sabato 8 dicembre 2012
Il ritorno degli Dei
Il ritorno degli Dei
di Michele Fabbri
Nel clima surreale della globalizzazione si sente spesso parlare di “dialogo interreligioso”. Ma questa espressione riguarda essenzialmente lo scambio di cortesie fra le religioni monoteiste, ovvero tra forme del sacro che hanno ben poco da dirsi, essendo assolutamente simili sul piano dottrinale!
Pochi invece ricordano che la cultura originaria dei popoli europei affonda le radici nel paganesimo. Eppure c’è chi rivendica l’eredità culturale del politeismo, con tanto di riconoscimento giuridico: in Lituania i fedeli dell’antica religione si sono strutturati nel movimento Romuva, su iniziativa del Prof. Jonas Trinkunas.
Abbiamo scarse fonti di informazione sulla religione dei popoli baltici; uno studio riassuntivo sul tema è il libro del ricercatore francese Philippe Jouet: Religion et mythologie des Baltes.
Il saggio di Jouet è una buona occasione per rivisitare forme religiose indoeuropee che affondano le radici in epoche particolarmente arcaiche. I popoli baltici, infatti, sono stati gli ultimi europei a essere cristianizzati: la Lituania fu ufficialmente pagana fino al XIV secolo e l’eredità pagana, peraltro così viva in tante altre zone d’Europa, è sempre stata particolarmente sentita dai Lituani, dai Lettoni, dagli Estoni, dai Prussiani. Le fonti scritte che parlano di questi popoli sono molto tarde, essendo soprattutto resoconti di missionari cristiani redatti nel tardo medioevo o addirittura al tempo della Riforma protestante.
Un episodio particolarmente significativo che segnala il forte sentimento identitario delle popolazioni baltiche si svolge nel 1336: durante le Crociate del Nord i Cavalieri Teutonici assediano la città di Pilenai, e i guerrieri lituani, vedendosi senza scampo, uccidono donne e bambini poi a loro volta si fanno decapitare dal loro comandante!
Un carattere tipico delle religioni baltiche è infatti l’idea della comunità etnica in cui l’esercizio del culto è condizione necessaria all’esistenza della nazione. Pare comunque che la funzione sacerdotale non si manifestasse in una casta apposita; il sacerdozio sembra piuttosto accorpato alla funzione guerriera, denotando il retaggio di una fase particolarmente arcaica della storia indoeuropea.
La divinità più importante è Dievs che rappresenta il cielo diurno, dispensatore di coscienza, di conoscenza e di discernimento. A fare da contraltare a questa divinità della luce c’è Velns, un vero e proprio demonio, signore del mondo notturno. Sono attestate inoltre divinità femminili che rappresentano la luce dell’aurora in vari aspetti, in relazione alla luce solare e a quella lunare. Particolarmente importante è anche la figura di Perkunas, un dio del tuono dalle caratteristiche guerriere.
I racconti popolari narrano anche di un “luogo di felicità” che troverà il naturale sviluppo nell’idea cristiana di Paradiso. Si celebravano sacrifici con animali, spesso nel quadro di culti delle pietre o degli alberi. Durante la celebrazione di feste solstiziali si svolgevano riti estatici in cui gli uomini entravano in contatto con gli dèi, in uno stato di ebbrezza che ispirava un senso di immortalità. In caso di guerra potevano essere celebrati anche sacrifici umani in cui venivano immolati i prigionieri nemici; casi del genere sono attestati fino alla fine del 1300. Fra gli animali sacri è da notare una particolare venerazione dei serpenti considerati propizi alla fecondità. I culti erano spesso celebrati nelle foreste, ma sono esistiti anche dei templi già a partire dal I secolo a.C. Lo statuto della classe sacerdotale, come si è detto, è di incerta definizione, tuttavia esisteva la figura di una guida spirituale denominata Kriwe, che le fonti cristiane descrivono come una sorta di “papa” del paganesimo.
Sappiamo anche che esistevano gruppi iniziatici di guerrieri assimilati ai licantropi, che richiamano istituzioni simili del mondo germanico.
Gli spiriti dei morti raggiungevano il cielo diurno, ma lasciavano residui psichici in piante o animali. Nell’aldilà pare che i morti dovessero affrontare delle prove, ma queste concezioni sono abbastanza sfumate e verosimilmente influenzate dalla mentalità cristiana degli studiosi che le hanno descritte.
La religione baltica rispecchia nel complesso i valori tipici delle civiltà pagane dell’Europa: una visione olistica della vita che istituisce una forte solidarietà fra l’uomo e gli elementi naturali, e una notevole capacità di astrazione simbolica. Studiare la civiltà dei Baltici rappresenta quindi un prezioso contributo per la riscoperta della tradizione comune indoeuropea.
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Philippe Jouet, Religion et mythologie des Baltes. Une tradition indo-européenne, Archè, Milano 2004, pp.196
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