sabato 28 febbraio 2015

La poesia del mago e rinnovatore della letteratura irlandese

Un Aviatore Irlandese Prevede La Sua Morte
Lo lo so che sarà là, da qualche parte tra le nuvole,
sarà là che incontrerò alla fine il mio destino;
io non odio questa gente che ora devo combattere,
e non amo questa gente che io devo difendere;
il mio paese è Kiltartan Cross,
la mia gente i suoi contadini,
nulla di tutto ciò può renderli più o meno felici.
Né la legge né il diritto mi spinsero a combattere,
non fu la politica, né l'applauso della folla.
Un impulso di gioia fu, un impulso solitario
che mi spinse un giorno a questo tumulto fra le nuvole;
nella mia mente ho tutto calcolato, tutto considerato,
e gli anni a venire mi sono sembrati uno spreco di fiato,
uno spreco di fiato gli anni che ho passato
in paragone a questa vita, a questa morte.

William Butler Yeats
(premio Nobel ed affiliato allo "Hermetic Order of the Golden Dawn")

venerdì 27 febbraio 2015

I riti etruschi rivivono nelle liturgie cristiane


iversi studiosi (ANTROPOLOGI), L'HANNO DEFINITA una manifestazione che rievoca il culto della "madre terra", un rituale che ha tutte le carattestiche simili alle cerimonie di culto pagano in onore alla dea maia, alla dea cerere, ecc.
Gli antropologi di diversi paesi non solo italiani ma anche stranieri, ancora studiano sulla origine di questo rito-spettacolo in veste popolare e sacro, molte definizioni si traducono come rituale di origini pagane, bene, allora io sottolineo, di origini etrusche?
PENSO DI NON ESSERE ANDATO MOLTO LONTANO E PERCHE'.Prendendo in considerazione i rituali pagani, che si svolgevano nell'italia centrale, ma non escludo che detti rituali erano diffusi in forme diverse in tutto il mondo antico, ebbene abbiamo nella sabina la dea VACUNA il culto legato alla fertilità,all'agricoltura,all'acqua, alla dea CUPRA, divinità venerata nelle marche fino ai confini con l'umbria, sempre legata ai frutti della terra ed al culto dell'acqua, altra divinità è la dea FERONIA sempre nella zona sud del reatino zona Fiano Romano, famoso il santuario ( LUCUS FERONAE, IL BOSCO SACRO DI FERONIA ), divinità anch'essa il cui culto era legato alla fertilità della terra, all'agricoltura ed alla tutela della salute fisica. INFINE in questo quadro STORICO, abbiamo nell'etruria la DEA NORTHIA, divinita' venerata a VELZNA-VOLSINI-BOLSENA, divinità molto onorata dal popolo etrusco ed era in sintesi la DEA CHE RAPPRESENTAVA LA FERTILITA' DELLA TERRA, IL CULTO DELL'ACQUA, I PRODOTTI DELLA TERRA, i suoi simboli erano la cornucopia, da dove uscivano i frutti, le spighe di grano e a volte si presentava con il melograno su una mano , simbolo di benessere, di fortuna, Nel tempio di northia veniva segnato il tempo con l'infissione del chiodo in una parete, e il segnare il tempo era legato al culto del SOLE, AL SOLSTIZIO D'ESTATE, dove la TERRA, L'ACQUA, IL SOLE, DAVANO AL POPOLO ETRUSCO I loro I PRODOTTI, come un tutto l'areale dell'italia.
QUINDI SI PUO' IN SINTESI AFFERMARE UNA INTERESSANTE IPOTESI LA QUALE MERITA LA DOVUTA RIFLESSIONE STORICA (ANTROPOLOGICA), che la BARABBATA di MARTA NON POTREBBE ESSERE ALTRO CHE la riproposizione del RITUALE CHE SI SVOLGEVA NEL LAGO DI BOLSENA DECINE DI SEC0LI FA' IN OCCASIONE DELLA FESTA AL FANUM VOLTMNAE.

La riscoperta dei culti legati al paganesimo






Nel 313 d.C. i due Augusti dell’impero romano, Costantino e Licino, siglarono l’editto di MilanoCon questo documento si poneva termine alle persecuzioni nei confronti dei cristiani ai quali, finalmente, veniva garantita la libertà di culto. Il cristianesimo non conobbe più barriere, la sua diffusione subì una notevole spinta propulsiva. I grandi agglomerati cittadini furono terreno fertile per proselitismi e conversioni di massa, mentre nei villaggi agresti e nei centri isolati giungevano perlopiù riverberi lontani della nuova religione. Il termine “pagano” deriva, infatti, dalla locuzione latina pagus, termine con il quale venivano designati gli abitanti delle aree rurali. La conversione in questi luoghi, benché inesorabile, fu lenta e graduale. La causa è da addurre in parte proprio alla condizione di isolamento in cui si trovavano le zone in oggetto, in parte all’esistenza di uno zoccolo duro restio ad abbandonare l’antica religione dei padri in favore del cristianesimo. 

Con il trascorrere del tempo, inevitabilmente, i cristiani finirono per soverchiare e schiacciare ogni espressione spirituale che non fosse in linea con la loro, fino a giungere -già nel corso del IV secolo stesso- all’adozione di misure repressive per forzare l’abbandono del culto pagano.
Il cristianesimo perde la sua aura di tolleranza e da religione degli oppressi muta in veicolo di oppressione. 
Eppure l’editto di Milano recitava:


« Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto [..] fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità. »




In sostanza, almeno sulla carta, le intenzioni erano decisamente di altro tipo. Quasi duemila anni dopo si assiste a una nuova primavera dei culti pagani, fenomeno catalogato con il termine “neopaganesimo”. Ma cosa si intende con neopaganesimo? In sostanza, tutto e nulla. Si tratta anzi, a mio parere, di un’etichetta che ha un retrogusto discriminatorio. Nell’alveo neopagano convivono tradizioni antiche e moderne molto variegate, raggrupparle sotto un grande “termine/ombrello” conferma il binomio a compartimenti stagni in cui siamo incasellati da millenni, quello che vede le grandi religioni monoteiste come le uniche meritevoli di dignità e tutto il resto gettato in un calderone e bollato come superstizione.

Inoltre, riflettendo etimologicamente sull’utilizzo del termine “pagano” per definire un adepto del neopaganesimo, questo risulta inappropriato: il vocabolo, in origine, identificava nello specifico un politeista non convertito al cristianesimo, i pagani moderni sono -in gran parte- ex cristiani convertiti al politeismo. Tuttavia, continueremo a usare questo termine per una questione di praticità, purché ne siano ben chiari i limiti semantici. All’interno del neopaganesimo incontriamo, di fatti, una varietà notevole di correnti diverse: forme animistiche alla magia, da seguaci della tradizione romana a praticanti della stregoneria, dai veneratori degli antichi dei egizi a coloro che seguono il druidismo, da forme religiose di derivazione celta fino alla Wicca. 

Vi sono, perciò, neopagani legati a echi di antiche religioni lontane che si vanno a innestare su un substrato di folklore e a un pizzico di stregoneria, così come neopagani che tentano di restituire dignità e vita alle tradizioni religiose proprie del passato della loro terra d’origine. Se mi è umilmente concesso tracciare uno spartiacque all’interno della grande famiglia neopagana, ritengo che un’importante discriminante sia quella che separa chi segue tradizioni alle radici del proprio passato storico e colo che si attengono a una spiritualità pagana universale, più elastica e onnicomprensiva, arricchita da elementi appartenenti a culture diverse.



Nel primo gruppo, fra i tanti esistenti, possiamo iscrivere coloro che aderiscono fedelmente al culto mitraico, chi venera le arcaiche divinità egizie o norrene, gli adoratori dell’antico pantheon greco o romano. A Roma, per esempio, troviamo il gruppo Traditio Romana, il quale si propone di rivivere in maniera fedele la Religio Romana organizzando eventi e rituali proprio sui luoghi anticamente adibiti alle funzione religiose dell’Impero. Un altro esempio è visibile presso il tempio di Diana Nemorense, a Nemi, in cui c’è un altare divenuto importante punto di aggregazione spontanea: è possibile trovarlo ricoperto di offerte e fiori in ogni periodo dell’anno, a commovente dimostrazione di un culto che prosegue nella sua sede storica da duemilaquattrocento anni. Nel secondo gruppo spicca indiscussa a livello mondiale laWicca, codificata da Gerald Gardner nella prima metà del Novecento. La Wicca è essenzialmente un percorso spirituale di stampo misterico, in essa si fondono, formando una teologia complessa e un ricco bagaglio di rituali e pratiche, stregoneria e culto della natura. Nel mondo si contano milioni di praticanti sparsi per tutto globo.


Il neopagano può decidere di aggregarsi a uno dei diversi gruppi esistenti e percorre il suo cammino spirituale in maniera comunitaria, oppure può dedicarsi alla pratica in maniera intimistica e privata. I cosiddetti praticanti solitari rappresentano una fetta consistente del popolo pagano moderno, ciò permette una declinazione del culto in base alle proprie inclinazioni, lontano dalla rigidità di dogmi sovraimposti. In questa sede è impossibile elencare e descrivere tutte le tradizioni esistenti sotto la bandiera del neopaganesimo in Italia, ma per farsi un’idea di quanto il fenomeno sia fervente e prolifico basta una rapida ricerca online. Interessante sapere che la nostra nazione ha dato i natali a una tradizione molto rinomata nel contesto della pratica magica, la stregheria italiana. A rendere famosa questa pratica è stata la rielaborazione effettuata da diversi cultori di esoterismo di origine italo-americana e dal celebre Charles Godfrey Leland, autore di “Aradia - Il Vangelo delle Streghe”. Se poi vi trovate a Roma e avete voglia di vivere in prima persona l’esperienza di una giornata all’insegna del neopaganesimo, potete partecipare all’annuale Pagan Pride che si tiene ogni anno nella capitale, presso Villa Pamphili, in occasione della festività del Mabon (21 settembre). Qui avrete modo di venire in contatto con praticanti provenienti dalle tradizioni più disparate.


Nel parlare di stregoneria, esoterismo e rituali antichi, puntualmente prima o poi salterà fuori l’argomento del satanismo. È bene fare chiarezza in poche parole: il satanismo è un prodotto del cristianesimo, il suo alter ego, perciò un pagano non può essere satanista. Prima che bene e male venissero scissi in una dicotomia a compartimenti stagni, non era concepibile il culto del maligno. La confusione spesso è data da dichiarazioni avventate da parte di esponenti della Santa Sede –ricordiamo tutti le schermaglie fra Padre Amorth e la magia di Harry Potter e dall’utilizzo da parte di wiccan e correnti affini di alcuni simboli, quali la stella a cinque punte. La Chiesa ha bollato come “satanico” tutto ciò che aveva a che fare con i culti pre-cristiani, perciò molta della simbologia sacra pagana ha finito per essere identificata come emblema di Satana. Il naopagano che venera un dio munito di corna e con le fattezza caprine non si appella al Diavolo ma a Cernunno, allo stesso modo la stella a cinque punte -in quell’ambito- ha valenza di simbolo di protezione.


Ciò che potrebbe sembrare un fenomeno molto circoscritto in realtà sta assumendo, anno dopo anno, proporzioni maggiori, le quali rendono sempre più difficile liquidare il neopaganesimo come un anacronismo isolato o una moda passeggera. Ma quali sono le cause di questa tendenza? In primis è lecito chiedersi se stiamo assistendo a un fenomeno mai estinto o a un trend nato in tempi recenti. Credo che la realtà stia nel mezzo anche se, non avendo dati alla mano, quella che segue è una mia personale speculazione. Il cristianesimo non poté cancellare in sol colpo dalla memoria collettiva l’eredità millenaria della Religio: la stessa Chiesa, in alcuni casi, è dovuta scendere a patti con le antiche religioni preesistenti modellando iconografia e ritualità su modelli dettati da quest’ultime. Prassi, rituali e credenze popolari intessute con l’adorazione degli antichi dei locali, sono sopravvissute in forma occulta nella comunità. Ciò che verrà definita “stregoneria” ha i suoi natali negli orpelli del paganesimo e si trasmette di generazione in generazione fino ai giorni nostri, in cui sta vivendo una rinascita.



Ritengo perciò corretto sostenere che la corrente “magica” del neopaganesimo in realtà sia antica quanto il cristianesimo stesso. Se invece prendiamo in causa quelle iniziative volte al ripristino delle antiche religioni autoctone, siamo –salvo, forse, rare occasioni- di fronte a un fenomeno eminentemente moderno e ciò è desumibile in maniera molto elementare dal fatto che la conversione al paganesimo di questo stampo scaturisce da un percorso individuale di ricerca, mai dalla trasmissione familiare o da un vincolo del tipo maestro-allievo. Oggi, paradossalmente, stiamo assistendo a un’inversione di tendenza: i bambini, a volte, nascono nell’ambito di un nucleo familiare che si definisce pagano, come avveniva duemila anni fa. Questa è la situazione che emerge da un’analisi a campione dei praticanti del paganesimo moderno con cui io sono entrata in contatto in Italia, nel resto d’Europa e nel mondo la condizione potrebbe essere diversa. Torniamo alle cause. 

Ritengo possano essere molteplici: allentamento dell’ingerenza cattolica nella vita quotidiana, innalzamento del livello di istruzione, potenziamento dei mezzi di informazione, necessità di una spiritualità più spontanea. È interessante notare come, forse proprio a causa delle pressioni a cui ci sottopone una società globalizzata come la nostra, ci siano persone che vengono spinte in controtendenza a riscoprire le radici dei propri antenati e a ripetere i loro gesti, le loro invocazioni. Una delle cause potrebbe anche ricercarsi proprio in una sorta di riflesso reazionario innescato dalla modernità che cerca di inserirci in un flusso asettico sempre più scollato dal nostro passato, dai nostri luoghi, dalla natura, dal gusto del coltivare le differenze in maniera costruttiva, a favore di uno standard anonimo e materialista.


Il cristianol’ebreo, il musulmano, interpretano il ritorno al pre-monoteismo come un’involuzione verso la primitività. Personalmente sono portata a pensare che a un certo punto della storia qualcosa sia andato storto. Nel momento in cui le religioni hanno fatto della Fede uno strumento di potere e sopraffazione, gli eventi hanno preso un corso innaturale. Mi piace credere che al momento si stia verificando un ritorno allo status quo allo scopo di rendere concreto ciò che auspicava Costantino nel suo editto: che tutte le religioni possano convivere pacificamente sullo stesso territorio. Alla luce degli ultimi fatti di cronaca appare evidente che il vero anacronismo è una “guerra santa”, più che la rinascita di un antico culto. 



N.B. TUTTE LE FOTO PRESENTI NELL'ARTICOLO SONO DI PROPRIETA' INTELLETTUALE DELL'AUTRICE STESSA


                                                                 ALESSANDRA MOSCONI

giovedì 26 febbraio 2015

Come dimenticarsi di noi stessi, questa è forse la chiave............

"L’Umiltà come l’Orgoglio implicano un ego"
(Aleister Crowley)

martedì 24 febbraio 2015

Simone Weil, toccato il divino, mi inchino alla sua grandezza! mi sento polvere, nulla, ma un nulla che può lambire il divino!

"Se vuoi raggiungere il distacco totale, non basta l'infelicità. È necessaria una infelicità senza consolazione. Bisogna non avere consolazione. Nessuna consolazione rappresentabile. Scende allora la consolazione ineffabile.
Rimettere i debiti. Accettare il passato, senza chiedere compenso all'avvenire. Fermare il tempo nell'istante. È anche l'accettazione della morte.
"Si è vuotato della sua divinità". Vuotarsi del mondo. Rivestire la natura di uno schiavo. Ridursi al punto che si occupa nello spazio e nel tempo. A nulla.
Spogliarsi della sovranità immaginaria sul mondo. Solitudine assoluta. Allora si possiede la verità del mondo."
Simone Weil, L'ombra e la grazia

Sforzandoci di vivere male

Consommer plus et vivre mal, gagner plus et vivre moins bien, voilà quoi se réduit pour finir la productivité poussée jusqu'à l'absurde que prône le modèle capitaliste.
André Gorz
Consumare di più e vivere male, guadagnare di più e vivere meno bene, questo è ciò che infine si restringe produttività spinta verso l'alto l'assurdo sostenuto dal modello capitalistico.

André Gorz

domenica 22 febbraio 2015

L'arte come cura in senso lato

A cosa serve l'arte? E la letteratura o la filosofia? La risposta del filosofo svizzero Alain de Botton è forte e chiara: a farci vivere meglio. E per occuparsi del caso ha sfornato un istituto culturale, un libro, un sito web e una serie di video


Immagine dal sito The Guardian

A che serve l'arte? A vivere meglio e curare lo spirito. Parola di Alain de Botton | Artribune

LE PIETRE NERE


L'altra,Pietra Nera gemella, per alcuni sembra essere quella della Grande Madre Cibele che fu portata a Roma, da Pessinunte con una solenne e sfarzosa cerimonia che la vide deposta su di un carro sontuoso e una moltitudine di sacerdoti che in processione la scortarono fino all'Urbe, il carro era trainato da 100 tori e durante il tragitto venivano sacrificati. Il simulacro della Dea fu anche Imbarcato per nave e arrivò ad Ostia e dove fu fatto risalire per il Tevere fino alla meta finale: sul tempio edificato allo scopo sul Palatino. Mentre l'altra fu sacralizzata a La Mecca

Riccorenze religiose fra cristianità e antiche pratiche pagane in Lessinia





LE PROCESSIONI RELIGIOSE IN LESSINIA - STORIE " DE SANTI E DE MADONE".
************************************************************
Le processioni rimangono tuttora un elemento molto importante delle consuetudini religiose della Lessinia. Anticamente talune assumevano carattere di “universalità” in quanto le compivano le parrocchie di un determinato territorio verso una meta determinata, come, per esempio, al Santuario di Madonna di Campagna.
A Campofontana nel giorno di San Marco (25 aprile, primo giorno delle Rogazioni), tutto il paese si recava sopra un dosso del paese, proprio di fronte al Montelongo di San Vitale sventolando le proprie bandiere. Contemporaneamente, sul tale dosso, un’altra processione, proveniente da San Vitale, sventolava festosamente le proprie insegne a ricordo degli antichi patti che le due comunità avevano stipulato nel passato tra di loro.
Nella Lessinia orientale, poi, sono tornate alla luce e con grande fastosità, tre importanti avvenimenti del genere: la processione cosiddetta dell’ “Avóto” di Sprea; la processione tra Campofontana e Durlo, nell’alta Valle del Chiampo; la processione dei “Dolori” di Velo Veronese.
L’“Avóto” di Sprea si celebra l’ultima domenica di luglio; vi partecipano in media un migliaio di fedeli che partono dalla chiesa parrocchiale, dove officiò per tanti anni il famoso parroco don Luigi Zocca, il “Prete de le erbe”, raggiunge il vicino Monte Castéche, su cui viene celebrata una santa Messa all’aperto, presieduta dal vescovo ausiliare di Verona. La manifestazione che ricorda la cessazione della terribile pestilenza del 1600, durante l’ultimo conflitto era stata abbandonata per ovvie ragioni di sicurezza, ed è stata ripresa negli anni Sessanta e da allora è diventata un appuntamento prettamente religioso tra i più partecipati.
Anche la storica processione — che risale al Quattrocento — tra Campofontana e Durlo, nell’alta Valle del Chiampo, ha subito un ridimensionamento: oggi vi si partecipa in automobile seguendo un camioncino che trasporta, come d’uso, le statue in legno di San Giorgio e di San Rocco. Nel passato, invece, esse venivano portate a spalle (San Giorgio pesa oltre 2 quintali) e le due parrocchie distano sette chilometri una dall’altra. La cerimonia si svolgeva in due tempi; nella prima domenica di maggio scendeva la popolazione di Campofontana a Durlo; nella seconda domenica ricambiava la visita la popolazione di Durlo che saliva a Campofontana con i suoi santi protettori a spalle: Santa Margherita e Sant’Antonio Abate.
Una terza processione, che si ripete anch’essa da alcuni anni a questa parte a Velo Veronese nei primi giorni di settembre, è detta la “Processione dei Dolori”, perché ricorda la festività dell’Addolorata, detta anche “Madonna dei Dolori”, di cui a Velo si venera un’immagine in legno che viene portata in processione in tale occasione. Della festa fa menzione nei suoi “Diari” Don Scalmana, parroco di Velo nell’Ottocento. Ma la ricorrenza si porta dietro anche un’altra denominazione, più profana: “Sagra dei fighi”, perché in quei giorni si colgono gli ultimi fichi giù in collina e i fruttivendoli, improvvisati per lo più, li portano a vendere sulle piazze di montagna nei giorni di domenica, quando la gente esce di chiesa dopo la messa.
************************************************************
I SANTI IN LESSINIA -
Andando in Lessinia, soprattutto in quella centro-orientale, si potranno vedere qua e là, lungo le strade o nei pressi di contrade, dei pilastrini di pietra, alti circa un metro, di fattura molto semplice, formati da una colonna a parallelepipedo rettangolare, con incisa una grande croce in bassorilievo, e sormontata da un capitello a forma di pentagono irregolare, pure quello scolpito a bassorilievo, le cui figure effigiano generalmente la Madonna e il Bambino, ma quelle più antiche, del Cinquecento, riportano talora anche altre figure quali San Valentino, San Rocco, San Sebastiano.
Anche i vari oratori che si trovano nelle contrade sono dedicati ad un numero piuttosto ridotto di santi , oltre a quelli sopraddetti possiamo aggiungere: Sant’Antonio Abate, San Bovo, San Leonardo, San Carlo Borromeo, in misura minore San Francesco e San Giorgio.
La popolarità di questi santi era legata al fatto che intervenivano in modo molto concreto nelle “faccende” degli uomini che erano semplicemente: la salute, il cibo, il bestiame: erano i sancti adiutores.
Vediamone alcuni in una breve panoramica.
Il due gennaio, nelle nostre comunità montanare, ma anche della pianura, si celebrava la ricorrenza di san Bovo, un santo della cui vita si conosce poco o niente, ma, in compenso, c’è una copiosa tradizione orale che ne illustra e magnifica le prodigiose opere compiute. Intorno al Mille, recandosi a Roma in pellegrinaggio, si ammalò a Voghera e ivi morì. Nella stessa città, più tardi, morì un altro santo importante per le nostre montagne: San Rocco. Bovo fu sepolto fuori delle mura del castello, ma il tempo e le guerre cancellarono le tracce della sua tomba. Lo fecero conoscere, però, i numerosi miracoli, tanto che il misterioso pellegrino fu identificato col nome di Bovo e fu destinato alla protezione dei bovini.
In Lessinia, meglio e più efficacemente che in pianura, lo venerava come il santo degli animali per eccellenza, ma anche dei vacàri. Infatti l’iconografia lo raffigura come un robusto cavaliere romano con un bue accanto. Era talmente diffusa la sua venerazione che i Cimbri assicuravano che durante la notte che precede la sua ricorrenza gli animali conversavano tra loro. Quindi era proibito, quella notte, come pure durante la notte di Natale, andar nella stalla a far filò.
Un proverbio così contrassegna l’evolversi del tempo in gennaio: El giorno de San Bovo / i giorni jè slongadi un passo de lovo / a Sant’Antonio / on passo de demonio / a San Bastian te gh’è un’ora in man / da la Candelora i giorni s’e gà slongadi de un’ora ... e dell’inverno semo fora.
Sant’Antonio abate da sempre è stato venerato, sia in montagna che in pianura, come il santo protettore della salute degli animali domestici. Le figurazioni lo rappresentano contornato da bovini, maiali, capre, pecore, animali da cortile: cioè le bestie che costituivano il patrimonio delle popolazioni montanare e contadine. Ma il maiale, in particolar modo, costituisce l’elemento agiografico più interessante della vita del santo eremita e viene sempre riprodotto ai suoi piedi.
La tradizione popolare lo identifica come rimedio contro il Fogo de Sant’Antonio, l’herpes zoster: infatti i malati bagnavano col grasso del maiale la parte colpita. Per dire quanto fosse tenuto in considerazione il maiale in passato, i frati agostiniani godevano addirittura del diritto di lasciar pascolare i porci della loro stalla anche nelle strade urbane.
Ci sono vari proverbi sulla figura e l’opera del santo abate: per esempio «Sant’Antonio il diciassette / che le stalle in festa mette / mette in festa anche il pollaio / nel rigore del gennaio». Come abbiamo scritto più sopra, il diciassette gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, nei nostri paesi di montagna vigeva l’usanza di andare alla messa portando con sé un sacchettino o un cartoccio con del sale rosso da far benedire e poi somministrare nei cibi agli animali.
Scrive Dino Coltro: «Non c’è paese che non abbia almeno un capitello dedicato a San Rocco, eretto in funzione apotropaica, cioè a difesa delle malattie epidemiche, in particolare della peste. In questa funzione ausiliatrice il Santo ha sostituito San Sebastiano; ma in qualche capitello, soprattutto nelle “colonnette” della Lessinia si vedono ancora i due santi insieme alla Madonna, conforme ad una tradizione che viene dai paesi nordici».
La devozione per San Rocco nacque nel Quattrocento e si diffuse rapidamente a seguito soprattutto di terribili epidemie che colpirono le popolazioni, anche quelle delle nostre montagne.
Per esempio: l’epidemia di colera che il Manzoni descrisse nel suo romanzo dei “I Promessi sposi”, nella nostra Lessinia, stando alle informazioni che ci offrono i verbali delle visite pastorali del 1615 e del 1634, cioè quelle effettuate prima e dopo il colera, dimostrano che anche le popolazioni delle montagne furono terribilmente decimate: un 30 per cento di vittime.
Il culto del santo di Montpellier si estese dal Vicentino a tutta la regione e le devozioni si moltiplicarono con costruzione di oratori e capitelli. Si può, anzi dire, che non ci sia chiesa della Lessinia in cui non si trovi la sua immagine. Come detto sopra, le “colonnette” lo raffiguravano a lato della Vergine col Bambino, mentre, dall’altra parte, talora era riprodotto San Sebastiano.
Se andiamo a rivedere i verbali delle visite pastorali dei vescovi veronesi alle parrocchie della Lessinia, così tanto per far della cronaca, a partire da quelle del Quattrocento in avanti, troveremo registrata la presenza di almeno un altare dedicato a San Rocco in tutte le chiese, senza contare addirittura le parrocchie intitolate a questo santo, come San Rocco di Piegara e San Rocco di Sprea, ma anche di Campofontana, la quale ha voluto cointitolarla dopo la peste del Seicento.
Tra le costruzioni sacre che gli sono dedicate, le più importanti, soprattutto sotto l’aspetto artistico sono: San Rocco del Garzon a sud di Velo Veronese, e San Rocco degli Scali a nord di Bosco Chiesanuova.
Per andar in contrada Garzon di Velo bisogna salire lungo la dorsale per San Mauro di Saline e Velo Veronese; al crocevia per contrada Comerlati, si gira a sinistra e si scende lungo questa strada fino a Prasecche, Vanti, Fondi e Garzon di Sotto.
L’oratorio di Garzon di Sotto, di stile gotico, è datato 1576 in una lapide esterna; poi, ovviamente è stato ristrutturato o addirittura costruito ex novo. L’interno è piuttosto spoglio ma lo caratterizzano alcuni splendidi affreschi e la pala dell’altare che raffigurano San Sebastiano, San Rocco, Sant’Antonio Abate e San Giovanni Battista e al centro la Vergine col Bambino.
Anche San Sebastiano, come detto sopra, era spesso effigiato nelle colonnette. Il soldato romano martirizzato sotto il tiro delle frecce, fece breccia sulla pietà delle popolazioni, e fu invocato come protettore contro le malattie, in modo speciale contro la peste. Egli sarebbe stato invocato come adiutor contro questa malattia, perché nel 680 a Roma scoppiò una terribile forma di epidemia che scomparve solo quando si ricorse alla sua intercessione.
La popolazione era molto devota anche a San Valentino, la cui festa cade il 14 febbraio, perché era l’unico santo che poteva combattere il “mal caduto”, l’epilessia. Uno dei rimedi popolari di un certo potere taumaturgico era conosciuto come “La ciave de San Valentin”, una “trovata” ironica e anomala che una volta veniva eseguita nella chiesa di Castagnaro (Verona) per malati di epilessia. Lo troviamo raffigurato nelle tavolette della scultura popolare della Lessinia con la mitra da vescovo in capo; qualche scultore del nostro tempo l’ha raffigurato insieme con la Madonna, facendolo diventare così un “San Giuseppe”…vescovo. A parte questa forzatura, se i montanari lo hanno voluto nella loro iconografia scultorea, è perché ne avevano un buon motivo: anche lui era un santo adiutore contro le malattie del bestiame con il compito di salvaguardare e proteggere il bestiame dalle malattie infettive. E a lui, nelle chiese della Lessinia, nel passato, sono stati dedicati molti altari e addirittura un paese: San Valentino di Pernigo (San Mauro).
Non possiamo chiudere senza citare anche San Leonardo, che si venera tuttora a San Moro di San Mauro di Saline. Come abbiamo raccontato nel capitolo riguardante la chiesa di San Moro, durante i lavori di restauro della celebre abbazia sono venuti alla luce degli anelli attaccati ai muri di accesso alla basilica. La tradizione orale vuole che ad essi venissero attaccati i buoi durante le feste che si celebravano in onore del santo. Pertanto se venivano condotti animali all’abbazia, vuol dire che al di là del mercato che si teneva, il santo aveva anche questa facoltà: proteggere gli animali della stalla.
Quando vogliamo menzionare un santo, per comodità o per antica abitudine, ci riesce più facile farlo coincidere con la sua provenienza; così, per esempio, diciamo “Sant’Antonio da Padova”, “San Francesco d’Assisi”, “Santa Rita da Cascia”, “San Giorgio di Cappadocia”, “Santa Margherita da Cortona” e via dicendo.
Velo Veronese è forse l’unico centro della Lessinia cimbra che annoveri un suo santo; per restare in tema, lo chiameremo familiarmente “San Fiorenzo da Velo”. E qui qualcuno si domanderà: ma da quando in qua a Velo Veronese c’è un santo? Rivolgiamoci, allora a qualche appunto di storia.
È risaputo che nel Medioevo non erano proprio del tutto fortuiti i casi di spoliazioni, di ruberie di corpi interi o di reliquie piuttosto consistenti di santi che venivano fatte su commissione e dietro pagamento. Esempio classico: la mattina del 23 giugno 1053, ricorda mons. G.P.Pighi, della chiesa di Verona di Santa Maria in Organo, un certo Gotschaldo, del monastero benedettino di Burn in Germania, rubò il corpo di Santa Anastasia, con la complicità del custode, lo infagottò nel pallio dell’altare e fuggì.
Ma Torniamo a Velo. Il vescovo di Verona, Francesco Barbarigo, nel 1700 fece un giro di visite pastorali nelle parrocchie della Lessinia. A Velo si accorse che dietro l’altare maggiore c’era una porticina che custodiva all’interno la sacra reliquia del martire Fiorenzo, conservata in un decoroso reliquiario. Una verifica del contenuto del piccolo sacrario aveva già avuto luogo ancora nel 1687 durante un’altra visita pastorale. La popolazione, quella volta, si rivolse al vescovo chiedendogli il permesso di estrarne, alla presenza dei canonici, un frammento osseo da porre in un reliquiario, da portare durante le processioni, ovviamente chiuso e sigillato e accompagnato da un documento canonico autentico. Ma come sarà arrivato a Velo il corpo del martire?
Illustri studiosi del passato se ne sono interessati per tentare di stabilire l’epoca in cui San Fiorenzo sarebbe vissuto, il luogo, com’è stato martirizzato e altro ancora, ma sono venuti a capo di ben scarse notizie. La tradizione orale, invece, ha trovato quello che la storia e i documenti non sono stati capaci di rintracciare.
Il Cav. Attilio Benetti, che della tradizione orale è stato un fedele riproduttore nei suoi libri, narra che i suoi avi raccontavano a tal proposito; dimostrando così che tante volte, come si sa, quanto viene tramandato arriva provvidenziale a integrare o a completare quello che la storia non era riuscita a determinare con maggiore chiarezza.
La nonna gli raccontava — ma lo dicevano un po’ tutti gli anziani del posto — che nei tempi lontani, gli abitanti di Velo, segretamente, avevano organizzato una spedizione in Germania, proprio nel paese da dove erano partiti i loro progenitori, con il preciso scopo di trafugare i resti mortali del loro santo martire e portarseli a Velo. L’impresa riuscì perfettamente, ma non è dato conoscere quando essa abbia avuto luogo. Si tenta di collocarla nel tardo Trecento o nel primo Quattrocento, quando cioè gli insediamenti teutonici, o “cimbri” che dir si voglia, avevano già radici profonde e radicate e avevano acquisito anche la solidità economica e la sicurezza politica che permise loro di tentare un’impresa del genere.
************************************************************
LA " MADONA COL BRASSO SCAESA' " -
Lungo la mulattiera che da Giazza conduce a Campofontana passando per contrada Gauli, prima di arrivare alla strada comunale Selva di Progno-Campofontana, si incontra il cosiddetto Capitello della “Madonna dal brasso scaesso”.
A sinistra della nicchia contenente la scultura, si legge: ERETTO L’ANNO 1748 / DA FAINELLI D. VALENTINO / PARROCO DI CAMPOFONTANA /
A destra, invece, un’epigrafe recita: RINNOVATO/DAL PRONIPOTE / FAINELLI VALENTINO 7 L’ANNO 1923.
Infine, intorno al capitello è stata scolpita nella viva roccia la sagoma architettonica di un’edicola; la data dell’esecuzione è il 1881. L’immagine in pietra bianca della Madonna Addolorata che sorregge il figlio morto sulle ginocchia è probabile opera di un abile scultore, che non conosciamo. Il gruppo scultoreo si differenzia dalle consuete raffigurazioni delle Vergine dei Dolori della Lessinia perché il corpo del Figlio è tutto addossato sulla destra delle ginocchia della Madre.
La storia vera — se di storia si tratta — dovrebbe essere la seguente. Don Valentino Fainelli fu nominato parroco di San Giorgio di Campofontana nel 1744, quando ancora non aveva 27 anni, e nel 1752, dopo soli otto anni di reggenza, ritenne più opportuno trasferirsi a Cereda nel Vicentino, dove morì nel 1771.
Don Fainelli, come d’altronde gli altri parroci della montagna, era solito scambiarsi per qualche giorno la cura delle anime, specialmente durante alcuni periodi religiosi del calendario cristiano, come le Quarantore, i Quaresimali, le solennità locali, le sagre. Fu dunque invitato a Giazza a predicare i “Quaresimali”, cioè una serie di prediche speciali, fatte in chiesa durante la Quaresima, per invitare i fedeli a confessarsi e a comunicarsi per la Pasqua, dai due religiosi del posto, i “Fratelli Giazza”, com’erano chiamati i sacerdoti che reggevano una cappella soggetta a Selva di Progno.
Si racconta che un giorno, verso sera, don Fainelli prese la mulattiera per scendere a Giazza a tenere la solita predica. Giunto nei pressi della roccia, che allora — ma ancora adesso — era detta bante (termine cimbro che significa «roccia»), vide un mostro accovacciato per terra, raggomitolato su se stesso che digrignava i denti e schizzava fuoco dalle narici. Per nulla impressionato, don Fainelli, rivolse un pensiero alla Madonna dei Dolori, tracciò col suo bastone un cerchio per terra, vi segnò dentro un’impronta di croce, e disse: — Tu resterai qui finché te lo dirò io.—
Andò avanti e indietro da Giazza a predicare per le tre serate dei Quaresimali e, quando l’ultima sera fece ritorno alla sua parrocchia, ai piedi della bante trovò ancora il mostro rannicchiato, immobile, dove lo aveva costretto a stare e che digrignava ancora i denti: lo maledisse e quello sparì nell’aria in una nuvola di fumo e di fuoco. Si dice che si trattasse di un basilisco. Qualche tempo dopo, don Fainelli volle ricordare quel brutto incontro e fece scavare una nicchia nella roccia e vi collocò una statua della Madonna Addolorata. Era l’anno 1748, come si ha modo di leggere sull’epigrafe a lato del capitello.
Il senso del termine scaesso, cioè «spezzato»” si rifà ad un'altra storia, peraltro altrettanto fantastica. Si racconta che un uomo che era andato fuor di testa, un giorno passando davanti al capitello, assestò una potente bastonata sulla statua dell’Addolorata tanto da romperle il braccio che poi si portò via. E don Fainelli provvide allora a far fare una statua nuova.

America sempre in bilico

la faccia da schiavista ce l'ha. ma anche la faccia dell'anti schiavista. La tragedia di George Washington, che nacque oggi nel 1732, è la tragedia dell'America in crisi perenne, regno della libertà e dell'eguaglianza ma anche della schiavitù del lavoro e della diseguaglianza planetaria

Intellettuali: gente spesso pericolosa

Io non ho mai creduto alla storia della cultura, non ho mai creduto alla storia della letteratura, non ho mai creduto alle prospettive intellettuali. L'unica misura che ho per valutare un libro è la trasformazione che quel libro crea nel sig. Bazlen da prima di leggere quel libro a dopo averlo letto. Se questa trasformazione c'è, quel libro ha qualcosa altrimenti è meglio fare una passeggiata.
Roberto Bazlen (Lettera a Erich Linder)

432 Hertz: la Rivoluzione Musicale



L'Accordatura Aurea per intonare la musica alla biologia



In quest’opera si tenta di svelare il grande arcano che si cela dietro a ciò che definiamo suono.

A volte si dà per scontato che quello che si riesce a udire sia tutto ciò che può essere udito. In realtà, quello che si sente attraverso le nostre orecchie è solo la punta di un iceberg di iperfrequenze.

432 Hz: la rivoluzione musicale è un testo sostanzialmente divulgativo con un semplice approccio applicativo che lo rende di per sé originale.

Frutto di anni di ricerche, il libro mette in correlazione la musica e la misconosciuta scienza dell’intonazione non solo alle più moderne ricerche dell’epigenetica, della fisica quantistica e delle neuroscienze, ma anche alle conoscenze esoteriche di menti del passato come Pitagora, Fibonacci, da Vinci e Keplero e a quelle odierne di Lyndon H. LaRouche Jr o Ananda Bosman.

432 Hertz: la Rivoluzione Musicale - Libro - Riccardo Tristano Tuis

La Legge dell'Ottava Musicale





Pitagorici celebrano il sorgere del sole - di Fyodor Bronnikov

Abbiamo detto che tutta la Creazione spirituale, psichica e materiale poggia sulle leggi delle Ottave o Scale musicali naturali. Conoscere la legge dell’Ottava cosmica e quindi di tutte le ottave è partecipare alla Vita del Creatore o Supremo Artista.

Le ottave sono ascendenti e discendenti. Quando dobbiamo percorrerla dal basso verso l’alto l’ottava si può chiamare “Scala del Paradiso”, e si procede dal DO ascendente al SI, proseguendo di nota in nota cosmica.

Per i Pitagorici il mondo è stato creato secondo le leggi della musica, e la lira è stata formata dopo a imitazione del sistema planetario.

Lo studio dell’Ottava, cioè della gamma o estensione delle sette note DO, RE, MI, FA, SOL, LA, SI, più l’ottava nota ascendente che è il DO d’unisono o dell’ottava successiva, comporta la comprensione che tutto è vibrazione, sia nel fisico quanto nel metafisico, e che l’Uomo in quanto corpo, eros, anima patetica e spirito, si comporta come una ottava musicale, reagisce come una corda di cetra pizzicata da lui stesso con la partecipazione del Creatore.

La Musica archeosofica predispone all’ascesi e allo sviluppo dei carismi perché fa entrare in sintonia l’Ottava musicale umana, o Ottava antropofonica, con l’Ottava Cosmica.

La conoscenza dei suoni della creazione è fondamentale e con essi la Legge del Tre e la Legge del Sette o Legge dell’Ottava. La Grande Ottava Cosmica è il raggio della creazione che parte dalla mente dell’Assoluto.

Il DO dell’Ottava Cosmica è mosso dalla volontà e dall’amore del Creatore, e l’intervallo musicale fra DO e SI è pieno della Volontà di Dio.

Tale insegnamento spiega il significato delle ottave ascendenti e discendenti nello spirituale e il cammino che l’anima redenta deve fare dal basso verso l’alto, proseguendo di nota in nota cosmica dal SI al DO della “Scala del Paradiso”.

L’ottava e le ottave non sono soltanto vibrazioni materiali percepibili dall’udito e dagli strumenti ricettivi, sono anche vibrazioni psichiche e spirituali. Infatti da vibrazioni meccaniche i suoni percepiti dai dispositivi auricolari diventano vibrazioni elettriche e da elettriche psichiche e coscienti.

La persona umana nella sua interiorità è una ottava musicale che nella misura della sua capacità di risuonare con l’Ottava Cosmica accordata all’Ottava Divina può partecipare alla vita interiore di Dio.

Per comprendere il senso profondo della legge dell’ottava, è necessario farsi una idea precisa, chiara e inequivocabile di un’altra proprietà delle vibrazioni, la proprietà di dividersi in “vibrazioni interiori” in quanto in ciascuna vibrazione si producono altre vibrazioni, ragione per la quale ogni ottava può essere risolta in un grande numero di ottave interiori.

Vi sono ottave discendenti creatrici e queste sono di Dio, ma vi sono ottave ascendenti o evolutive, e queste sono dell’uomo in quanto interiorità.

Il punto d’incontro dell’ottava ascendente con la discendente è l’intervallo SI-DO; ebbene in questo intervallo transitabile attraverso una tecnica ascetico-melurgica si entra nel DO della grande Ottava Cosmica e convibrando con i suoi toni si scala il cielo di suono in suono.

Alessandro Benassai 

estratto da "LA LEGGE DELL’OTTAVA"
in Musica e Creazione del Mondo


La Legge dell'Ottava Musicale