giovedì 28 febbraio 2019

L’Ombelico di Roma



Tra le rovine del Foro Romano in prossimità dell’area del Comitium, a ridosso dell’estremità nord-orientale dei Rostra, si trova l’Umbiliculus Urbis Romae, l’Ombelico della Città di Roma, il luogo ove per definizione stessa il Cielo si ricongiungeva alla Terra e Roma all’Universo.
È qui che il 24 agosto i Romani celebravano nel periodo arcaico l’apertura del Mundus, subito dopo la festa dei Volcanalia e prima di quella degli Opiconsivia . Il Mundus era un edificio sotterraneo con un pavimento semicircolare, a forma di conca “riproducente alla rovescia la conca celeste che sembra sovrastarla”
La giustapposizione della “conca terrestre” e di quella “celeste” che la sovrasta, riproduce un cerchio e con questo il simbolo dell’Universo nel suo insieme. La correlazione tra il cerchio geometrico e quello idealmente descritto dal Mundus e dalla volta celeste va letta a due livelli: a) a livello orizzontale, sul piano ove si erge Roma, l’Umbeliculus corrisponde al centro della circonferenza, e colloca per ciò stesso la città eterna al centro del Mondo; b) in sezione verticale le due conche, idealmente unite da un asse (espresso da un punto in sezione orizzontale) – l’asse del mondo – definiscono rispettivamente le realtà celestiali e infernali; il piano di intersezione tra le due semicirconferenze è quello terrestre al cui livello, e al cui centro, viene nuovamente a essere collocata Roma che a buon diritto per questo motivo, può fregiarsi del titolo di Caput Mundi.
Il punto ove l’asse immaginario prima descritto ricongiunge il Cielo alla Terra e la Terra agli Inferi è l’Umbeliculus Urbi Romae: “scavando un pozzo (il mundus) si apriva la via a una perpendicolare immaginaria che, a partire da da un punto della conca celeste, toccasse un punto della conca sub-terrestre passando per il pozzo; questa perpendicolare ancorerebbe Roma ai due punti della sfera che circonda la terra o localizzerebbe la città con un terzo punto, quello di intersezione con la superficie terrestre” . Per questo Catone sottolinea che “lo chiamano Mundus con lo stesso nome con cui i Greci designano l’Olimpo”, evidendianzo come con questo la Romanità volesse “significare il fondamento cosmico della città di Roma”.
La Tradizione faceva del Mundus una fossa scavata all’atto della Fondazione di Roma. “Nella fossa la gente raccolta da Romolo per farne il popolo Romano, gettò ciascuna un pugno della propria terra d’origine e … le primizie di ogni cosa che, ciascuno secondo la propria cultura, ritenesse buona o che fosse per sua natura necessaria” . Plutarco sottolinea come questo rito fosse stato appreso da Romolo nel corso di una cerimonia sacra, “come fosse una iniziazione”, allestita da alcuni etruschi fatti appositamente venire perché dessero consigli sul modo di eseguire le cose “secondo le norme divine e i libri sacri”. La fossa venne quindi ricolmata di terra e Ovidio segnala che al di sopra venne eretta un’ara su cui si accendeva il fuoco sacro.
Ma dove era effettivamente posizionato il Mundus di cui, già al tempo di Catone, sembra che i Romani avessero dimenticato l’effettiva funzione ed importanza? Per Dionigi di Alicarnasso il Mundus era collocato presso la Roma Quadrata, sul Palatino; per Catone e per Plutarco era invece posizionato vicino al Comitius, a pochi metri dal Lapis Niger . È possibile che i Mundus fossero due, l’uno il riflesso dell’altro, così come la Roma Quadrata era il riflesso della Roma costruita da Romolo a partire dal solco circolare tracciato ab origine..
L’Umbeliculus Romae è il luogo privilegiato ove si ricompone questa unità, e dove Cielo e Terra intrattengono rapporti specialissimi. Il posizionamento del Lapis Niger nella stessa sede è per questo tutt’altro che casuale e, unitamente alla leggenda che ne fa la presunta tomba di Romolo, chiama in causa elementi fondamentali inerenti i “riti tradizionali del costruire”.
Salvatore Spoto scrive: “Tra i tanti turisti che oggi visitano il Foro sono in pochi che si soffermano davanti ai lastroni di pietra nera che, in prossimità dei Rostri, creano una pavimentazione scura nella pavimentazione del foro. Eppure qui, e soprattutto nel sotterraneo, raggiungibile per mezzo di qualche gradino, c’è il compendio di molte pagine, alcune velate dal mistero e altre cariche di magia, dell’epoca più antica della città. Questo è il luogo che la Tradizione ha tramandato con il nome di Lapis Niger, cioè Pietra Nera, angolo sacro di una Roma che, nata grazie alla volontà divina espressa con il volo degli uccelli, continua a tenere vivo il suo legame con l’imprerscrutabile.”

Il frammentare e il ricomporre, come nel mosaico che assolve ad una magia visiva strabiliante

 “Il mosaico è ….. luogo della Rimembranza. Non solo perché raffigura le divinità smembrate, ma perché esso stesso, come queste divinità, frutto dello smembramento, viene ri–membrato ed è concreta testimonianza di questo ciclico processo cosmico. In questo senso il mosaico è immagine della comunanza, del mettersi insieme e perciò è il luogo delle Muse, che secondo la tradizione costituiscono una comunità. “il coro delle Muse è sempre uno, è il medesimo e in sé comprende accordo, armonia, ritmo e tutto quanto crea concordia”.

mercoledì 27 febbraio 2019

Il santuario di Apollo Maleata

 
Il santuario di Apollo Maleata occupa il lato nord dell'altura piu' orientale del monte Kinortiou. Nella piu' lontana antichita', vicino a fonti di abbondanti acque, nacque il culto che in seguito continuo' e fiori' ad Asklepiou, nella valle che si estende ai piedi occidentali della montagna, li' dove e' stato edificato il teatro. Il primo insediamento umano e' stato documentato, grazie ai resti di un centro abitato risalente all'epoca protoelladica, scoperto su una elevazione nel punto piu' alto della collina. La vita nell'insediamento continua anche durante il periodo Medio elladico e l'epoca micenea.

domenica 24 febbraio 2019

Il barbaro re prima ed Imperatore poi senza scrupoli investito dal Papa, arrivò non solo a sterminare i sassoni, perché pagani, ma anche ad abbattere l'Irminsul ovvero l'Albero totemico, cosmico e sacro ai sassoni

Le ricorrenze mitiche tratte da ogni continente ci invitano a vedere l’Albero cosmico come elemento simbolico che separa e allo stesso tempo mette in relazione il cielo e la terra, l’anima e il corpo, la fisica e la metafisica.
L’Albero cosmico è scala per raggiungere il divino e dalla sua corteccia nascono gli strumenti rituali per comunicare con l’aldilà.
È costituito dalla stessa dualità sessuale dell’essere umano che manifesta con esso una fine e profonda empatia fino a viverlo simbolicamente come velato tramite per la metempsicosi.
Antico testimone del mondo e segnatempo divino, l’Albero cosmico consente e protegge la vita dell’uomo sulla Terra e ne scandisce le conquiste spirituali….

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Irminsul, l’albero cosmico dei Germani, raffigurato sull’altorilievo delle Externsteine, formazione rocciosa della Foresta di Teutoburgo. L’albero, simbolo del paganesimo, è piegato sotto i piedi (oggi distrutti) di Nicodemo. La scultura risale al XII secolo

sabato 23 febbraio 2019

La festa dei Pazzi

La Fête des Fous
Fête des Fous, attiva in Francia fino a tutto il XV secolo, che prevedeva fra l’altro l’elezione di uno dei diaconi alla carica di abate o vescovo dei folli. Nel corso di queste feste l’inversione parodica del reale rovesciava ogni logica di potere, da quello laico a quello religioso, tanto che un buffone poteva essere proclamato re e un asino (l’alter ego zoomorfo dello stolto) poteva entrare in chiesa paludato da vescovo...
Ogni cosa nasconde un rovescio della medaglia!
E’ il caso di Notre Dame de Paris, la cui sacralità emana pietà, bontà, giustizia divina e trasporto dell’anima.
Una volta l'anno si organizzava a Notre Dame la Festa dei Pazzi
A questa festa partecipavano diaconi, preti, chierichetti e penitenti, uomini e donne, appena vestiti o completamente nudi che percorrevano la città praticando strani rituali: alcuni si bucavano le carni con i chiodi e segnavano il loro passaggio con il sangue, altri benedicevano gli spettatori con termini osceni ed eseguivano danze macabre, altri mangiavano minestra in un angolo dell’altare o bruciavano sterco di animali al posto dell’incenso.
Nel corso della serata la febbre saliva, si beveva, ci si insultava, e persino i preti, ubriachi, insultavano la folla scagliandogli contro pietre e rifiuti.
Ogni tanto questa strana processione faceva tappa in luoghi di prostituzione e finiva nell’orgia e nell’eccesso come a Sodoma e Gomorra.
Queste riunioni, per quanto possa sembrare incredibile, si protrassero fino al XVI secolo con la benedizione del re stesso.
La Festa dei Pazzi durava una giornata intera ma l’indomani tutto era dimenticato e la chiesa tornava alla normalità: la minima blasfemia o il più piccolo sacrilegio venivano puniti secondo le dure leggi della giustizia divina.
Figure e maschere prevalentemente antropomorfe, ma non solo. La statua processionale portata trionfalmente alla testa del corteo della Fête des fous, rappresentava la mitica Mere des fous, di fatto un volto maschile nella funzione di “chioccia” intenta a scaldare i propri figli-folletti nel nido...

Nidiata della Mère des fous. Stampa da Mr. Du Tilliot, Memoires pour servir a l'Histoire de la Fête des Fous,1741,Lousanne et Genève.
Originale in legno della stessa Mère des fous. Statuetta processionale in legno,
XV secolo, Musée Perrinde Puy Cousin, Dijon.

La Festa dei Pazzi (La Fete des Fous)

La Navicella di Iside, ecco forse uno dei primi "carri navali" come ex voto, che riproduce i carri navali presenti nelle processioni primaveril-carrnevalesche dedicate alla Grande Mater egizia!

Santa Maria in Domnica, Rione Celio..
È conosciuta per lo più come chiesa della Navicella per via della piccola nave di marmo presente nella fontana posizionata proprio davanti al portico, mentre il termine Domnica molto probabilmente deriva dai praedia dominica, aree di pertinenza imperiale sul cui territorio venne edificata la chiesa. Una leggenda racconta che la Navicella, una piccola galera romana ritrovata nei pressi del Colosseo, sarebbe un ex voto che alcuni marinai sc
ampati ad un naufragio avrebbero offerto alla dea Iside, protettrice dei naviganti. Tanto leggendario questo racconto non dovrebbe essere, visto che quel luogo non era poi così “lontano” dal mare: per manovrare il velarium del Colosseo (la grande copertura che proteggeva gli spettatori dal sole), infatti, fu necessario distaccare lì alcuni marinai delle flotte militari di Ravenna e Capo Miseno. La loro caserma, chiamata Castra Peregrina, per il fatto che accoglieva i soldati delle province (peregrini e cioè forestieri), sorgeva nella zona oggi situata ad est della chiesa di Santo Stefano Rotondo, proprio dove fu ritrovata la Navicella originale...
La chiesa,fu costruita nel VII secolo sulle fondamenta della caserma Caelimontium, dove alloggiava la V coorte dei Vigiles ... Al periodo più antico della struttura, quello proto-cristiano, appartengono le 18 colonne antiche di granito grigio con ricchi capitelli corinzi. Nel 820 la chiesa venne arricchita con vivaci mosaici tardo bizantini sull’arco trionfale e nell’abside grazie all’opera rinnovatrice di papa Pasquale I (817-824).
Il secondo importante restauro della chiesa si ebbe con l’elezione al soglio pontificio di Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, cardinale titolare proprio di S. Maria in Domnica, che divenne papa a soli 38 anni con il nome di Leone X (1513-1521). Quando fu eletto era appena diacono e per l’intronizzazione si dovette aspettare una decina di giorni: il tempo necessario ad ordinarlo presbitero e vescovo. Il suo pontificato raggiunse uno dei livelli più bassi della storia in termini d’immoralità, lussuria, corruzione. Per finanziare la costruzione della nuova Basilica Vaticana, speculò anche sulle indulgenze, introducendo il perdono globalizzato e variabile, favorendo così l’ascesa di uno dei monaci agostiniani più famosi del mondo: Martin Lutero..
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Perchè Bruno fu sentito come un grande pericolo dalla chiesa di Roma? Tanto da essere bruciato vivo dopo avergli messo la mordacchia affinche non parlasse......

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"Qual'è l'operazione di Bruno? E' molto semplice. Egli riconduce la magia rinascimentale alle sue fonti pagane, abbandonando i deboli tentativi di Ficino di elaborare una magia innocua dissimulandone la fonte principale, l'Asclepius, violentemente schernendo gli ermetici religiosi che hanno creduto di fondare un ermetismo cristiano facendo a meno dell'Asclepius, e proclamandosi un egiziano convinto, che, come Celso nelle sue argomentazioni anticristiane citate da Origene, deplora la distruzione, operata dai cristiani, del culto degli dèi naturali della Grecia e della religione attraverso cui gli Egiziani avevano raggiunto le idee divine, il sole intelligibile, l'Uno del Neoplatonismo. (...) E Bruno proclama apertamente che il suo egizianismo è una religione; è la buona religione che fu relegata nelle tenebre quando il Cristianesimo la distrusse, la proibì con le sue leggi e sostituì con il culto di cose morte, riti assurdi, cattiva condotta morale e guerre continue, la religione naturale egiziana con il suo fondamento neoplatonico, e le buone leggi morali egiziane. (...) Bruno assume una posizione radicale, che lo pone fuori dai confini del normale ermetismo cristiano, sia in quanto abbandona l'interpretazione cristiana dell'ermetismo, sia, soprattutto, in quanto individua entusiasticamente nella magia l'essenza e il nucleo fondamentale dell'Ermetismo. (...) Perciò Bruno non può esser definito un ermetico cristiano, sebbene egli considerasse la sua riforma magica, o la sua profezia sull'imminente ritorno della religione egiziana, come elementi che si dovessero sviluppare in un contesto cattolico. (...) Perciò la leggenda secondo cui Bruno venne perseguitato come pensatore filosofico e venne messo al rogo per le sue temerarie opinioni sui mondi innumerevoli o sul movimento terrestre non regge più".
(Francis Yates: Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica, cap. XII e XIX)
nella foto monumento a Giordano Bruno nella sua città di nascita, Nola, in campania.

venerdì 22 febbraio 2019

Saper ritirarsi dentro di noi

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È importante sapersi ritirare in se stessi: un eccessivo contatto con gli altri, spesso così dissimili da noi, disturba il nostro ordine interiore, riaccende passioni assopite, inasprisce tutto ciò che nell’animo vi è di debole o di non ancora perfettamente guarito. Vanno opportunamente alternate le due dimensioni della solitudine e della socialità: la prima ci fa farà provare nostalgia dei nostri simili, l’altra di noi stessi; in questo modo, l’una sarà proficuo rimedio dell’altra. La solitudine guarirà l’avversione alla folla, la folla cancellerà il tedio della solitudine.
Seneca, De tranquillitate animi-

I servizi segreti vaticani



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Al centro Padre Felix Morilon all'epoca dei Sevizi segreti Vaticani

COINCIDENZE?
COME NOTO CERTE “COINCIDENZE” E “STRANEZZE” PER I COMPLOTTISTI SONO PROVE DI COSPIRAZIONE, MENTRE INVECE PER I DEBUNKERS SONO BUFALE.
NOI PER NON SAPER NE’ LEGGERE, NE’ SCRIVERE, VORREMMO CONOSCERE COSA SIGNIFICANO E CHE IMPLICAZIONI HANNO QUESTI ELEMENTI CHE SONO DATI DI FATTO.
CHE POI NON SIANO STATI INDAGATI ADEGUATAMENTE E’ UN ALTRO DISCORSO.
UNA COSA E’ CERTA, NON POSSONO ESSERE “COINCIDENZE”-
• Perchè e come fu possibile che indosso a Valerio Morucci, un BR latitante, scovato in un appartamento assieme ad Adriana Faranda, in viale Giulio Cesare, nascosto dalla figlia di una nota spia di Intelligence straniera (Giorgio Conforto) e amica di Franco Piperno, tra milioni di indirizzi e telefoni di Roma, gli vennero trovati:
- Il recapito di villa Stricht (via della nocetta 61) residenza di Paul Marcinkus a capo dello IOR Vaticano. Lo Ior era al tempo proprietario delle palazzine in via Massimi 91, accesso anche da via Balduina, località segnalata da subito dal servizio informazioni della Guardia di Finanza come possibile prima prigione per Moro. Quelle palazzine pur non avendo per legge la protezione quale extraterritorialità, godevano però di una forma reverenziale assimilabile, tanto che non si potè perquisirle.
- l'indirizzo (via Pola 12) e il telefono (841051) della Università Pro Deo di padre Felix Andrew Morlion, religioso legato alla Cia da tanti anni e non estraneo alla Hiperyon di Parigi. Di padre Morlion, Morucci ha anche vari appunti.
- Indirizzo e telefono di Celso De Stefanis (attiguo a Edgardo Sogno) che abitava in un villino nel parco Villa Massimi, strada dove si infilarono i brigatisti in fuga da via Fani;
- il numero di telefono del commissario capo Antonio Esposito (affiliato alla P2), in servizio alla sala operativa trasmissioni della Questura di Roma (da notare che dai centri radio della Questura e del Viminale non è stato possibile reperire la striscia delle telefonate ricevute dall'auto della polizia la mattina del 16 marzo 1978 e il “brogliaccio” con le comunicazioni con la Fiat 130 di Moro, quindi non sappiamo se alla 130 di Moro venne consigliato di prendere via Fani, magari per ragioni di traffico.
- La Piantina dei sotterranei e scavi in zona ghetto ebraico e teatro Marcello e palazzi adiacenti, dove oggi, non pochi indizi, fanno ritenere che in quella zona del ghetto ebraico e relativi garage e magazzini, vi passò Aldo Moro prima di essere ucciso.
• Come mai il BR Bruno Seghetti quando venne arrestato, gli inquirenti gli rinverranno un appunto in lingua inglese con .gli indirizzi e i numeri telefonici di Moshe Alon e del colonnello Joseph Zeira, cioè proprio dell'ambasciatore e dell'addetto militare isrealiani a Roma.
Scusate se è poco, ma ci sarebbe molto altro , ne riparleremo.