lunedì 30 dicembre 2013

Festa patronali, retaggio di riti pagani assorbiti dal cristianesimo

Il Matrimonio degli Alberi

Anche gli alberi si sposano. Succede ad Accettura in provincia di Matera per il Maggio, dove da secoli, nel solco di antichi riti pagani, un faggio e un agrifoglio si amano, in piazza



Lui è un gigantesco faggio e lei un affusolato agrifoglio e sono i protagonisti di un suggestivo quanto particolare “matrimonio”. Un ancestrale rito arboreo che si perpetua da secoli nel cuore della Basilicata più segreta e che riporta alla menteantichi riti propiziatori celtici legati alla fecondità della terra. Si tratta, infatti, di un rituale di origine pagana cui sono stati aggiunti nei secoli significati e simboli religiosi. A fare da scenario a questa suggestivissima tradizione il Parco regionale di Gallipoli Cognato - Piccole Dolomiti Lucane, straordinario concentrato di lussureggianti foreste e formazioni rocciose dalle fantasiose forme, le Dolomiti Lucane appunto, ideali anche per arrampicate mozzafiato. 

Ma torniamo al rito nuziale, noto come “Maggio” di Accettura (il piccolo borgo nel quale si svolge, in provincia di Matera). Quest’anno tutto ha inizio la mattina del 19 maggio, quando due nutriti gruppi di vigorosi uomini danno vita ad altrettante spedizioni nelle foreste che circondano il borgo. I “cimaioli” sono in genere i giovani più gagliardi della comunità e, giunti nella foresta di Gallipoli Cognato, abbattono la “Cima” (la sposa), l’agrifoglio più bello e con la chioma più folta, simbolo di fertilità. Il momento dell’abbattimento lascia davvero senza fiato, con il colosso arboreo che vacilla sotto i colpi dell’ascia per poi cadere di schianto fra gli alberi che lo circondano. A questo punto la prediletta viene trasportata con estrema cura a spalla in paese affinché non si danneggi e possa arrivare alle nozze dell’indomani in tutto il suo splendore. I “maggiaioli”, dal canto loro, si portano nel bosco di Montepiano, dove si trova, invece, il prescelto, il faggio dal fusto più regolare, alto e robusto, un gigante che può raggiungere oltre venti metri di altezza, abbattuto per tradizione il giorno dell’Ascensione. 


IMG_3856

Da qui comincia il suo spettacolare viaggio verso la sposa, trascinato nei boschi e fino al centro del paese con l’aiuto di numerose coppie di buoi di razza podolica bardate a festa con fiori, ginestre e immagini sacre. Il sottobosco risuona dei muggiti delle bestie e delle urla di incitamento della folla: un incredibile, raro, disarmante tuffo nel passato! Il giorno successivo, il lunedì, l’intero paese partecipa alla preparazione delle nozze: i due “sposi” vengono ripuliti, sfrondati per bene e sottoposti a una lunga lavorazione, pronti per essere innestati l’uno all’altro, al martedì, sotto gli occhi compiacenti di San Giuliano, patrono della cittadina, e quelli della gente in tripudio. Il totem arboreo, che può raggiungere anche i 40 metri di altezza, viene innalzato grazie a corde e forcelle di legno, a suggellare il compimento di questo spettacolare sposalizio allegorico che, congiungendo la terra al cielo, l’uomo al cosmo, diventa un inno alla fecondità, al benessere del paese e dei suoi abitanti per l’anno a seguire. I giovani più impavidi e agili possono a questo punto finalmente cimentarsi nell’attesa quanto ardua scalata del “Maggio”sotto gli occhi increduli della folla ammutolita. Raggiunta la chioma della sposa, le loro spericolate acrobazie lasciano, infatti, letteralmente col fiato sospeso, come d’altronde tutta questa magnifica tradizione che ha la capacità, rara al giorno d’oggi, di catapultare in un mondo ormai perduto e veramente magico.

Superstizione, fede e medicina popolare in Sardegna

LA SARDEGNA E LE SUE TRADIZIONI POPOLARI. I SARDI TRA SUPERSTIZIONE, FEDE E MEDICINA POPOLARE: LE PRATICHE, LE PREGHIERE E GLI AMULETI CONTRO IL MALOCCHIO.



Oristano 30 Novembre 2013
Cari amici,
la Sardegna è una terra antica, ricca di consuetudini e tradizioni che si sono conservate durante i secoli, nonostante l’influenza dei popoli che l’hanno colonizzata. L’isolamento dovuto all’insularità, soprattutto della popolazione dell’interno, ha determinato il fiorire di superstizioni e credenze popolari che accompagnano il popolo sardo da secoli. Tra le tradizioni popolari più note quella che riguarda la medicina è indubbiamente quella più particolare e curiosa. In tempi lontani la cultura contadina aveva scoperto i rimedi per curare la gran parte delle malattie attraverso un sapiente uso di erbe medicinali, che venivano somministrate, con il “fai da te”, dalle donne anziane esperte; ma oltre i mali comuni, questa saggia ed antica cultura, era in grado di “trattare” anche malattie più complesse, quelle derivanti da suggestioni, da superstizioni e credenze popolari (sempre in Sardegna largamente diffuse), che richiedevano interventi particolari,  “mirati”, come quelli per la cura del Malocchio.
Dai racconti degli anziani apprendiamo che il malocchio era un male così diffuso nell’Isola da suscitare il massimo interesse da parte della cultura magico-popolare contadina che, nel tempo, aveva metabolizzato tutto quell’immenso corpus di credenze, tradizioni e antichi riti legati al Malocchio, approntando, per contrastarlo, dei rimedi e delle pratiche di buona efficacia, anche se, spesso, molto differenti tra loro. Il malocchio è ritenuto una delle credenze più radicate in quasi tutte le culture del mondo: fonte della sua forza l’invidia, il desiderio della cosa altrui, il successo degli altri. In Sardegna, specialmente nei tempi antichi, la credenza nel malocchio era così forte e radicata da influenzare sia il quotidiano, che gli eventi più importanti della vita stessa di ognuno.
La pratica di “colpire” persone e cose con l’occhio consisteva nel provocare un danno con lo sguardo, che veicolava il pensiero malevolo della persona; nella sua forma più evoluta il malocchio si estrinseca attraverso dei veri e propri rituali, durante i quali si interagisce con la vittima usando oggetti personali oppure una delle sue unghie, dei capelli o comunque qualcosa strettamente legata al bersaglio da colpire. Secondo la tradizione il malocchio non può essere fatto da un membro della propria famiglia: due persone che hanno lo stesso sangue non ne posseggono la capacità e solitamente sono costrette a ricorrere ad un esterno, quest’ultimo può anche essere un cognato oppure una nuora. Stranamente sembra che le vittime più facili da colpire siano le donne mentre i portatori di malocchio più temuti sono gli uomini di cultura e i preti. Così come è facile riconoscere colui o colei che si trova sotto l’influsso del Malocchio, allo stesso modo è facile riconoscere chi è un operatore: tradizionalmente gli strabici, oppure quelli con un solo occhio oppure che soffrono di cataratta o sguardo fisso; questi, in modo particolare, vengono potenzialmente etichettati come “Occhiatori”, cioè coloro che sono in grado di lanciare il Malocchio.
La cultura contadina aveva messo in atto dei sistemi di contrasto preventivo contro questo male, costituiti sia da gesti che da oggetti: sono gesti particolari ed amuleti apotropaici, da contrapporre al portatore di malocchio e capaci di contrastarne l’influsso malefico. Toccare ferro, corno o secondo una vecchia usanza, poiché spesso colpiva la sfera sessuale, toccarsi i genitali, metteva al riparo dal malocchio, come bestemmiare al passaggio dello iettatore, tirar fuori velocemente la punta della lingua per tre volte, oppure fare le fiche (sas ficas – pollici delle mani tra l’indice ed il medio chiusi a pugno) di nascosto (a fura) al suo indirizzo, usanza diffusa fra gli uomini e le donne, come pure la consuetudine gestuale di sputare, documentata in Sardegna persino in un manoscritto anonimo del settecento.  Oltre ai gesti hanno avuto diffusione tutta una serie di oggetti, che nel tempo hanno acquisito valore socio-culturale, definiti “amuleti”, tutti riconducibili al contrasto del malocchio, costituiti da materiali diversi, sia poveri che ricchi (abbinati spesso a metalli preziosi), diventando così amuleti/gioielli.

Come si riconosce un soggetto colpito da malocchio? La persona colpita dal maleficio viene identificata da una serie di eventi più o meno inspiegabili e insoliti: malessere improvviso, come uno svenimento, forte mal di testa, febbre alta non giustificata da cause patologiche, cattivo umore, sindrome depressiva, tutti sintomi spesso accompagnati da ulteriori episodi negativi, quali l’abbandono improvviso degli affetti, guasti ingiustificati ai suoi beni, oggetti che si rompono da soli, piante che si seccano, animali che si ammalano. Ad innescare il malocchio è spesso lo sguardo di ammirazione verso una persona o una cosa: uno sguardo di ammirazione/invidia, una lode per un successo ottenuto, lo sguardo pieno di desiderio rivolto verso qualcosa che piace ma non ci appartiene; sono attimi durante i quali lo sguardo lanciato, volontariamente o involontariamente, può causare il Malocchio. 
Anche in questi casi esistono semplici precauzioni per evitare che il malocchio possa essere “gettato” involontariamente; se ad esempio ad una lode fatta per strada si premette l’espressione “Chi Deus du mantengada” (che Dio lo protegga), la lode si dimostrerà sincera, priva di malizia e quindi non rivolta appositamente per mascherare il Malocchio. Se per caso ci si dovesse dimenticare di recitare tale premessa, per evitare il malocchio, il lodatore deve toccare l’oggetto del complimento, spesso un neonato, esclamando “po non ti ponni ogu!” (per non metterti l’occhio). Oltre all’atto del toccare, anche lo sputo possiede una buona valenza contro il Malocchio. Il momento durante il quale bisogna stare molto attenti perché propizio per lanciare il Malocchio è la presentazione del bambino appena nato. La madre, ancora a letto, teme gli iettatori, e, per evitare l’occhio, fa toccare il bambino a tutti i visitatori, magari con la scusa di tenerlo in braccio. Se poi ha motivo di credere che qualcuno abbia posto l’occhio sul suo bimbo, non appena questo le volta le spalle sputa tre volte verso di lui per annullare la sua azione. Per evitare l’azione malevola dell’occhio, la cultura popolare ha previsto, come detto prima, tutta una serie di azioni e studiato degli oggetti (definiti per la loro forza protettiva “amuleti”), capaci – in via preventiva – di annullare l’azione negativa messa in atto. Variegata la serie degli amuleti protettivi utilizzati, così come quella delle azioni messe in atto per contrastarlo, una volta lanciato, in particolare, forse la più importante, è quella de “sa mejina de s’ogu”.
Fra gli amuleti più utilizzati quelli a forma circolare, proprio per richiamare la forma dell’occhio; essi vengono chiamati “Sabegias” nel Campidano, Cocco in Gallura,Pinnadellu nel Logudoro e ad Orgosolo, Pinnadeddunell’Oristanese, a Desulo e nella Barbagia di Belvì, e sono costituiti da pietre rotonde incastonate in argento (l’oro darebbe un influsso ridotto), per poter essere esibite ed utilizzate come gioielli. Is Sabegias simboleggiano l’occhio buono, che assorbe il flusso negativo del malocchio: essi non possono toccare la terra e nemmeno l’acqua pena la perdita dei loro poteri;  sono generalmente costituiti da ossidiana, basalto o corallo, e, in ogni caso,devono essere di colore nero o rosso e molto appariscenti. Secondo la tradizione popolare, infatti, più è ricco e vistoso l’amuleto più aumenta la sua efficacia contro il Malocchio. Uno altro degli amuleti più popolari e conosciuti contro il Malocchio è “l’Occhio di Santa Lucia”,ovvero l’opercolo di un mollusco marino, caratterizzato dalla forma ad occhio, che si trova facilmente sulle spiagge sarde. 
A differenza dei Sabegias, gli occhi di Santa Lucia possono essere sia indossati come gioielli che tenuti nascosti. Si tratta di una pratica molto diffusa tanto da spingere alcune persone a farne addirittura collezione. Anche i Nudus, dei particolari scapolari, sono efficacemente usati contro il malocchio.
I Nudus sono costituiti da piccoli sacchetti, degli “scapolari”, che al loro interno contengono  diversi oggetti: una composizione di tre grani di sale, tre semi di asfodelo, verbena o valeriana, oppure fiori di lavanda e ruta; possono contenere anche pezzetti di palma e di ulivo benedetti, unitamente a tre grani di carbone o di basalto. Questi particolari amuleti vengono chiusi da nastri verdi: questi hanno il potere universalmente riconosciuto di annullare l’occhio e di portare bene. Gli amuleti vengono tramandati generalmente seguendo la linea femminile, oppure vengono regalati dai nonni alla nascita del nipotino; una particolarità: non possono essere venduti ma solo offerti, altrimenti perderebbero le loro facoltà protettive. In Sardegna, patria del matriarcato, anche la pratica e l’insegnamento dei rituali contro il malocchio sono riservati alle donne: con il lento passaggio delle formule dalle più anziane alle più giovani, che vengono addestrate nelle pratiche, e potranno così tramandare, alle generazioni future, i segreti per togliere il Malocchio.

Gli amuleti, come detto sono solo una parte del problema: essi sono una specie di “medicina preventiva” per contrastare il verificarsi del malocchio: ma è necessario anche provvedere ad annullarlo, il malocchio, quando questo risulta posto in essere. I rimedi a scopo “curativo” sono costituiti da tutta una serie di rituali e preghiere specifiche. La preghiera, l’invocazione ai Santi, è parte integrante di entrambe le medicine, sia preventive che curative. Se i Nudus, mezzo curativo di natura preventiva, sono anch’essi, impregnati di preghiere ed invocazioni, svolte durante la preparazione, queste sono, invece, la parte centrale nella classica preparazione de “sa mejina de s’ogu” (la medicina dell’occhio), rimedio principe per combattere i danni causati dagli strali malefici dell’occhio malvagio.
Ogni paese della Sardegna aveva in passato almeno una donna che praticava il rito de “sa mejina de s’ogu”; rito questo che veniva praticato più o meno segretamente in quanto avversato dai preti (perché lo ritenevano un rito blasfemo), ma ciò non impediva alla quasi totalità della popolazione, all’occorrenza, di farvi ricorso. Come peri Nudus, le donne che praticavano questo rito non potevano accettare dei soldi per il loro servizio, pena l’inefficacia dello stesso. In entrambi i casi, sia quando si consegnava l’amuleto sia dopo aver fatto “sa mejina de s’ogu”, essi venivano dati con la formula “ti srebada  po saludi” (ti serva per salute), e il destinatario rispondeva “Deus ti du paghidi” (Dio ti ripaghi). Se questo rituale non veniva rispettato l’efficacia dell’amuleto era nulla.

Il rito de “sa mejina de s’ogu”, che aveva diverse varianti nelle diverse zone della Sardegna, aveva però sempre – in comune - la presenza dell’acqua sulla quale, con ripetuti segni di croce sopra il recipiente che la conteneva, veniva ripetuta per tre volte una formula del tipo “Eo, abba, ti battizzo in nomine de Deus e Santu Juanne Battista” (io, acqua, ti battezzo in nome di Dio e di S. Giovanni Battista). Seguivano, da parte della celebrante il rito, la recita di formule segrete dette “oraziones” o “pregadorias” (o anche "brebos"). Nel Campidano l’uso più frequente era quello dell’utilizzo di un bicchiere d’acqua santa, oppure non benedetta ma con sciolti dentro tre grani di sale per purificarla, sostituendo cosi quella benedetta dal prete. Successivamente, dopo ogni segno di croce, venivano gettati, uno ad uno, i tre chicchi di grano nel bicchiere, facendosi tre volte il segno della croce;  se i chicchi si gonfiavano o presentavano delle bollicine (in alcuni casi contavano solo le bollicine che si formavano sulle punte dei chicchi) era il segno che era presente il malocchio sul malcapitato. In questo caso era necessario che il colpito bevesse tutta l’acqua, o la buttasse alle spalle; il malocchio poteva essere annullato anche immergendo nel bicchiere un occhio di Santa Lucia. Un’altra versione prevedeva l’uso, anziché del bicchiere d’acqua, dell’olio, che veniva versato lentamente, tracciando una croce, su un piatto o un recipiente pieno d’acqua salata: tre gocce d’olio cadevano dall’indice destro dell’esecutrice e dal comportamento delle gocce si comprendeva il grado di malocchio che aveva colpito il malcapitato. Usi e costumi, analizzati anche da importanti studiosi che visitarono l’Isola.
Il grande studioso della nostra isola, Max Leopoldo Wagner, nella sua opera "Il Malocchio e Credenze affini in Sardegna", scrisse che il malocchio poteva essere trasmesso sia da uno iettatore che da una iettatrice, ma che la qualità di iettatore è congenita, in quanto non si può acquisire. In genere uno iettatore ha gli occhi fatti a punta come per ferire...infatti  una persona colpita da malocchio, in sardo si dice che è "ferta de ogu". Chi invece, sempre secondo Wagner, è predisposto ad essere colpito dal malocchio, è di belle forme, di bel viso, con gli occhi splendidi, e perciò, quando una persona è bella in Sardegna si dice scherzando "e ita timisi, de ti pigai  ogu”?

Cari amici, la credenza dell’influsso malefico chiamato “Malocchio”, ha radici antiche, che affondano nella mitologia classica: lo sguardo delle donne dell’Illiria uccideva, nella leggenda celtica il gigante Balor poteva trasformare l’unico occhio in un’arma mortale e Medusa tramutava in pietra chiunque incontrava il suo sguardo. Nella tradizione popolare sarda questo “potere nefasto” fa parte dei diversi “malefici”, capaci di nuocere a persone o animali, influenzando spesso anche la sfera affettiva ed economica dei colpiti; questo potere malefico risulta affondare le radici nel nostro passato più remoto. I soggetti attivi, particolarmente predisposti a trasmettere questi “strali malefici”, capaci di trasferire attraverso gli occhi la carica negativa interiore, sono soprattutto preti, storpi, guerci, orbi da un occhio e le donne sospettate di stregoneria. La causa scatenante è sempre l’invidia, il desiderio o l’ammirazione invidiosa per le persone o le cose altrui; da notare che questo sentimento malevolo può essere trasmesso, da parte del soggetto predisposto, anche inconsapevolmente, col semplice atto di guardare una persona.
Cari lettori, i sardi, da tempo immemorabile, si sono cautelati contro questi eventi negativi o con gli amuleti, in via preventiva, o una volta colpiti, con diversi rituali curativi, tipo “sa mejina de s’ogu”. Di questo rito, pensate, sono state contate ben 24 varianti: tutte terapie mirate, studiate per la guarigione dal malocchio!
 Medicina efficace o solo placebo? Difficile rispondere. Le tradizioni popolari in Sardegna riescono indubbiamente a mantenere inalterato nei secoli un sapore misterioso, mistico e seducente. 

Grazie, cari amici, della Vostra attenzione.

Mario

I fuochi per il Sole della tradizione pagana europea

Dato che siamo vicini ai riti "dei fuochi" della festa della Befana come i "Panevin" trevigiani accesi  per il sorreggere il Sole morente del solstizio d'inverno. Un meccanismo analogico per aiutare l'Astro Splendente a superare la fase critica nel suo massimo abbassamento sull'orizzonte, per aiutarne la risalita da quel punto estremamente critico.


LA MAGIA DEI FALO'. DAGLI ANTICHI RITI PAGANI ALLA FESTA CRISTIANA DE “SANT’ANTONI DE SU FOGHU”, L'EREMITA CHE RUBO’ DALL’INFERNO IL FUOCO A SATANA.


Oristano15 Gennaio 2011
Cari amici,
tra domani e dopodomani in tanti Paesi della Sardegna si accenderanno una miriade di “Fuochi Rituali”, in onore di “Sant’Antoni de su Fogu”, ovvero S. Antonio Abate, festeggiato in tante altre parti d’Italia, soprattutto nel meridione. Secondo i dati forniti dalla Regione Autonoma della Sardegna sono poco meno di cento i centri dove tra il 16 e il 17 gennaio, festa del Santo, verranno accesi i caratteristici fuochi rituali per rendere omaggio e festeggiare il Santo taumaturgo.
Considerato che la ricorrenza risulta alle soglie del Carnevale, evento molto caratteristico ed importante per la nostra isola, i fuochi in onore del santo sono da considerarsi un vero e proprio anticipo del carnevale imminente, anzi la vera e propria giornata di inizio. Per creare nuove correnti turistiche quest’evento, uno dei più suggestivi del patrimonio culturale dell’isola, è stato incluso nel progetto “L’isola che danza”, finalizzato proprio a creare flussi turistici “fuori stagione”. Per i riti legati ai fuochi di Sant’Antonio Abate si è scelto il claim “Scintille dal cuore”, Ischintziddas dae su coro, in Lingua Sarda.

Fuochi e falò che non sono uguali, per composizione, forma e dimensione, e che a seconda delle zone della Sardegna vengono chiamati in modo differente: Is fogus, is fogaronis o fogadonis, sos focos, sos o’os, foghilloni, fogoni e s’oguloneIs frascas e sas frascas, is sèlemas e sas sèlemas, soprattutto in Ogliastra e in Baronia, perché costituiti da cataste di legna e frasche di cespugli della macchia mediterranea. A Dorgali è chiamato su romasinu, perché prevalgono i cespugli e l’odore del rosmarino. A Bitti è chiamato sa ochina, mentre a Torpé su fogulone. Is tuvas e sas tuvas (tronchi di alberi che i fulmini e lo scorrere del tempo hanno reso cavi), a Sedilo, Aidomaggiore, Ghilarza, Abbasanta, Norbello ed altri centri dell’alto oristanese. Nomi e composizioni differenti, però, tutti realizzati con cataste di legna di buona qualità, che brucia a lungo, regalando ai numerosi spettatori uno spettacolo di alta suggestione.
Ma da dove trae origine questa radicata cultura del fuoco, risalente certamente agli albori dell’umanità, e che, nonostante le nuove tecnologie non ha mai abbandonato l’uomo? Cerchiamo insieme di comprenderne il perché.
La crescita culturale dell’uomo, lo sappiamo, è fatta di una sequenza ininterrotta di tappe, dove la cultura e la conoscenza precedente si modificano e si aggiornano in continuazione, amalgamando vecchio e nuovo, senza soluzione di continuità. A somiglianza del mondo vegetale, dove sui vecchi legni coriacei e inspessiti dalla corteccia si formano, sbocciano e crescono le nuove gemme ed i nuovi rami che, rinnovandosi, danno vita a nuovi virgulti ed a nuovi frutti.
Con il passaggio dalla cultura pagana a quella cristiana anche il Cristianesimo nella sua lenta e costante crescita non ha ripudiato la precedente cultura ed i precedenti riti pagani, ma li ha inglobati, metabolizzati. Ha operato amalgamando e trasformando le antiche credenze e tradizioni in rinnovati riti cristiani, evitando pericolosi cambiamenti e sicuri traumi ai popoli convertiti al cristianesimo. Intelligente operazione di ‘transizione’ che, trasportando le precedenti pratiche pagane in un contesto religioso, consentì, stante la forte connotazione contadina dell’epoca, un trapasso indolore dal paganesimo al cristianesimo.
Gli antichi riti pagani delle “feste del fuoco” trassero certamente origine da due elementi essenziali che regolavano lo svolgersi della vita sulla nostra terra: il sole, la cui venerazione per la forza ed il suo calore era assoluta, ed il fuoco, la cui grande forza, capace di riscaldare, illuminare, purificare ,ma anche di distruggere, era seconda solo a quella del sole. Sole e fuoco dunque le grandi forze della natura a cui erano dovute adorazione e rispetto. La loro importanza era tale da alimentare le più strabilianti rappresentazioni. Una relativa al sole era quella di costruire e far ruzzolare una ruota infuocata giù per una collina, riproducendo cosi l’arco ed il movimento del sole; Un’altra, relativa all’ansia creata dal buio, era quella della costruzione ed accensione di grandi torce, capaci di illuminare le tenebre della notte, fugando la paura del buio. Sole e fuoco complementari ed alleati, capaci di riscaldare la terra e di esorcizzare le tenebre, riportando “luce e calore” sulla terra. All’idea del fuoco, surrogato del sole e del suo calore, si aggiungeva quella del fuoco come elemento purificatore: capace di distruggere il morbo dannoso, di liberare spazi all’agricoltura, di ridare vita nuova e fertilità al terreno, per una rinnovata annata agraria.

Dalla cultura pagana alla cultura cristiana il passaggio è stato indolore. La radicata cultura della venerazione del fuoco come “Dio pagano” il cristianesimo l’ha metabolizzata e rinnovata, trasformando le antiche e radicate tradizioni popolari, in omaggio e devozione verso il Santo cristiano, capace di padroneggiare il fuoco, Sant’Antonio Abate appunto, che, nell’interesse dell’umanità, riuscì a procurarsi il sacro fuoco, rubandolo con grande astuzia al diavolo nell’inferno. Nella comune raffigurazione iconografica S. Antonio Abate (per noi sardi Sant’Antoni de su fogu) viene rappresentato con la fiamma viva che arde nel palmo della mano. Santo ancora più importante del Dio pagano, a cui ci si poteva rivolgere non solo per le necessità del fuoco che riscalda e da calore ma anche per mitigare e far guarire “il fuoco della malattia”, invocato da quelli colpiti dal doloroso ’Herpes zoster’. Nella tradizione popolare, infatti, un’altra caratteristica importante attribuita al Santo taumaturgo, fu quella di guaritore degli ammalati di ‘ignis sacre’, detto più comunemente “fuoco di Sant’Antonio”.
Ma chi era questo santo a cui venne tributata tanta devozione e che ha assorbito nella cultura popolare il Dio pagano del fuoco, cui erano tributati solenni sacri riti? Eccone una breve e sintetica storia.
S. Antonio abate fu uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell'Egitto, intorno al 250, a vent'anni abbandonò ogni cosa per vivere da eremita nel deserto e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita da anacoreta per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356. Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi da tutto l'Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant'Atanasio, che contribuì a farne conoscere l'esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Concilio di Nicea. Nell'iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore.
Anche in Sardegna, come in altre culture, soprattutto del meridione d’Italia, si ripropongono in chiave fantastica episodi biografici riguardanti il santo. In una di queste leggende, ancora oggi tramandata ad Orgosolo ed Aidomaggiore, si racconta come un monaco eremita, verosimilmente S. Antonio abate fosse riuscito ad ottenere per gli uomini il fuoco, dopo averlo rubato al diavolo. Diavolo scaltro, racconta la leggenda, che lo offriva agli uomini barattandolo in cambio dell’anima. Naturalmente nessuno intendeva accettare tali scambio. Però, una soluzione bisognava trovarla per avere il fuoco, strumento ritenuto di primario interesse. Era necessario trovare uno stratagemma per rapire al diavolo almeno una favilla. Un vecchio allora propose ai suoi compaesani di chiedere consiglio ad un eremita che abitava in una grotta lontano dal paese e che era da tutti considerato un sant’uomo. Racconta la leggenda che fosse ritenuto talmente capace ed astuto che neppure il diavolo sarebbe stato in grado di farlo cadere in tentazione e quindi in peccato. L’eremita acconsentì a recarsi all’inferno per recuperare il fuoco. Operando con grande abilità ed astuzia riuscì ad imbrogliare il diavolo, che gli voleva impedire di avanzare all’interno dell’inferno, e recuperò una favilla di fuoco. Fu per questo motivo, conclude il racconto, che quel santo eremita venne chiamato S. Antonio del fuoco.
Un’altra leggenda su S. Antonio, che potrebbe essere interpretata come una sorta di mito di Prometeo, quello che rubò il fuoco agli dei, cosi racconta. Essendosi un giorno il Santo accorto della grande sofferenza degli uomini che pativano il freddo, che causava inoltre mille altri malanni, animato da un nobile senso di compassione paterna, abbandonò il suo eremitaggio nel deserto per recarsi all’inferno. Preso un bastone di ferula si avviò lentamente verso il grande portone che ne delimitava l’ingresso e bussò alla porta. All’inferno, dove certo il fuoco non mancava, gli si parò davanti l’arguta faccia di un diavoletto che, pensando alle richieste di un dannato, spazientito gli chiude con rabbia la porta in faccia, bestemmiando Dio ed i suoi santi. Il Santo, paziente, non si scompose, ritentò e riprovò tre o quattro volte, finché i demoni guardiani, per toglierselo di mezzo, gli consentirono di entrare per riscaldarsi. Sant’Antonio si avvicinò all’immenso e inestinguibile fuoco e allungò le mani verso le fiamme per riscaldarsi; senza dare nell’occhio immerse nel fuoco la punta del suo bastone di ferula che, avendo un midollo spugnoso, aveva la capacità di custodire viva per parecchio tempo, nascosta dalla cenere, la forza del fuoco. Quando il Santo si accorse che il suo stratagemma era riuscito, con maniere garbate si congedò dai suoi ospiti, portando cosi in salvo il sacro fuoco e donandolo, trionfante, agli increduli uomini.
Questa antica festa del fuoco e del suo Santo protettore, che continua ad essere oggetto di grande venerazione, verrà anche quest’anno “calorosamente” festeggiata in tanti centri dell’Isola. Sono tanti i comuni sardi dove anche quest'anno si ripeterà l'antica tradizione dell'accensione del fuoco in onore di Sant'Antonio. Ricordiamo i più importanti. Partendo dalle porte di Cagliari (Ballao) e Sassari ( Florinas), troveremo la massima concentrazione tra le province di Oristano (Abbasanta, Aidomaggiore, Ardauli, Assolo, Arborea, Bosa, Boroneddu, Busachi, Fordongianus, Ghilarza, Laconi, Montresta, Morgongiori, Norbello, Nughedu S. Vittoria, Ollastra, Paulilatino, Samugheo, Scano Montiferro, Sedilo, Tresnuraghes, Ula Tirso), Nuoro (Aritzo, Dorgali, Lodé, Macomer, Nuoro, Oliena, Orosei, Ottana, Silanus, Torpé) e Ogliastra (Gairo).
L’antico rito del fuoco richiede una lunga preparazione, certamente non uniforme nella forma, nei vari centri citati, ma identico nella sostanza. Le persone di ogni centro, soprattutto i giovani, provvedono nei giorni precedenti il rito alla raccolta della legna necessaria. Al centro viene posto un grosso tronco cavo di quercia o di olivo, “ Sa Tuva”, attorno al quale si collocano diversi tipi di legna di varia dimensione, fino alla più fine, che dovrà innescare le prime fiamme. Terminata la preparazione il giorno della festa attorno a questo ‘sacro fuoco’ si svolgono dei particolari rituali preparatori. E’ una cerimonia collettiva, propedeutica ad un momento di incontro dalle funzioni apotropaiche, in funzione di allontanamento dei mali, anche tramite la preghiera, che recitata con tre giri in senso orario ed altri tre in senso opposto intorno alle fiamme, diventa elemento purificatore per i credenti, proiettandoli allo stesso tempo in una dimensione di rinnovata fiducia nel futuro. Intorno al fuoco purificatore, benedetto dal parroco, si riunisce tutta la collettività, religiosa o meno, e si contemplano con gioia e fiducia le fiamme incantatrici, capaci di allontanare sia i mali fisici che quelli dell’anima.
E’, questo del fuoco, un rito di grande gioia, vissuto e trasformato in festa. I partecipanti, incantati dal rituale, dal calore e dal crepitio delle fiamme, mangiano e bevono in compagnia, inebriati dal vino novello che circola in abbondanza. Si commentano e condividono i sapori dei piatti tipici, dei vini e dei numerosi dolci locali, si consumano piatti fumanti di fave e lardo, carni variamente cucinate di maiale, pecora o selvaggina, accompagnate da patate, cipolle e cavoli, offerti con gioia a tutti i presenti. Tutto questo diventa festa comunitaria, rinnova la felicità dello stare insieme, dell’incontro, della condivisione; tradizione, suggestione e raccoglimento, tutti insieme, in riflessione o preghiera, nell’auspicio di un anno migliore.
In questa notte magica è il Santo protettore che aleggia sulla festa e sui partecipanti. Si chiedono al Santo grazie e miracoli in un contesto quasi magico, dominato dall'imponente falò che, lanciando enormi lingue di fuoco, consuma enormi cataste di legna. Il fuoco brucia tutta la notte. Gli anziani osservano con attenzione le caldissime volute del fumo che, uscendo dal tronco infuocato, sale in cielo. Saranno proprio i disegni del fumo emanato a suggerire auspici e profezie per l’annata agraria. All’alba, in silenzio, i resti del grande fuoco non andranno perduti: tizzoni, carboni e ceneri verranno prelevati e conservati. Saranno usati per curare e scongiurare malattie, sia degli uomini che del bestiame; verranno anche utilizzati per preservare le colture (da intemperie e malattie), perché il Santo taumaturgo, ha sempre operato per proteggere gli uomini e le loro cose. Continuando ad invocarlo e festeggiarlo, ne siamo certi, continuerà a farlo.
Grazie, cari amici della Vostra attenzione.
Mario

Devozione verso le Acque (materne)

L’Iran giovane ha voglia di tornare “ariano”



L'Iran scopre le sue radici preislamiche



Interessante articolo sulla “Domenica” del “Sole24Ore” del 29.12.13: YALDA ILLUMINA IL FUTURO DELL’IRAN (di Alberto Negri): “Il solstizio d’inverno che indica la vittoria della luce sull’oscurità è diventato il simbolo di un ritorno a radici pre-islamiche”. YALDA è la festa solstiziale del 21 dicembre, legata alla tradizione zoroastriana. Leggiamo ilfinale dell’articolo: “Feste come quella di Yalda dicono sull’Iran più di tanti saggi. Nei libri scolastici adottati dopo la rivoluzione islamica, la storia racconta allo studente che prima dell’avvento di Khomeini il suo passato era avvolto nell’oscurità. Non c’è niente dell’antica Persia cdi cui un iraniano debba essere troppo orgoglioso. Al punto che l’attuale presidente molti anni fa cambiò il suo vero nome persiano, Feredidoun, tratto dal Libro dei Re, in Rohani che significa religioso. Ma la propaganda ha commesso un errore di calcolo. Sottolinea Pejman, un giovane ricercatore: ‘Le nuove generazioni – 50milioni su 75 hanno meno di 34 anni – non hanno partecipato alla rivoluzione e all’utopia komeinista.E non hanno neppure vissuto la guerra Iran-Iraq. Hanno sviluppato nuovi ideali e modi di vita, antitetici alla repressione che si è vista nel 2009 con l’Onda Verde”. Se l’ayatollah Khomeini tentò di recidere i legami con il passato persiano per creare lo stato islamico ideale, OGGI BUONA PARTE DEI GIOVANI TORNA ALLE RADICI PRE-ISLAMICHE, AL MITO DEL BUON GOVERNO DI CIRO IL GRANDE O ALLA FILOSOFIA ZOROASTRIANA, IN UN MIX IN CUI ENTRA PURE IL SUFISMO E IL BUDDISMO. Anche questo è uno dei volti contraddittori del nuovo Iran dove 2500 anni fa parlò Zarathustra”.

sabato 28 dicembre 2013

Le connessioni fra i "magisti" del novecento

E' notorio che Guenon e Crowley praticavano lo stesso rituale "tantrico".Infatti per un certo periodo sembra che avessero avuto la stessa Dama Scaralatta, per molti la moglie di A.K. Coomaraswamy. 
Parlando seriamente non risulta che Guenon abbia scritto ufficialmente qualcosa su Crowley; è possibile in qualche sua lettera e certamente in termini negativi come fece con il G.Kremerz in una corrispondenza con Evola. 



Ci sono dei riferimenti a crowley ne "il teosofismo" di guenon. non ne parla certamente bene, e' molto critico nei suoi confronti cosi' come nei confronti di altri maestri dell'occultismo del secolo scorso (steiner, kremmerz, gurdjieff, etc.). 



Colin Wilson nel suo libro "Alister Crowley la natura della Bestia" Gremese Editore alla pagina 103 narra che : 
" A new York (A.C) fece conoscenza con lo scrittore di libri sulla religione Indiama Ananda K. Coomaraswamy e non tardò a sedurne la moglie ,una donna dello Yorkshire che non si risparmiò con A .Crowley e restò incinta" 
Parimenti Jhon Symonds nel suo libro "la Grande bestia" Mediterranee Edizioni racconta : 
"Il 15 Aprile 1916 registrò un atto di magia sessuale con Alice Ethel Coomaraswamy la moglie inglese del notissimo storico dell'Arte , Ananda K.Coomaraswamy (o Koomaraswamy)......L'orgasmo fu così forte che cancellò il ricordo dello scopo dell'opera ma produsse un risultato molto tangibile per l'Assistente che rimase incinta.Crowley le assegnò il nome di Scimmia " 
Altre informazioni le puoi trovare: 
http://www.geocities.com/Athens/Acropolis/1896/yogicquest.html 

 Si trovano accenni su quest'ultimo nel libro "Il Teosofismo" Arktos Edizioni alle pagine 373-378-384-389 nelle recensioni di Articoli di Riviste

Occidente misterioso: tra verità e immaginazione

COLLEGAMENTI TRA CROWLEY E HITLERVi sono diversi autori che hanno rinvenuti punti di contatto, se non addirittura una comunanza di riti ed intenti tra Aleister Crowley e Adolf Hitler.



Scrive nel 1949 René Guènon a Julius Evola. "Crowley nel 1931 era andato a Berlino per ricoprirvi il ruolo di consigliere segreto presso Hitler" (Quaderni di Avalon, n° 10, 1986).

Sempre Guenon afferma che "la confusione tra l'aspetto luminoso e l'aspetto tenebroso costituisce propriamente il satanismo; e appunto in tale confusione cadono, involontariamente e certo per ignoranza, coloro che credono di scoprire un significato infernale nella designazione di Re del Mondo."

Qui si innesta un'affascinante contraddizione: "I Càtari rifiutavano in toto i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Professavano un dualismo in base al quale il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi - Re del Mondo) rivaleggiavano a pari dignità per il dominio delle anime umane; secondo i Càtari, Gesù avrebbe avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo). Essi svilupparono così alcune opposizioni irriducibili, tra Spirito e Materia, tra Luce e Tenebra, tra Bene e Male, all'interno delle qualitutto il creato diventava una sorta di grande tranello di Satana (una sorta di Anti-Dio diverso dalla concezione cristiana) nel quale il Maligno irretiva lo spirito umano contro le sue inclinazioni rette, verso lo Spirito e verso il Tutto. Lo stesso Dio-creatore dell' Antico Testamento corrispondeva al Dio malvagio, a Satana." (Wikipedia, voce Catarismo)

Una contraddizione ingigantita da un lato dall'enorme considerazione politico-religiosa che rivestiva il Catarismo nella cosiddetta mistica nazista e dall'altro dal timore reverenziale per il Rex Mundi.

Infatti, "secondo il sistema di credenze nazista la popolazione di Agarthi era buona, mentre quella di Shamballah era cattiva. I due popoli erano in conflitto da migliaia di anni e i nazisti credevano di sostenere i bravi di Agarthi." (David Icke, "II Segreto più Nascosto", ed. Macro Edizioni)

Miguel Serrano approfondisce l'argomento, per lui, "il concetto di Iperborea ha contemporaneamente un significato razziale ed uno mistico. La sua convinzione è che Hitler si sia recato a Shambhala, una città sotterranea che egli colloca in Antartide (precedentemente, al Polo Nord ed in Tibet), dove entrò in contatto con gli dei iperborei e da dove sorgerà di nuovo un giorno al comando di un'armata di UFO. Guiderà allora le forze della luce (Iperborea, associata talvolta con Vril) alla vittoria contro quelle delle tenebre (che inevitabilmente includono, per Serrano, gli Ebrei adoratori di Jehova) nella battaglia finale, quella che aprirà l'era del Quarto Reich.

Secondo Nicholas Goodrick-Clarke, 'Serrano segue la tradizione gnostica catara (anni 1025-1244) identificando in Jehova, il Dio dell'Antico Testamento, il demiurgo malvagio. Come i dualisti medievali, questa eresia ripudiò Jehova come un dio falso e un mero esecutore nei confronti del vero Dio, molto lontano dal regno di mortali. Questa dottrina gnostica chiaramente conduceva a pericolosissime implicazioni nei confronti del popolo ebraico. 

Dato che Jehova era, a tutti gli effetti, la loro divinità primigenia, ne conseguiva che essi fossero a tutti gli effetti gli adoratori del demonio. Assurgendo così gli ebrei al ruolo di figli di Satana, l'eresia catara riuscì a dare all'antisemitismo lo status di dottrina teologica, con tanto di vasta base cosmologica. Se gli Ariani Iperborei sono l'archetipo e i discendenti di sangue di quelli che Serrano chiama divyas (provenienti dal Sole Nero), è ovvio che l'archetipo del Signore dell'Oscurità ha bisogno di un'adeguata razza antagonista. Il demiurgo trovò negli Ebrei il popolo più adatto a divenire il suo archetipo'. 

Lo studioso delle religioni Frederick C. Grant e Hyam Maccoby enfatizzano, nella visione dualistica gnostica, che 'gli Ebrei erano visti come il popolo eletto dal demiurgo per avere lo speciale ruolo storico di fermare l'operato salvifico degli emissari del Vero Dio'. Serrano quindi considera Hitler come uno dei più grandi emissari di questo dio, rifiutato e crocifisso dalla tirannia della massa ebraicizzata come altri rivoluzionari portatori di luce prima di lui. (Wikipedia, voce Misticismo Nazista)

Dal comune sentire tra Hitler, che riteneva di essere guidato dal Dio della Luce e dai Superiori Sconosciuti, Aleister Crowley - la Bestia 666 - e la Golden Dawn, a sua volta legata alla Forza Vril e alla Magia Sessuale e al mito dei Capi Segreti, è fiorita tutta una saggistica successiva volta ad identificare il Terzo Reich con il Regno del Male sulla Terra.

"II 17 di questo mese di agosto (1987) Rudolf Hess è morto, strangolandosi (ma come avrà fatto, da solo, così decrepito, novantatré anni, sorvegliato sempre, difficile crederlo). Dal 1941 dopo l'atterraggio in Scozia, vissuto sempre da prigioniero di Stato; Hess l'astrologo, Hess l'iniziato nero. Nel suo segreto spunta lo zoccolo satanico di Aleister Crowley, la Grande Bestia dell'Ordo Templi Orientis, che con la sua setta di occultisti e sessuomani voleva dare una mano a Hess per la pace separata anglo-tedesca desiderata da Hitler" (Guido Ceronetti, "A pazienza dell'arrostito", Adelphi).

Anche Dietrich Eckart, il mentore politico di Hitler, conferma i contatti del futuro Führer con Forze esoteriche ed occulte, nella lettera che inviò, poco prima di morire, ai fratelli della Thule. "Seguite Hitler, è lui che danza ma io ho scritto la musica! L’ho iniziato alla Dottrina Segreta, aprendo la sua mente e dandogli i Mezzi per comunicare con le Forze. Non piangetemi, perche’ io avro’ influito sulla Storia piu’ di qualsiasi altro Tedesco".

Però "danza con una musica che non è sua. Fino al 1934 crede che i passi che esegue siano quelli buoni. Invece non è affatto nel ritmo giusto. Crede di non dover far altro che servirsi delle Potenze. Ma non ci si serve delle Potenze: si servono. Tale è il significato (o uno dei significati) del mutamento fondamentale che interviene durante e immediatamente dopo la purga del giugno 1934. Il movimento, che Hitler stesso ha creduto dovesse essere nazionale e socialista, diviene ciò che doveva essere, sposa più strettamente la dottrina segreta. 

Hitler non oserà mai chiedere ragione del 'suicidio ' di Strasser, e gli si fa firmare lordine che innalza le S.S. al rango di un'organizzazione autonoma, superiore al partito. Joachim Gunthe scrive in una rivista tedesca dopo la disfatta: "L'idea vitale che animava le S.A. fu vinta il 30 giugno 1934 da un'idea puramente satanica, quella delle S.S." (Louis Pawels e Jacques Bergier, "Il mattino dei maghi", Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1963)

"Sono visitatori provenienti da un altro piano. Il medium ne è posseduto. Liberato da questo demone, egli ripiomba nel mediocre. Così avviene che incontestabilmente alcune forze invadono Hitler, forze quasi infernali, delle quali il corpo chiamato Hitler è soltanto l'involucro provvisorio.", ciò affermava Hermann Rauschning in "Conversazioni con Hitler" - Betelgeuse 2008, che pur essendo considerato poco credibile da una parte della critica storica, è confortato da vari fatti storici e da una considerazione altrettantovera: in Hitler albergavano forze archetipiche appartenenti a dimensioni diversa dalla nostra, ma erano forze di puro caos, forze di puro male.

Il nucleo fondamentale della dottrina nazista era il raggiungimento della purezza della razza. Solo in tal guisa era possibile ritrovare la forza Vril dei Divyas, gli Dei del Sole Nero (Schwarze Sonne). E' singolare che lo scrittore che maggiormente ha contribuito alla nascita del concetto di razza superiore (die herrenrasse) che stabiliva che la razza nordica era la discendente di una arcaica razza ariana o iperborei - simbolo di perfezione psicofisica e di purezza di sangue - sia stato il francese Joseph Arthur de Gobineau, autore del "Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane".

Ed ancora sulle reciproche influenze tra Vril e Nazismo, Costantino Paglialunga, ne "Alla scoperta della Terra Cava" (Macroedizioni), afferma: "Altri autori poi sono convinti che Agarthi sia la favolosa Shangri-Là, cercata dall’uomo sin dai tempi più remoti. In questa ricerca emerge poi la presenza di una straordinaria rete di gallerie, necessarie per collegare il mondo di superficie con quello interno e la conoscenza di una forma di energia incredibile, la cosiddetta VRIL, capace di conferire un potere illimitato a chiunque la possegga, della quale diversi uomini hanno cercato di prendere possesso. Il più famoso di loro è Adolf Hitler, il quale nutriva il folle sogno di diventare Re del Mondo".



"Secondo una leggenda tibetana, trenta o quaranta secoli fa esisteva nel Gobi un'altra civiltà.

In seguito a una catastrofe, forse atomica, il Gobi fu trasformato in un deserto e gli scampati emigrarono, alcuni verso la punta Nord dell'Europa, altri verso il Caucaso.

Il dio Thor delle leggende nordiche sarebbe stato uno degli eroi di questa migrazione [che] componevano la razza fondamentale dell'umanità, il ceppo ariano. Dopo il cataclisma, i maestri dell'alta civiltà, i detentori della conoscenza, si installarono in un immenso sistema di caverne sotto la catena dell'Himalaya. Nel cuore di queste caverne si scissero in due gruppi, seguendo l'uno "la via della mano destra", l'altro "la via della mano sinistra". La prima via avrebbe avuto il suo centro ad Agharti, città nascosta del bene, tempio della non partecipazione al mondo. La seconda sarebbe passata per Shambahlah, città della violenza e della potenza, le cui forze comandano agli elementi, alle masse umane e affrettano l'arrivo dell'umanità alla cerniera dei tempi. Ai maghi condottieri di popoli sarebbe stato possibile fare un patto con Shambahlah" (Giorgio Galli, ibidem). 



E' necessario, infine, ricordare che qualche autore, in base a tali elementi afferma che nella II Guerra Mondiale si sarebbero combattuti, in appoggio ora dell'uno ora dell'altro schieramento, gli Eterni Nemici: da una parte gli Alieni Asgardiani così denominati poiché da loro deriverebbero gli Dei del Valhalla e da cui sarebbe sorta la Civiltà Atlantidea, mentre dall'altra si sabbero posti i Rettiliani di Lemuria, con le infinite coorti di Grigi loro schiavi.



Tutto ciò è intrinseco al Misticismo Nazista, di cui Heinrich Himmler fu il massimo profeta, il falso profeta, mentre Adolf Hitler ne era il Messia, secondo Nostradamus, il secondo Anticristo. Himmler credeva ciecamente al fatto che i Divini Iperborei, i progenitori della Razza Ariana Germanica, fossero scesi dal cielo [o meglio che provenissero da Aldebaran, cfr. infra] stabilendosi nel Continente Atlantico. Le lotte con gli impuri Sauroidi di Lemuria e una contemporanea catastrofe cosmica spazzarono via la Superiore Civiltà Atlantidea. Solo i sacerdoti si salvarono e si stabilirono in parte nella Terra Cava (i Vril-Ya) e in parte in Tibet, uno dei pochi luoghi ancora emersi sulla Terra dopo che onde alte chilometri avevano spazzato via interi continenti.



Dal Tibet, gli eredi degli Iperborei si sarebbero trasferiti, una volta ritiratesi le acque, nel Nord Europa, e, pertanto, i Germanici erano, in ultima istanza, la principale incarnazione degli Übermenschen Iperborei.



A tal riguardo Himmler inviò nel Tibet una nota spedizione dell'Ahnenerbe comandata da Ernst Schäfer, che al di là del successo propagandistico non trovò molti dati scientifici che suffragassero le teorie razziali del Reichsführer Himmler.

Un'altro convincimento mistico di Himmler era di essere la reincarnazione di Enrico I di Sassonia, detto l'Uccellatore, re dei Franchi e primo monarca germanico ad attuare il Drang nach osten, la spinta verso Est per l'Ostsiedlung, la colonizzazione germanica dell'Europa Orientale. La più importante vittoria venne ottenuta da Enrico contro i Magiari nel 933 nella Battaglia di Riade, dove gli slavi fuggirono dal campo di battaglia non appena videro avvicinarsi la poderosa cavalleria corazzata teutonica.

Per Himmler, le SS erano i nuovi cavalieri teutonici tesi alla conquista della terra promessa, l'Ostland, l'Heartland, la terra promessa in mano a quelli che consideravano gli unterrmenschen slavi, gli infedeli della folle religione di Himmler ed Hitler.

Tale follia li portò alla deportazione di 800.000 polacchi e la distruzione totale di Varsavia, dopo la rivolta del 1944, in ossequio a quanto ordinato espressamente dal Führer e che venne chiosato da Himmler come "i polacchi per 700 anni avevano impedito la Drang nach Osten, la Spinta verso l'Est, ed era giungo il momento di risolvere definitivamente tale problema".

La possessione demoniaca di Hitler non pare essere una leggenda se persino Sepp Dietrich, eroe di guerra tedesco ed uno dei pochi ad esser insignato della Croce di Cavaliere della croce di ferro con Fronde di Quercia, Spade e Diamanti, la più alta onorificenza del Terso Reich, ebbe ad affermare che papa Pio XII per ben tre volte provò ad esorcizzarlo, senza ottenere alcun successo.




ALTRI COLLEGAMENTI TRA INGHILTERRA E GERMANIA NAZISTA

Un altro punto di contatto tra l'élite aristocratica britannica e Germania Nazista fu Sir Owald Mosley. Deputato Conservatore prima e Laburista dopo, venne affascinato, in un viaggio che fece in Italia, da Mussolini e dall'ideologia Fascista. Fondò il British Union of Fascists,con un programma che riprendeva in pieno il Corporativismo Fascista che attirò non poche frangie del ceto operaio, deluso dalla politica del Labour Party. A causa delle reazioni violente dei comunisti ai suoi comizi, istituì le sue Camicie Nere.



Nell'ottobre del 1936, alla testa del gruppo paramilitare di Camicie Nere organizzò una marcia nei quartieri di Londra occupati dagli Ebrei e dai comunisti, nel tentativo di fomentare un'azione rivoluzionaria dei ceti popolari ultranazionalisti e replicare così il successo della marcia su Roma, ma nella battaglia di Cable Street, trecentomila comunisti ed ebrei eressero barricate e combatterono ferocemente per impedirgli il passaggio nell'East End. Al termine, le Camicie Nere di Mosley vennero disperse nell'Hyde Park e la sua marcia si risolse in un totale fallimento.

In quello stesso anno sposò a casa di Joseph Goebbels ed alla presenza di Adolf Hitler, Diana Mitford, insieme alla quali subì l'internamento nel 1940 a seguito dell'emanazione del Defence Regulation 18B, che aveva sospeso l'applicazione dell'Habeas corpus in Gran Bretagna.

Su un'altra delle celeberrime sorelle Mitford, Unity Mitford, vi è da narrare una storia particolare.


IL FIGLIO DI HITLER

Unity Valkyrie Mitford affermava di essere stata concepita nella città di Swastika in Ontario, dove la sua famiglia possedeva una miniera d'oro. Lo considerava un segno del destino e quando potè conoscere il suo idolo al Raduno di Norimberga nel 1933, a cui partecipò come componente della ddelegazione britannica insieme alla sorella Diana, ne rimase talmente affascinata da decidere di "rimanere il più vicino possibile al Führer ed alla Germania" (Anne de Courcy).



Nell'estate del 1934, ella tornò in Germania, iscrivendosi ad una scuola di Monaco vicino alla sede del Partito Nazista.

Dopo dieci mesi di continua frequentazione dei locali abituali di Hitler, Unity Mitford venne invitata al tavolo del Cancelliere e Presidente del Reich, conversando a lungo con il dittatore tedesco. In una lettera sull'incontro, Unity scrisse al padre che "era stato il giorno più bello e meraviglioso della sua vita e di essere la ragazza più fortunata del mondo per avere incontrato l'uomo più grande di tutti i tempi."

Da parte sua, Hitler, altrettanto ammirato, affermava che la Mitford era "un magnifico esemplare di femminilità ariana".

Quando venne dichiarata la guerra tra Germania ed Inghilterra, Unity Mitford ne rimase talmente sconvolta da spararsi alla testa nel Giardino Inglese, a Monaco, con una pistola che si presume le fosse stata regalata da Hitler stesso.

Non morì, ma le cure a cui venne sottoposta non permisero l'estrazione del proiettile, che dopo pochi anni la portò a morte per un attacco di meningite causato dal ringonfiamento cerebrale attorno alla pallottola.

Hitler fece in modo di farla rientrare in patria, ove solo le condizioni di salute impedirono alle autorità inglesi il suo internamento . 

Dopo film di pura fantasia come "I ragazzi venuti dal Brasile" sui cloni di Hitler, inizia un mito più concreto. Il giornalista Martin Bright in un articolo su The New Stateman affermò di essre stata contattato da una donna, Val Hann, la quale aveva dichiarato che durante la guerra sua zia, Betty Norton, dirigeva una clinica privata ad Oxford di cui era stata cliente propria Unity Mitford.

E proprio in quella clinica, pochi mesi dopo il rientro dalla Germania, Unity avrebbe dato alla luce il figlio di Hitler.

Le successive investigazioni di Bright non avrebbero portato ad alcuna prova sostanziale, ma il suo articolo ed un successivo documentario di Channel 4 sul presunto figlio di Hitler che ora, paradossalmente, vivrebbe ancora in Gran Bretagna, avrebbero dato il destro ad un'incredibile fioritura di articoli e speculazioni sull'argomento.


Fonte: 
http://www.isoladiavalon.eu/terra_c...li/vril.html