mercoledì 29 luglio 2020

Italia rappresentata come la stella di Venere( in realtà è un pianeta che brilla di luce riflessa del sole)

La Repubblica Italiana, storia e significati dell'emblema istituzionaleLa Stella d'Italia, conosciuta popolarmente come Stellone, è una stella bianca a cinque punte che da molti secoli rappresenta la terra italiana. È il più antico simbolo patrio italiano, risalente all'antica Grecia quando Venere, come stella della sera, fu associata con l'occidente e quindi con la penisola italiana, una delle cui denominazioni era Esperia, ovvero "terra di Espero, l'astro della Sera consacrato a Venere".
Da un punto di vista allegorico, la Stella d'Italia rappresenta metaforicamente il fulgido destino dell'Italia.
Il suo valore unificatore è pari a quello della bandiera tricolore italiana. Nel 1947 la Stella d'Italia è stata inserita al centro dell'emblema della Repubblica Italiana, che è stato disegnato da Paolo Paschetto e che è il simbolo iconico identificativo dello Stato italiano.
La Stella d'Italia è anche rievocata dalle stellette indossate sui colletti delle uniformi dei militari italiani e compare sulla polena delle navi della Marina Militare.
I Greci distinguevano tra la stella del mattino Φωσφόρος (Phosphoros) e la stella della sera Ἕσπερος (Hesperos); tuttavia, nell'epoca Ellenistica si comprese che si trattava dello stesso pianeta. Hesperos fu tradotto in Latino come Vespero e Phosphoros come Lucifero ("portatore di luce").
Anche i Babilonesi associavano il pianeta Venere ad una dea dell'amore e della sensualità, Ishtar, che però era anche associata alla guerra.
Uno dei simboli ad essa associato era la Stella ad otto punte, che appunto era raffigurazione di Venere, ovvero l'astro più luminoso tra tutte le stelle, inferiore solo al Sole e alla Luna per luminosità.
Il simbolo della stella a otto punte rievoca il fatto che il pianeta Venere ripercorre le stesse fasi in corrispondenza di un ciclo di 8 anni terrestri, cosa già ampiamente conosciuta agli astronomi/astrologi sumeri.

Due religioni che nel IV sec si equiparavano per i numero di fedeli

Ebbe a dire Renan: "Se una malattia mortale avesse colpito il cristianesimo oggi il mondo sarebbe Mithracista".
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La Stirpe, la Famiglia, la Religione con i suoi Riti e lo Stato unito alle regole spirituali ed etiche, il Diritto.
Tutto ciò non dimenticando il mondo agreste concepito come era una volta, la casa come focolare e non come rifugio come avviene oggi. Tutto questo deve fare parte di un Ordine Cosmico e l'Uomo deve farne parte come membro di una Stirpe in cui il fondamento cardine deve essere il "focolare" che si perpetui tra generazioni.
Pino Boi

Odd Nerdrum

After the Flood”: Odd Nerdrum Exhibiting New Paintings in Los Angeles
Pittura, ribellione e mitologia
Classe 1944, norvegese Odd Nerdrum è protagonista di una pittura che non risponde alle regole del tempo e dello spazio.
I temi e il lavoro lo stile di Nerdrum riguardano la storia e narrazione, mentre le influenze primarie di pittori come Rembrandt e Caravaggio hanno posto la sua opera in diretto conflitto con l’astrazione e con l’arte concettuale...

Una chiesa nel Colosseo?

Carlo Fontana: il Colosseo come non l'avete mai visto (ma avreste potuto  conoscerlo) - Il Messaggero Italiano
Carlo Fontana, allievo di Bernini, elaborò nel 1696 un progetto per la costruzione di un Santuario dedicato ai Martiri Cristiani situato proprio all'interno dell'arena.
L'edificio non fu mai realizzato ma il plastico che ne riproduce l'aspetto, prodotto nel 2016, è esposto oggi lungo il percorso della mostra permanente #IlColosseosiRacconta allestita al II ordine dell'anfiteatro.

martedì 28 luglio 2020

La Signora degli animali vicina a Reitia dea dei Veneti

 Potnia Theron - Signora delle fiere o Signora degli animali
 
Potnia Theròn (termine che deriva dal greco Ἡ Πότνια Θηρῶν, ovvero Signora degli animali) è un epiteto adottato per la prima volta da Omero («… Signora delle belve, Artemide selvaggia …] per descrivere una caratteristica di Artemide e successivamente impiegato per definire molte divinità femminili legate agli animali sui quali esse erano in grado di esercitare il loro potere.
Sono state elaborate ipotesi sulla presenza, in periodo arcaico, di una religione originaria di impronta matriarcale, in cui le figure femminili legate a un culto della Dea Madre fossero predominanti.
Il principio matrilineare, che l’antropologo svizzero Johann Jakob Bachofen riconobbe in un primo momento presso l’antico popolo anatolico dei Lici, originò una società matriarcale, predisposta alla tolleranza e alla pace. Questa società, principalmente agricola, si espresse sul piano religioso, con un’iconografia associata spesso a figure divine quali le Dee-madri e le divinità lunari. Bachofen raccolse meticolosamente tutte le manifestazioni che caratterizzarono questo periodo da quello che, successivamente, secondo il filosofo Julius Evola, lo avrebbe soppiantato, vale a dire il patriarcato….
"Come la sua danza e la sua bellezza
appartengono al fascino e allo splendore
della libera natura, così anch’ella è
intimamente legata con tutto ciò che
vive, con gli animali e le piante.
Artemide è la Signora delle belve feroci,
ma corrisponde pure allo spirito della
natura che ella si prenda cura di loro
come una madre, per poi giuliva
cacciatrice inseguirle col suo arco.
Walter Otto, Gli Dei della Grecia, 1929"

I labirinti scomparsi di RomaCatt

Labirinto di Castel Sant'Angelo

Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta dello spettacolare ed enorme labirinto pavimentale che si trova all'interno della Cattedrale di Chartres, in Francia. Il fascino che esso suscita nel visitatore è innegabile. Per questo motivo talvolta, anche laddove il labirinto scomparve, come nel caso di quello presente nella cattedrale di Amiens, esso venne ricostruito e riprodotto fedelmente all'originale, in tempi moderni.
In Inghilterra, le grandi cattedrali gotiche non hanno labirinti pavimentali; l'unico caso noto è quello della Cattedrale di Ely, che è stato realizzato nel 1870. Si tratta, perciò, di un labirinto abbastanza moderno, come moderni sono i labirinti che sono stati recentemente realizzati al centro del chiostro della Cattedrale di Norwich (2002) o nel cortile erboso davanti la Chiesa di San Giovanni Battista a Glastonbury (2007). C'è stata, dunque, una precisa volontà di dotare queste chiese di un labirinto, e in ciascuno di questi siti ne vengono elogiate le caratteristiche simboliche.
Pochi sanno, purtroppo, che in Italia si è seguita la procedura del tutto opposta; che due delle più belle basiliche di origine medievale, situate in Roma, avevano dei bellissimi labirinti pavimentali, spariti per sempre
È soltanto una fortuna, dunque, che entrambi i labirinti siano stati documentati nel passato, prima della loro "rimozione", e che ne esiste una raffigurazione in un articolo inserito negli "Annales Archeologiques", una pubblicazione francese a carattere archeologico, redatta annualmente, dal 1844 al 1881, con grande cura, da Ainé Didron, segretario dell'"Ancien Comité Historique des Arts et Monuments", e continuata da Édouard Didron.

Labirinto San Vitale a Ravenna
Stiamo parlando dell'articolo apparso nel n° 17 di questi "Annales" (1857), a firma di Julien Durand, intitolato "Les pavés-mosaïques en Italie et en France". Una tavola illustrata, precedentemente realizzata dal curatore della pubblicazione, Édouard Didron, contiene le riproduzioni fedeli di quattro labirinti italiani: quello della Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma, quello della Chiesa di Santa Maria in Aquiro, sempre a Roma, quello della Basilica di San Vitale, a Ravenna e quello presso il Duomo di San Martino, a Lucca.

Cattedrale San Martino Lucca, labirinto inciso nel pilastro esterno

L'esemplare del labirinto di Santa Maria in Trastevere era stato già segnalato da Giovanni Ciampini nel secondo volume dell'opera "Vetera Monimenta" (1690), mentre l'archeologo Barbier de Montault ne aveva fatto realizzare una fedele riproduzione a colori da una pittrice inglese chiamata Cautley, il cui nome di battesimo non ci è però giunto.

Il labirinto scomparso in Santa Maria in Aquiro a Roma

Secondo queste testimonianze, il labirinto, che aveva un diametro di circa 3m e 33 cm, si trovava nella navata laterale, vicino la sacrestia. Era una composizione a mosaico, formata da tante piccole tessere di colori differenti, con un disco di porfido centrale. Come si deduce dall'immagine riprodotta, che il Durand trasse certamente dall'opera di Barbier de Montault, il labirinto era stato già seriamente danneggiato ed un restauro maldestro ne aveva fatto perdere l'andamento originario. L'archeologo Rodolfo Lanciani, nella sua opera "Roma Cristiana e Pagana" (1892) cita questo labirinto e precisa che esso venne "distrutto durante il restauro del 1867".
Il labirinto di Santa Maria in Aquiro, più piccolo dell'esemplare precedente, questo labirinto aveva un diametro di circa un metro e mezzo, ed era composto di fasce marmoree alternate di colore giallo e verde, con un disco centrale di porfido scuro. Esso si trovava sicuramente ancora al suo posto nel 1846, secondo quanto afferma lo stesso Durand: "La chiesa di Santa Maria in Aquiro è moderna – annota Durand nel suo articolo – ma vi si trovano moltissime tessere di «Opus Alexandrinum» che provano che essa ha conservato qualche frammento dell'antico pavimento di cui il labirinto faceva certamente parte. Questo labirinto io l'avevo copiato nel 1846, a Roma, e M. Didron ha fatto incidere il mio disegno sulla tavola raffigurata in questo articolo."
Attualmente nello spazio davanti l'altare c'è un disco di porfido incastonato nel pavimento marmoreo: forse è l'ultima traccia rimasta dell'antico e sicuramente splendido labirinto che una volta ornava la chiesa. Entrambi i labirinti furono probabilmente rimossi all'inizio del XX secolo, nel corso di alcuni restauri.

Il labirinto scomparso in Santa Maria in Trastevere a Roma
Con tutto il rammarico per i due labirinti spariti, è invece piacevole costatare che un altro labirinto pavimentale, sempre nella città di Roma, si è conservato e tramandato fino a noi, anche se la sua realizzazione è molto più posteriore.
Si tratta di un labirinto che si trova all'interno di Castel Sant'Angelo, sul pavimento della stanza del tesoro al piano superiore. Lo schema è parzialmente coperto da un enorme forziere ed altri oggetti di arredo che riempiono la stanzetta, la quale, inoltre, può essere osservata solo affacciandosi dall'ingresso, perché un cordone ne proibisce l'accesso.
Le volute del labirinto sono realizzate nel pavimento di colore giallo chiaro da file di mattoni di colore più scuro, sull'arancione, e si deduce che è uno schema classico composto di almeno otto spire.
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lunedì 27 luglio 2020

Biga alata



Platone, le tre anime dell'uomo e le loro virtù – Le curiosità di Sophia
Si immagini l’anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga. I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l’auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d’ugual specie, l’altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta (Platone; Fedro).
Riconosci il sé come il viaggiatore in un carro. Il corpo è il carro. L’intelletto è il cocchiere, la mente (…) le redini. I sensi, così si dice, sono i cavalli; gli oggetti dei sensi sono il terreno; l’insieme di sé, mente e sensi i saggi chiamano ‘colui che prova piacere’. I sensi di colui che non comprende, la cui mente è instabile, sono controllati come cavalli bizzarri. Ma i sensi di colui che comprende, la cui mente è stabile, sono ben controllati come cavalli docili (Kaṭha upaniṣad).

martedì 21 luglio 2020

Giro giro tondo.........

Dervisci Rotanti Tickets - TicketOne
Riguardo la tecnica dei dervisci rotanti, scrive Vâlsan:
«[...] bisogna distinguere due fasi: una è quella della rotazione attorno ad un asse esterno a sé, mentre l’altra, che le fa seguito, è quella della rotazione attorno a se stessi. La prima insomma corrisponde ai giri rituali intorno ad un centro di pellegrinaggio [...]. Nella seconda fase, si gira su se stessi, cioè intorno ad un asse interiore che si identifica d’altronde con l’Asse del Mondo. Questo asse non è che la proiezione verticale del Sé Universale nell’essere individuale, e il movimento rotatorio intorno ad esso equivale a un avvicinarsi a Sé e ad un assumere coscienza di Sé in modo sempre più effettivo. Alla sosta che sopraggiunge e che appare come una specie di passaggio al limite di questo movimento accelerato dovrebbe corrispondere, nell’ordine intuitivo, un’illuminazione [...]; se vi è allora nel «ruotante» una perdita totale di coscienza, c’è estinzione» (Michel Vâlsan; Sufismo ed Esicasmo. Esoterismo islamico ed esoterismo cristiano, pp. 188-189).

Il tempio dedicato ad Artemide ad Efeso, una delle sette meraviglie del mondo antico



A voler dar credito allo scrittore greco Plutarco, nel lontano 356 a.C due avvenimenti importanti accaddero la notte del 21 luglio. A Pella, in Macedonia, nacque un bambino che avrebbe poi conquistato una fama immortale, uno dei più grandi imperatori dell’atichità, Alessandro Magno. 

Quella stessa notte, al di là del Mar Egeo, nella colonia greca di Efeso (nell’attuale Turchia) un uomo qualunque era deciso a conquistare l’immortalità. 
Per raggiungere il suo scopo non trovò di meglio che dare fuoco a una delle sette meraviglie del mondo antico, il Tempio di Artemide a Efeso. Addirittura, coloro che lo avevano visto ne parlavano come la più grande delle sette meraviglie, impressionante per le sue dimensioni e per la suggestiva collocazione tra la città e il mare.

Il tempio dedicato alla dea Artemide, detto anche Artemision, era forse l’edificio più grande dell’epoca: secondo lo scrittore di viaggi Pausania superava “tutti gli edifici tra gli uomini”. In effetti, era praticamente grande il doppio del Partenone di Atene, con i suoi (circa) 125 metri di lunghezza e 66 di larghezza, e con le 127 colonne di marmo alte più di 18 metri, a formare due file intorno alla cella dove era custodita la statua lignea della dea.
Per costruirlo, secondo Plinio il Vecchio, c’erano voluti 120 anni, ma la storia del tempio è in realtà molto più lunga. Nel VII (o forse nell’VIII) secolo a.C. era stato eretto un tempio più semplice dedicato ad Artemide, in un luogo all’aperto già sacro alla dea. Poi, durante il regno di Creso (re della Lidia), che aveva conquistato Efeso, iniziarono i lavori di edificazione dell’Artemision, all’incirca intorno al 550 a.C. Pare che il ricchissimo sovrano abbia finanziato in parte la costruzione del tempio, che è conosciuto anche come “tempio di Creso”.
Era talmente bello e imponente l’Artemision di Efeso, che sembrava impossibile fosse opera solo degli uomini. Gli Efesî credevano che senza l’intervento della dea gli enormi blocchi degli architravi (del peso stimato di circa 24 tonnellate ciascuno) non sarebbero mai stati portati così in alto, a sormontare le splendide colonne decorate con figure a rilievo.
Secondo il poeta Pindaro invece, forse per il fregio decorativo dov’erano raffigurate scene con le Amazzoni, il tempio era stato costruito addirittura dalle leggendarie donne-guerriere, che cercavano rifugio a Efeso durante i loro scontri con Eracle.
Insomma, una meraviglia senza uguali secondo Antipatro di Sidone:
“…tranne l’Olimpo, il Sole non ha ancora mai contemplato nulla di simile”
Quella notte del 21 luglio la dea Artemide (che a Efeso era venerata soprattutto come dea della fertilità), secondo Plutarco, era troppo impegnata ad assistere alla nascita di Alessandro per accorgersi che la sua magnifica casa di Efeso andava a fuoco.
Per giunta per mano di un uomo insignificante di nome Erostrato, un pastore alla ricerca di una fama imperitura, che pensò bene di procurarsela incendiando il grandioso tempio, dove il fuoco arse senza fatica per la trabeazione in legno, forse a partire proprio dalla statua della dea.
Gli Efesî condannarono a morte l’empio piromane, ed emanarono anche un divieto: il nome di Erostrato non doveva essere ricordato per nessun motivo, proprio per negargli la soddisfazione di aver raggiunto il suo infame scopo.
La damnatio memoriae non riuscì, perché lo storico Teopompo, che visse alla corte del padre di Alessandro Magno, ne tramandò il nome, così come il geografo Strabone e un paio di autori romani. Tanto che da lui deriva il termine erostratismo, ovvero la “patologica ansia di sopravvivere nella memoria dei posteri“. Il pastore greco in cerca d’immortalità è quindi riuscito nel scopo, visto che ha ispirato, fra gli altri, autori come Jean-Paul Sartre, Alberto Moravia e Fernando Pessoa.
Il Tempio di Artemide invece non è sopravvissuto alla furia del tempo e degli uomini. Fu ricostruito con la stessa magnificenza dell’originale nel III secolo a.C. a spese degli Efesî, che rifiutarono l’aiuto economico di Alessandro Magno. L’imperatore macedone voleva che il suo nome comparisse in un’iscrizione sul tempio, ma i cittadini di Efeso trovarono una buona scusa per non accettare: era ingiusto che un dio (come veniva considerato Alessandro) presentasse dei doni a un altro dio…
Nel 267 d.C. il tempio venne nuovamente distrutto, questa volta dai Goti, e nuovamente ricostruito, o forse restaurato, finché nel 401 fu raso al suolo, forse da una folla di cristiani che obbedivano agli ordini dell’arcivescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo.
Della più grande tra le sette meraviglie del mondo antico oggi rimangono solo le fondamenta e una solitaria colonna composta con vecchi resti, che lungi dal ricordare la magnificenza di un tempo sembra piuttosto il simbolo di un malinconico abbandono.