giovedì 31 ottobre 2019

Anche questa figura fa le corma

Funerary relief bust
Palmyra, Syria, c. 231 A.D.

Una mostra che si promette interessante

VINCI L’ALLESTIMENTO DI GIACOMETTI A VERONA
di Marco Goldin
Come promesso nel momento in cui abbiamo lanciato questa iniziativa, eccomi qui, entro fine ottobre, a dare i nomi di coloro che ho giudicato avere prodotto i migliori cinque testi su Giacometti. Ne sono giunti oltre 1000 e dopo una prima selezione che ha portato il numero dei potenziali vincitori a 52, sono giunto a una rosa ancor più ristretta di 15. Da lì in avanti, ve lo assicuro, la scelta è stata difficilissima, poiché la qualità di questi scritti era davvero significativa. Alla fine ho deciso di premiare Olivetta Gerometta, Federica Ghizzardi, Lorena Gioia, Luisa Manganaro e Nathalie Santin. I loro testi sono stati pubblicati, nella pagina "Un testo per Giacometti", all’interno del nostro sito nella sezione riservata alla mostra “Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky” (www.lineadombra.it, prenotazioni 0422.429999) che si aprirà a Verona, in Gran Guardia, il prossimo 16 novembre.
Come noto, le cinque persone selezionate potranno partecipare alle ultime fasi dell’allestimento della mostra stessa nonché vivere con noi le varie inaugurazioni del giorno 15 novembre.
[Alberto Giacometti, Progetto per un libro IV, 1951 /
Saint-Paul-de-Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght © Claude Germain - Archives Fondation Maeght (France) © Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy 2019]
Linea d'ombra

Mi ritorna in mente l'incontro di tanti anni fa a Palazzo Barberini su Evola



Ricordo l'intervento di Servadia all'incontro fatto su Evola parecchi anni fa. Disse: <<...se avessi bussato alla porta di Evola per avere bisogno di qualsiasi aiuto (chiaramente si riferisce al periodo in cui furono emanate le leggi razziali da Mussolini e lui era ebreo che conosceva benissimo le idee di Evola) sono certo che mi avrebbe accolto nella sua casa senza indugio alcuno....>>. All'incontro a Palazzo Barberini a Roma c'era anche Sgarbi Vittorio che trattava sull'Evola artista, che nel contesto ha detto un sacco di fregacce come è avezzo il personaggio che si spaccia per intellettuale, imposto dalla politica socialista prima e berlusconiana poi.

Cavalcare la tigre

mercoledì 30 ottobre 2019

Lettera ai Dalmati di d'Annunzio

L'opuscolo con la Lettera ai Dalmati in cui Gabriele d'Annunzio cita noti episodi della biografia di Giacomo Boni.

martedì 29 ottobre 2019

Una poesia a Cristina Campo

Dio parla in un piccolo alito e ci vela il capo per il terrore Cristina Campo
I L T E M P O D I P R E G A R E - a Cristina Campo-
Visse per te il sommo Arsenio
così Alonio,Rufo ed Efrem il Siro
mentre la polvere generava la tua stella
fatta di sale ,di pianto e di preghiera
nascosta luce di un secolo a venire
quando noi ,figli del silenzio impuro,
nella notte che ha sepolto la Bellezza
scopriamo il canto ed un pianto ancora
quasi per sogno come un mistero antico.
Si può ancora nascere ,basterà tacere
fermare la mano che racconta il cuore
e offrire agli occhi stanchi del deserto
i colori teneri del giorno.
- Forse soltanto questo è l’innocenza
- Athos! ATHOS!!Athos!
Dove sorse l’alba che si tacque
dove l’Eterno alita il Mistero
-braccia spalancate ai limiti del mondo-
ombreggiano
e sgorga ancora purezza dalla fonte
effluvio del perfetto e del pudore.
Adesso
al tuo perduto sandalo Cristina
ogni anima cede il passo verso l’arida rupe
orfana dell’attimo redento
dopo l’agonia della Bellezza
dopo il dolore del tuo verso indecifrabile
dimora d’ogni nulla e d’ogni essenza
dove il sacro si nutre del profano
dove l’ultima risposta è quel silenzio
che vela il terrore dei segni traditi
adesso
forse è giunto il tempo di pregare

 Risultati immagini per il sacro e i sacerdoti oranti nei santuari ellenici

le signore della notte

“Vinci la tua paura del buio” ci dice Ecate “Accetta di scomparire, di divenire tutta nera come la Luna, solo così potrai tornare a splendere. Il rinnovamento passa innanzitutto dalla morte. Fidati di me, tocca la mia mano e lascia che ti sollevi in volo attraverso questa notte. Una volta che sarai nella profondità più oscura vedrai la Terra da lontano e ne scoprirai la vera Bellezza. Seguimi, ti insegnerò i segreti delle stelle, delle radici, delle profondità nere dell’oceano. Nell’oscurità tutto è Uno. Lì puoi trovare ogni conoscenza. Il buio è il mantello che avvolge il mondo, è la parte interiore di ciascuno di noi. Scendi insieme a me nel tuo buio, dove si estende la saggezza infinita. La luce è meravigliosa, ma è il buio che le permette di esistere. Impara ad amarlo e i segreti della Notte diverranno anche i tuoi. Le mie chiavi schiudono le porte del tuo inconscio: seguimi, sarò la tua compagna quando incontreremo gli spettri che lo abitano. Anche gli spettri meritano amore e io sono la loro signora. Te li farò conoscere e imparerai a parlare con loro. Seguimi, vola via con me, non avere paura del tuo potere. La Luna c’è sempre, anche quando scompare. Ascolta la Voce del Buio.”

Colui che redasse la carta costituzionale della Reggenza del Carnaro

De Ambris pone a base del movimento rivoluzionario precisi obiettivi: "l'assoluta autonomia della classe operaia da tutti i partiti e da tutte le ideologie politiche; l'azione diretta della classe produttiva, verso le altre classi ed i poteri pubblici, senza mediatori; la rappresentanza delle categorie economiche nei corpi elettivi; l'assoluta autonomia comunale, considerando il Comune come l'organismo della libertà popolare; l'autonomia politica e amministrativa della regione per tutti gli interessi che non richiedono provvedimenti di indole nazionale; l'eliminazione progressiva delle funzioni dello Stato centralistico con la soppressione della relativa burocrazia. Quest'ultimo principio può essere tradotto nei fatti con la Repubblica Sociale Federativa." Dall'altro sottolinea la dimensione sacra del lavoro: "L'uomo emancipato dai vincoli della materia potrà liberare soprattutto il suo spirito, dedicarsi al lavoro dell'intelletto che è certo piacevole, come sa chiunque ne abbia gustato. L'uomo si farà superuomo: supererà se stesso ed annullerà la maledizione biblica di dover produrre dolorando." A. De Ambris 'Il Manifesto dei sindacalisti e la Costituzione Fiumana' in "La Gioventù Sindacalista" 1/9/'21

Lo psicologo che riprese l'anima recupwrandola dal paganesimo greco

DEDICATO A JAMES HILLMAN...CHE CI HA LASCIATI IL 28 OTTOBRE 2011
MA RIMARRA' PER SEMPRE NELLE NOSTRE ANIME...
E NELL'ANIMA DEL MONDO.
Meraviglioso "Puer Aeternus"
Lui ha posto la questione dell'analisi stessa sconvolgendo radicalmente le varie scolastiche (Junghiane non meno che Freudiane).
Lui è stato asciutto e duro, ma pieno di Anima.
Lui ha fatto della propria vita una trasformazione alchemica del vissuto.
Rimane dentro di me, in onore di lui, il suo contatto con le grandi immagini, quell'itinerario fra gli archetipi che Jung aveva delineato e Corbin indicato come via "dell'immaginale" e "all'immaginale", che ha avviato quella "trasformazione della psiche in vita" che oggi sentiamo così tanto sfuggire alla cosiddetta "maledizione"dello spirito analitico.
Abbraccio il suo spirito, Il suo carisma. E la sua perfetta dolcezza.

Giorgio Galli: uno studioso de politica che era consapevole di quanto è importante l'esoterismo nella gestione del potere

lunedì 28 ottobre 2019

Entrare nella Pieve di Corsignano e come ritornare all'utero materno

Sirene romaniche
Al colmo della gloria Pio II Piccolomini, il papa senese, volle che una città ideale, Pienza, sostituisse il suo villaggio nativo di Corsignano. Nei palazzi e nel duomo di Pienza s'incarnò il nitore, l'ordine mentale per cui Georg Voigt nel 1859 doveva escogitare il nome di "umanesimo". Quelle architetture espongono il sogno di una Chiesa conciliata al paganesimo, alla cui testa un pontefice rivaleggi con il re filosofo vagheggiato da Platone. Non figura Platone tra le statue che gremiscono la facciata del duomo di Siena, nella cui navata non si è forse accolti dal "ritratto" di Ermete Trismegisto? Quanto remoto da tutto ciò parrebbe la vecchia barbarica Corsignano! Ne rimane intatto, sotto il colle di Pienza, celata nel verde, la pieve del secolo XI, sulla quale furono scolpite rudi grottesche, i cui intenti sembrano agli antipodi della soprastante serenità umanistica. Questa è tuttavia una falsa impressione.
A lungo si sosta dinanzi alla pieve nel solitario silenzioso albereto che un fontanile rallegra, meditando sul bassorilievo dell'architrave sopra l'ingresso principale, e via via che si contempla la distanza fra le idee scalpellate su questo tufo rustico e quelle altre espresse lassù nel costone nel chiaro travertino romano si viene stranamente, a mano a mano, restringendo fino a scomparire.
Al centro dell'architrave una sirena impugna le proprie pinne divaricate, ostentando l'inguine bene inciso, come dicesse che varcando la soglia del tempio si entra, si torna, nel suo grembo.
Figure di donna che mostrano il sesso sono comuni nelle chiese arcaiche d'Irlanda; una sovrasta l'ingresso della chiesa di Leighmore. Lo stesso spirito fece scolpire una ragazza che ostentava l'inguine sopra Porta Tosa a Milano; buttava in faccia ai pellegrini la sua promessa, il suo vanto di fertilità, e in mano stringeva una daga e una serpe. Minacciava di punta i fantasmi della morte e della sterilità, teneva in pugno il simbolo del rinnovamento e della medicina.
A Corsignano a mostrare il grembo è una sirena, che nel romanico impersona il potere vivifico delle acque irrigue: il suo "dolce canto" è il loro murmure sotterraneo che fa germinare. Non è più la sirena greca, dal corpo di uccello, semmai somiglia alle Nereidi o alle Scille dei sarcofaghi etruschi; di fatto è identica, per forma e funzione, alle fanciulle-pesce che in India impersonano gli umori del sottosuolo, sicché sposandole in sogno un conquistatore può diventare legittimo signore della terra sottomessa. Tante dinastie, dall‘Indo al golfo del Tonchino, al mar della Sonda, si appellano a questo sogno per legittimarsi, e altrettanto fecero in Europa le case regnanti che vantarono le nozze del capostipite con la sirena Melusina. I lapicidi romanici soltanto in forma di sirena potevano configurarsi la "creatura aquae a cui il sacerdote ritualmente si rivolgeva nel benedire, primo atto nella consacrazione d'una chiesa, l‘acquasantiera.
La sirena bifida non è sola sull'architrave. Alla sua sinistra un'altra sirena suona una ribeca mentre un drago le pigia le fauci aperte sull'orecchio, come dardeggiandovi la lingua.
(Elemire Zolla su Corsignano e Pienza, dal Corriere della Sera 21 settembre 1987)
(pubblicato nel volume "Verità segrete esposte in evidenza", ed. Marsilio)
Giovanni Battista Lusieri; The Monument to Philopappos, Athens (c. 1805-07)

domenica 27 ottobre 2019

La Chiesa di Santa Luciella ai Librai

La Chiesa di Santa Luciella ai Librai è un gioiello architettonico nel centro di Napoli e che l’impegno dell’Associazione Respiriamo Arte ha permesso di riaprire al pubblico. Essa si trova nel vicolo omonimo, detto “vicus Cornelianus” dai romani, e che collega San Biagio dei Librai a San Gregorio Armeno.
Fondata poco prima del 1327 per volere di Bartolomeo di Capua, consigliere di Carlo II d’Angiò e indicata come Cappella dell’Arte dei Molinari (mugnai) dalla “Veduta”, ovvero la scenografia urbana disegnata da Alessandro Baratta nel 1628, viene poi presa in custodia dai pipernieri, gli artisti che scolpivano le pietre dure. Questi, lavorando con lo scalpello e temendo che le schegge potessero colpire gli occhi, veneravano proprio Santa Lucia, protettrice della vista.
Nel 1748 la chiesa diverrà sede dell’Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione SS. Gioacchino e Carlo Borromeo e in seguito abbandonata per decenni, fino alla recente riapertura.
La particolarità del luogo, oltre agli stemmi mariani settecenteschi, ai dipinti e allo splendido pavimento maiolicato, sta anche nella leggenda che aleggia tra queste mura. Nell’ipogeo, infatti, è custodito il celebre “teschio con le orecchie”, un raro esemplare di cranio con cartilagini mummificate, al quale i fedeli rivolgevano le proprie preghiere, sperando che udendole potesse inviarle nell’aldilà “a chi di dovere”. L’identità è ad oggi sconosciuta e avvolta nel mistero, mentre l’unico dato certo sono le origini, che vengono fatte risalite al Seicento. La leggenda è legata al culto delle anime pezzentelle, quelle anonime, abbandonate e senza degna sepoltura, i cui scheletri venivano dimenticati nelle fosse comuni. Tramite l’adozione di un teschio, il fedele poteva alleviare la pena dell’anima pezzentella (dal latino “petere”, ovvero “chiedere per ottenere”) e ricevere in cambio grazie….

Verona nella Domus Aurea (forse)

https://www.youtube.com/watch?v=TQBqMN0EZ1g&feature=youtu.be

venerdì 25 ottobre 2019

Quelle che sono state ritenute sotto-civiltà

Questo post sottolinea una situazione dove i popoli opressi furono amati da un personaggio inviato dalla Germania nazista, senza alcun preconcetto di parte!
Gli Indios non hanno buttato nel Rio questa croce. Ci voleva un coglione cattodestroide italiano per buttare la Pachamama nel Tevere.
Ringrazio Sandro Consolato che ha postato questa immagine con relativo commento!



Riti pagani adattati al cristianesimo

Statua di Saint Guénolé, all’interno della Cappella di Prigny, Moutiers en Retz, Loire-Atlantique, Francia. L’edificio è stato costruito nell’XI secolo ed è dedicato a uno dei “santi fallici”, diffusi nelle campagne del Medioevo, ai quali si rivolgevano le donne afflitte da sterilità. Per ottenere il dono di avere bambini esse si sfregavano contro la statua del Santo e si recavano devotamente in pellegrinaggio presso le sorgenti miracolose che sgorgavano presso le cappelle dedicate a lui. La reputazione attribuita al personaggio è dovuta probabilmente all’assonanza del suo nome con il termine latino gignere, “generare, partorire”. A queste qualità, le credenze popolari aggiungevano in generale poteri taumaturgici e ritenevano il Santo in grado di intervenire non solo sulla fecondità delle donne, ma anche di aiutare i bambini nell’imparare a camminare, di guarire dalle verruche e dalle nevralgie, nonché di allontanare le tempeste che minacciavano i raccolti. Ancora oggi, le ragazze in cerca di un’anima gemella lasciano degli spilli appuntati sul piede della statua del Santo (simbolo fallico?) sperando di vedere esaudito il proprio desiderio (vedi particolare in basso).
Vi sono altri casi consimili. Presso Ménerbes, in Provenza, si trova una località chiamata Pied de Moustier (podium monasterium) dove sorgeva un antico monastero dedicato a San Faustino. Secondo Jacques-Antoine Dulaure, la gente del posto pronunciava il nome del santo come San Foutin, “e dal momento che spesso essa giudica le cose in base al loro nome, considerava che San Foutin fosse degno di rimpiazzare San Priapo, e gli conferiva tutte le sue prerogative” (Dulaure 1885, p. 235).
A Varages, nel Var, si celebrava ugualmente San Photin o San Foutin. La sera precedente il primo Maggio si tagliava un “albero di maggio”, che veniva eretto presso la piazza della chiesa e veniva lasciato in quel luogo fino alla festa del Santo, la prima domenica di Giugno. In quell’occasione, l’albero veniva portato fino alla cappella di San Foutin, sull’altura che domina il villaggio. L’albero era infine bruciato alla festa di San Giovanni. Il legame tra la fertilità umana e quella vegetale, rappresentata dall’albero, è in questo caso particolarmente evidente....

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Esorcista eschimese inizio Novecento


I miti del Medioevo

Una scultura della spada data a re Artù dalla Signora del Lago, nel lago di Kingston Maurward Gardens.

giovedì 24 ottobre 2019

DEE E CAVALLI NEI RITI MISTERICI DEL CALENDARIO, libro presto in distribuzione

A giorni sarà in distribuzione "DEE E CAVALLI NEI RITI MISTERICI DEL CALENDARIO"  testo scritto da Luigi Pellini ed Emanuela Chiavarell.
L'articolo sottoriportato può anticipare  piccola parte delle questioni trattate.

Statua della dea Epona in trono, risalente al 200 d.C. e conservata presso il Museo Storico di Berna, Svizzera. Il nome celtico di Epona, dea venerata in gran parte dell’Europa continentale, è collegato al termine comune per indicare il cavallo . L’iconografia infatti la raffigura spesso in compagnia di questo animale. Il suo culto dovette essere in origine riservato particolarmente ai guerrieri e, durante l’Impero, si diffuse anche tra i militari romani, tanto che Epona è l’unica dea celtica che sia stata introdotta a Roma e alla quale sia stato assegnato un giorno festivo ufficiale, il 18 dicembre. Oltre al cavallo, gli attributi associati alla dea sono: la patera , la cornucopia, covoni e spighe di grano. Questi simboli si riferiscono alla sua funzione di divinità promotrice della fertilità dei campi e dell’abbondanza dei raccolti, nonché della fecondità degli animali, simbolizzata dai cavalli che l’accompagnano. Tuttavia, Epona compare talvolta accompagnata da altri animali, come il corvo e il cane, o con in mano delle chiavi, che alludono ad un’altra sua funzione, tipica di molte divinità della fertilità, quella di guardiana dell’ingresso al regno dei morti. L’intreccio inestricabile tra la vita e la morte, d’altra parte, compare anche nel simbolismo del cavallo. Nel mondo celtico, infatti, questo animale era associato al sole, considerato la fonte del potere fecondante che consente la crescita della vita sulla terra, ma anche colui che ogni sera penetra nel mondo sotterraneo e intraprende un viaggio che lo porta a percorrere il mondo dei morti. In questo suo viaggio notturno, il sole riscaldava le acque sotterranee, che scaturivano poi alla superficie come acque termali. La dea Epona d'altronde esprimeva i suoi poteri anche attraverso le sorgenti calde.
Molti studiosi ritengono che non si debba vedere nel cavallo un attributo teriomorfo della dea ma solo un animale accompagnatore o simbolico. Tuttavia, la sua immagine richiama alla mente quella della greca Demetra con testa di cavallo, venerata in una grotta in Arcadia e descritta da Pausania, anch’essa una dea della terra, dei raccolti e del mondo sotterraneo. In epoca cristiana, Tertulliano accusava i pagani di venerare divinità sotto forma di animali e include tra queste anche Epona: “totos asinos colitis et cum sua Epona, et omnia jumenta et pecora et bestias [asini interi sono per voi oggetto di adorazione, con la vostra Epona, e tutte le giumente, pecore e altre bestie”

Il Duomo di Milano costruito sopra il tempio di Minerva

FEDERICO II DI SVEVIA E GLI ENIGMATICI SIMBOLI DEL PORTICO DELLA CHIESA DI S. AGATA AL CARCERE

Rivoluzione indotta dalla trascendenza


A ricordo di una delle fatiche di Ercole

È uno dei fari romani in funzionamento più antichi del mondo.
La torre d’Ercole si trova tra l’insenatura di Orzán e il golfo Ártabro. È un faro romano dell’antica Brigantium. Risale al II secolo d. C., all’epoca di Traiano, e fu ristrutturato nel 1788 per ordine del re Carlo IV. Fu opera dell’architetto lusitano Cayo Sergio Lupo. Ha pianta quadrata, misura 68 metri e la luce che emana si scorge in mare da una distanza di 32 miglia. La torre è suddivisa in tre parti progressivamente più strette fino ad arrivare alla lanterna. Bisogna salire un totale di 242 scalini per raggiungere la parte più alta del faro, ma lo sforzo vale la pena perché consente di ammirare un magnifico panorama sulla città e la costa di La Coruña. Secondo la mitologia Ercole tagliò la testa di Gerione ed eresse il monumento sul luogo in cui ne aveva sepolto i resti mortali.....


La chiesa di san Pietro ad Agliate

La chiesa di san Pietro ad Agliate presenta una grande abbondanza di materiali romani reimpiegati nella costruzione dell'edificio sacro. Molte di queste testimonianze sono state riutilizzate come materiali per la costruzione non solo dell'attuale basilica ma anche in precedenza nella primitiva chiesa. Le testimonianze di quest'ultima sono affiorate nel 1990: alcune tombe che giacevano connesse al muro della originaria chiesa erano state costruite con l'impiego di frammenti di epigrafi romane. Questi materiali si potevano probabilmente facilmente rinvenire in loco e venivano pertanto reimpiegati per la costruzione delle tombe.
Già nella muratura della facciata si scopre inserita una stele riferita a un Genio di cui purtroppo è stato abraso il nome. Entrando nella basilica si incontra, capovolta a sostegno della prima colonna della navata meridionale, una grande ara in serizzo con relativa epigrafe. Si tratta un altare pagano che un certo Vitalio dedicò a Giove Ottimo Massimo Conservatore pro salute dominorum suorum, per il bene e la buona sorte dei suoi padroni, per sé e per la sua famiglia.
Questo Vitalio era probabilmente il fattore di un latifondo vicino ad Agliate, dove esisteva un luogo di culto, il santuario, dove alzare altari alle divinità.
Situazione molto simile a quella della vicinissima Valle Guidino dove furono rinvenute quattro epigrafi, una delle quali dedicata dal guardaboschi, un certo Pilade, pro salute et Victoria del suo padrone Lucio Virginio Rufo. La dedica, che è propria soltanto agli imperatori, data l'iscrizione a circa il 69 d. C. dopo la vittoria di Rufo su Vindice e sembra posta da Pilade per festeggiarne la nomina, anche se mancata, alla dignità imperiale.
Nella basilica di Agliate, il capitello della stessa prima colonna è un frammento di un'altra ara di serizzo che conserva ancora parte dell'inscrizione:
SVIS OMNIBVS/ V SL M
Appesi con ganci alla muratura della navata destra ci sono altre epigrafi romane. Una grande lastra funeraria riporta una invocazione agli Dei Mani dei coniugi Sextilii che si conclude con un esametro che esprime tutto il dolore e lo sconcerto dei parenti:
CONIUGES HIC POSITI
ACERBO FVNERE RAPTI
Un'altra lapide funeraria, molto rozza, riporta alla prima riga DIMCOVIS, una stringa di difficile interpretazione. Questa lapide venne rinvenuta nel 1990, reimpiegata come fondo di una tomba cristiana appoggiata alla muratura della primitiva chiesa. In un'altra tomba posta a fianco della precedente, e ugualmente appoggiata al muro antico, si rinvenne una stele centinata con iscrizione ormai abrasa che è stata infissa sul prato a fianco del campanile.
Questi due rinvenimenti dimostrano come i costruttori locali rinvenissero in loco i frammenti d'epoca romana che poi reimpiegavano anche in piccole costruzioni come potevano essere dei semplici loculi sepolcrali. Questa situazione è ben diversa dalle colonne e dai capitelli che furono utilizzati più tardi per la costruzione della basilica e che potrebbero essere stati trasportati da località anche lontane.
Proseguendo lungo la navata destra si scopre che la quarta colonna di destra appoggia su un basamento che venne riconosciuto come un'ara per bruciare incenso. Il capitello a sua volta utilizza una parte di ara o di altare in marmo bianco. L'altra metà la ritroviamo come base della colonna che sta di fronte, nella navata di sinistra. Questa colonna è in granito rosso di Assuan. Sarebbe interessante riuscire a ricostruire il percorso che l'ha portata dall'Egitto ad Agliate.
A sinistra, la quinta colonna è sormontata da un magnifico capitello su cui, a ogni lato, due delfini bevono da un kantharos dal quale emerge il tridente, scettro di Nettuno. Questo capitello ha fatto supporre, fin dal Settecento, che in Agliate fosse esistito un tempio dedicato a questa divinità, tanto più che questa divinità non era solamente marina ma anche fluviale. Sempre a sinistra, tornando verso l'uscita, la seconda colonna è un'importante esemplare di pietra miliare, certamente non di provenienza locale.
In chiesa ci sono poi altri frammenti di iscrizioni d'epoca romana. Nel battistero attiguo alla chiesa è stata inserita nel muro una piccola ara dedicata da Lucio Valerio al dio Silvano, il che attesta l'esistenza di un culto d'ambito silvo pastorale con la divinizzazione delle forze della natura. Silvano era inoltre il dio dei confini e anche dei greggi e della pastorizia. Anche la piccola ara dedicata a Silvano è quasi sicuramente di provenienza locale essendo stata reimpiegata nella costruzione del campanile seicentesco, poi demolito nell'ultimo quarto del XIX secolo.
Altre iscrizioni romane furono segnalate nell'Ottocento come provenienti da Agliate e lì conservate: oggi purtroppo non sono più disponibili e sono scomparse. Tra queste iscrizioni va ricordata quella in onore di Mercurio, una divinità cui frequentemente nelle campagne venivano dedicate lapidi votive, forse anche perché era l'interpretatio di una delle principali divinità celtiche…..