giovedì 30 gennaio 2014

Napolitano un personaggio equivoco al Qurinale.....

Giorgio Sorial e la "lesa maestà" nei confronti di Giorgio NapolitanoNESSUN COMMENTO:


Giorgio Sorial, il deputato del Movimento 5 Stelle che da del “boia” a Giorgio Napolitano:
Chi è Sorial, il deputato grillino che ha attaccato il capo dello Stato
Cos’è, una bestemmia dare del “boia” a Napolitano?
E se è una bestemmia perché non si prova a contestualizzarla?
Altrimenti detta: in questo paese si possono contestualizzare solo le bestemmie di Berlusconi?
C’è bestemmia e bestemmia, monsignor Fisichella ‘contestualizza’ il Berlusconi blasfemo
Ecco, se non è una bestemmia  allora proviamo a contestualizzarla: ad esempio, alla luce del capitolo I segreti di Napolitano (pp. 7-60) del libro I PANNI SPORCHI DELLA SINISTRA, di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara:
 
Qui, troviamo interessanti riferimenti storici e documentali a quanto, sul conto di “Re Giorgio”, ha sempre detto un politologo come il prof.Gianfranco La Grassa (a cominciare dal profilo sinistro del viaggio di Napolitano negli Usa nel 1978, quello effettuato durante il sequestro Moro).
Citiamo dal libro di Pinotti e Santachiara il seguente passaggio:
“Napolitano dunque si trova negli Stati Uniti mentre Aldo Moro è prigioniero (il suo corpo verrà ritrovato in via Caetani il 9 maggio 1978)”.
tratto dal paragrafo emblematicamente intitolato
Un accordo tra Cia e Pci nei giorni del sequestro Moro?.
In esso, leggiamo (pp. 49-50):
“Mentre Napolitano rilascia interviste al « Washington Post » e alle principali reti televisive, il dramma del rapimento Moro è in corso. Che tipo di consultazioni ha sul tema Napolitano con i massimi esperti americani di strategia? Sta forse definendo con loro la linea del Pci? Cosa avviene in quei giorni drammatici?
La Procura di Roma ha acquisito nel settembre del 2013 la cassetta dell’intervista di Giovanni Minoli a Steve Pieczenik, esperto di terrorismo, già consulente del Dipartimento di Stato americano nel 1978. Pieczenik, inviato in Italia subito dopo il sequestro, avrebbe indirizzato l’azione delle autorità italiane nella direzione voluta dagli americani, contrari alla trattativa, che ritenevano «necessario il sacrificio di Moro»".
Tra i tanti pezzi di La Grassa, si veda il seguente:
LETTERINA (INUTILE) A SALLUSTI, di GLG 8 ott. ‘13
Il prof. Gianfranco La Grassa
 Gianfranco La Grassa:
“Siete sempre stati incoerenti verso il presdelarep; alternativamente, avete sostenuto che non ci si poteva fidare di lui perché era ancora un comunista, poi lo blandivate dicendo che era il campione della saggezza e moderazione contro i “cattivi” del Pd e i magistrati restati pervicacemente “rossi”.
“Siete stupidi. Questi magistrati hanno iniziato quel percorso, poi sempre seguito con ferma coerenza, nel preciso momento in cui crollavano il “campo socialista” e subito dopo l’Urss, in cui il Pci cambiava nome, ecc. E Napolitano, per conto del Pci, cominciò a contrattare il cambio di campo del partito circa 40 anni fa; quindi è in Italia il personaggio di cui l’attuale potenza egemone più si fida”.
Ma si veda anche l’articolo, ispirato dalle riflessioni di La Grassa, diRoberto Buffagni
 Un’ipotesi sul ruolo del PCI nel caso Moro di Roberto Buffagni
Roberto Buffagni:
“ ... il PCI poteva benissimo, visto il suo controllo sui propri militanti (un controllo così radicato che continua ancor oggi, nonostante tutto) dire una cosa e farne contemporaneamente un’altra, cioè attivarsi: con tutto il proprio peso politico sulla DC e sulle strutture dello Stato, con le proprie strutture segrete e con i suoi contatti informali sugli ambienti contigui alle BR e sulla malavita organizzata per trovare e liberare Moro; e non solo non lo fece, ma tutta la sua linea politica mise in primo piano la ragion di Stato, che condannava a morte Moro, in secondo o terzo piano il ritrovamento dell’ostaggio; e soprattutto mai prese in considerazione, ma anzi si adoperò per silenziare, le ragioni politiche che giustificavano la trattativa: quelle che tentarono di introdurre nel dibattito sia Moro con le sue lettere dal carcere, sia Craxi con la sua azione. Su questa posizione del PCI non c’è dubbio alcuno. Perché fu adottata?
“Credo per questo motivo: che le fazioni del PCI in contatto con le fazioni USA intese a cavalcarne e guidarne il trasferimento nel campo occidentale, si accordarono sulla linea della fermezza che conveniva, per diverse ragioni, ad entrambi: così stipulando, per così dire, il primo vero e proprio contratto-quadro politico organico”.
 
Napolitano durante il viaggio negli Usa del 1978

Ma quella finora trattata non è certo l'unica contestualizzazione possibile: l'operato di Napolitano nella sua qualità di ministro dell'Interno ha sollevato interrogativi non meno inquietanti. Che dire ad esempio, della segretazione degli armadi compromettenti del Viminale?
Lo stato italiano: stragista dei suoi cittadini e bombardatore dei vicini
Aldo Giannuli:
“Si capisce quindi l’imbarazzo, pochi mesi dopo, quando scoppiò la questione dell’archivio irregolare della Via Appia in cui erano custodite le carte degli Affari Riservati. Napolitano rassicurò l’opinione pubblica che tutto sarebbe stato chiarito e ne sarebbe stata data completa informazione. A questo scopo, nominò una commissione di inchiesta amministrativa che, fra l’altro, ascoltò pure chi vi parla. La commissione ci impiegò diversi mesi e, alla fine, stese una lunghissima relazione che il Ministro inviò tempestivamente in Commissione Stragi. Ma, la relazione venne segretata e per la sua consultazione vennero adottate misure senza precedenti”.
 
Il cadavere di Aldo Moro a via Caetani

E che dire delle implicazioni istituzionali, che chiamano in causa il predetto ministro, riguardanti la Terra dei Fuochi?
Napolitano era ministro dell’Interno all’epoca delle rivelazioni di Schiavone sulla Terra dei fuochi nascoste per vent’anni
“Sulla sua pagina di Facebook il Dott. Antonio Marfella, componente del Coordinamento Comitati Fuochi e dei Medici per l’Ambiente (ISDE) Campania, scrive parole di dolore e di enorme tristezza: “Scoprire che Giorgio Napolitano era il Ministro dell’Interno all’epoca delle dichiarazioni segretate di Schiavone è una notizia che mi da un dolore profondo, insopportabile, veramente una pugnalata in petto… Ve lo giuro… Non me lo aspettavo…””.
 
 
Sui segreti di Stato riguardanti la Monnezza Napoletana si tenga presente anche il video con le dichiarazioni dell’ex assessore all’Ambiente della Regione Campania Walter Ganapini:
20 anni dalla morte di Falcone e Borsellino: il terzo livello esiste, eccome!
“Certamente quell’oggetto [la monnezza] è un mistero della Repubblica…perché Prodi si sia assunto le responsabilità che si è assunto ancora non è chiaro…”. 
Napolitano e Prodi quando erano rispettivamente ministro dell'Interno e presidente del Consiglio

Inquietante, direi. Ma chissà quante altre contestualizzazioni si potrebbero fare su un professionista della “Ragion di Stato” – e dalla carriera praticamente “infinita” – come Giorgio Napolitano. E allora, per tornare al discorso iniziale, è così scandaloso far osservare, come ha fatto il deputato Sorial, che la politica incarnata da Napolitano tende ad essere distruttiva non solo nei confronti degli avversari politici ma pure nei confronti della nazione stessa?
In ogni caso, se il termine “boia” è eccessivo per il presidente della Repubblica, mi sembra invece pienamente appropriato per il suo grande amico Henry Kissinger.
Su questo punto, rimando al post
John Pilger: le complicità dell'occidente con Pol Pot
John Pilger:

È altamente improbabile che Pol Pot avrebbe conquistato il potere se il Presidente Richard Nixon e il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Henry Kissinger, non avessero attaccato la neutrale Cambogia. Nel 1973, i B-52 sganciarono più bombe nel cuore della Cambogia di quante ne vennero sganciate sul Giappone durante la seconda guerra mondiale: l’equivalente di cinque Hiroshima. Vi sono dei file che rivelano che la CIA aveva pochi dubbi sulle conseguenze. “[I Khmer Rossi] stanno usando i danni fatti dai bombardamenti dei B-52 come tema principale della loro propaganda”, riferiva il direttore delle operazioni il 2 maggio 1973. “Quest’approccio ha provocato il riuscito arruolamento di un certo numero di giovani [ed] è stato efficace con i rifugiati”.  
“Prima dei bombardamenti, i Khmer Rossi erano stati un culto maoista senza base popolare. I bombardamenti fecero da catalizzatore. Quello che Nixon e Kissinger avevano iniziato, venne completato da Pol Pot. Kissinger non sarà sul banco degli accusati a Phnom Penh. Lui fa il consulente di Obama per la geopolitica. Né vi sarà Margaret Thatcher, e neppure un certo numero di suoi ministri e funzionari ora in pensione che, sostenendo segretamente i Khmer Rossi dopo che i vietnamiti li avevano cacciati, contribuirono direttamente alla terza fase dell’olocausto cambogiano”.

Napolitano con Kissinger
 

Un volto magnetico

Gli egizi fissano l'estetica, la bellezza prende forma, legata indissolubilmente all'armonia
 supera le limitazioni legate alla temporalità e lancia l'uomo verso l'eternità infinità.
Fissate questo volto e sarete trasportati .........osservatene anche i dettagli: inquietante



Civiltà egizia, Nuovo Regno, XVIII Dinastia. Sarcofago di Tuya a casse in legno dorato. Particolare del volto.

Il sapere codificato nelle fiabe

Centro Studi Ricerche Culturali di Prato

Antonio Roberto Ricasoli

LA FIABA METAFORA DI VITA



Nel 1893 A. L Bancroft nella sua opera Le Razze native - Miti e linguaggi scriveva: "il linguaggio è pensiero incarnato; la mitologia (fiaba) è l'anima incarnata. L'uno è strumento del pensiero, l'altra ne è l'essenza". Quindi più l'anima è semplice, più semplice deve essere il suo linguaggio.
In tal senso le fiabe sono rivolte prevalentemente ai bambini, sia come momento formativo sia per trasmettere loro i valori etici e morali dell'uomo (onestà, altruismo, rispetto della parola data, ecc). Il bambino, che ha la necessità di mettere ordine al suo caos ulteriore, vive le verità morali contenute nelle storie fantastiche metabolizzandole e facendole proprie. Non è quindi un caso se a lui piace riascoltare, senza mai stancarsi, la stessa fiaba perché questa viene vissuta come una esperienza diretta, un mistero che ogni volta si svela, continuando a dargli la confidenza, la fiducia e la sicurezza che ad ogni buon agire corrisponde un premio, così come ad ogni cattivo agire un castigo. […]

Le fiabe si perpetuano nel tempo e non riflettono le tematiche individuali di un autore, ma vanno al di là dei confini geografici e temporali coinvolgendo tutto l'”essere uomo". Esse vengono da lontano, da talmente lontano che la loro origine si perde nel tempo fino all'attribuzione ad una divinità, cosa che, pur se storicamente falsa, rispecchia bene la diffusione e il radicamento che queste storie fantastiche hanno nella cultura popolare collettiva. Non solo; la fiaba si compenetra e si interseca inesorabilmente con l'elemento della tradizione rituale e religiosa, per secoli trasmessa attraverso la tradizione orale. […]

La fiaba, il racconto, la storia, avevano un loro ben preciso posto nella trasmissione del patrimonio culturale popolare ed il momento in cui il villaggio si raccoglieva attorno ai narranti era l'apice della vita intellettuale e conoscitiva della società. La fabulazione era considerata fino a tutto il XVII secolo una nobile forma di attività per adulti. Solo l'illuminismo settecentesco e l'esasperato culto del razionalismo cacciarono l'immaginario ai confini della vita intellettuale. Non c'era più spazio per le chimere e le illusioni, il passato era visto come un tunnel oscurato dall'ignoranza e dalla superstizione e solo il futuro rappresentava il lume della ragione. In tal modo, ma solo apparentemente, la fiaba decadde fino a diventare un innocuo passatempo per bambini o anziani. Come dice Carlos Castaneda ne II Fuoco del Profondo, l'uomo sembra "aver voltato le spalle al mondo dei presentimenti e della gioia per dare il benvenuto al mondo della noia”, affermando con ciò come la ragione non vada certamente abbandonata ma che sarebbe un grosso errore farne l'unica unità di misura per comprendere la realtà.


UN MONDO MAGICO E SENZA TEMPO

Le fiabe solitamente iniziano con "c'era una volta" e terminano con "e vissero felici e contenti". L'inizio è quindi fuori dal tempo in un mondo e in una dimensione che il compianto amico e collega dottor Piero Cassoli chiamava "Magonia" e la fine è, come la morte, inevitabilmente aggiustatrice (nel bene) di tutta la storia. Tra l'inizio e la fine ci sono tutti gli eventi della vita: amore e odio, gioie e tristezze, esperienze di tutti i generi comprese le più fantastiche. In mezzo alle due certezze (inizio e fine - nascita e morte) c'è in definitiva un "tutto" da costruire, una logica da seguire, una "magica realtà" che a ben vedere anche la vita più scialba offre. La fiaba lascia da parte sia le leggi fisiche sia le consuetudini e apre delle finestre in un mondo dove tutto è possibile, un mondo dove l'assurdità diventa coerente, fuori dal tempo ordinario poiché la cronologia assume un carattere elastico e non canonizzato.

Attraverso contenuti simbolici e archetipici la fiaba proietta la mente in un mondo misterioso e fantastico, in una dimensione parallela a quella del comune agire dove i personaggi sono svincolati dai limiti della logica. Quando il Principe "va infondo al mare per recuperare l'anello perduto e così poter sposare la Principessa", nessuno si chiede: "come fa ad andare in fondo al mare?", "perché l'anello è in fondo al mare?", "come si fa a trovare un anello in fondo al mare?". L'eroe della fiaba è colui che deve raggiungere uno scopo attraverso un percorso sempre ricco di ostacoli, ma che inevitabilmente lo porterà ad essere o a scoprire un qualcosa di esaltante: il povero che ama, riamato, la principessa, diventerà dopo tante peripezie re; il trovatello che subisce le angherie a causa del suo status scoprirà, alla fine, di essere figlio del re; il brutto, perché diverso, anatroccolo, sarà in realtà un cigno e come tale scoprirà di essere più bello di coloro (semplici anatroccoli) che lo dileggiavano.



Illustrazione di John Bauer del 1914 per la fiaba L'anello di Helena Nyblom


Per capire come le fiabe siano immerse in una dimensione diversa da quella del vivere comune riportiamo quanto scrive J. M. Barrie in Peter Pan nei giardini di Kensington descrivendo le "case delle fate": "esse non si vedono di giorno perché sono del colore della notte; ciò non vuoi dire che sono nere perché la notte ha i suoi colori proprio come il giorno e non risulta che qualcuno abbia visto la notte di giorno". L'elemento magico della fiaba fa sì che tutto sia grandioso, esasperato, esagerato e non solo nei personaggi (l'orco è enorme, il bambino è piccolissimo, la strega è bellissima o bruttissima) ma anche nei sentimenti e nelle passioni; così vediamo che l'amore è adorazione senza remore, l'odio non ha confini, la lealtà è eterna, ecc. La fiaba inoltre non deve lasciare desideri di vendetta o comunque sentimenti forti o violenti; tutto deve trovare la sua giusta collocazione, tutto si deve "sciogliere" per giungere a ciò che J. R. R. Tolkien chiama "eucatastrofe" cioè "catastrofe buona", nel senso di gioioso capovolgimento della situazione.

MORTE, SONNO E CIBO

Nella fiaba classica ci sono lotte che possono essere cruente e dolorose e la morte non è mai nascosta (al contrario delle fiabe disneyane) ma, come l'eterna dannazione cristiana, essa colpisce solo i "cattivi": l’orco, il lupo, la strega. Il "fratello minore" della morte, il sonno, è un fattore importante e ricorrente della fiaba. Esso può essere lo stato dal quale un essere deve risvegliarsi, molte volte con un bacio, oppure uno stato dove andare per avere delle intuizioni, delle trasformazioni, oppure per accedere in un luogo o in una dimensione diversa ove incontrare qualcuno o qualcosa. Il sonno a volte serve anche per riposare e per trovare al risveglio una situazione diversa. In tal caso come non vedere la morte e la rinascita compensatrice?
Il sonno può essere infine visto come uno stato di stallo per meditare il da farsi; non a caso la Massoneria chiama "fratelli dormienti" o "in sonno" coloro che per un certo periodo sono assenti dalle attività dell'associazione.
Un altro elemento importante nella fiaba è il cibo, che può essere foriero di salvezza o di rovina come la mela avvelenata di Biancaneve. Una sorta di cibo è l'elisir", il filtro magico che dona l'amore e la cui più importante espressione (il bacio) può far diventare principe un rospo.

L'EROE

Nella fiaba Iskender l'immortale c'è scritto: "coraggioso è colui che accetta il pericolo, saggio colui che non lo sfida". L'eroe deve essere quindi sì coraggioso ma non incosciente. Egli non deve essere neppure un logico calcolatore o un fine stratega ma uno che, forte della propria onestà e purezza di intenti, possa salvare o trovare quello che si era preposto (principessa o tesoro) affrontando tutte le difficoltà (draghi, streghe, orchi, fuoco, acqua ecc.) che altro non sono che i simbolici problemi di ogni esistenza. Il cammino dell'eroe non è un gratuito percorso di sofferenza ma una preparazione, una maturazione per vivere pienamente e consapevolmente il finale, quel "vivere felici e contenti" assieme a ciò che si è amato e desiderato. Per rendere ancora più bella la conquista molte volte si presenta all'eroe, proprio quando tutto sembrava risolto, l'ultimo difficilissimo ostacolo. Quando cioè la meta è vicina e ci si aspetta il meritato premio, tutto sembra essere rimesso in discussione, come la storia di Ulisse che finalmente tornato ad Itaca s'imbatte nei Proci.

Terminiamo con le parole di Amadu-Hanpate Ba, una grande figura della cultura africana che così introduce un'antica fiaba iniziatica: "Per i bimbi che si divertono la notte, al chiaro della Luna, la mia è una storia fantastica. Allorché le notti della stagione fredda si distendono e si allungano nell'ora tarda in cui le filatrici sono stanche, il mio è un narrare di gradevole ascolto. Per gli uomini dalla lunga barba e dai talloni rugosi è storia vera, che molto insegna".

BIBLIOGRAFIA
Amadu-Hanpate Ba, Kaidara, Rusconi, Milano 1971.
Barrie J. M., Peter Pan nei Giardini di Kensington, Rizzoli, Milano 1991.
Castaneda C, II Fuoco del Profondo, Rizzoli, Milano 1985.
Propp V. J., Fonologia della Fiaba, Einaudi, Torino 1966.
Spina A., Per un ritratto di Crìstina Campo, Scheiwiller, Milano 1993.
Tolkien J. R. R., Albero e Foglia, Rusconi, Milano 1976.

Articolo di Antonio Roberto Ricasoli pubblicato su Il Giornale dei Misteri n° 419, settembre 2006

La Via del mondo incantato: la favola per educare gli uomini, il mito per raggiungere gli dei

Fin dai tempi più antichi l’uomo si è lasciato rapire dal mondo del fantastico, viaggiando tra mitologia, leggende e favole.
Ma, mentre nella mitologia si muovevano figure emblematiche, legate spesso alle divinità, nella favola, che è un po’ a cavallo tra temporalità e atemporalità, i protagonisti erano personaggi più vicini a noi, forse per rendere più comprensibile e veritiera la morale, che nascondeva.
“Fabula docet” dicevano i Latini.

La favola mette spesso in rilievo la duplice natura dell’uomo, quella più nobile, contro quella più malvagia, che viene quasi sempre sconfitta. 
Si concretizza il desiderio primitivo ed inconscio dell’uomo di evadere dal reale, collocando fatti ed eventi in una dimensione, in cui l’impossibile diventa possibile, senza distaccarsi, tuttavia, dai valori che governano la coscienza.
Ed ecco, quindi, che il buono trionfa sul cattivo, che il bene vince sempre sul male. 
E’ ciò che, nel proprio intimo, ognuno di noi vorrebbe vedere trionfare.


Renzo Rossotti

IL LINGUAGGIO DELLE FATE


Da Abstracta n° 7 (settembre 1986)



John Anster Fitzgerald, Fairies Looking Through A Gothic Arch (1864)



«...e poco prima che inizi il Duemila, le fate muteranno il linguaggio e si esprimeranno in suoni "compositi", come facevano già millenni addietro. Useranno cioè parole costruite insieme per esprimere un concetto».
Cosi scriveva il reverendo Robert Kirk, scomparso nel 1692, dopo essere stato pastore di anime in Gran Bretagna, ad Aber-foyle e a Balquedder. Fu uno dei "grandi investigatori" del mondo delle fate, del Sleagh Maith, definizione ampia che racchiude tutto il "piccolo mondo" dell'invisibile. Kirk, dunque, era convinto che le fate si sarebbero espresse con la "portmanteauword", un vocabolo britannico entrato nell'uso per indicare un termine composito, una 
parola-baule che ne comprende molte altre, per capirci. 

Che cosa sono le fate? Questo interrogativo riappare anche nel libro di Anthony Burgess La fine della storia e l'autore fa dire a uno dei personaggi la risposta che ha in mente: «Un qualcosa nel cervello che ti fa dire le bugie». Qualcosa di psicologicamente simile a un "leprechaun". folletto malizioso del folclore irlandese. Diciamo una "fata-morgana magica", esoterica, inesprimibile per chi non ci crede, come è inafferrabile. Le fate c'introducono nel mondo delle fiabe e ne spiegano il linguaggio che è già loro, forgiato spesso, se si va oltre il significato immediato del racconto, proprio su questo lessico-enigma, in un gioco di parole che pare costruito per iniziati. Che cosa si nasconde in una fiaba? Che cosa vogliono dire Cappuccetto Rosso e Il gatto con gli stivali

A produrre - non involontariamente è presumibile – il significato arcano delle favole, basato su simbolismi, su raffigurazioni "folli" soltanto in apparenza, fu Charles Dodgson, più noto come Lewis Carrol. Scrisse, per divertire alcune bambine che gli erano care, favole stravaganti, arricchendole di contenuti misteriosi. Così è possibile asserire che le avventure di Alice nel paese delle meraviglie oppure Attraverso lo specchio, rappresentano qualche cosa di enigmatico che può con tranquillità essere paragonato alle pagine di Joyce. Carrol, se non ne è addirittura l'inventore, certamente è un gran consumatore di "parole-baule" o di "parole-valigia", quel modo cioè di creare vocaboli, sfornare neologismi, inventare parole che gli anglosassoni hanno chiamato, dicevamo "portmanteauword".
È attraverso questo "materiale", a tali vocaboli, che si entra nella dimensione "fatata", ossia nel mondo delle fate dove vigono leggi diverse dalle nostre. Ha osservato Pietro Citati, proprio parlando di Alice che "di là" «non esiste il Peso, né il Numero, e la tavola pitagorica impazzisce. L'"io", del quale noi siamo tanto fieri, si perde, insieme a quel supremo simbolo della identità che è la memoria. Tutto viene rovesciato. Per raggiungere un luogo, dobbiamo voltargli le spalle: per restare fermi, dobbiamo correre; per arrivare in un punto, dobbiamo averlo già superato; e il tempo corre all'indietro, prima il futuro, quindi il presente, infine il passato». Questo il mondo trasfigurato di Alice. E quello delle fate è il medesimo. [...].

La lingua non combacia - e non deve necessariamente combaciare - con la realtà. Questo Carrol lo intese subito e sfruttò le capacità di trasformazione del linguaggio espressivo. Fra la "cosa", ad esempio una pietra o un pezzo di pane, e il vocabolo per dire, per definire questa "cosa", c'è un abisso incolmabile e lo scrittore giocò appunto sulla dissonanza tra l'oggetto e la parola.
«Giacché la lingua è arbitraria -per richiamare ancora un commento di Citati - egli poteva desumere dai suoni che ne formano la superficie un universo del tutto differente dal nostro. Bastava rispettare la lingua, come noi non facciamo... Così, per esempio, se in inglese i rami si pronunciano "bau ", essi abbaieranno "dietro lo specchio " e i fiori sonnecchieranno pigramente perché aiuola vale, in inglese, come "letto di fori"...»



Henry Meynell Rheam, Il bosco delle Fate (1903)



Da questo intrecciarsi di suoni, giochi di parole, nasce molto del significato della fiaba, il suo meccanismo con gli eterni personaggi. Peccato che si sia perso - che si trattò d'una edizione limitata a poche copie - un libretto stampato dall'editore Delachaux a Parigi nel 1949, intitolato appunto Le symbolisme des contes de fées, scritto da M. Loeffler. Un lavoro gustoso che sottolineava i tre significati essenziali di una fiaba: uno profano, uno sacro e uno riservato agli iniziati. Secondo Loeffler, i vecchi re fiabeschi rappresentano la "memoria del mondo", cioè l'inconscio universale. Le loro figlie, sposando giovani e valorosi principi, costituiscono un frammento dell'inconscio che "passa nella coscienza". Per spiegare i carri alati e le carrozze fatate, occorre riandare a credenze cabalistiche anteriori al Cristianesimo. Pollicino, secondo Loeffler, è l'espressione della "coscienza assoluta" e, addirittura, del "corpo astrale". I suoi fratelli incarnano qualità e facoltà dell'uomo. Siamo a un passo dall'esoterismo e la fiaba, una qualsiasi, si scolora in una filosofia misteriosofica.

Su questa scia ebbero influsso evidente Perrault e i Grimm. L'impronta pedagogica che i due fratelli riuscirono a dare alle fiabe ha fatto presa in misura maggiore, come forza di linguaggio e di persuasione, di quanta ve ne sia in Perrault. Sarebbe del resto impossibile non riandare al tessuto fantastico e ricco di significati, quasi da esserne traboccante, del Peter Pan di J. M. Barrie, considerato un capolavoro a tutti gli effetti, comunque ci si voglia porre davanti al fatto raccontato. Il lettore non può non sentirsi proiettato in una dimensione che supera di certo i confini della letteratura infantile. Il "sogno" di Barrie può far discutere quanto la sciarada di Lewis Carrol. Entrambi si servirono del "codice cifrato delle fate". Dopo la discesa sulla Luna, dopo la catastrofe del Challanger, l'uomo medita sulla soglia dello spazio e si pone le domande di sempre. C'è chi sostiene, disposto a giurarlo, che la contrapposizione tra i blocchi, la guerra di potenza, lo scontro bene-male, è in realtà la ripetizione millenaria e alchemica della spartizione di ciò che vediamo fra luce e non-luce. Diciamolo pure, lotta fra fate e streghe, anche sotto la minaccia dei missili, con la prospettiva di una rovina totale.

L' archeologia "fatata" non è solo di ieri. Da sempre si rinnova con sciarade sorprendenti fatte di luci e di suoni. Al termine del suo ponderoso saggio La vie et la mort des fées non scrisse forse Lucie Félix-Faure-Goyau che le fate ci accompagnano nel cammino e quasi «cadenzano il nostro divenire»? Ecco perché il loro linguaggio di ieri appartiene al più immediato futuro.


Stralcio dall'articolo di Renzo Rossotti Il linguaggio delle fate
pubblicato su Abstracta n° 7, settembre 1986 (Stile Regina Editrice)

lunedì 27 gennaio 2014

Ultimo pensiero della sera sul platonismo



Esisteva nel cristianesimo occidentale e nella realtà ecclesiale fino al 15 secolo la matrice platonica e neoplatonica che vide tra i principali esponenti Sant'Agostino, Scoto Eriugena, i padri alessandrini, i mistici renani(Eckhart, Suso, Taulero), Cusano e molti padri della chiesa greca come San Gregorio di Nissa ma credo che si sia del tutto estinta, perseguitata dalla fine del medioevo, è solo in tempi recenti che viene riconsiderata e studiata, forse rinascerà e così ritorneremo alle radice del pensiero Occidentale............

SCOPERTA IN EGITTO LA TOMBA DEL BIRRAIO DI MUT

Elizabeth Snodgrass

SCOPERTA IN EGITTO LA TOMBA DEL BIRRAIO DI MUT


La splendida tomba di un birraio dell'antico Egitto è stata trovata da un gruppo di lavoro giapponese sulla riva occidentale del Nilo, in una necropoli vicina alla Valle dei Re. I bei dipinti sulle pareti della sepoltura raffigurano scene di culto e di vita quotidiana di 3000 anni fa. La tomba apparteneva a Khonso Im-Eb, che era a capo dei depositi di grano e produttore di birra per il culto della dea madre egizia, Mut.

I ricercatori giapponesi, guidati da Jiro Kondo della Waseda University di Tokyo,avevano iniziato gli scavi ad El Khokha, vicino alle tombe reali della Valle dei Re, nel dicembre 2007. La presenza di tombe appartenenti a nobili e notabili dell'antica Tebe nella zona era già nota, ma le più recenti ricerche sono state favorite dalla demolizione di alcune case moderne nel villaggio di Qurna.

Il team di Tokyo ha scoperto l'entrata della tomba a forma di T di Khonso Im-Heb mentre liberava l'accesso alla sepoltura denominata TT47, che appartiene a un dignitario della diciottesima dinastia.

Le pareti della tomba del birraio reale sono decorate con scene vivaci, e piuttosto rare, di vita quotidiana, di interazione tra il birraio e la sua famiglia, e con rappresentazioni di pratiche rituali. 

Il Ministro egiziano delle Antichità, Mohamed Ibrahim, ha disposto misure di sicurezza per il sito fino alla fine della campagna di scavo e una sistemazione dell'area per l'eventuale apertura alle visite turistiche.





Immagine di Supreme Council of Antiquities, AP


La tomba del birraio di Mut scoperta in Egitto - National Geographic

Come passare serenamente all'altra vita secondo la teologia egizia.


IL LIBRO DEI MORTI

Il Libro dei Morti è una raccolta di testi funerari di epoche diverse che forniva al defunto tutte le indicazioni utili per assicurargli la sopravvivenza nell'aldilà. I testi erano scritti su un rotolo di papiro che veniva posto nella tomba accanto alla mummia o dentro il piedistallo della statuetta del dio funerario Ptah-Sokar. Compilato durante il Nuovo Regno partendo dai Testi dei Sarcofaghi del Medio Regno, il Libro dei Morti non era un testo sacro e non rivestiva alcuna importanza nella vita religiosa quotidiana degli antichi egizi, ma diventava assolutamente indispensabile al momento del trapasso. Conteneva infatti formule magiche, invocazioni e inni dedicati agli Dei, in particolare Ra e Osiride, che regnavano sulla sconfinata e pericolosa terra dei morti. Questi testi magici avevano il potere di vivificare il mondo dei morti e di proteggere il defunto nel corso del difficile, interminabile viaggio nel mondo dell'aldilà. 
Il Libro dei Morti era anche una sorta di percorso guidato, che consentiva al trapassato di trovare la strada e di evitare i numerosi pericoli che avrebbero potuto ostacolarlo, sotto forma di demoni e di mostri fantastici: le illustrazioni pervenute fino a noi ci forniscono il quadro di un oltretomba disseminato di laghi e fiumi di fuoco, di strade e portali dietro ai quali si nascondevano creature terrificanti. 


Iniziava con le formule che accompagnavano il bendaggio della mummia, mentre i sacerdoti mettevano i vari amuleti, che sarebbero serviti a proteggere il morto, in punti ben specifici. 

"Tu hai il potere, Iside! Tu conosci la magia! Questo amuleto proteggerà quest'anima grandiosa. Allontanerà coloro che vorranno farle del male!
( Formula 156 )

Quando la mummia era pronta si procedeva con il rito dell'"apertura della bocca", per mezzo del quale si poneva fine all'interruzione rappresentata dalla morte fisica e si "ridava la vita" al defunto. La formula era pressappoco questa: 

"La mia bocca è aperta! La mia bocca è spaccata da Sciu con quella lancia di metallo che usava per aprire la bocca agli dei. Io sono il Potente. Siederò accanto a colei che sta nel grande respiro del cielo.
( Formula 23 ) 

Il defunto veniva quindi condotto da Anubi, guardiano del regno dei morti, nella Sala del Giudizio, al cospetto di Osiride, seduto su un trono, fiancheggiato da Iside e Nefti, e accompagnato da una moltitudine di divinità. 

"O cuore mio, non testimoniare contro di me! Non essermi contro durante il Giudizio. Non essermi ostile in presenza di Colui che tiene la bilancia." 
( Formula 30b )

Questa formula, incisa sul dorso di uno scarabeo avvolto tra le bende della mummia, aiutava l'anima ad estrarre il cuore dal corpo per presentarlo agli dei. A questo punto il sovrano del regno delle tenebre formulava il suo giudizio, attraverso la pesatura del cuore (o dell'anima), la psicostasia. "Non ho truffato sul peso della bilancia, non ho tolto il latte di bocca ai bambini, non ho deviato l'acqua fuori stagione", recitava il defunto, e proseguiva con una lunga confessione nella quale affermava di non aver peccato né contro gli dei né contro gli uomini. 

Anubi poneva quindi il cuore (o l'anima) sulla bilancia. A far da contrappeso la piuma di Maet, mentre Thot, dio della saggezza e delle scienze, registrava l'esito della pesatura: se il cuore (o l'anima) pesava più della piuma, la dea Ammit si gettava sul defunto per divorarlo e trascinarlo in una seconda e definitiva morte, in caso contrario Osiride dichiarava l'anima "voce sincera" e l'accoglieva nel suo regno.


Libro dei morti – Papiro Hunefer (Londra, British Museum )



Particolare della pesatura dell'anima