venerdì 23 agosto 2019

Indicazioni per un percorso di possibile salvazione (speriamo bene)

La laminetta orfica di Hipponion (IV sec. a.C.)
“Di Mnemosine è questo sepolcro. Quando ti toccherà di morire
andrai alle case ben costrutte di Ade: c’è alla destra un fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso diritto;
là scendendo si raffreddano le anime dei morti.
A questa fonte non andare neppure troppo vicino;
ma di fronte troverai fredda acqua che scorre
dalla palude di Mnemosine, e sopra stanno i custodi,
che ti chiederanno nel loro denso cuore
cosa vai cercando nelle tenebre di Ade rovinoso.
Di’ loro: sono figlio della Greve e di Cielo stellante,
sono riarso di sete e muoio; ma date, subito,
fedda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine.
E davvero ti mostreranno benevolenza per volere del re di sotto terra;
e davvero ti lasceranno bere dalla palude di Mnemosine;
e infine farai molta strada, per la sacra via che percorrono
gloriosi anche gli altri iniziati e posseduti da Dioniso.”

La lamina orfica ritrovata in una tomba dell’antica Hipponion (Vibo Valentia) e risalente al IV secolo a.C. rappresenta un’importante testimonanza del culto delle religioni misteriche in Calabria (forse già in uso prima dell’arrivo dei greci). Si tratta di un reperto unico per lo stato di conservazione in cui ci è pervenuto. Altri esemplari sono stati ritrovati in Calabria (frammenti), in Tessaglia e a Creta.
La laminetta che veniva deposta, piegata in 4 parti, sul petto del defunto che in questo caso era una fanciulla di nobile famiglia, aveva lo scopo di accompagnare la sua anima e guidarla nel regno di Ade.

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L'arte sconvolgente di 4000 anni fa nellì'Egitto faraonico

Deolinda Pinto Ribeiro
Golden Uraeus of king Senusret 11. This Uraeus was discovered by Flinders Petrie in 1920 during his work at the pyramid of the Pharaoh of Lahun 12tb Dynasty, ca 1882bc. Middle Kingdom Egypt

Esicasmo e il simbolismo della croce








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La trasfigurazione, nella via dell’Esicasmo, è intimamente legata alla preghiera vespertina: al momento in cui si canta il Fos Ilaron, che è il momento in cui, al finire del giorno, quale simbolo del finire e dei confini del mondo e delle realtà mondane, appare la Luce Divina, la Luce Gioiosa del Padre. Questa allude chiaramente alle realtà domenicali e al Regno del Padre: “ Nella casa del Padre mio vi sono molti posti “.
Non intendo minimamente, qui , cercare di entrare nella tecnica di questo tipo di preghiera che deve indurre o propiziare il sorgere, nel cuore, della Luce senza tramonto, ma mi preme, invece, sottolineare il suo intimo collegamento con la tipica croce ortodossa che è caratterizzata dal predellino inclinato – che manca normalmente in quella latina - nella parte inferiore: ai piedi quasi della croce stessa. Quasi nessuno si è accorto del suo collegamento con la proiezione dell’ombra che crea la croce al tramonto e ancor di più col fatto che, in questo modo, la croce ortodossa rimarca la presenza non di sei, ma di otto bracci.
I sei bracci sono le sei direzioni e le tre dimensioni dello spazio che definiscono lo stato dell’uomo individuale ed il mondo, ma il predellino inclinato rappresenta proprio la dimensione della resurrezione, che si trova oltre questo limite ed essere ai piedi della croce significa proprio essere sul limite che introduce nel mistero vivo della Resurrezione. Infatti il sangue che cola sul predellino va a rivivificare e resuscitare Adamo decaduto, rappresentato dal teschio che si trova sotto la croce stessa.
Questo è il punto in cui si ha una sorta di soluzione di continuità, descritta magistralmente da René Guénon ne Il Simbolismo della Croce:
“ […] Se tuttavia dobbiamo porre una restrizione a proposito della continuità (in mancanza della quale la causalità universale, per cui tutto deve concatenarsi senza interruzioni di sorta, non potrebbe essere soddisfatta), ciò è dovuto al fatto che, come abbiamo detto, da un punto di vista diverso da quello del percorso dei cicli vi è un momento di discontinuità nello sviluppo dell'essere: questo momento, di carattere assolutamente unico, è quello in cui, per azione del « raggio celeste » operante su un piano di riflessione, si effettua la vibrazione corrispondente al fiat lux cosmogonico che illumina, con la sua irradiazione, tutto il caos delle possibilità. A partire da tale momento l'ordine subentra al caos, la luce alle tenebre, l'atto alla potenza, la realtà alla virtualità; e quando tale vibrazione ha conseguito il suo pieno effetto, amplificandosi e ripercuotendosi fino ai confini dell'essere, quest'ultimo, realizzata da quel momento la propria totale pienezza, è evidentemente affrancato dal percorrere questo o quel ciclo particolare, poiché tutti li abbraccia nella perfetta simultaneità di una comprensione sintetica e « non distintiva ». È questa, se la si intende nel suo vero significato, la « trasformazione » che implica il « ritorno degli esseri in modificazione nell'Essere immodificato », al di fuori e al di là di tutte le condizioni speciali, che definiscono i gradi dell'Esistenza manifestata […] “.
E’ esattamente questo, nell’altrettanto magistrale descrizione che ne da Losskij , l’effetto della luce divina che illumina i Santi Esicasti : “ […] La luce divina appare quaggiù, nel mondo, nel tempo; si rivela nella storia, ma non è di questo mondo; è eterna, costituisce un uscire dal’esistenza storica: “ il mistero del’ottavo giorno”, mistero della vera conoscenza, perfezione della gnosi la cui pienezza non può essere contenuta dal mondo prima della fine. E’ il principio della parusia nelle anime sante […] “ ( op.cit. pag.226).

Macchine del tempo e case per allevare lo spirito

La nostre Chiese,Cattedrali sono state pensate anche come immensi orologi astronomici che scandendo i secoli, con la corsa danzante delle stelle, indicano, nel tabernacolo, l'Eterno, anzi: "Il punto di intersezione dell'eterno nel tempo" (Eliot).
In basso: La Chiesa della Resurrezione. Santo Sepolcro, Gerusalemme.

PENSIERO DI CERONETTI PRIMA DELLA SUA SCOMPARSA:


Il papato è la rovina dell’Italia e Renzi è un untuoso democristiano. “Il papato è la rovina d’Italia, tutt’ora, non si muove foglia che il papa o la Cei non voglia, la direi come i vecchi repubblicani. Matteo Renzi è un democristiano. Ha quell’untuosità, quella capacità di adattamento a tutti i calchi, sta bene nel calco di una sirena come in quello di un obeso, si trova bene purché si trovi al potere”.

giovedì 22 agosto 2019

Il mistero del senso religioso e la truffa delle religioni!

«Non è che io non sono cattolico e sono musulmano oppure buddista. lo non sono niente, lo voglio precisare. Sono una persona che cerca e che crede nella religione della vita, e basta. Mi interessa il sacro, l'aspetto mistico del vivere, senza nomi né ricette. Quello che sta sopra di noi è così totale e così universale che non può avere un nome: è semplicemente tutto».
Riesce Battiato a dargli un’immagine?
«No. Sarebbe come voler definire l'acqua con una sem­plice formula chimica. Il mare è profondo e misterioso, puoi analizzarlo chimicamente, ma chi può descrivere il fascino che ti dà il solo guardarlo? E così il divino: sono sentimenti sottili che non si possono ridurre a spiegazioni razionali. Sant'Agostino diceva: non puoi arrivare a piedi da Dio. Forse a piedi ci si può arrivare, ma con la testa sicuramente no. L'unica via è il cuore».
Franco Battiato, 1998.

Alle origini dello sciamanesimo ecco un essere in bilico fra sacerdote, folletto e stiamano

Statuetta in rame di un personaggio in cammino, appartenente al periodo Proto-Elamita (3000 a.C. circa), conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York. La figura può essere interpretata come un eroe o un demone, indossante stivali con la punta rivolta all’insù, un copricapo con corna e orecchie di stambecco e intorno alle spalle il corpo e le ali di un uccello da preda. La lunga barba è una caratteristica normalmente attribuita a esseri divini o a sovrani, mentre il particolare tipo di calzatura è associata con gli abitanti delle regioni montuose. La mescolanza di elementi animali e umani può essere interpretata come una modalità per rappresentare i poteri di un essere abitante le regioni di montagna, oppure un uomo che, per ragioni rituali, impersona tale essere. Si tratterebbe, in questo caso, del più antico esempio di travestimento cerimoniale in uomo-capra o uomo-stambecco, che si può osservare ancora oggi in numerosi Carnevali popolari, soprattutto nella regione alpina ...

FRAMMENTI PER GIACOMETTI


di Marco Goldin
Fino all’inizio di settembre, due volte alla settimana, pubblichiamo alcuni frammenti in sequenza del lungo saggio/racconto che Marco Goldin ha scritto per il catalogo della mostra “il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght” (www.lineadombra.it) che prenderà il via a Verona, nel Palazzo della Gran Guardia, il 16 novembre prossimo. Le prenotazioni (0422 429999) si apriranno lunedì 9 settembre.
“[…] I ritratti di Yanaihara sono per Giacometti, in pittura, una vera e propria presa di coscienza. Quando il filosofo giapponese gli chiedeva perché avesse bisogno di lui e perché non potesse proseguire con i volti di Diego e Annette, si sentì rispondere che era grazie a lui se aveva fatto dei progressi: “Non sono mai andato così lontano. Certo, continuerò il lavoro con Diego o Annette in vostra assenza, ma è il vostro ritratto che vorrei dipingere e non un altro, beneficiando così dei progressi che ho potuto fare grazie a voi”. Perché rispetto ai ritratti dedicati al fratello o alla moglie, o anche quelli dedicati a Jean Genet, quelli su Yanaihara hanno un loro lato di nascondimento e silenzio, di “scomparibilità", che gli altri non avevano e mai avranno. Come se il peso della quotidianità, del racconto e finanche dell’aneddoto fosse fuggito lontano e il pittore quasi inconsapevolmente fosse riuscito a essere leggero come una piuma. Tra segni, luci e vento.
Soprattutto i quadri dell’autunno 1956, che sono i mesi cruciali delle giornaliere sedute di posa, così importanti da fargli ritardare il rientro in Giappone, hanno un lato di apparente non finito che potrebbe associarli al non finito di Cézanne, un pittore tanto amato da Giacometti. Che però poi da un lato viene liquefacendo la sua materia, in quella grande aura che tiene compresa la testa e il busto di Yanaihara, dall’altro macera di segni il volto ma senza desiderare la violenza su quegli occhi, su quello sguardo. Come se il pittore si fosse fermato un centimetro prima di affondare del tutto il bisturi, avesse provato pietà e sospeso quei tagli aguzzi fatti di segni e tempesta, di onde e bufera.
Yanaihara, con la sua espressione assorta e lievemente malinconica, immette Giacometti nel flusso più vero della sua pittura, la rende una dichiarazione autonoma e necessaria. Per questo motivo, da qui in avanti, le sue tele tormentate non saranno più le stesse. Non potranno più essere le stesse. […]”
[Alberto Giacometti, Isaku Yanaihara, 1956 / Parigi, Musée National d'Art moderne, Centre Georges Pompidou]

LE ORIGINI DELLA MANO BENEDICENTE

Il misterioso culto della "Mano di Sabazius"
Migliaia di anni fa, tra gli altri culti Greci e Romani, venivano utilizzavate mani, riportanti diverse simbologie. A volte appoggiate su pali di legno e portate in processione. Adornate con serpenti e sfoggiando un vano segreto nel polso, erano il segno di un culto religioso che adorava il misterioso Sabazius.
Ogni motivo ornato in bronzo e rame, chiamato la Mano di Sabazius, era un simbolo sacro di Sabazius, una divinità di fertilità e vegetazione che veniva venerata accanto ad altri dei, in particolare Zeus e Dioniso.
Le testimonianze del dio Sabazius risalgono al primo secolo. Molte società dell'epoca praticavano religioni sincretistiche, aperte al cambiamento e spesso influenzate da religioni esterne. Il popolo indoeuropeo di Frigia o Tracia, oggi la Turchia moderna, rese popolare il culto di Sabazius e diffuse le sue pratiche in altre parti dell'Impero Romano. Questo culto divenne un amalgama di religioni, con influenze da religioni orientali ed egiziane come il credere nell'aldilà. Tuttavia, la variabilità rende difficile identificare le caratteristiche della religione.
Eugene Lane, un defunto professore di studi classici all'Università del Missouri, in Columbia, scrisse nel 1980 che ci sono diverse rappresentazioni del dio Sabazius: viene mostrato seduto su un trono con in mano una lancia, cavalcando un cavallo e indossando un diadema stile corona e circondato da serpenti e aquile. Lane e altri studiosi hanno scoperto che tra queste variazioni, la mano votiva era l'unica caratteristica comunemente associata al culto di Sabazius.
"Le mani in posizione di "Benedictio Latina" devono essere collegate a Sabazius", ha scritto Lane. La posizione della Benedictio Latina è quando il pollice, l'indice e il medio della mano destra sono estesi, mentre l'anello e le dita dei mignoli sono nascoste nel palmo: è un tipico gesto di benedizione nelle religioni occidentali, ed è comunemente noto nelle prime immagini cristiane come "Mano di Dio".
I curatori del Walters Art Museum di Baltimora, nel Maryland, riferiscono che le mani di solito raffigurano Sabazius stesso seduto sul palmo. I vari simboli del culto sono incisi su tutta la mano. Sabazius è spesso circondato da un serpente, lucertola, leone, montone, toro, rana, aquila e tartaruga, tra una miriade di animali diversi. Una pigna, segno di divinità, fertilità o immortalità, in genere poggia sul pollice.
Alcune mani avevano anche una piccola porta a battente sul polso che bloccava un oggetto perduto, come una madre e un bambino. Si ritiene che la mani e i simboli avessero poteri curativi e protettivi.
#quandoildestinodiventafato

LE SCOPIAZZATURE MALDESTRE FATTE DAI CRISTIANI

Hermes crioforo, “portatore di ariete” (Hermes Kriophoros), copia romana di epoca imperiale da originale greco del V secolo a.C. esposto al Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco di Roma. Hermes, figlio di Zeus e della ninfa Maia, era il dio dei pastori e dei viaggiatori, inventore dei mucchi di pietre che indicano il cammino nei territori sconosciuti, ma era anche protettore dei commercianti e dei ladri, psicopompo e messaggero di Zeus.Tratto comune a tutte queste funzioni è il fatto che Hermes si muove in uno spazio intermedio di cui è il mediatore, è un tramite. Portavoce degli dei e guida dei defunti, egli assicura la mobilità e il passaggio anche laddove gli uomini non vedono che invalicabili frontiere. In quanto patrono dei pascoli e degli armenti era il dio prediletto dell’Arcadia, paese di pascoli e di foreste. Dio dei luoghi solitari e delle mandrie, Hermes era considerato padre di Pan e in quanto protettore delle greggi era spesso rappresentato con una pecora o un ariete sulle spalle. Questa raffigurazione riprende un motivo ampiamente diffuso nel Vicino Oriente e costituirà probabilmente il prototipo iconografico del Buon Pastore nell’arte cristiana delle origini.
L’ariete era un simbolo di fecondità e di ricchezza: il più famoso nella mitologia greca era l’ariete d’oro il quale portò in volo i fratelli Frisso ed Elle e il cui vello fu conservato da un drago nella remota terra di Colchide: Giasone radunò un vasto gruppo di eroi, che s’imbarcò sulla nave Argo e affrontò numerose avventure per impadronirsi del famoso vello d’oro….

martedì 20 agosto 2019

Il Tao Te Ching

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 (o Daodejing, in pinyin) è un classico testo taoista cinese risalente almeno al IV secolo ac Secondo la tradizione ha le sue origini anche prima, intorno al sesto secolo ac. Il titolo può essere tradotto come istruzione riguardante la Via della Virtù. Composto da ottantuno brevi sezioni in uno stile poetico, il testo varia ampiamente nei contenuti, dai consigli pratici alla saggezza universale, abbracciando la politica, la società e il personale. L'enfasi è sulla giusta visione e comprensione dell'esistenza, la Via del cosmo, e il testo si propone di trasmettere una consapevolezza consapevole dell'essere che conduce all'armonia personale. L'inclinazione taoista a riferirsi allo sfondo naturale dell'esistenza umana quando si considera l'umano è ampiamente in evidenza. Lo stile letterario è conciso e spesso criptico, quindi sono spesso possibili interpretazioni multiple delle singole sezioni.

domenica 18 agosto 2019

Quando il fuoco non si spegne mai

I parsi: gli eredi indiani di Zarathustra
Nell’antica Persia, Zoroastro insegnava che il bene ( Ohrmazd ) e il male ( Angra Mainyu ) erano forze opposte e che la battaglia tra loro era più o meno uniforme. Una persona dovrebbe sempre essere vigile per allinearsi con le forze della luce. Secondo l’ asha o la giustizia e druj o la malvagità, la persona ha scelto nella sua vita saranno giudicati al ponte Chinvatper concedere il passaggio in Paradiso, Hammistagan (zona limbo) o inferno con una spada. Una forma personificata dell’anima che rappresenta le azioni della persona prende il giudicato alla loro destinazione e rimarranno lì fino all’apocalisse finale. Dopo la battaglia finale tra il bene e il male, la passeggiata di ogni anima attraverso un fiume di fuoco prova a bruciare le loro scorie e insieme ricevono un paradiso dopo la risurrezione. Il libro sacro zoroastriano, chiamato Avesta , era scritto in lingua avestana , che è strettamente correlato al sanscrito vedico .
Il Qissa-i Sanjan è una storia del viaggio dei Parsi in India dall’Iran. Dice che sono fuggiti per ragioni di libertà religiosa e che gli è stato permesso di stabilirsi in India grazie alla buona volontà di un principe indù locale. Tuttavia, la comunità Parsi doveva rispettare tre regole: dovevano parlare la lingua locale, seguire le usanze matrimoniali locali e non portare armi. Dopo aver mostrato le molte somiglianze tra la loro fede e le credenze locali, alla prima comunità fu concesso un appezzamento di terreno su cui costruire un tempio del fuoco .
Secondo la leggenda, il sovrano indiano che voleva rifiutar loro l’asilo si presentò con una ciotola di latte piena fino all’orlo, a indicare che il suo Paese era ormai troppo colmo, sul punto di traboccare.
Un sacerdote fra i profughi aggiunse un pizzico di zucchero nel recipiente: la loro presenza non avrebbe fatto traboccare il vaso, ma avrebbe invece addolcito tutto il Paese.
Oggi la più grande comunità di zoroastriani al mondo vive in India, ma non si è sciolta nel latte della cultura indiana. Costituisce invece una minoranza poco aperta alle contaminazioni e con alcune tradizioni specifiche, tra cui quella di deporre i morti in modo che vengano mangiati dagli avvoltoi.


Il cuore della bonifica pontina

Il giardino di Ninfa è stato dichiarato Monumento Naturale dalla Regione Lazio nel 2000 al fine di tutelare il giardino storico di fama internazionale, l’habitat costituito dal fiume Ninfa, lo specchio lacustre da esso formato e le aree circostanti che costituiscono la naturale cornice protettiva dell’intero complesso, nelle quali è compreso anche il Parco Naturale Pantanello, inaugurato il 15 dicembre 2009.
Il nome Ninfa deriva da un tempietto di epoca romana, dedicato alle Ninfe Naiadi, divinità delle acque sorgive, costruito nei pressi dell’attuale giardino.
A partire dal VIII l’Imperatore Costantino V Copronimo concesse a Papa Zaccaria questo fertile luogo, facente parte di un più vasto territorio chiamato Campagna e Marittima, entrò a far parte dell’amministrazione pontificia. Al tempo contava solo pochi abitanti, ma aveva assunto un ruolo strategico per la presenza della Via Pedemontana: trovandosi ai piedi dei Monti Lepini, era l’unico collegamento alle porte di Roma che conduceva al sud quando la Via Appia era ricoperta dalle paludi. Dopo l'XI secolo Ninfa assunse il ruolo di città e fra le varie famiglie che la governarono ricordiamo i Conti Tuscolo, legati alla Roma pontificia, e i Frangipani, sotto i quali fiorì l’architettura cittadina e crebbe la considerazione economica e politica di Ninfa, ricordiamo infatti che nel 1159 il cardinale Rolando Bandinelli fu incoronato pontefice Alessandro III nella Chiesa di Santa Maria Maggiore. Nel 1294 salì al soglio pontificio Benedetto Caetani, Papa Bonifacio VIII, figura potente e ambiziosa, che nel 1298 aiutò suo nipote Pietro II Caetani ad acquistare Ninfa ed altre città limitrofe, segnando l’inizio della presenza dei Caetani nel territorio pontino e lepino, presenza che sarebbe durante per sette secoli.

In principio era il Kaos o l'Ordine?

"In ogni caos c'è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto." C.G.JUNG

Mantieni il bambino che è in te

La Via Iniziatica
Per entrare nella favole
bisogna essere dei bambini,
oppure Iniziati.
- Hugo Pratt

giovedì 15 agosto 2019

IMBALSAMAZIONE E RIVOLUZIONE

Luca D'Ammando



Lenin morì durante un inverno freddissimo, il 24 gennaio 1924. Siccome il Partito intendeva costruire un mausoleo che ne ospitasse la salma, la terra ghiacciata sulla piazza Rossa fu fatta saltare con la dinamite. Da allora il suo corpo imbalsamato, disteso dentro una teca di cristallo, a due metri di profondità, torna a tormentare ciclicamente la memoria dei russi. Nei giorni delle celebrazioni del centenario della Rivoluzione d’ottobre a riaccendere le polemiche ci ha pensato Ksenia Sobchak, già presentatrice tv, ora candidata alle elezioni presidenziali del prossimo marzo. «Se fossi eletta – ha detto la figlia del mentore politico di Putin – ordinerei di rimuovere la mummia di Lenin dal Mausoleo e di seppellirla». Le ha replicato Valentina Matvijenko, presidente del Consiglio della Federazione, proponendo un referendum popolare sulla questione. Ma non subito, «c’è ancora un’intera generazione di russi per i quali Lenin ha un grandissimo significato».




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Ecco, l’intramontabile culto della personalità che si intreccia con le contraddizioni della Russia post-sovietica. Più prosaicamente Mikhail Fyodotov, capo del Consiglio russo per i Diritti umani, ha proposto di trasformare il Mausoleo in un museo sulla tecnica dell’imbalsamazione, nella quale i russi sono all’avanguardia nel mondo. Esempio più evidente è il cosiddetto “gruppo del Mausoleo” dell’Istituto di ricerca per le strutture biologiche di Mosca: composto da anatomisti, biochimici e chirurghi, si occupa della manutenzione del corpo di Lenin, ed è arrivato a impiegare fino a 200 persone (oggi sono circa un quarto). Sono loro a conservare anche le salme dei nordcoreani Kim Il Sung e Kim Jong Il e del vietnamita Ho Chi Min. E sono loro che ogni due anni sottopongono la mummia di Lenin a un trattamento speciale: la immergono in una vasca rigenerante riempita di una soluzione formata da glicerolo, formaldeide, acetato di potassio, alcool, perossido di idrogeno, acido acetico e acetato di sodio. Per evitare la disidratazione, il grasso naturale della pelle viene sostituito con un materiale modellabile in paraffina, glicerina e carotene. Infine vengono sostituiti ciclicamente le ciglia e i pezzi di pelle deteriorati.

Ma non c’è solo la Russia. Anche l’Italia può ritenersi storicamente un’eccellenza nell’arte dell’imbalsamazione. Lo testimonia il corpo di Giuseppe Mazzini, spirato il 10 marzo 1872, pietrificato, reso eterno nella carne fatta marmo. La prima vera icona politica del nostro Paese, protagonista di una storia rivoluzionaria anche da morto. Mazzini, che aveva chiesto per sé onoranze funebri discrete («Tutte le commemorazioni, trasporti di cenere, statue, m’intristiscono l’anima»), trovava l’imbalsamazione una profanazione: «Non ho mai capito l’affetto di quei che fanno imbalsamare un cadavere di persona amata». Invece, cercando di trarre dalla morte di Mazzini un’occasione di propaganda, il leader parlamentare dell’Estrema sinistra Agostino Bertani si fece venire l’idea di imbalsamarlo, esponendone la mummia. Per attuare il progetto si rivolse al fratello per affiliazione massonica Paolo Gorini, che da trent’anni andava facendo esperimenti di imbalsamazione nell’ospedale di Lodi. Anziché la tecnica tradizionale, Gorini proponeva la pietrificazione, tecnica che garantiva una maggiore durata (sostituendo i liquidi organici con sali minerali i tessuti s’indurivano), ma richiedeva mesi di lavoro. Così solo il 10 marzo 1873 la salma di Mazzini fu pronta per l’ostensione. Ha scritto Sergio Luzzatto nel saggio 1872. I funerali di Mazzini: «Molta gente villereccia, dinanzi al cadavere, non sapendo come meglio esternare i suoi sentimenti di rispetto e di venerazione, si faceva il segno della croce e mormorava un requie».







Negli stessi anni iniziava a operare la principale dinastia di imbalsamatori italiani, quella dei Signoracci, che si sono occupati di papi, re, aristocratici, artisti e attori. «La nostra famiglia iniziò a lavorare nella morgue dal 1870», ha raccontato Massimo, ultimo erede, tecnico dell’Obitorio comunale del Verano di Roma. «Iniziò tutto con Giovanni Signoracci. Lo chiamavano Er Vetrinone, perché faceva vedere i morti ai parenti solo dietro una vetrina, un po’ quello che succede ancora oggi con i riconoscimenti». La massima notorietà, la famiglia, la conobbe negli anni Sessanta e Settanta con il padre di Massimo, Renato, e con gli altri due zii, Arnaldo e Ernesto, divenuti celebri come imbalsamatori di tre papi: Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I. Tra gli altri, i Signoracci mummificarono Antonio Segni («dovemmo adattarci a lavorare su una porta messa in piano»), Pietro Nenni, Romolo Valli, Paolo Stoppa e Martin Balsam, l’attore che in Psycho impersona l’investigatore privato ucciso da Norman Bates. Cesare, il più esperto, capotecnico dell’obitorio: «L’imbalsamazione è opera di altissimo artigianato, bisogna esserci portati. Ci vuole amore. A tutti noi Signoracci piace tanto imbalsamare i morti. Servono grande precisione, molta applicazione, profonda conoscenza del corpo umano, rispetto per la salma, pazienza biblica». Massimo Signoracci: «Quasi nessun italiano richiede l’imbalsamazione. Da noi non c’è il culto dei morti».

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Mao Zedong


Più che il culto dei morti è stato il culto della personalità a portare alla mummificazione di Abraham Lincoln, il 16esimo presidente americano, nel lontano 1865. Lincoln può essere considerato il primo di una lunghissima schiera. Oggi il corpo di Mao Zedong è esposto nel mausoleo in piazza Tienammen a Pechino. Tra gli ex dittatori comunisti mummificati ci sono anche il bulgaro Georgi Dimitrov e il cecoslovacco Klement Gottwald. Oscura, invece, l’imbalsamazione dell’ex dittatore filippino Ferdinand Marcos: il corpo fu esposto dalla sua famiglia, ma molti sostengono che si tratti solo di una statua di cera. Un capitolo a parte meriterebbe la vicenda del corpo imbalsamato dell’argentina Evita Perón: esposto per due anni, poi scomparso a seguito del colpo di stato militare del 1955, infine ritrovato nel 1971, in una cripta a Milano.
La mancata imbalsamazione del corpo di Hugo Chávez, annunciata alla sua morte ma poi risultata impossibile viste le condizioni del cadavere, è apparsa come una beffa, l’ultimo segno degli ideali rivoluzionari traditi. «Sarebbe stato necessario trasferire il corpo in Russia per 7/8 mesi», spiegò nel marzo 2013 il ministro della Comunicazione venezuelano Ernesto Villegas. Così come la cremazione del corpo di Fidel Castro, di cui il 25 novembre ricorre il primo anniversario della morte, è apparsa come un segnale di cambiamento delle tradizioni, fa pensare che non è più il tempo delle mummie rivoluzionarie.


A meta agosto le Ferie di Augusto che diventa la festa dell'assunzione in cielo di Maria!

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Come al solito i cristiani si imposessano delle feste imperiali e così le ferie di Augusto diventa il giorno dwll'assunzione in cielo di Maria madre e vergine..........di per se il cristianesimo si è impossessato di tradizioni altrui facendole diventare feste slegate dal buon senso!
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