una bomba che probabilmente conteneva “una sorta di trappola” pronta ad attivarsi al momento del tentativo di disinnesco.

Ciò è quanto è stato dichiarato – secondo la notizia riferita dalla stessa Ansa - dal fratello di uno dei palestinesi coinvolti nella tragedia: ma intorno alle 23.00 del 13 Agosto un’altra ‘manina’ ritoccava il testo della notizia facendo sparire quell’insinuazione dal sapore indubbiamente “antisemita” (giuro che avevo pensato: “devo salvare questa versione dell’articolo prima che la modifichino…”). Suvvia, com’è possibile  che “Israele” – che lancia bombe a frammentazione che fan schizzare tutt’intorno centinaia di frammenti metallici, o esplosivi che bruciano i tessuti interni dei loro bersagli umani - possa ricorrere a simili scorrettezze? Intanto, l’incauto redattore – messo anche lui sotto “osservazione” - sarà stato retrocesso a svuotare i cestini?

A qualcuno quello che sto facendo notare potrà sembrare un particolare di poco conto, invece dà il polso di come tutta la supremazia sionista e le “simpatie” di cui godrebbe “Israele” siano estremamente fragili e costruite sulla frode e l’inganno, se esiste persino il terrore che dei commenti dei lettori diventino assolutamente ingestibili e fuori controllo.

Quanto al povero Camilli, che lascia una moglie ed una figlia di tre anni, la sua morte, che certo è ascrivibile alla rischiosità della professione di reporter di guerra ma di cui non si può in alcun modo dare la colpa ai palestinesi, passerà in cavalleria come quella di un altro fotogiornalista italiano, Raffaele Ciriello (6), falciato nel 2002 durante la “seconda Intifada” da una raffica dell’esercito israeliano (7).

Il cordoglio di circostanza, senza troppo “esagerare” nelle esternazioni, è il massimo che ci si possa aspettare da una classe politica imbelle, anche lei costantemente sotto “osservazione”. Addirittura si ha la sensazione che fatti del genere provochino in essa un “imbarazzo” che si vorrebbe evitare volentieri. Gli “osservatori” difatti annotano tutto, e al minimo passo falso una fulgida e promettente carriera politica può andare a rotoli.

Lo stesso dicasi per le redazioni giornalistiche. Insinuare, anche solo involontariamente o per bocca di un palestinese, che “Israele” sia “intenzionato a provocare vittime”, può rivelarsi un terribile autogol per chi aspira a raggiungere l’empireo del circo mediatico. Meglio sigillare tutto, allora, e chiudere anche ogni possibilità di commentare la cosa.
Eppure c’è un solo commento da fare e lo esprimiamo lapidariamente qui: “Per quanto tempo ancora pensate di poterci prendere per i fondelli?”.
Enrico Gallopini
14.08.2014

  1. http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Mieli
  2. http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=73316
  3. http://rt.com/news/174328-hate-speech-israel-france/
  4. http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=print&sid=61
  5. http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2014/08/11/simone-camilli-morto-a-gaza-reporter-italiano-ucciso-da-una-bomba_daac1eba-f60d-4b53-b709-6f4277b2a6e7.html
  6. http://www.raffaeleciriello.com/
  7. https://www.youtube.com/watch?v=fHEU-dJ7mTU

Ritrovati i bersaglieri che entrano a Roma da Porta Pia



(AGI) - Roma, 13 ago. - I carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Venezia hanno recuperato e sequestrato un olio su tela facente parte della piu' vasta composizione del dipinto intitolato "Carica dei Bersaglieri" (300 x 200 cm.) realizzato dal pittore Michele Cammarano (Napoli 1835-1920), affermato interprete della stagione pittorica risorgimentale.

Il quadro fu trafugato dalle truppe naziste dalla Caserma "Catena" di Verona, durante le tragiche giornate che seguirono l'8 settembre 1943. I militari hanno rintracciato il dipinto, una sezione ritagliata dall'opera originaria, presso una casa d'aste di Napoli, grazie alle informazioni contenute nella Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, il piu' grande database del mondo gestito dal reparto speciale dell'Arma dei Carabinieri, che ha reso possibile i riscontri ed il riconoscimento dell'opera, inserita anche nel famoso catalogo "dell'opera da ritrovare - repertorio del patrimonio artistico italiano disperso all'epoca della Seconda Guerra Mondiale" (pubblicato dal ministero degli Affari Esteri e dal ministero per i Beni culturali e ambientali nel 1995). La realizzazione di questo catalogo fu opera del famoso Rodolfo Siviero, gia' ministro plenipotenziario della Repubblica, 'detective dell'arte' che riusci', nei difficili anni del dopoguerra, a recuperare molte importanti opere d'arte trafugate durante la Seconda Guerra Mondiale. Il dipinto e' stato restituito stamattina dai carabinieri all'8° Reggimento Bersaglieri di Caserta, che nel 1943 era stanziato presso la caserma "Catena" di Verona, luogo del trafugamento e che oggi e' dislocato nel capoluogo campano, presso la caserma "Ferrari Orsi".

domenica 10 agosto 2014

Liberi piuttosto che schiavi

Queste parole sono il frutto di un Sapere antico di una saggezza che eternamente si rinnova vicine a quella concezione, per certi versi legata al Pagus e alla saggezza individuale!
Osho insegnava filosofia in una università indiana prima di intraprendere la sua vocazione di Maestro ed inoltre era figlio di un alto sacerdote dell'antichissima religione gianista, precedente all'induismo come al buddismo, non parliamo delle tre religioni monoteiste invadenti e sanguinarie....


venerdì 8 agosto 2014

I culti proibiti in Vaticano: fra alchimia paganesimo ed ermetismo

Un semplice esempio di cosa potevano venerare in Vaticano le varie dinastie di Papi che si sono socceduti nei secoli. Possiamo farci un'idea dei culti paralleli oltre il mito del Cristo risorto.......


Affresco dalla sala della Signatura in Vaticano che riproduce il Monte Parnaso, sopra alla città di Eleusi, luogo preposto al culto di Apollo.


Affresco con Iside fra Ermete trismegisto e Mosè, dagli appartamenti Borgia in Vaticano

Verona: sulle tracce della città segreta




Introduzione al testo di Umberto Grancelli:-PIANO DI FONDAZIONE DI VERONA ROMANA-


PRESENTAZIONE ALLA SECONDA RISTAMPAIl “Piano di fondazione di Verona romana” è ormai un testo introvabile, e chi ha la fortuna di possederne ancora una copia la conserva gelosamente. Per molti anni ho cercato di poterne acquistare una originale, interpellando librerie, conoscenti vari, ma la risposta era sempre la stessa<>. Solo pochi mesi fa uno degli amici più cari mi ha fatto dono dell’unica copia che aveva, forse impietosito dalla mia vana ricerca. Aperto il testo sulle prime pagine notai un appunto a matita:<>. Credo che queste poche righe sintetizzino una delle tante riflessioni che possono scaturire dopo aver letto questo meraviglioso libro che ci accompagna nei mondi tenebrosi e incantati alla scoperta dei poteri latenti che sussistono in ognuno di noi.Grancelli nella fondazione di Verona ci svela il mondo dimenticato e sconosciuto di una città magica, espressa dalle proprie sacre misure ,dagli antichi riti , dagli allineamenti astronomici, ma soprattutto, lasciando che le pietre stesse ci parlino, oltre dalle scontate geometrie legate al cardo e al decumano , anche se la forma reticolare colpisce al primo sguardo e le strade principali seguono gli assi cartesiani dove l’organismo cittadino ordinario troverà la sua forma palese . Una geometri occulta ci è lentamente svelata, concepita per restare nei secoli così che nessuno la possa scalfire, tenendosi sottotraccia e mantenendo l’equilibrio del cerchio e del quadrato.La parte razionale è quella sviluppatasi dentro l’ansa protettiva dell’Adige, lineare e allineata, così la città conosciuta e la sconosciuta convivono: una dentro l’ansa disposta a reticolo e l’altra, sacra, che è all’origine trova la sua sede sul colle di S. Pietro, dove è il “palatium” del potere e il luogo della forza spirituale , dove il cielo comunica con la terra. Attraverso punti riconducibili ad un disegno mandalico ripresi da templi cristiani ci appare una città composta non solo di assi reticolati ma anche di cerchi e di allineamenti tuttt’ora rintracciabili fissati sul cammino annuale del sole. Lentamente ci viene svelata una città incantata fra la sapienza dell’oriente e dell’occidente,. Luogo fondato su principi eterni e trascendenti, frutto di conoscenze pressoché a noi sconosciute e immemorabili , l’incessante alternarsi della luce e del buio, del terrestre e del sotterraneo.Il colle di San Pietro con i suoi pozzi e le sue cavità e con il teatro ai suoi piedi, è la montagna sacra a cui tutta la città si volge, forse è qui che si tracciò il pomerio come nella fondazione di (segnato da un fulmine inviato dalla divinità più alta), con l’aratro mosso da due buoi , uno di manto bianco e l’altro nero, un aratro a versoio che in qualche museo dell’Etruria è ancora possibile vedere, con l’ala in bronzo che permetteva alla zolla mossa di essere capovolta, in maniera che il sotto diventasse il sopra e viceversa. Liturgie rituali indispensabili per creare la città, gesti compiuti non solo per delimitare , ma anche per orientare verso il cammino annuale del sole e verso le stelle o le costellazioni che da sempre hanno determinato gli atti umani fondamentali, e non esiste cattedrale che non abbia il suo zodiaco e non fanno eccezione le principali chiese di Verona,la Basilica di San Zeno e il Duomo che conservano pareti istoriate di queste dodici figure. Le stesse cattedrali sono la continuazione medioevale di questo sapere arcano, trasposto in simboli, immagini e allegorie. Vivere morire e rinascere, la morte è effettivamente un passaggio, un cambiamento di stato, ogni città ha una sua individualità è una creatura un organismo che nasce e muta. Il colle di S. Pietro era l’acropoli dove più alto sorgeva il tempio dedicato al dio Giano, che chiudeva e apriva ogni ciclo, due facce opposte di una divinità indivisibile che incarna il mistero dell’uomo come unità viva e creatrice, composta da aspetti contrastanti e complementari che si influenziano vicendevolmente.Non a caso Ops Consiva è la paredra di saturno ,ma anche consorte di Giano, è una divinità femminile preposta alla fertilità, alle acque sorgive e feconde, ai granai e alla conservazione del farro base alimentare dei romani, grano particolare selezionatosi nel Lazio, legato anch’esso ai misteri del grano, alla morte resurrezione, e già gli egizi solevano ricoprire il dio dei morti Osiride di cariossidi e farle germinare, perché il grano deve morire, trasformarsi e infine germinare nelle viscere delle madre terra, solo cosi potrà nutrire gli uomini e il pane era legato intimamente ai misteri Eleusini come il vino era legato ai misteri di Dioniso, e nella messa cattolica ritroviamo questi alimenti che ulteriormente si trasformano in carne e sangue. Il colle di San Pietro è l’inizio e la fine di un viaggio eterno di morte e di rinascita, dove le facce di Giano della soglia osservano in opposte direzioni la partenza e l’arrivo, questa divinità italica, come l’apostolo Pietro è munita di chiavi per aprire o chiudere la porta della salvezza. Umberto Grancelli ci ha aperto e accompagnato verso una diversa conoscenza, ma anche verso la speranza che una seppur piccola parte di noi troverà la liberazione eterna.


il complesso dell'acropoli di VERONA come il santuario di Palestrina dedicato alla fortuna primigenia

Palestrina. Nel tempio della dea fortuna La celebrazione del potere primigenio Renato del Ponte, Dei e miti italici Il tempio dedicato alla Dea Fortuna a Palestrina rientra tra le costruzioni monumentali erette nell’antichità in forma di altare telluricocosmico. Qualcosa di radicato al suolo e avvinto alla struttura stessa della terra, come scaturito dai contrafforti del colle. Dalla base alla sommità del rilievo dominante l’antica Praeneste si levava il grandioso e scenografico tempio: qualcosa di simile all’altare di Pergamo, inglobante l’intero altopiano, oppure a certe rappresentazioni fantastiche della liturgia faraonica. Molti tra i più celebri studiosi rinascimentali, scrutando i pochi resti antichi che si potevano vedere tra le povere casupole di Palestrina, si erano ingegnati a immaginare quale forma avesse in origine il tempio che si sapeva essere della Fortuna Primigenia. Ricostruzioni ideali di Giuliano da Sangallo o del Palladio liberavano la fantasia ad immaginare i più colossali edifici, secondo le geometrie di un gigantesco neoclassicismo. Renato del Ponte, La città degli dei. La tradizione di Roma e la sua continuità Ma neppure la fantasia poteva superare la realtà. Furono le bombe americane dell’ultima guerra a liberare in più punti le incrostazioni e a mostrare in tutta la sua portata quello che era stato davvero il magnifico tempio. Si trattava di una imponente costruzione che, già nel IV secolo, occupava l’intero colle: un sistema di terrazze saliva per gradi sino alla sommità, in cui si trovava il tempio più interno, e ogni tappa del viaggio ascensionale era segnata da vari livelli, con scalinate, rampe, stazioni. Tutto il complesso aveva l’aspetto di un sistema geometrico costruito in asse col tempio più alto e con la statua del culto supremo, in un quadro che qualcuno ha definito “ideologico”, volendo rimarcarne gli aspetti di celebrazione del potere divino attribuito al contatto con l’energia generatrice dell’uomo. La terrazza degli Emicicli, quella dei Fornici, quella delle Fontane, quella della Cortina erano altrettante tappe del sacro itinerario. Sino alla sommità, dove, sul culmine del colle, si levava il tempio vero e proprio della Fortuna Primigenia. Era un luogo essenzialmente oracolare. In una grotta naturale ai primi livelli della salita, all’estremità della parete addossata al suolo, è stato trovato uno spazio impreziosito di colonne scanalate e con i resti di un pavimento musivo. È l’Antro delle Sorti, in cui l’oracolo emetteva i suoi responsi. Questi, altre volte, secondo Cicerone, venivano ottenuti, per così dire, alla maniera nordica, interpretando le sortes, lettere incise su pezzetti di legno che venivano estratte dalla roccia e interpretate. E il sacello costruito sul luogo in cui si operò questo oracolo era ritenuto particolarmente sacro. Jean-Michel David, La romanizzazione dell'Italia Poco distante, dietro l’abside del Duomo attuale, là dove un tempo sorgeva la basilica di epoca repubblicana, ecco comparire l’aula absidata, anch’essa in parte scavata nella roccia e dotata di ricca decorazione architettonica. Qui fu rinvenuto il famoso mosaico detto del Nilo, risalente all’80 avanti Cristo, che oggi si conserva al Museo. Questo capolavoro contiene una specie di mappa geografica dell’Egitto e un vero bestiario esotico. Ma, ciò che più interessa, è che è stato messo in relazione con le mutazioni della Fortuna e con il viaggio fatto da Alessandro Magno in Egitto, quando rese onore a Giove Ammone. Una presenza, questa di Giove, che era anche a Praeneste sin dagli inizi, dato che - secondo Tito Livio - Cincinnato, che conquistò la città alla fine del IV secolo, portò a Roma come preda di guerra proprio una statua di Giove Vincitore, posizionandola sul Campidoglio. Il culto alla Fortuna è uno dei più antichi su suolo italiano. In esso si intrecciavano motivi legati sia alla fertilità che alle potenze oracolari. Esiste la prova che nel santuario prenestino il culto ufficiale alla Fortuna era gestito dai patres e dai sacerdoti virili, mentre quello femminile legato alla fecondità era appannaggio di collegi di matres. Questa duplice vocazione del tempio è stata riconosciuta dagli studiosi come prova di un sincretismo che, per la verità, era assai diffuso a Roma. Lo stesso abbinamento che è stato fatto tra la Fortuna e Iside, cui in epoca ellenistica anche a Praeneste veniva reso onore, non è che un’ennesima riprova della capacità pagana di unificare in concetti organici anche ispirazioni diverse. Le fonti antiche affermano che esistevano due statue della Dea Fortuna: una di bronzo dorato e una di marmo bianco, nella posa di allattare Giove e Giunone bambini. La presenza di Giove all’interno di un tempio dedicato alla Fortuna non sembra essere, dunque, una contraddizione tra significati della sovranità e quelli della maternità. Anzi, era proprio luoghi come questo che nell’antichità si intendeva celebrare ad un tempo tanto il potere sovrano che l’origine della vita, fondendo in un unico culto la gerarchia uranica della potenza e quella tellurica della genealogia. Andrea Carandini, Remo e Romolo. Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani (775/750 - 700/675 a.C. circa) Alla celebre iconografia della Fortuna recante la cornucopia dell’abbondanza si affianca quella, che era ricorrente specialmente sulle monete, di una duplice Dea: una vestita con la corona sul capo, l’altra a seno nudo con un elmo sulla testa. Del resto, sulla più alta terrazza, là dove, secondo Cicerone, l’olivo avrebbe secerto miracolosamente del miele, si trovava la statua guerriera della Fortuna, posta ad un gradino più elevato di quella materna del santuario situato livello inferiore. Rappresentazione ben chiara che questo santuario riuniva in sé tutti i valori principali della vita, celebrando alla maniera pagana e in modo uniforme tanto la virilità quanto la femminilità. Alcuni studiosi hanno poi rimarcato l’importanza della Dea Fortuna nell’ambito delle credenze italico-latine più arcaiche, sottolineando come i loro più profondi attributi fossero quelli legati al primordiale potere di assicurare la fecondità e riproduzione della discendenza. La speciale tutela sulla nascita e sulle sue arcane provenienze era l’aspetto principale, assicurato dal dettaglio rivelatore che la Dea Fortuna la si diceva avere potere di protezione sul corpo e, particolare, sugli organi genitali. Giandomenico Casalino, Il nome segreto di Roma Una divinità della genealogia, della trasmissione del sangue, della nascita? È proprio questo che deve intendersi sotto denominazione di Fortuna Primigenia, intimamente legata, in altre parole, al concetto di “buona nascita originaria”. Questa era, dunque, per i nostri antichi padri la vera “fortuna primigenia”: avere buona razza, essere di ceppo sano e legato all’origine. È tra le pieghe di monumenti e luoghi che fanno parte del nostro panorama quotidiano, e dei quali, di solito, trascuriamo di ricordare i più profondi significati, che si nascondono alcune verità essenziali della nostra civiltà. Per dire, andare oggi a Palestrina a visitare il tempio della Dea Fortuna significa inevitabilmente ammirare il palazzo della famosa famiglia papalina dei Colonna-Barberini, costruito nella zona più alta dell’antico santuario che come un cuculo si è posato sul nido di una religione più antica e diversa, occultandone oggi l’intimo senso. Ma i simboli parlano, a chi sa intenderli, anche se offuscati dalle manomissioni e dalla dimenticanza. Luca Leonello Rimbotti Tratto da Linea del 26 ottobre 2006




COME APPARE IL COMPLESSO DEL SANTUARIO DELLA FORTUNA PRIMIGENIA OGGI DI PALESTRINA




VERONA QUELLO CHE RIMANE DEL COMPLESSO DELL'ACROPOLI


FORSE UNA DISTRUZIONE PROGRAMMATA...........

sabato 2 agosto 2014

La regola di fondamento

                                        

"CONOSCI TE STESSO" C'E' SCRITTO SULLA METOPE...GRANDE AMMONIMENTO DELLA GNOSI PAGANA...