domenica 28 settembre 2014

Il soldato Peter Pan

‪#‎AccaddeOggi‬
Ossario di Cima Grappa, cimitero Austro-Ungarico. C'è chi viene portando con sè dei fiori, o dei sassolini ed anche delle conchiglie di mare. Chi li porta è perchè deve deporle su un loculo, quello del "Soldato Peter Pan" freddamente contrassegnato col numero 107. Proprio oggi, 19 Settembre del 1918, morìva in combattimento questo ragazzo di soli 21 anni.
No, non è un nome fantasioso, Peter Pan all'anagrafe è vissuto realmente, era ungherese e si chiamava proprio così... non è mai stato sull'Isola che non c'è ma, ironia della sorte, il suo paese non esiste più, avendo cambiato nome. il suo nemico non era Capitano Uncino, ma uno molto più spietato, e per combatterlo era stato chiamato non per sua scelta: Peter Pan quella guerra proprio non la voleva fare. Peter Pan, il soldatino ungherese, voleva crescere, e come tutti i suoi coetanei sognava una vita normale che gli sarebbe spettata di diritto.
Il nome, che ci riporta alla nostra infanzia, non ha nulla a che fare con la nota fiaba di James Matthew Barrie, nè tantomeno lo scrittore si è ispirato alle sue vicende in quanto questo soldatino non è mai stato riconosciuto come un eroe: è uno dei tanti ragazzi strappati alla vita e morti come carne da macello, senza manco sapere il perchè di quella "Grande Guerra". Nessun monumento e forse nessuna medaglia alla Memoria. La burocrazia nel suo freddo comunicato riporta: "Peter Pan nato il 21 Agosto 1897 a Ruszkabànya-Krassòszoreny Ungheria, 30° Reggimento Fanteria Honvèd, 7° compagnia. Deceduto il 19 settembre del 1918 a Col Caprile quota 1331".
Quando recuperarono il suo corpo, nelle sue tasche furono rinvenuti dei fiori di campagna, dei sassolini, e delle conchiglie di mare. Erano probabilmente destinati al suo amore che l'attendeva nel suo "Paese che non c'è".
Ma ci piace pensare che questa felice coincidenza del racconto di Barrie, scritto nello stesso anno in cui nacque il soldatino ungherese, sia come un dono divino per trasformare quella giovane morte in una fiaba. La Poesia non ha solo un potere visionario, ma ha la capacità di trasformare le cose, e di rendere nobile anche un doloroso fatto di cronaca o di guerra, "forever young".
Quindi se vi capiterà di passare da quelle parti, e arriverete sulla cima del Monte Grappa, non dimenticatevi di portare un sassolino, un fiore, o una conchiglia di mare... servirà per rendere immortale la storia del Soldato Peter Pan, il ragazzino che a differenza della fiaba, voleva crescere, ma che grazie a questa incredibile coincidenza diventa simbolo e manifesto dei tanti, dei troppi ragazzi strappati alla vita per una guerra inutile e incomprensibile.
P.S. - E' giusto ricordare Ferdinando Celi, giornalista-scrittore, recentemente scomparso. E' merito suo se questa storia si è diffusa, grazie al suo bellissimo libro intitolato "Soldato Peter Pan". Un romanzo frutto di ricerca ed anche di perseveranza, facendo emergere la sua storia ( e di tutti gli altri soldati) da un sicuro oblìo, in un racconto avvincente e a volte davvero incredibile per le tante coincidenze col suo "fantastico" omonimo e coetaneo, della celeberrima fiaba di Barrie.

venerdì 26 settembre 2014

De Gasperi: una vergogna nazionale



Parlamentare a Vienna durante il primo e il secondo conflitto Mondiale si imboscò in Vaticano (lui e il suo segretario non che amico di merende Andreotti). Sembra che per consiglio suo gli alleati bombardarono il quartiere San Lorenzo Roma -città dichiara aperta e così non bombardabile-
Guareschi quando scrisse questo fu addirittura incriminato e poi ingiustamente incarcerato.
La sua tomba come per scherno giace nel Pronao della chiesa di San Lorenzo Fuori le Mura. Una vergogna nazionale, 

giovedì 25 settembre 2014

La veggenza di Nietzsche



Dio è morto, le grandi finalità si spengono, ma tutti se ne fregano: ecco la bella notizia, ecco il limite della diagnosi di Nietzsche nei confronti dell'oscuramento europeo. Il vuoto di senso, lo sfascio degli ideali non hanno portato con sé, come ci si poteva aspettare, maggiore angoscia, maggiore assurdità, maggior pessimismo. Questa visione ancora religiosa e tragica è contraddetta dall'aumento dell'apatia di massa che le categorie di sfogo e di decadenza, di affermazione e di negazione, di salute e di malattia sono incapaci di spiegare. Persino il nichilismo "incompiuto" con i suoi ersatz di ideali laici, ha fatto il suo tempo, e la nostra bulimia di sensazioni, di sesso, di piacere non nasconde nulla, non compensa nulla, soprattutto non l'abisso di senso aperto dalla morte di Dio. Indifferenza, non sconforto metafisico.
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Gilles Lipovetsky - L'era del vuoto

mercoledì 24 settembre 2014

L'ara ricostruita dal Mistico del Palatino: Giacomo Boni



Nel tentativo di ripristinare un rito pubblico arcaico della religione romana, a favore della vittoria dell'Italia della I° Guerra Mondiale, Giacomo Boni ricostruì nel 1917 un'ara graminea basandosi su un passo di Orazio. Quest'ara particolare fu costruita con sei strati di "mattoni" di terra erbosa e addobbata con quattro festoni di alloro, nastri rossi, corone e sagmine ("fronde sacre") di olivo. Nelle intenzioni di Boni l'ara sarebbe dovuta diventare un altare pubblico sul quale ogni italiano avrebbe dovuto sacrificare quanto di più caro per favorire le sorti dell'Italia in guerra. L'ara però andò distrutta da un forte vento la notte del 23 ottobre 1917, nelle stesse ore in cui l'esercito austro-ungarico sfondava le linee italiane a Caporetto

 "Nel 1917, riandando al caespes dell'ode XV del II libro di Orazio, costruì sempre sul Palatino un'ara graminea, allestita con sei strati di zolle erbose, quattro festoni di lauro, le sagmine di olivo e le corone e i nastri rosso sangue di toro."

''Esoterismo e fascismo: storia, interpretazioni, documenti'', Gianfranco De Turris (a cura di), Edizioni Mediterranee, 2006, pag. 187-88     



Ibidem, pag. 193.

domenica 21 settembre 2014

Amore come assenza di morte: a-mor

La “fede ecclesiastica” è appunto, per Kant, quel travisamento della religione autentica, che pretende di attribuire i caratteri della religione – L’universalità e la necessità – a quanto nelle scritture vi è di contingente, di storico, e di inessenziale. E che pretende che la salvezza dell’uomo sia riproposta in una Chiesa…..
Emanuele Severino, “Pensieri sul cristianesimo”
 

Non servono testi di centinaia di pagine, definiti sacri per giunta: Antichi Testamenti, Vangeli. Come testi buddisti, induisti, scintoisti ecc.
Basta la sintesi racchiusa in una semplice frase che fa superare all’uomo la fase animale:
<>Una frase adottata da tutti i sistemi religiosi, un assioma etico dove il mondo inizia la grande Metamorfosi.

Dobbiamo superare l’uomo che pensa e proiettarci verso l’uomo che ama!

sabato 20 settembre 2014

Parallelamente al presunto rito iniziato nella via Appia




Nel tentativo di ripristinare un rito pubblico arcaico della religione romana, a favore della vittoria dell'Italia della I° Guerra Mondiale, Giacomo Boni ricostruì nel 1917 un'ara graminea basandosi su un passo di Orazio. Quest'ara particolare fu costruita con sei strati di "mattoni" di terra erbosa e addobbata con quattro festoni di alloro, nastri rossi, corone e sagmine ("fronde sacre") di olivo. Nelle intenzioni di Boni l'ara sarebbe dovuta diventare un altare pubblico sul quale ogni italiano avrebbe dovuto sacrificare quanto di più caro per favorire le sorti dell'Italia in guerra. L'ara però andò distrutta da un forte vento la notte del 23 ottobre 1917, nelle stesse ore in cui l'esercito austro-ungarico sfondava le linee italiane a Caporetto.

lunedì 15 settembre 2014

Anche un'anima anarchica (del fascismo prima maniera) dell'impresa fiumana

RONCHI DEI LEGIONARI. Domani, a Ronchi dei Legionari, la commemorazione del 95° anniversario dell’impresa su Fiume che, il 12 settembre del 1919, vede protagonisti i legionari guidati da Gabriele D’Annunzio. Ma quella di domani si preannuncia come una giornata “tormentata”, condita da una grande contrapposizione. Quella di chi, da un lato, vorrebbe che quel “dei Legionari”, vicino a Ronchi, venisse trasformato in “dei Partigiani” e da chi, dall’altro, non ne vuol sentir parlare di stravolgere la storia.
Alle 18 la commemorazione della marcia, promossa dalle sezione di Fiume della Lega Nazionale e dal Comitato per la valorizzazione storico-letteraria di Gabriele D’Annunzio. Alla stessa ora, sempre nella zona del monumento, avrebbe dovuto tenersi un presidio curato dal comitato “Ronchi dei Partigiani”. Ma ieri la Questura ha negato, per motivi di ordine pubblico, lo spazio e così un presidio verrà promosso dalle 17 alle 19 in piazza Unità, accanto al monumento dedicato alla Resistenza.
In questa occasione verrà presentata un’inchiesta sul monumento a D'Annunzio e ai Legionari “Dal fiumanesimo, al fascismo, a Gladio... “, curata dallo storico Luca Meneghesso e da Marco Barone. «Nostalgici di militarismo da una parte e di fascismo dall'altra a Ronchi, decorata al valor militare per la Guerra di Liberazione – sottolinea il comitato pèro partigiani - non devono trovare spazio, in nessun luogo e nessuna forma. Il 12 settembre è una data e una ricorrenza che deve essere contestata, criticata e non esaltata. Il presidio è fatto per ricordare cosa è stata la marcia di occupazione su Fiume, marcia che ha anticipato il fascismo e che è stata consegnata in eredità al fascismo. Auspichiamo che entro il 2019 Ronchi possa ritornare a essere semplicemente Ronchi con l'aggiunta città dei partigiani o città decorata al valor militare». Ma non è tutto. L’auspicio è anche che il monumento ai legionari e a D'Annunzio, possa essere oscurato, visto che l'impianto di illuminazione è collegato alla rete elettrica cittadina. «Certo, sarebbe cosa buona e giusta provvedere all'integrale rimozione di quel monumento fonte di richiamo di nostalgici – aggiungono - ma nell'attesa che ciò possa un giorno democraticamente accadere, ricorderemo in modo critico cosa è stata quell'impresa, eversiva, militarista ed antesignana del fascismo e auspichiamo che le istituzioni prendano le distanze da quella marcia di occupazione e da ogni iniziativa finalizzata alla sua esaltazione».
Sul cambio di denominazione è stato anche proposto un referendum, mentre sono state anche raccolte firme per mantenere lo stato attuale. E dall’amministrazione comunale, va detto, è arrivato chiaro il segnale che non si vuole trattare l’argomento.

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domenica 14 settembre 2014

Un luogo carico di energie nonostante la pericolosità

L'OMICIDIO DI VEIO


L’inquietante vicenda risale al 1986: per l’esattezza alla notte tra il 23 e il 24 giugno.
La fatidica notte di S.Giovanni, infatti, non è ancora trascorsa, quando un’automobilista di passaggio lancia l’allarme segnalando la presenza di un uomo, molto spaventato e in stato confusionale, che si aggira nei pressi della necropoli.


La gazzella dei carabinieri, quasi subito intercetta uno dei protagonisti di questa brutta storia: si tratta del professor Giuseppe Costa, molto noto nella zona, che pur essendo in evidente stato di shock, guida i militi attraverso il viottolo sterrato della necropoli, raggiungendo uno dei suoi templi più antichi. Qui giace, privo di vita e in una pozza di sangue, il corpo di un giovane studente di biologia, Luciano Hani, 29 anni, figlio di un immigrato egiziano, che come risulterà dalla perizia necroscopica è stato freddato con un colpo di pistola al cuore.
Col passare delle ore, la versione dei fatti, dapprima incoerente e confusa, data dal professor Costa, si va dettagliando e sotto l’incalzare degli eventi e delle domande degli inquirenti, porta alla luce una storia sconcertante.
Entrambi appassionati di occultismo e discipline magiche, il professore e la giovane vittima, approfittando della valenza esoterica della notte di San Giovanni, si sarebbero recati alla necropoli etrusca con il preciso intento di “captare le misteriose energie che il luogo sprigiona” e, magari, assistere ad una delle inquietanti manifestazioni spiritiche che da tempo si susseguono nella zona: infatti, figure evanescenti che spuntano dal nulla, fantomatici personaggi in tunica e calzari, strani bagliori e addirittura avvistamenti ufo, si segnalano fin dagli anni Cinquanta in questo luogo, che viene da molti considerato come un vero e proprio epicentro di energie occulte e forze demoniache.

Inerpicatisi a fatica lungo il sentiero fino al tempio pagano, Costa e Hani, intravedono alcune figure muoversi furtivamente nell’oscurità; visibilmente spaventati i due visitatori cercano allora di allontanarsi, ma si rendono subito conto di essere circondati. Dall’oscurità arrivano grida e pietre contro di loro. A nulla valgono le esortazioni a farsi riconoscere o a lasciarli allontanare e, ad un certo punto, un colpo d’arma da fuoco riecheggia nell’aere incantato: il giovane studente s’accascia a terra senza vita, il colpo gli ha spaccato il cuore. I misteriosi assalitori, a questo punto, si dileguano in quelle stesse tenebre dalle quali sono spuntati e al professor Costa non resta che guadagnare di corsa la statale per chiedere aiuto.
Naturalmente il racconto del professore solleva subito una ridda d’interrogativi cui gli inquirenti tenteranno invano di dare una risposta sicura: dai rilevamenti della scientifica e dei carabinieri non emergono elementi o indizi che possano confutare o smentire la sua versione dei fatti e testimoni in tal senso proprio non ce ne sono.

Il caso, com’era prevedibile, attrae l’attenzione dei media ed i sospetti nei confronti del professore si fanno via via più incalzanti. Il fatto, in particolare, che lui e la vittima si interessassero d’esoterismo, scatena le illazioni dei giornalisti e mette in luce le molte circostanze misteriose che fanno della necropoli di Veio un luogo, se non sicuramente “maledetto”, di certo non comune. Il posto in cui è stato ucciso Luciano Hani poi, è particolarmente inquietante ed è più volte stato indicato come epicentro di fenomeni inspiegabili ed apparizioni spaventose.
Del misterioso omicidio si occupa anche la trasmissione televisiva “Telefono giallo” di Corrado Augias e molte sono le ipotesi che vengono sostenute per dare una spiegazione razionale alla tragedia: dall’ eliminazione accidentale di un testimone scomodo da parte di malavitosi o balordi, alla reazione eccessiva di tombaroli colti in flagrante, fino alla solita ipotesi della setta satanica sanguinaria, disturbata durante la celebrazione di chissà quali innominabili riti...
L’inchiesta, pur non approdando a nessun risultato sicuro, si colora sempre più di giallo, anzi sarebbe meglio dire “di nero”, dato che nei mesi seguenti muore prematuramente un noto giornalista che s’era interessato a fondo del caso e a breve distanza di tempo un ristoratore del luogo, che sembra fosse a conoscenza di particolari interessanti, s’impicca, senza motivazioni plausibili.
Pian piano cadono tutte le accuse nei confronti del professor Costa e la vicenda, alla fine, viene archiviata, ma la necropoli di Veio, aldilà delle pregevolezze storico-archeologiche, rimane meta di curiosi e studiosi dell’insolito e, a tutt’oggi, non sono soltanto i sensitivi a far notare come il luogo abbia mantenuto intatto tutto il suo afflato demoniaco.
Qualcuno tira in ballo il demone Tuchulcha o altre spaventose divinità infere della tradizione etrusca e si dice convinto che tra quelle rovine aleggi ancora una maledizione secolare, pronta a colpire malintezionati e profanatori.
È difficile dargli torto, soprattutto dopo averle visitate al tramonto, lontano da comitive vocianti e festaiole, magari con quel brivido leggero lungo la schiena e quella sensazione di fuggevole movimento che si coglie appena, con la coda dell’occhio, tra sepolcri ed altari.

(la maledizionedell'etrusco)

venerdì 12 settembre 2014

SULLE TRACCE DI ISIDE NELL'URBE

Il carteggio Guénon de Giorgio

Quelle a De Giorgio sono probabilmente le lettere in cui Guénon rivela più apertamente i tratti più intimi e personali di sé. Credo sia, se non l'unico, uno dei i pochissimi interlocutori cui Guénon si rivolge puntualmente, da un certo momento in poi, con un caloroso "Cher Monsieur et ami"

giovedì 11 settembre 2014

Il tentativo di costruire la Città Ideale

Tre città nate dalla volere di una personalità, che ricalcano la città ideale dove il potere, la conoscenza, l'armonia ed il senso artistico convivono e rimangono tutt'ora fruibili. Volute da due Papi: Palmanova e Pienza, mentre Sabbioneta, sorta in una zona acquitrinosa, fu voluta da Vespasiano Gonzaga, ramo cadetto dei signori di Mantova. Tre luoghi "incantati" che abbinano difesa militare e bellezza e ci accompagnano nei secoli aurei dell'amata Italia! Il paganesimo convive con la cristianità, addirittura si fonde nell'armonia



Il mito della città ideale

Per chi è alla ricerca di un itinerario insolito, fuori dai soliti circuiti delle grandi città storiche dell’Italia, abbiamo pensato di proporvene uno che leghi insieme il sogno di grandi personalità del passato che cercarono di fondare una “città ideale” che fosse specchio del loro spirito e della loro grandezza, città che ancora oggi restano a testimoniare la ricchezza della nostra storia.
Come sappiamo l’Italia fu, nel corso del XV e del XVI secolo, la culla di due fondamentali momenti di passaggio nella storia dell’umanità, l’Umanesimo e il Rinascimento, e gli uomini geniali che in quegli anni diedero lustro alla nostra Penisola coprirono tutti i campi dello scibile umano, le scienze e le arti.
Proprio da questa commistione tra aspetti artistici, ingegneristici e filosofici, oltre che dalla ferma volontà di uomini potenti, che poterono assicurare le necessarie risorse economiche, nacquero le “città ideali”, luoghi che vennero costruiti quasi dal nulla, rispettando un disegno complessivo e armonico, basato su rigorose proporzionalità e sequenze numeriche, spesso a loro volta riconducibili a date ed eventi storici ben precisi.
La più celebre di queste città ideali è senz’altro Pienza, a circa 50 km da Siena, patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 1996, che venne trasformata nell’arco di pochi anni da anonimo borgo ad immortale esempio dell’armonia tra arte e filosofia grazie alla volontà di Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II.
La storia racconta che Pio II, divenuto papa nel 1458, in viaggio verso Mantova, volle visitare quella che era stata la sua città natale, il borgo di Corsignano, e, trovatolo in condizioni piuttosto miserevoli, diede incarico all’architetto Bernardo Rossellino il compito di edificare la cittadina dalle forme meravigliosamente armoniose che ancor oggi possiamo ammirare, ribattezzandola Pienza. Pio II morì nel 1464, ma fece in tempo ad ammirare il risultato del lavoro del Rossellino, che lo compì in solo 4 anni.
Con la morte di Pio II si concluse anche la storia della città ideale di Pienza che, persa ogni funzione, rimase, per fortuna pressoché intatta, ad immortale ricordo dell’ingegno dei suoi creatori.
Sulla strada per Mantova, al confine con l’Emilia, un’altra celebre città ideale, divenuta, insieme alla città virgiliana, patrimonio dell’Umanità Unesco nel 2008, è Sabbioneta: anche qui, la nascita “miracolosa” di una città da un remoto paesello pre-esistente si deve alla precisa volontà di un uomo dal singolare ingegno, Vespasiano Gonzaga Colonna, che vi dedicò energie, denari ed anche, viste le sue note capacità di costruttore di piazzeforti, anche contributi in sede progettuale, dal 1555 al 1591, anno della sua morte.
Anche a Sabbioneta, che purtroppo, dopo la morte di Vespasiano Gonzaga, subì numerose devastazioni e spoliazioni delle opere d’arte che abbellivano i palazzi della cittadina, è ben visibile come le esigenze pratiche di dotare la città di adeguate difese e di palazzi che rispecchiassero la grandezza del suo “creatore” siano meravigliosamente legate con l’uso di precise formule matematiche, geometriche ed anche cabalistiche ancora oggi non completamente scoperte.
E, per concludere con quella che probabilmente è la cittadina “ideale” più legata ai numeri, la nostra ultima meta per oggi è la “città stellata”, Palmanova , a 20 km da Udine, così chiamata per la particolarissima conformazione a stella dalle nove punte, che la rendono riconoscibilissima persino dalle foto satellitari; in verità, nel caso di Palmanova, furono più concrete esigenze militari che ideali di bellezza ed armonia che spinsero l’architetto Giulio Savorgnan a coordinare il progetto di questa mirabile fortezza, nata ex novo sulle costruzioni del precedente borgo di Palmata, e che fonda tutte le sue strutture, strade, piazze, edifici, bastioni ecc. sul numero tre e i suoi multipli. E, visto che il periodo di costruzione va dal 1593 alla metà del XVII secolo, quale ulteriore legame con le altre città ideali è bene ricordare che a Palmanova vi lavorò anche l’architetto Vincenzo Scamozzi, che a Sabbioneta realizzò il celebre teatro.
Ancora oggi Pienza, Sabbioneta e Palmanova, pur rimanendo delle piccole cittadine, accolgono migliaia di turisti e mostrano i loro gioielli, lascito di un’età in cui l’ingegno umano raggiunse i suoi vertici: fatevi sedurre dal sogno visionario di queste città e dei loro creatori, per una gita che non finirà di stupirvi!
Il team Auto Europe

domenica 7 settembre 2014

Un'ara bellissima nel pronao del duomo di Civita Castellana

Speriamo che questa ara straordinaria resista, che non faccia la fine dell'ara che si trovava presso la cripta della chiesa dedicata  a Santa Maria in Scala Cieli, presso l'Abbazia delle Tre Fontane a Roma vicino all'E.U.R.
Si tratta della meravigliosa ara cilindrica perfettamente conservata che è situata nel pronao della Cattedrale di Civita Castellana nella terra dei Falisci