martedì 31 gennaio 2012

L'altro Oscar Luigi Scalfaro




E’ morto Oscar Luigi Scalfaro. Come già per Giorgio Bocca possiamo immaginare la classica “santificazione post-mortem” che, il tipico tempismo italiota, investirà anche questo padre della (loro) patria. Per questo ripubblichiamo due vecchi articoli di giornale per inquadrarne un pò meglio le origini… ed i “meriti” che sono valsi a quest’uomo i tanti onori che gli verranno oggi tributati.

Oscar Luigi Scalfaro: da P.M., mandò al muro 8 persone
di Paolo Pisanò
Sono otto, salvo conguaglio, le condanne a morte di fascisti,chieste ed ottenute, dal pubblico ministero Oscar Luigi Scalfaro, con i suoi colleghi del “tribunale del popolo”, e della “Corte d'’Assise Straordinaria” di Novara, dopo il 25 aprile 1945. Ciò, a dispetto della biografia ufficiale dell'’attuale presidente della Repubblica, diffusa subito dopo la sua ascesa al Colle, che parla invece dello Scalfaro di cinquant’anni or sono, come di un giovane magistrato “sbalzato in Corte d'’Assise a soli 26 anni”, che si trovò alle prese, suo malgrado,con il caso di un solo imputato per il quale ”secondo la legge allora in vigore, la condanna a morte era inevitabile”…
E Scalfaro fu costretto a chiederla, ma non rinunciò ad esternare ai giudici il suo tormento, chiudendo la sua arringa con queste parole: ”A questo punto, però, il pubblico ministero rende noto alla corte che non crede nella pena di morte”.
E c'’è anche il lieto fine; l'’imputato, condannato alla fucilazione,venne poi graziato, e la condanna non ebbe mai luogo. Fin qui la favola presidenziale. Ma la realtà è un po’ diversa.
Ecco infatti le tappe salienti della carriera del magistrato Scalfaro, ricostruite in base ai fatti certi che siamo in grado di documentare:
1943 - Il futuro presidente della Repubblica entra in magistratura durante l’ultimo fascismo.
1°Maggio 1945 - Lungi dall'’essere “sbalzato” in Corte d'’Assise suo malgrado, Oscar Luigi Scalfaro assume volontariamente la carica (politica, lottizzata dal CLN locale), di vice presidente del “tribunale del popolo” di Novara.
13 Giugno 1945 - Sostituiti i “tribunali del popolo” con le CAS “Corti d’Assise Straordinarie”, nell'’opera di pulizia antifascista, Oscar Luigi Scalfaro passa a fare il Pubblico Ministero presso la CAS di Novara, e sostiene con altri due colleghi, l’accusa nel processo contro Enrico Vezzalini, soldato valoroso e pluridecorato, fascista integerrimo e fedele fino all’estremo ai suoi ideali, già capo della Provincia di Novara durante la RSI. Basti pensare che durante il clima di linciaggio di quei giorni, il cronista de “La Voce del Popolo” di Novara, il 14 giugno 1945, tratteggia la figura di Vezzalini mescolando alla faziosità più scontata anche queste annotazioni. ”E’ un lottatore fortissimo…..Ha un ingegno superiore alla media non è un cieco sanguinario, non un manigoldo, non un losco…..Supera tutti i suoi per innegabili qualità personali…..Era un tribuno avvincente e un profondo conoscitore delle passioni popolari:nessuno dimenticherà infatti gli applausi riscossi in un teatro cittadino con un'’astuta tirata contro gli industriali…”
15 e 28 Giugno 1945 - L'’ufficio del pubblico ministero ottiene la condanna a morte di Enrico Vezzalini e di altri cinque fascisti: Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Condanne eseguite all'’alba del 23 settembre 1945. Il cronista de “La Voce del Popolo” annota: ”Vezzalini non smentì se stesso fino all’ultimo”
A questo punto, Oscar Luigi Scalfaro ha già chiesto o contribuito a chiedere e ottenere la condanna di almeno sei persone.
16 Luglio 1945 - Settima vittoria dell'’accusa antifascista a Novara: il Pubblico Ministero chiede e ottiene la morte di Giovanni Pompa, 42 anni, già appartenente alla Guardia Nazionale Repubblicana. Sentenza eseguita il 21 ottobre 1945.
12 Dicembre 1945 - Sono trascorsi quasi otto mesi dalla “Liberazione”, ma la sete di “giustizia” capitale in Oscar Luigi Scalfaro, che pure ha già visto scorrere il sangue della vendetta politica, non si è placata:lo zelante magistrato chiede ed ottiene la condannate di un ottavo fascista, Salvatore Zurlo. Dal “Corriere di Novara” del 19 dicembre 1945: ”Il PM Scalfaro parla con vigoria ed efficacia che lo fanno ascoltare senza impazienza dal pubblico che partecipa alle considerazioni dell’egregio magistrato con frequenti assensi.Il PM, dopo la chiarissima requisitoria conclude domandando la pena di morte per lo Zurlo, e il pubblico esprime la sua approvazione e con sentimento”.
E questo, che strappa perfino l’applauso a un pubblico ancora inebriato di morte, sarebbe il giovane magistrato pieno di dubbi e di tormenti ”sbalzato in Corte d’Assise suo malgrado”, come vorrebbe farci credere l’icona presidenziale di cinquant’anni dopo?
L’unica verità del quadretto postumo, è che di lì a poco,il ripristinoi della legalità vera, consentì un processo d’appello e che la sentenza di morte contro lo Zurlo (non la prima e l’ultima, ma l’ottava),almeno di quelli che siamo in grado di confermare a dispetto delle lacune delle fonti dopo mezzo secolo) fu annullata.
2 Giugno 1946 - Almeno otto condanne a morte ottenute, sette eseguite nell’arco di otto mesi, costituiscono per un pubblico accusatore agli esordi un successo superiore alle possibilità di carriera offerte da un tribunale di provincia.
Oscar Luigi Scalfaro, brillante inquisitore da “tribunale del popolo” si è ormai messo in luce abbastanza per tentare le vie della politica, candidandosi con successo all’Assemblea Costituente e, pur senza abbandonare la magistratura con relative prebende, avviarsi verso la gloria di Roma.
(Fonte: “Il Giornale”, 1995)


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La verità sul partigiano Oscar Luigi Scalfaro
di Paolo Granzotto
(Domanda) Caro Granzotto, nei ludi cartacei celebrativi la figura di Oriana Fallaci, giornalista che stimo ma non ammiro per i suoi trascorsi di esponente di punta del radicalismo chic antiamericano solo in tarda età riscattati dalla veemenza con la quale ha denunciato lo scontro di civiltà e messo in guardia contro il pericolo islamico, è stato posto l’accento sulla sua partecipazione alla lotta partigiana. Alla quale la giornalista, al tempo poco più che bimba, avrebbe partecipato nella funzione di «osservatrice». A ben vedere di partigiani doc, quelli col Tomphson sotto il braccio, se ne conterebbero pochissimi. Il grosso è rappresentato da «staffette», «vedette», «vivandiere», «portaordini» ed altre attività irrilevanti, fino a quella che può vantare il presidente onorario della Repubblica e della Associazione Nazionale Partigiani Oscar Luigi Scalfaro. Se non sbaglio lei scrisse che il contributo di Scalfaro alla guerra di Liberazione si limiterebbe ad aver messo temporaneamente a disposizione di una banda partigiana dei locali della Azione Cattolica di Novara. Le chiedo: date le premesse, mio padre titolare di una autofficina che ai primi del 1944 riparò, con pecetta di gomma e mastice, il pneumatico di un motofurgone che poi si seppe era stato utilizzato da un gruppo di partigiani per trasferirsi sulle alture sopra Arezzo, ha diritto a dirsi partigiano anche lui?
(Risposta) Pieno diritto, caro Bellin. Può anche inoltrare domanda per una medaglia. Come lei saprà, un mese circa addietro, ovvero sessantacinque anni dopo i sedicenti fatti, il Presidente Napolitano ne appuntò una «al merito per la lotta antifascista» sul gonfalone della città di Bari. Pertanto dica pure a suo padre di farsi sotto: non è mai troppo tardi per entrare nel pantheon degli eroici combattenti per la libertà. Visto che siamo in argomento vorrei rettificare una mia inesattezza. Scrissi, è vero, che l’unico gesto di Oscar Luigi Scalfaro riconducibile alla Resistenza fu quello di ospitare un drappello di partigiani in un locale della Azione Cattolica. Non è così o quanto meno non solo così. Grazie a Pierangelo Maurizio e Giorgio Mulè, autori di un servizio televisivo andato in onda su Kosmos, Rete 4, ho appreso che di ben altro pondo fu il suo contributo alla lotta antifascista. L’onorario presidente ha rivelato infatti che subito dopo la fine della guerra si ritrovò ad essere «consulente tecnico-giuridico» dei «tribunali militari dei partigiani». Per la verità non erano tribunali, ma anticamere di mattatoi: l’imputato non aveva diritto alla difesa, non poteva nemmeno prendere la parola. Giorgio Bocca assicura che con giudizio sommario - il dibattimento durava in media una decina di minuti - furono mandati a morte tra i 12 e i 15mila «nemici del popolo». Secondo Giorgio Pisanò furono non meno di 40mila. Ecco dunque qual è l’apporto di Scalfaro alla lotta di Liberazione: l’aver dato il proprio contributo tecnico e giuridico a quella bella prova di giustizia partigiana. Una giustizia così schifosa, così ripugnante da indurre il Comando Alleato ad ordinare (comandavano loro, gli Alleati, non i «liberatori» del Cln) che quelle corti cessassero l’attività e venissero sostituite con regolari Corte d’Assise.
Il reclutamento di quanti avrebbero dovuto comporle - tutti volontari - andò però a rilento: per ancora sei mesi la Corte avrebbe applicato infatti il Codice di guerra che prevedeva la pena di morte ed erano pochi i magistrati disposti a seguitare, seppure con tutti i crismi della legalità, la mattanza. Si ricorse così agli incentivi, sottoforma di consistenti scatti di carriera. Difficile credere che ciò influenzò la scelta di Oscar Luigi Scalfaro: troppo saldo è il suo senso morale e civile per decidere in base al personale tornaconto. Probabilmente giocò, nella sua scelta, la fruttuosa esperienza coi tribunali del popolo. Fatto sta che si ritrovò Pubblico ministero presso la Corte Straordinaria di Assise di Novara. E in quel ruolo chiese ed ottenne la pena capitale - fucilazione - per sei disgraziati colpevoli di «collaborazione con il tedesco invasore». Sei. Che all’alba del giorno venuto - 28 giugno 1945 - andò ad abbracciare, uno per uno. In quanto, racconta, ci aveva un magone grosso così. Avrebbe avuto tre buoni motivi per non farselo venire: rifiutando di far parte di quella Corte, non richiedendo la pena di morte o trovando un cavillo - figurarsi se mancava - per protrarre la sentenza in attesa che di lì a qualche settimana decadesse il Codice di guerra. Ma lui, niente. Al muro, tutti e sei. Diverso tempo dopo la figlia di uno dei condannati a morte gli scrisse chiedendogli: ma mio padre era davvero colpevole? E Scalfaro le rispose: «Stia tranquilla, perch´ suo padre dal Paradiso pregherà per lei». Capito caro Bellin? Roba che ti vien voglia di passare coi talebani. (Paolo Granzotto)
(Fonte: “Il Giornale” - 21 Ottobre 2006)

sabato 28 gennaio 2012

Un uomo senza un mInimo di pudore




Adriano Celentano ingaggiato per San Remo a 300000 a serata, questa è la fine che fa il nostro canone RAI, una tassa, una gabella medioevale imposta forzatamente dal potere e usufruita da persone senza nessun pudore.
CELENTANO SEI VERGOGNOSO COME QUESTO GOVERNO DI MASSONI SOSTENUTO DALLA DESTRA COME DALLA SINISTRA.

venerdì 27 gennaio 2012

Il Grande Francesco!




Sulle tracce di Francesco fu sguinzagliato più di un inquisitore che raccoglieva prove per poter intentare un processo di eresia a suo carico. La vita di Francesco ci è narrata da due persone distinte che alle volte riportano fatti in maniera diversa e anche contrastante. San Francesco porta con se l'anima dello sciamanesimo, inoltre sua madre proveniva dalle roccaforti francesi del catarismo. San Francesco si salvò per un pelo dal rogo per il semplice fatto che incontrò personalmente il Papa che lo difese e gli permise di fondare un suo ordine legato alla natura e alla completa povertà. Il francescanesimo ha avuto dei risvolti tragici, come a Verona che i continuatori del fraticello di Assisi assunsero il disastrato compito di guidare l'inquisizione procurarono dolori inauditi alle popolazioni dominate dai Della Scala!
Sono pienamente d'accordo che Santo Francesco è una figura universalmente accettata conoscitore della magia atavica, della prima religione: lo sciamanesimo. L'oriente islamico sufi lo comprese, l’incontro tra Francesco d’Assisi e il Sultano di Egitto Malik al Kamil sembra una leggenda, ma come lo vide Malik portato prigioniero dai suoi soldati lo liberò e volle parlare con lui dato che riconobbe le sue capacità e il suo carisma al di sopra delle contingenze religiose.
Un uomo che parlava agli uccelli, mitigava i lupi e li dominava, conosceva il potere della parola, nel suono, nel significato anche recondito, nell'incantos e nella trascendenza poetica che in essa si celavano, un uomo che dominava il mondo con tenerezza e nel meraviglioso ed eterno equilibrio che muove l'universo.
Francesco salvaci tu che lo puoi!

Un uomo scomodo

>
> Il giorno 26/gen/2012, alle ore 19.25, gianni donaudi ha scritto:
>
>> Da: gianni donaudi
>> A: (...)
>>
>>
>> LA SCOMPARSA DI CARMELO R. VIOLA di G.D.
>>
>>
>>
>> CARMELO VIOLA ci ha lasciati . E' scomparso all'
ospedale di Acireale(Catania) dove era ricoverato da qualche giorno.
La diffusa inefficenza sanitaria, molto comune nella nostra Penisola(
e non solo al sud), ha affrettato la sua fine. Carmelo era infatti
curato per "enfisema polmonare" , mentre invece aveva seri
scompensi cardiaci.
>> Nato nel 1928, Carmelo si era trasferito giovanissimo con la
sua famiglia a Tripoli, quando la Libia era colonia italiana, e li
aveva iniziato i suoi studi, dove aveva avuto , come compagno di
scuola il coetaneo Valentino Parlato, futuro direttore de " Il
Manifesto" .
>> E' nello stesso periodo che , pur giovanissimo, comincia a
fare qualche dispetto antifascista. Viene fermato dalla polizia
coloniale ma poi, per la sua giovanissima età rimandato a casa.
>> Gli anni passano. La Libia viene occupata dagli inglesi e il
ragazzo si accorge che questi non sono tanto meglio degli italiani.
Anche loro sono prepotenti, autoritari, e ce l' hanno con
"tutti gli italiani", ( fascisti o antifascisti che siano)
dei quali diffidano. E Carmelo verrà ancora una volta fermato dai
nuovi poliziotti .
>> Dopo la fine del conflitto Carmelo frequenta ambienti facenti
capo al ricostituendo Partito Comunista Italiano, del quale ha
tuttavia qualche perplessità . A lui sembra una chiesa, con i suoi
dogmi e le sue "ortodossie" e alla fine, da buon libertario
si sposta nell' area anarchica dove inizia un ' attività
politica, ma sopratutto intellettuale.
>> Libero pensatore coerente si avvicina anche all' U.A.A.R.
( Unione Atei Agnostici Razionalisti), ponendo la sua fede nella
scienza evoluzionistica. Tali studi gli permetteranno di elaborare una
nuova materia scientifica. Quella che egli definiva Biologia Sociale.
>> Secondo tale tesi non tutti gli uomini hanno ancora raggiunto
la completa evoluzione. Ve ne sono ancora molti( sopratutto tra
politici, uomini d' affari, notabili vari ) che si trovano ancora
in una fase da ANTROPOZOI . E tali sono i nostri governanti( a
qualsiasi schieramento essi appartenghino), gli uomini delle lobbyes
bancarie internazionali sopratutto nordamericane( i decantati U.S.A.
( tanto a DX come a SX ) , hanno 40.000.000 di abitanti a cui non è
garantito il cibo quotidiano) .
>> Carmelo Viola collaboro' a decine e decine di testate,
anarchiche, marxiste e laiciste, tra cui " Umanità Nova" ,
" Tracce" di Piombino( diretto dall'editore Pino
Bertelli, del quale scriverà delle prefazioni a libri ) "
Sicilia Libertaria" , "Democrazia Popolare" ,
"Jeronimus-Logos" diretto dall'anch'egli scomparso
Teresio Zaninetti( dove scrisse una esauriente analisi sul fenomeno
"Mafia" , sigla di comodo dei ma$$ media allineati, per non
chiamarlo ASPETTO PARA-LEGALE DEL CAPITALISMO, cosa che approfondì in
seguito nella sua opera " Mafia per non dire Capitalismo" ) .
>> Anche la c.d. "economia" degli attuali potenti della
terra e cioè delle lobbyes bancarie internazionali è piu'
appropriato definirla PREDONOMIA.
>> Dopo la c.d "PerestrojKa" ( in pratica ritorno del
capitalismo in Russia, su cui a suo tempo Carmelo scrisse un saggio )
, il Viola comincio' in parte a rivalutare il c.d.
"socialismo reale" verso il quale era sempre stato critico,
senza naturalmente accettarne gli aspetti autoritari e totalitari, ma
mettendo in evidenza quello Stato Sociale che bene o male era stato
presente in U.R.S.S.
>> Il periodo "post sovietico" lo porta a stringere
amicizia col poeta di Barcellona Messinese, Antonio Catalfamo,
collaboratore de " Il Calendario del Popolo" della Teti
Editore.
>> Con tutto cio' Carmelo Viola, da persona essenzialmente
libera, non penso' mai minimamente di diventare un "
marxista-leninista" dell' ultima ora.
>> Dopo l' inizio delle guerre "umanitarie" (
Serbia, Afganistan, Iraq, che arriveranno sino alla recente Libia)
Carmelo Viola scrisse l' opera " I Barbari di Nagasaki
vogliono feudalizzare il mondo" .
>> Negli ultimi anni, Carmelo Viola, da persona libera accettò
anche la collaborazione sul quotidiano "Rinascita"
della"destra" radicale e diretta da Ugo Gaudenzi Asinelli,
già direttore del socialdemocratico " L' Umanità" . Ma
la sua collaborazione a R. non lo portò certo ad abbracciare tesi di
"estrema destra", ma al contrario rimase sempre lui stesso a
volte polemizzando vivacemente con altri interventi dello stesso
quotidiano, che ha ospitato diversi personaggi di sinistra come
l' ex comandante ecologista Falco Accame, il
comandante"Carlos" detenuto in Francia, il docente marxista
Claudio Moffa
>> Ma il settarismo di certi ambienti della sinistra radicale è
duro a morire. Qualche anno fa Carmelo venne minacciato dai soliti neo
e post- "ecce bombi" delle lattine, le magliette e le
patacche, che poi vanno magari al Mc Donalds e bevono Coca Cola.
L' accusa è una sola : cripto-fascismo, che nello stesso periodo
colpisce anche un filosofo marxista valido come Costanzo Preve e che
prima o poi colpirà anche chi scrive. Carmelo viene minacciato
brutalmente ma poi "assolto per anziana età" .
>>
>> Neppure un anno fa Carmelo Viola aveva perso la figlia di soli
50 anni.
>>
>> Resta il figlio maggiore Gianni, esperto di fantascienza e di
Ufologia, anch' egli collaboratore di diverse testate e autore di
vari opuscoli.
>>
>> Forse frettolosamente (perché pur schematicamente il quadro è
incompleto) ho voluto ricordarlo . Da anni eravamo in contatto e nel
passato mi capito' di incontrarlo un paio di volte in provicia di
Catania.
>>
>> Alla Moglie e a Gianni porgo il mio vivo cordoglio.

domenica 22 gennaio 2012

La gratuita uccisione di Sandro Bonamici


Questa è la tomba, in Albaredo all'Adige di Sandro Bonamici il Federale di Verona che ebbe l'ardire (o l'incoscienza) di voler rientrare al suo domicilio vestito da federale. Quando venne riconosciuto dai "partigiani" di verona nei pressi di Forte Tomba il primo Maggio del 1945 fu ucciso ignobilmente e sommariamente per il semplice fatto che vestiva l'uniforme da alto gerarca. Questa storia non è stata mai resa pubblica. Una parte del mondo partigiano veronese si è macchiata di un delitto infame: un uomo che ha dato aiuto ai poveri alle classi più bisognose, e che non si è mai macchiato di nessuna negligenza è stato ucciso solo per la divisa che ha voluto indossare fino alla fine. Non si è mai saputo il nome dei partigiani che lo hanno ucciso, dato che queste persone sono dei delinquenti degenerati. Questa è la parte oscura e mai chiarita di quel movimento che è passato nel secondo dopoguerra in toto come un'insieme di eroi, ma in realtà una parte era costituita da un "accozzaglia" di opportunisti e assassini che all'ultimo minuto si sono presi la briga di uccidere persone che non si erano macchiate di nessun delitto come il grande SANDRO BONAMICI

Lo stato Vaticano e le sue propaggini




- Zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia -

Questo è l'elenco delle zone extraterritoriali della Santa Sede presenti sul suolo italiano.

La sovranità territoriale è stata concordata in occasione della firma dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929). Le zone extraterritoriali della Santa Sede si trovano non solo a Roma, ma anche in altri luoghi della provincia di Roma. A parte il Seminario Romano Minore, tutti questi territori sono stati dichiarati dall'UNESCO patrimonio dell'umanità.

Le zone si trovano, dunque, sul suolo italiano. Con la soluzione della Questione romana, per decisione del Governo italiano, questi luoghi sono trattati secondo le regole del diritto internazionale alla stregua di ambasciate di Paesi stranieri.

Oltre al territorio del Vaticano, pertanto, non costituiscono territorio nazionale anche:

* Basilica di San Giovanni in Laterano;
* Palazzo del Laterano e zona annessa (Pontificia Università Lateranense e Pontificio Seminario Romano)
* Basilica di Santa Maria Maggiore;
* Basilica di San Paolo fuori le mura, inclusa l'abbazia;
* Palazzo di San Callisto;
* Complesso monumentale del Pontificio Ateneo e Collegio Urbano di Propaganda Fide al Gianicolo;
* Palazzo dei Santi Apostoli affiancato alla Basilica dei Santi Apostoli;
* Palazzo contiguo alla chiesa di San Carlo ai Catinari;
* Palazzo della Dataria presso il Palazzo del Quirinale;
* Palazzo della Cancelleria tra corso Vittorio Emanuele e Campo de' Fiori;
* Palazzo di Propaganda Fide a piazza di Spagna.
* Palazzo del Sant'Uffizio adiacente a Porta Cavalleggeri, accanto a piazza San Pietro;
* Palazzo della Congregazione delle Chiese Orientali, già palazzo dei Convertendi in piazza Scossacavalli - ora non più in essere, e spostato ad un palazzo vicino;
* Palazzo del Vicariato in via della Pigna, alla fine di corso Vittorio Emanuele e vicino a piazza del Gesù;
* Pontificia Università Gregoriana in via del Seminario, oggi Collegio San Roberto Bellarmino.
* Pontificia Università Gregoriana in piazza della Pilotta;
* Pontificio Istituto Biblico in piazza della Pilotta;
* Pontifici Istituti di: Archeologia Cristiana, Orientale, Collegio lombardo e Collegio russo in Santa Maria Maggiore;
* I Palazzi del Pontificio Ateneo della Santa Croce e della Domus Internationalis Paulus VI, tra Piazza Sant'Apollinare e via della Scrofa;
* La casa di riposo per il clero dei Santi Giovanni e Paolo, compreso il "nympheum di Nerone", sul colle Celio;
* Ospedale pediatrico Bambino Gesù sul Gianicolo a piazza Sant'Onofrio;
* Villa Gabrielli al Gianicolo.
* Pontificio Santuario della Beata Vergine Maria del Santo Rosario di Pompei
* Basilica della Santa Casa a Loreto, in provincia di Ancona;
* Basilica di San Francesco ad Assisi, in provincia di Perugia.
* Basilica di Sant'Antonio di Padova a Padova.
* Palazzo Pontificio e Villa Barberini nella città di Castel Gandolfo (vedi Castel Gandolfo (Palazzo Pontificio)).
* Area di Santa Maria di Galeria, che ospita gli impianti della Radio Vaticana. Questa superficie, concessa dall'Italia alla Santa Sede negli anni Cinquanta, è molto più estesa del territorio dello Stato (44 ettari). —

giovedì 19 gennaio 2012

Il mistero della vita



Il problema dell'omeopatia

Il problema teorico, riguardo all'omeopatia, è che in realtà (incontestabilmente), oltre le prime diluizioni, della molecola originaria non vi è più traccia rilevabile. In questo senso Garattini, Angela e soci, possono dire con scherno trionfale: state bevendovi solo acqua zuccherata!... Tuttavia, fuori dalla letteratura scientifica ufficiale, quella sponsorizzata dalle multinazionali dei farmaci "ortodossi", esiste una copiosissima documentazione, altrettanto scientifica, che dimostra l'efficacia pratica degli stessi rimedi. Inoltre, è facile per chiunque – senza bisogno di nessun "doppio cieco" – constatare che essi "funzionano", ovviamente se ben prescritti e ben assunti. Per Hahnemann, il problema non si poneva, poiché, situandosi sul crinale tra l'antica e la nuova concezione del mondo, egli era ancora convinto che "nello stato di salute l'energia vitale (sovrana) immateriale – Dynamis – che anima la parte materiale del corpo umano (organismo), regna in maniera assoluta." e "quando un uomo si ammala, questa energia vitale immateriale (principio di vita), di per sé attiva e presente dovunque nel suo corpo, è la sola che, fin dall'inizio della malattia, risente dell'influenza dinamica dell'agente morboso contrario alla vita."(1). La Dynamis, come principio formale in senso aristotelico, corrispondente alla Tsri dei cinesi e al Prana degli indù, è, secondo il fondatore dell'omeopatia, così l'attore della salute, come l'unica forza del corpo, "sconvolta" dagli "agenti perturbatori che vengono dall'esterno" (e che possono svolgere la loro azione "soltanto in un modo altrettanto immateriale, dinamico"), capace di manifestare nell'organismo i sintomi morbosi ("quelle azioni insolite che noi chiamiamo malattie") e, insieme, di reagire beneficamente ripristinando l'armonia perduta(2). I rimedi stessi, nella loro essenza, altro non sono che veicoli di energia in grado di risvegliare e riplasmare energia. Con effetti materialissimi, ma su una base formale, non materiale. E' chiaro che qualunque visione dell'essere e del corpo puramente materialistica (prima e dopo Hahnehmann) un simile punto di vista non può che rifiutarlo inorridita. E, tuttavia, l'omeopatia (così come altre analoghe discipline, tra le quali l’agopuntura, il cui fondamento la ratio non può cogliere(3)) operava egregiamente allora e continua a farlo oggi. Imperturbata, se non dalla realtà che l'energia vitale e la capacità di auto-guarigione degli uomini sempre più tende, in effetti, a svanire.



NOTE



(1) S.F.C. Hahnehmann, Organon dell'Arte del guarire, Edium, Milano 1975, p. 23.



(2) Cfr. ibid., pp. 23-29.



(3) Lo stesso vale nei riguardi dell’astrologia classica.

Joe Fallisi

sabato 14 gennaio 2012

L’Operaio di Ernst Jünger, il testimone del XX secolo di Mark Dennison - 13/01/2012


Il liberalismo si è assicurato da tempo una strana specie di buffoni di corte il cui compito consiste nel dire ad esso delle verità divenute innocue. Si è sviluppato un singolare cerimoniale con cui l’individuo moderno travestito da quasi aristocratico o da quasi abate mette in scena, fra applausi ormai diffusi e generalizzati, e a regola d’arte, la rappresentazione di collaudati colpi di grazia. [...] Dietro quelle marionette che sulle tribune pubbliche già in demolizione logorano i luoghi comuni del liberalismo fino a renderli sottili come un foglio di carta velina, spiriti più fini e più esperti si preparano a mutare lo scenario.
E.J.


Il permanere raffermo di ideologie in apparenza conflittuali e de facto autodistruggentesi – marxismo e fascismo – è la giustificazione essenziale da parte del liberalismo di confermarsi quale forma suprema di governo, ossia di sfruttamento e massacro del genere umano come mai si è manifestato, applicato e visto nella storia del genere umano a partire dalla rivoluzione industriale in qua.
L’auspicato superamento non è una necessità vitale sprigionatasi all’indomani della tragica sconfitta del comunismo, che ha prodotto un rifiuto massivo dei tradizionali e truccati schieramenti pseudo-sportivi destra-sinistra, utili a banche e imperialismo. Siamo arrivati al punto che i signori (si fa per dire) deputati temano per la propria incolumità nei pressi del Parlamento, senza che alcuno li minacci. A dimostrazione come gli stessi protagonisti del ludus scenicus abbiano la coda di paglia (troppo dire coscienza) dell’utilità di loro stessi solo per sé medesimi, soffrendo per il carico della vomizione che i cittadini trasmettono loro con i soli sguardi (1).
D’altronde i partiti politici sono tutti la stessa cosa, e le loro differenze illusorie. Sia gli uomini politici che i mezzi in uso dei partiti sono funzionali non al miglioramento della società bensì a nutrire se stessi. I propri rappresentanti recitano la loro “utilità” per unire i vantaggi del funzionario di partito con quello statale in una rotazione senza fine che li rende sempre più ricchi quanto velenosi per il popolo, da cui succhiano la linfa. Eventi come la disoccupazione, la penuria di alloggi, la criminalità nazionale interetnica, il fallimento dell’industria e dell’economia asservita agli istituti di credito, codesti individui li fanno passare come una sorta di fatti naturali; in realtà sono sintomi che palesano la decadenza degli ordinamenti liberali.
Ciascun contrasto e intangibile diversità sono diretti all’omologazione del cittadino che s’illude di un probabile cambiamento riponendo fiducia nel partito e, quindi, consolidando il consenso ossia il sistema stesso. Dice Jünger: “Il consenso è il frutto della pura partecipazione, come quando si prende parte alle votazioni, indipendentemente da quale partito ne tragga vantaggio. Qui le alternative non sono decisioni, ma piuttosto modi di lavoro del sistema”. Traduciamo: i poveracci che votano per i tanti piccì di Serie B o gli illusi che inseriscono nell’urna schede favorevoli ai ducetti eredi di Serie D del grande-partito-della-destra di Serie C, essi poveracci non si rendono conto che quei “comunisti” e quegli altri “fascisti” non hanno mai avuto intenzione alcuna di cambiare le cose, poiché il sistema atlantico di Serie A (ieri Dc+Pci, oggi Pdl+Pd) giustifica(va) le utili presenze del’ “opposizione” colmandole di gettoni premio e biglietti gratuiti per assistere alla partita e a turno scendere in campo.
In un precedente intervento ho rilevato che la belle époque era il periodo in cui la società europea sembrava essere convinta di aver raggiunto un punto di sicurezza, tranquillità, progresso, così come parrebbe nell’opulenza consumistica odierna. Essa, invece, era: fede nella scienza e nella tecnica; ottuso e tronfio ottimismo; convinzione di essere il migliore dei mondi possibili sino ad allora realizzati. In effetti la bell’epoca crollò e fu soffocata dal carnaio del primo conflitto mondiale. Ciò provocò disastri e miserie che erano un prodotto della pratica e del senso dell’ingiustizia che la borghesia e il sistema liberale avevano accumulato dall’industrialismo, e che nel 1915 condussero allo scoppio delle contraddizioni. La “rivoluzione” era a quel punto era una necessità sia marxista che nazionalista, poi fascista, o per sovvertire il sistema di produzione, o per abbattere la borghesia e instaurare forme comunitariste. La crisi del mondo europeo fu analizzata ne L’Operaio. Dominio e forma pubblicato nel 1932 da Ernst Jünger (1895-1998), l’unico grande testimone dell’intero XX secolo. Per cui non è l’oggi che produce l’esigenza di superare gli anacronismi.
In un memorabile saggio Luca Caddeo (2) afferma che Jünger non ha “l’intenzione di criticare la classe borghese per rinsaldarne, attraverso un artificio ideale, il potere; al contrario [...] egli mette sotto accusa il borghese e il suo potere volendo, almeno teoricamente, contribuire alla costruzione di un modello metapolitico che, già a partire dai presupposti, si distingua nettamente sia dal liberalcapitalismo che dal collettivismo”. Il libro del Tedesco indica l’avvento di un protagonista, né classe e nemmeno proletariato, bensì un nuovo tipo umano che si opponga al materialismo economico (comunismo) e agli ideali di una prosperità da bestiame di produzione (liberalismo). Si auspica il tramonto del borghese sostituito dall’operaio quale dominatore della tecnica in guisa di forma, ossia forza costruttiva.
Il volume, di linguaggio scorrevole ma non immediato piuttosto da conferenziere e ricchissimo di sottintesi, rende “visibile la figura dell’operaio, al di là delle dottrine, delle divisioni di parte e dei pregiudizi, come una grandezza attiva che già è potentemente intervenuta nella storia ed ha imperiosamente determinato le forme di un mondo trasformato” afferma l’autore stesso nella premessa alla prima edizione. L’opera è stata tradotta in italiano solo nel 1984 (3) da Quirino Principe (Longanesi), quando l’autore aveva ormai 89 anni.
Nel 1991 passò alla Guanda e sempre a cura di Principe. Nell’eccellente cura del predetto non possiamo, però, evitare di segnalare la distrazione a pag. 174, quando si afferma che l’Urss è “nata il 7 novembre 1917 sulle ceneri della Russia zarista”.
È errato: essa è stata fondata il 30 dicembre 1922 (ebbe definitiva costituzione il 6 luglio 1923).Il predetto 7 novembre, abbattuta la Repubblica Russa di Kerenskij (27 settembre-7 novembre 1917), fu invece creata la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Nel novembre 2010 il testo è giunta alla quarta edizione. Va dato merito alla Guanda di aver tradotto molte opere di Jünger: Il contemplatore solitario; Irradiazioni. Diario 1941-1945; Nelle tempeste d’acciaio; La forbice; Cacce sottili; Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza; Giardini e strade. Diario 1939-1940. In marcia verso Parigi; La capanna nella vigna. Gli anni dell’occupazione, 1945-1948; Eumeswil; Heliopolis; Il cuore avventuroso; Ludi africani; Rivarol, massime di un conservatore; La pace; Boschetto 125; Lo Stato mondiale. Organismo e organizzazione; Il tenente Sturm; Le api di vetro; Due volte la cometa; Sulle scogliere di marmo; Tre strade per la scuola.
Fondata da Ugo Guanda a Parma dal 1932 – lo stesso anno de L’Operaio – la casa editrice, attualmente presieduta e diretta da Luigi Brioschi, si è da sempre distinta per la sua linea editoriale originale e innovativa, rispecchiata in un catalogo che offriva e offre al lettore italiano la grande poesia europea e americana, autori cruciali del Novecento, esponenti delle correnti più vive del pensiero moderno, oltre alla narrativa latinoamericana fino all’eccezionale fioritura irlandese, come dal nuovo romanzo americano alle voci delle letterature più lontane, dalla new fiction inglese alla chemical generation (4).
A tutto ciò si unisce un folto gruppo di autori italiani tra cui Bruno Arpaia, Alessandro Banda, Gianni Biondillo, Antonella Cilento, Guido Conti, Paola Mastrocola, Gianluca Morozzi, Marco Santagata, Pietro Spirito, Marco Vichi.


Note (1) I soldi non mi servono ma capisco il disprezzo, “la Repubblica”, 12 dicembre 2011. (2) Luca Caddeo, La metafisica de L’operaio di Ernst Jünger, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari”, Nuova Serie, XXVII (Vol. LXIV), 2009. Caddeo è un giovane studioso sardo. Vive tra Ghilarza e Cagliari. Si è laureato in filosofia e ha conseguito nella stessa materia il titolo di Dottore di ricerca. Insegna nelle scuole pubbliche, (3) Secondo Simon Friedrich fu Jünger sul finire degli anni Cinquanta a non dare il permesso a Julius Evola di tradurlo in italiano, per cui il predetto scrisse: L’operaio nel pensiero di Ernst Jünger, Armando, Roma 1961. (4) La chemical generation è un genere letterario sprigionatosi agli inizi degli anni Novanta nelle patrie del liberalismo: Regno Unito ed in seguito Stati Uniti, con radici radicate in beat generation, figli dei fiori, ecc. degli anni Sessanta. Esso porta la “cultura” dell’estasi edonistica che contraddistingue questo periodo ad una dimensione letteraria. I temi: droga, hooligan, depressione, estasi deliranti, ecc; soggetti trattati: quasi tutti ai margini della società; stile di scrittura: volgare nel parlato e attribuente alle opere una forte carica espressiva, riuscendo così ad aumentare il livello di intimità col lettore. Un ulteriore testimonianza del tramonto della sistema liberalistico. Note

(1) I soldi non mi servono ma capisco il disprezzo, “la Repubblica”, 12 dicembre 2011.
(2) Luca Caddeo, La metafisica de L’operaio di Ernst Jünger, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari”, Nuova Serie, XXVII (Vol. LXIV), 2009. Caddeo è un giovane studioso sardo. Vive tra Ghilarza e Cagliari. Si è laureato in filosofia e ha conseguito nella stessa materia il titolo di Dottore di ricerca. Insegna nelle scuole pubbliche,
(3) Secondo Simon Friedrich fu Jünger sul finire degli anni Cinquanta a non dare il permesso a Julius Evola di tradurlo in italiano, per cui il predetto scrisse: L’operaio nel pensiero di Ernst Jünger, Armando, Roma 1961.
(4) La chemical generation è un genere letterario sprigionatosi agli inizi degli anni Novanta nelle patrie del liberalismo: Regno Unito ed in seguito Stati Uniti, con radici radicate in beat generation, figli dei fiori, ecc. degli anni Sessanta. Esso porta la “cultura” dell’estasi edonistica che contraddistingue questo periodo ad una dimensione letteraria. I temi: droga, hooligan, depressione, estasi deliranti, ecc; soggetti trattati: quasi tutti ai margini della società; stile di scrittura: volgare nel parlato e attribuente alle opere una forte carica espressiva, riuscendo così ad aumentare il livello di intimità col lettore. Un ulteriore testimonianza del tramonto della sistema liberalistico.

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venerdì 13 gennaio 2012

Il filosofo della mutua o profeta del nulla



Don Milani, Cacciari, don Verzè e parole in libertà


Che brutto scivolone quello di Massimo Cacciari al funerale di don Verzè! — quando ha citato don Lorenzo Milani: «se uno alla fine della vita ha le mani completamente pulite vuol dire che le ha tenute in tasca».

Mi è suonata male, quella frase, e non mi convinceva: per quel che so e che ho letto di don Milani, parole così mi sembravano proprio stonate.

Infatti quelle parole don Milani non le ha mai dette. Ha usato sì i termini “mani”, “pulite” e “tasca” — ma in tutt’altro ordine e contesto, e precisamente così: «che senso ha avere le mani pulite se si tengono in tasca?». E la sporcizia di cui si sono insozzate le mani di don Milani e dei suoi è la sporcizia di una società malata, da rimuovere a mani nude proprio come si fa quando si scava affannati sotto le macerie di un terremoto per tirar fuori quel che ancora è rimasto di sano, di bello, di buono — di vivo.

Cacciari, Cacciari… Uno come lui che sbaglia le citazioni e soprattutto sbaglia le presenze ai funerali non è un buon segno. Io, per me, tengo don Milani. Don Verzè lo lascio volentieri a chi se lo vuol pigliare.

Questo è Cacciari il filosofo confortato sia dell'amico di merende tal Heidegher della Val Trompia (volgarmente chiamato Emanuele Severino),come l'altro comune collaboratore e amico: Donà Massimo anch'esso di origini lagunari.

P.S. L'ex sindaco di Venezia pretende di studiare Georges Bataille: -Ma mi faccia il piacere!-

lunedì 9 gennaio 2012

Il nuovo libro su Verona e il mistero della sua fondazione



Una città fondata e rifondata seguendo gli arcaici precetti, archetipi eterni che si perpetuano incessantemente. I romani la costruirono dentro l’ansa dell’Adige intervenendo sul Colle di San Pietro per creare una macchina scenica riproponendo le forme dell’acropoli di Atene. Un’ acropoli d’immensa bellezza che colpiva per la maestosità e la luce riflessa dal candore marmoreo.
Sfruttando l’orografia naturale, la collina fu tagliata, sagomata e ai suoi piedi trovò posto il teatro romano, con l'odeon e al vertice un tempio, a dominio e protezione dell'intera città, probabilmente dedicato al padre degli Dèi: Giano.
Chi fosse interessato può telefonare al 3356215921.

venerdì 6 gennaio 2012

Il paganesimo non è mai morto




‎"Il paganesimo non ha mai avuto paura del sapere. Ha avuto paura dell'ignoranza,
e sotto il diluvio dell'ignoranza era cacciato fuori dai templi".

Ezra Pound.

Una delle più belle e potenti preghiere che esistono




Pater Noster qui es in cælis:
sanctificétur Nomen Tuum;
advéniat Regnum Tuum;
fiat volúntas Tua,
sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum supersubstantialem
da nobis hódie;
et dimítte nobis débita nostra,
sicut et nos
dimíttimus debitóribus nostris;
et ne nos indúcas in tentatiónem;
sed líbera nos a malo.
Amen.

La preghiera, la grande forza consolatrice, il suono che rassicura e rinforza lo spirto.
Non importa a quale religione appartiene questa melodia dello spirito, ma il proniunciarla mi rassicura il cuore e mi da forza.

mercoledì 4 gennaio 2012

L'essenza di Evola



Penso alla mistica di Julius Evola. Alla dolcezza della sua unica intervista che gira sulla rete, in francese. Titolata "Evola: Dalla Trincea A Dada" YouTube
di Maurizo Murelli.
Non appartenne ai futuristi perché li trovava "esaltati" e poco equilibrati. Evola aderì di slancio al dadaismo, non aveva una grande fiducia nella tecnica, ed è stato travisato sopratutto dalla cultura ottusa del dopoguerra. Credeva in una via mistica condivisa nell'amicizia con Guenon. Visse i suoi ultimi anni infermo e con limitatissimi mezzi economici, abitando nella casa di Piazza Vittorio dove morì.
Fu cremato con grandi difficoltà, dato che il corpo fu "parcheggiato" per mesi, e solo dopo aver superato l'ostile burocrazia le spoglie del filosofo finalmente furono portate a Spoleto dove nel fuoco trovarono la pace.Le sue ceneri portate da Renato Del ponte (e Pietro Fenili) sul Monte Rosa trovarono "sepoltura" in un crepaccio del ghiacciaio Lyskamm.Una leggenda del posto tramandava che sotto la coltre di ghiaccio si trovava una città che era anticamente sprofondata per il volere di un demone che non aveva trovato ospitalità presso gli abitanti.Felik era il nome della città perduta. Così Julius ritornava alle sue amate vette, o forse al suo paese sotterraneo
l'Agartha alpina.

Mantenne sempre ad ogni costo le proprie idee al contrario del pensiero del cardinale di Retz che ben incarna l'Italia del dopoguerra: «Ci sono tempi in cui bisogna cambiare spesso partito se si vuoi restare fedeli alle proprie opinioni».

lunedì 2 gennaio 2012

Una voce fuori dal coro: L'Ungheria


L'Ungheria si cambia la costituzione

Budapest: l’intervento fraterno dei dirittumanisti (di Claudio Mutti)
L’attacco sferrato dalle oligarchie occidentali contro il popolo ungherese, colpevole di essersi dato una costituzione politicamente scorretta, e contro il legittimo governo di Budapest, accusato di “essersi incamminato sulla strada della Bielorussia” (Ferenc Gyurcsány dixit), è salito di grado da quando la madrina di tutte le “rivoluzioni colorate”, Hilary Clinton, ha indirizzato al primo ministro Viktor Orbán una vera e propria lettera minatoria, tale da suscitare lo spettro di un nuovo “intervento fraterno”, politicamente senz’altro più “corretto” di quello del 1956.
Al fischio della Clinton, i cani accorrono. Quelli di razza scelta per primi. Così il “Corriere” del 30 dicembre lancia in prima pagina il grido d’allarme contro la “deriva autoritaria del premier” e riempie un paginone degli Esteri con due articoli di tono terroristico. Il primo è dovuto ad un “inviato” (a Bruxelles, non a Budapest) e titola testualmente: “Bavaglio alla stampa, deputati in manette. L’Ungheria di Orbán spaventa l’Europa”. Per documentare la repressione che il governo avrebbe messa in atto contro i militanti dirittumanisti, la stessa pagina mostra la foto di un deputato dell’opposizione che ha provveduto ad incatenarsi da solo.
L’altro articolo è firmato da un uomo di lettere: Giorgio Pressburger, anzi, il commendator Pressburger (il quale fu infatti insignito della commenda da un ex direttore della Banca d’Italia diventato presidente della repubblica). Nel suo attacco contro il governo ungherese, il commendatore pretende di poter arruolare nientemeno che il Sommo Poeta, citando dal Paradiso dantesco non ovviamente i vv. 80-81 del Canto V (“Uomini siate…”), ma i vv. 142-143 del Canto XIX: “Oh beata Ungheria se non si lascia – più malmenare!”
Commento dell’esegeta del “Corriere”: “Malmenare da chi? Malmenare come? Dante si riferisce ai cattivi re, del casato di Arpád, che avevano regnato fino allora su quella nazione”.
In realtà, Dante non allude affatto ai re della casa di Arpád, ma agli Angioini. È vero che nel momento in cui avviene il mistico viaggio di Dante (settimana santa del 1300) regnava in Ungheria Andrea III, ultimo sovrano della dinastia arpadiana; ma quando Dante scrive questi versi, l’Ungheria è già passata sotto il dominio di Carlo Roberto d’Angiò. D’altronde, lo stesso contesto da cui Pressburger ha estrapolato i due versi contribuisce a chiarirne il senso. Infatti il v. 143 prosegue dicendo “e beata Navarra”: e la Navarra era entrata a far parte del regno di Francia nel 1304. Beata l’Ungheria e la Navarra, vuole dunque dire Dante, “se tengon lontano da sé, difendendosi, il malgoverno della stirpe reale di Francia” (commento di Natalino Sapegno).
Più che con la terza cantica del Poema, il dantista del “Corriere” si troverebbe a suo agio con la prima, in particolare col Canto XVIII, dove un’intera categoria di dannati è “attuffata in uno sterco, che da li uman privadi parea mosso” (vv. 113-114).
Il motivo stercorario, infatti, è una sorta di leitmotiv nella produzione letteraria del comm. Pressburger. Esso compare nel “delicatissimo romanzo” semiautobiografico L’elefante verde (Marietti 1988), scritto da Giorgio Pressburger insieme col gemello Nicola. Il padre dei gemelli, che nel romanzo si chiamano Beniamino e Samuele, trova nella loro scrivania alcune poesie. “Una era intitolata Inno alla merda, e con parole solenni rendeva omaggio alla materia che domina il mondo, provoca le gioie più lievi e il dolore più profondo”.
Il leitmotiv ritorna nel contesto filosofico del saggio intitolato Della fede, apparso su “Nuova Corvina” (una rivista pubblicata sotto l’alto patronato della Fondazione Soros) nel 2002, quando l’Ungheria non era ancora “malmenata” dal “putinismo” di Viktor Orbán e l’illustre letterato era direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Budapest. A edificazione del lettore, estrapoliamo dal saggio qualche riga, così come il comm. Pressburger ha estrapolato un verso e mezzo dal Canto XIX del Paradiso: “Un’altra volta mi capitò di dovermi prendere cura di un vecchio omosessuale ottantenne, completamente solo in Italia, che aveva passato la vita da parassita, divertendo magnati, industriali, re della moda: procurava loro donne (ballerine, giacché si occupava di operette), ragazzi (giacché si occupava di ragazzi) e in cambio ogni giorno aveva qualche invito a cena in case lussuose, e a natale e a pasqua [le iniziali minuscole sono nel testo, ndr] riceveva doni in denaro. (…) Questo vecchio, alla morte di mio padre mi aveva portato in una sinagoga, per la prima volta dopo trent’anni. Lo vidi pregare, sapeva a memoria le preghiere, e quando non le sapeva mormorava sillabe senza senso, imitando l’ebraico. (…) Il suo letto, gli abiti, portavano tracce di sterco: il suo ano era allargato a dismisura per le tante penetrazioni subite”.
“Cosa direbbe Dante di fronte a questo?” – si chiede il comm. Pressburger nell’articolo del “Corriere”. Che cosa direbbe davanti all’Ungheria odierna non lo sappiamo. Ma davanti alle immagini stercorarie di Samuele Coprostomo direbbe quello che dice in Inf. XVIII, 136: “E quinci sian le nostre viste sazie”.

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