venerdì 27 maggio 2022

L'Italietta del risorgimento

Camillo Benso Conte di Cavour - Home | Facebook
Dostoevskij sull'Italia
«Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale».
«I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano».
«La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno dì second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, (…) un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unita mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!».
Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Schwaller de Lubicz e l'affare Fulcanelli di Walter Catalano

Gli Stemmi Araldico-Alchemici dei ''Cavalieri del Sole'' - Riflessioni  sull'Alchimia di Elena Frasca Odorizzi
“La Natura è la forma simbolica di ciò che è fuori dalla Natura”
(R.A. Schwaller de Lubicz - "Verbo Natura")
Il nome di René Adolphe Schwaller de Lubicz resta ancora quasi sconosciuto nel nostro paese al di fuori di ristrette cerchie di esperti. Sebbene le sue opere maggiori siano state tutte tradotte o in via di pubblicazione nella nostra lingua, la figura misteriosa e poliedrica di questo alsaziano schivo ed appartato - come un vero iniziato dovrebbe essere - non ha ancora acquisito il riconoscimento che pienamente merita nel panorama della tradizione esoterica occidentale(1bis.) In realtà il personaggio ha una rilevanza di primo piano soprattutto nell’ambito dell’alchimia e dell’egittologia “alternativa” del nostro secolo e molti controversi protagonisti di quelle segrete realtà sono parte di un mito che egli contribuì a creare. Solo un nome per tutti: Fulcanelli.
René Adolphe Schwaller nasce in Alsazia, il 7 dicembre del 1887. Dalla sconfitta francese del 1870 le province dell’Alsazia e della Lorena erano parte del Reich tedesco e René, figlio di un farmacista di Strasburgo che fin da piccolo lo iniziò allo studio della chimica, parla tedesco a scuola e francese in famiglia. Non volendo servire nell’esercito invasore, il ragazzo fugge a piedi in Francia prima del servizio militare e si rifugia da una zia ad Asnières.
Molto dotato per le arti figurative viene accolto senza difficoltà nello studio parigino di Matisse e diventa allievo del grande pittore. Si sposa con Marthe, conosciuta nell’atelier, da cui avrà un figlio Guy.
Nel 1913 entra nella Società Teosofica e vi rimane fino al 1919, scrivendo per la rivista “Il Teosofo”. Qui incontra i personaggi che in seguito verranno coinvolti nell’“affare Fulcanelli”: l’ermetista Pierre Dujols ed il pittore alchimista Jean-Julien Champagne, il futuro maestro di Eugène Canseliet.
La guerra del 1914 lo vede distaccato presso un laboratorio chimico dell’esercito dove si occupa di analisi. Al termine della guerra si dedica ai reduci cercando di facilitare il loro difficile reinserimento nella società all’insegna di un risveglio spirituale e morale: a questo scopo fonda il gruppo dei Les Veilleurs, i Veglianti, e trasforma la rivista “Il Teosofo” in “L’Affranchi”, dove inizia a firmarsi usando il nome mistico di Aor (o più esattamente Aor Mahomet Ahliah).
Il programma “rivoluzionario-conservatore” del gruppo e della rivista - ispirato alle teorie sinarchiche di Saint-Yves d’Alveydre - attira molti artisti ed intellettuali francesi, come Pierre Loti, Pierre Benoit, Camille Flammarion o il poeta lituano Oscar Wenceslas de Lubicz-Milosz (1877-1939), che presto diverrà l’amico più caro del futuro alchimista. In cerca di un lavoro più remunerativo di quello di pittore, Schwaller incontra, sempre all’interno del suo gruppo, l’armatore Louis Lamy e Louis Allainguillaume, direttore di una società carbonifera, e da quest’ultimo viene ingaggiato per riorganizzare la struttura finanziaria della società. In breve tempo l’impresa decuplica i suoi introiti ed il munifico Allainguillaume gli concede una percentuale fissa sugli utili che assicura al giovane una definitiva sicurezza economica. A trarre beneficio da questa sua nuova stabilità pecuniaria è anche l’amico Oscar de Lubicz-Milosz - principe di Lusazia, conte di Lahunovo, capo del “Clan de Lubicz”, della variante Bozawola (Volontà di Dio) - che vive grazie ad un assegno mensile versatogli da Schwaller e che può lottare per l’indipendenza dei tre paesi baltici - Lituania, Lettonia ed Estonia - grazie alla “Rivista Baltica”, da lui fondata e sovvenzionata.
L’attivismo di de Lubicz-Milosz ottenne presso gli Alleati il successo sperato, gli stati baltici furono liberati ed il principe-poeta divenne ministro della Lituania. Per riconoscenza verso l’amico fraterno, Milosz adottò Schwaller nel “Clan de Lubicz” e lo investì del titolo di cavaliere e delle armi dei de Lubicz Bozawola, secondo i riti dell’Antica Cavalleria e dopo una notte di digiuno e meditazione. Il 10 gennaio del 1919, R.A. Schwaller divenne Schwaller de Lubicz. I due uomini restarono per sempre legati fraternamente, anche quando i loro percorsi spirituali si volsero in direzioni opposte: il lituano non si discostò mai dal suo fervente cristianesimo, Schwaller invece si radicò sempre più nell’ermetismo egizio e pagano.
Schwaller e Milosz avevano avviato insieme il Centre Apostolique - sempre collegato ai Veglianti – che, sotto il motto di “Gerarchia, Fratellanza, Libertà”, patrocinava varie iniziative ai fini di “un risveglio evolutivo nel genere umano”. Tra quelle pubbliche si possono ricordare il salvataggio ed il recupero della Casa di Balzac ad Auteil o la fondazione di un istituto di Euritmia diretto da Jeanne Germain, moglie di Georges Lamy (che sarebbe divenuta nel 1927, dopo la sua vedovanza ed il divorzio di Schwaller da Marthe, la nuova compagna dell’esoterista: Isha Schwaller de Lubicz).
Il Centro ed il gruppo dei Veglianti si sciolsero nel 1921, forse a causa della ripulsa dei “cristiani” di Milosz per le pratiche magiche e spiritiche sempre più frequenti fra i “pagani” di Schwaller. Secondo una testimonianza Milosz, prossimo alla fine della sua vita, avrebbe implorato gli amici di non fargli mai domande sui Veglianti(1).
Dopo la fine di questa esperienza Schwaller visitò l’Africa del Nord, dove probabilmente ricevette un’iniziazione sufi. Nel 1924, risentendo dell’influenza di Rudolf Steiner, creò a St. Moritz in Svizzera, la “Stazione Scientifica Suhalia”, ispirata al Goetheanum del fondatore dell’Antroposofia.
Dedicata alla pratica dell’artigianato (legno, ferro battuto, vetro, tessitura e tappeti); allo studio della meccanica (vi furono costruiti un nuovo tipo di motore, un’elica ed un battello inaffondabile, poi brevettati); alla ricerca scientifica (chimica, fisica spettroscopica, microfotografia, astronomia); all’omeopatia (il dottor Nebel, famoso omeopata dell’epoca, considerava eccezionali le preparazioni del laboratorio); Suhalia ospitò artisti ed intellettuali rinomati come il pittore dadaista Jean Arp.
In questo periodo si concentra anche un’intensa attività pubblicistica, anche se limitata al solo ambito dei discepoli di Suhalia: Schwaller, che aveva scritto fino ad allora un solo libro nel 1917, Etude sur les Nombres, completa nel 1927, numerosi libelli ed opuscoli: L’appel du Feu; La Doctrine; Le livre des vivents, e soprattutto Adam, l’Homme Rouge, testo - che André Breton ricordò come un contributo fondamentale alla filosofia del Surrealismo - ritirato dalla distribuzione dallo stesso autore poco dopo la pubblicazione. Lascerà passare più di vent’anni prima di affidare di nuovo alla carta stampata frammenti della propria conoscenza.
Dopo la crisi economica del 1929, il maestro che ormai tutti chiamavano Aor, la sua nuova moglie Isha, ed i figli di lei – Jean Lamy, in seguito dottore in ginecologia ed inventore della Fonoforesi, una variante dell’agopuntura, e Lucie Lamy, straordinaria disegnatrice - furono costretti ad abbandonare Suhalia, le cui spese di mantenimento erano ormai insostenibili, e si stabilirono a Plan de Grasse, in Provenza, dove acquistarono una proprietà. Proprio qui Aor e l’alchimista Champagne - da lui sovvenzionato per anni - portarono a compimento, nel 1930, un’importante operazione alchemica: la fabbricazione dei blu e dei rossi delle vetrate di Chartres; ma di questo parleremo in dettaglio a suo tempo, a proposito dell’“affare Fulcanelli”.
Nel 1934 la coppia si recò a Palma di Maiorca nell’antica abitazione di Raimondo Lullo per studiare gli antichi manoscritti dell’alchimista che ancora vi si conservano. Vi si trattennero fino allo scoppio della Guerra Civile spagnola nel 1936. In quello stesso anno, dopo un primo viaggio a Luxor, decisero di stabilirsi in Egitto e dal 1939 vi risiedettero ininterrottamente fino al 1952.
Mentre si riposava all’ombra di un mastaba, Isha, che aveva studiato per sei anni i geroglifici e l’egittologia classica, ricevette la rivelazione dell’interpretazione non semplicemente fonetica ma simbolica dei geroglifici. Alla luce di questa scoperta poté tradurre testi incomprensibili per gli egittologi classici. Aor, Isha e la figlia di lei, Lucie , che ricopiava magistralmente bassorilievi ed epigrafi, studiarono in dettaglio per anni il tempio di Luxor e tutti i maggiori luoghi sacri di Al Kemi, l’Egitto faraonico(2). Tutto questo materiale confluirà nelle opere più tarde di Aor: Le Temple dans l’homme (1949); Du Symbole et de la Symbolique (1951); Propos sur Esoterisme et Symbole (1960); Le Roi de la Teocratie Pharaonique (1958); Le miracle egyptien (1963); Les Temples de Karnak (postumo) e soprattutto nel monumentale Le Temple de l’homme (1957), vera e propria summa del pensiero e della sapienza che Aor aveva recuperato dalle sabbie e dai ruderi (vi si discetta di tutto: dalla geometria all’anatomia, dalla medicina alla filosofia). Isha, da parte sua, dopo aver scritto una Contribution a l’Egyptologie (1950), preferirà dedicarsi – suscitando una notevole diffidenza nel compagno – alla composizione di due romanzi iniziatici ambientati nell’antico Egitto: Her-Bak Pois Chiche (1950) e Her-Bak Disciple (1951), storia di un piccolo contadino egizio, detto Cecio, che viene scelto dai sacerdoti ed iniziato ai misteri del Tempio. In seguito scriverà anche L’ouverture du chemin (1957) e La lumiére du chemin (1960), altri romanzi-saggi che non riguardano direttamente l’Egitto, e - dopo la morte di Aor - Aor, sa vie, son oeuvre (1963), agiografia non sempre attendibile dedicata al marito, ma che comprende anche il fondamentale Verbe Nature, uno degli ultimi scritti di Aor.
Gli egittologi classici accolsero con prevedibile sufficienza gli studi della enigmatica coppia, ma non tutti: Alexandre Varille dell’ Institut Francais d’Archeologie Orientale, e l’architetto e archeologo Clement Robichon, si unirono entusiasticamente, nel corso degli anni ’40, ad Aor e Isha, collaborando con loro sul campo e pubblicando in ambito specialistico numerosi scritti in loro difesa. Scoppiò una vera e propria querelle des egyptologues fra l’archeologia ufficiale e la corrente “simbolista” capitanata da Varille ed ispirata da Aor. Purtroppo Varille morirà prematuramente in un incidente automobilistico nel 1951, ma i suoi lavori avranno il tempo di influenzare fino ad oggi un largo settore “eterodosso” di studiosi. Dal 1952 Aor ed Isha si ritirano di nuovo a Plan de Grasse conducendo una vita appartata, dedicata allo studio e alla scrittura. Il 7 dicembre del 1961 scomparirà Aor, il 24 dicembre del 1962 Isha. La figlia di Isha, Lucie Lamy, continuerà gli studi egizi dei genitori fino alla morte, avvenuta il 7 dicembre del 1984, e pubblicherà anch’essa un interessante volume Misteri Egizi (1981).
“Vous ne connaissez pas Fulcanelli, l’auteur du Mystère des Cathedrales ?” Aveva chiesto Aor al suo ospite. Stavano paseggiando lungo il viale alberato di fronte alla proprietà dei de Lubicz a Plan de Grasse, l’“Allée des Philosophes”, così chiamata da Aor in ricordo della visita di Fulcanelli. L’ospite era un giovane americano di origine olandese André VandenBroeck, che si era recato dall’anziano esoterista per conoscerlo dopo aver letto un suo libro. Aor l’aveva subito riconosciuto come un suo simile: intelligente, poliglotta, versatile e soprattutto “un homme qui brule”, come lo aveva immediatamente definito. Tra il 1959 ed il 1960, Andrè divenne una sorta di confidente e “discepolo” di Aor e ce ne recherà testimonianza in un interessante volume: Al-Kemi: A Memoir. Hermetic, Occult, Political and Private Aspects of R.A. Schwaller de Lubicz(3). Purtroppo il rapporto si raffreddò presto e cessò definitivamente a causa della diffidenza politica di Andrè - di origine ebraica e di simpatie sinistrorse - per il passato pre-fascista e tendenzialmente antisemita di Schwaller nei Veglianti (Andrè cita con certo livore una Lettre aux Juifs, firmata da Aor e pubblicata insieme ad altre, Lettre aux Artistes, Lettre aux Socialistes, Lettre aux Philosophes Occultes, su Le Veilleur nel 1919).
“Era…un tipico gentiluomo della borghesia francese…- così VandenBroeck descrive Aor - con tutte le qualità accattivanti di quella condizione e con almeno qualcuna delle sue sconvenienze… Ed era un uomo di destra… La vera destra è monarchica e teocratica; vuole l’autorità, preferibilmente di diritto divino, crede nelle elites… Una concezione che potrebbe avere molti punti in suo favore se non fosse per la sua propensione alla demagogia, con il fascismo come estrema efflorescenza…”.
Questo è invece il ritratto di Isha, che Andrè incontra per prima: “Con i suoi lisci capelli neri, la carnagione olivastra e gli occhi sporgenti, portava con sé un evidente tocco di Medio Oriente. Indossava abiti bianchi fluenti, pesanti orecchini, anelli e collane e aveva un’aria da indovina zingara”. “Le devo precisare che nessuno lavora con mio marito eccetto io. Sono il suo unico discepolo” – così lo accoglie la donna. Ma in breve il giovane riesce a rompere il ghiaccio ed è quasi conteso all’interno della coppia: “Isha stessa mi diede i dettagli dell’esperienza quasi mistica a cui questa conoscenza era legata – si allude alla comprensione simbolica dell’alfabeto geroglifico – Le giunse in due fasi, in due giorni di Natale a distanza di un anno; vi si riferiva come a “Le Plan des Anciens”. Questo piano, mappa, schema o modello (non sono mai riuscito a far precisare ad Isha la forma… della rivelazione) offriva, fra le altre cose, la possibilità di collocare un certo numero di geroglifici in un ordine che avesse senso, creando così un alfabeto naturale…Ma la questione era uno dei segreti ben guardati di Isha, segreti che presto riconobbi come la classica carota sul bastone…”. Andrè, che simpatizza decisamente più con Aor che con sua moglie, passa presto sotto la giurisdizione del capofamiglia lasciando Isha orfana dell’auspicato discepolo.
Eccoli passeggiare lungo il “Viale dei Filosofi”, con loro, l’ombra di Fulcanelli. “Mi ci è voluto molto tempo per trovare il linguaggio adatto a quel che dovevo dire – confessa Aor – e solo con l’Egitto Faraonico ho trovato la mia cifra, la mia simbolica. Una simbolica deve mostrarsi, non si può inventare e non può essere convenzionale, come il linguaggio artificiale della logica simbolica. Si sarebbe potuta “inventare” la rivelazione cristica ? Niente affatto. Doveva fiorire sulla base del mito perenne, come simbolica, per poi a suo tempo fornire la sua cifra a pochi grandi autori, come fece nel Medio Evo. Avrei utilizzato una simbolica cristica per dire certe cose, se Fulcanelli non mi avesse rubato l’idea”….”Eppure mi hanno fatto un favore; mi hanno impedito di identificare la mia opera con il simbolismo delle cattedrali, mantenendomi così disponibile per l’Egitto, per Al-Kemi, invece che per l’alchimia. E’ la stessa opera, naturalmente… ma quel che ci riguarda adesso non è una rinascita, è una resurrezione”.
Aor racconterà poi in modo frammentario ma esplicito i suoi rapporti con Fulcanelli. In linea di massima, il quadro delineato coincide con quello descritto da Geneviève Dubois nel suo accurato studio Fulcanelli dévoilé (1992)(4). Cercheremo di riassumerne i tratti salienti seguendo i due testi.
Il personaggio mitico dell’inconoscibile alchimista si rivela per la prima volta alla conoscenza del pubblico non specialistico con il libro di Louis Pauwels e Jacques Bergier Il mattino dei maghi (1960), nell’ambiente esoterico è già noto invece da molti anni per due opere fondamentali, anche se forse più citate che lette: Le Mystère des Cathédrales (1926) e Les Demeures Philosophales (1930).
In realtà, come riveleranno ufficiosamente i due studiosi francesi, Fulcanelli non sarebbe stato altri che Schwaller de Lubicz stesso. Per Eugène Canseliet invece, grande divulgatore dell’alchimia e massimo propagatore e “vergine vestale” del mito di Fulcanelli, il misterioso alchimista “E’ stato inviato dalla Fratellanza Bianca per agevolare l’evoluzione dell’umanità. E’ un vero Rosa-Croce…un maestro dai poteri straordinari”. Canseliet fu allievo di Jean-Julien Champagne fin dalla tenera età di 16 anni; Champagne intrattenne relazioni assai riservate e assai strette con Aor: nel libro di VandenBroeck, quando Aor parla di Fulcanelli intende sempre Champagne, ma, per non infrangere un giuramento, non nomina mai questo strano personaggio. Precisa Aor: “Fulcanelli deve essere inteso come il nome generico di un molteplice sforzo che si è protratto per quasi mezzo secolo”…. Si ricordi, quando dico Fulcanelli, intendo quell’intero gruppo di letterati e “soffiatori”(5): Canseliet, Dujols, Champagne, Boucher, Sauvage; tutti hanno contribuito a dar forma alla produzione di Fulcanelli, una volta diffuse le mie idee fra di loro. La mia ricerca sulle cattedrali come veicolo….E poi un po’ di lustro intorno, la fantastica erudizione, molta della quale risale a Dujols, un po’ a Canseliet; si aggiunga il lavoro grafico di Champagne, ed ecco pronto un libro vendibile. Ci hanno costruito sopra una carriera, ma nel processo, hanno mancato il momento, hanno mancato la Parola…”.
Aor allude alla cosiddetta Confraternita di Heliopolis(6), composta dai personaggi da lui citati, ma nelle sue conversazioni con VandenBroeck parla anche di Fulcanelli come di una singola persona, una persona in carne ed ossa. In questo caso, il riferimento è sempre al solo Champagne.
Il pittore Jean-Julien Champagne incontrò il giovane che sarebbe divenuto Aor nel 1913, aveva circa dieci anni più di lui, e, sebbene mai ci sia stata una vera affinità e simpatia umana fra loro, per motivi di reciproca utilità, iniziò da allora una segreta e intensa collaborazione fra i due. Champagne era un uomo strano ma pieno di talento e di contraddizioni: allievo degli alchimisti Léon Gérome e Félix Gaboriau, maestro di Canseliet, ammiratore di Nicolas Flamel e Basilio Valentino, fortissimo bevitore, amico intimo dei romanzieri Raymond Roussel e Anatole France, disegnatore industriale e inventore pazzoide (una slitta polare con elica a propulsione), acerrimo nemico dell’occultismo ma in realtà assiduo frequentatore del Grand Lunaire - aveva falsificato la carta di identità del padre appropriandosene per farsi credere assai più vecchio di quanto mostrasse il suo aspetto; inoltre aborriva l’elettricità preferendo le lampade a petrolio e amava vestirsi nello stile del secolo precedente.
“Lo incontrai in modo molto naturale – testimonia Aor – poiché frequentavamo lo stesso caffè, la Closerie des Lilas a Montparnasse… Allora studiavo anche il simbolismo delle cattedrali gotiche…erano un’altra espressione della simbolica. Testi alchemici scolpiti nella pietra, proprio come ne avrei trovati, molti anni dopo, in Egitto….Parlando con lui capii che non era un dilettante ordinario, né un “soffiatore”, né certamente un ciarlatano. Sapeva quel che faceva da un punto di vista pratico…. Ma c’erano aspetti che non comprendeva, aspetti teoretici, quello che chiamo dottrina. Era stato influenzato molto nei suoi primi studi dalla filosofia scientifica araba, in particolare Jabir. Lei ne ha letto qualcosa e sa quanto possano essere materialistici. Ma quella era la sua linea e quello era il contrasto fra di noi, ed anche la nostra complementarietà. Aveva creato una tecnica del gesto appropriato necessario all’opera, invece di lasciare che questo fosse ispirato per via divina. Ma che tecnica! Un manipolatore incredibile !…”.
Champagne, lavorando per una libreria antiquaria, si era appropriato di un testo manoscritto del 1830 che dava precise istruzioni per la fabbricazione alchemica dei famosi colori blu e rossi utilizzati per le vetrate della cattedrale di Chartres, “colori reali che nessun prodotto chimico può produrre…vetri tinti nella loro massa dallo spirito volatile dei metalli”. Da solo non riusciva a ricavare molto dal libretto e propose al futuro egittologo di aiutarlo: fu stipulato una sorta di contratto, Aor avrebbe chiarito la teoria e versato una somma mensile a Champagne e questi avrebbe condotto gli esperimenti in laboratorio. A prescindere dalla riuscita o dal fallimento, una volta terminata l’operazione, ognuno sarebbe andato per la sua strada. Il loro rapporto inoltre avrebbe dovuto restare assolutamente segreto, pena la morte di chi avesse infranto il giuramento.
Per tutto il periodo della guerra, insieme o singolarmente, i due proseguirono il loro lavoro. Nel frattempo Aor aveva mostrato al compagno gli appunti del suo studio sulle cattedrali gotiche e il simbolismo alchemico. Champagne promise di interessarsi per trovare un editore disposto alla pubblicazione del testo, ma lo restituì rapidamente all’autore spiegando che vi si rivelavano troppi segreti e che non era il caso di renderlo pubblico. Aor condivise il parere del collega e partì per la Svizzera dove stava per avviare il progetto Suhalia. Il 15 giugno 1926 usciva Il Mistero delle Cattedrali e Aor aveva la brutta sorpresa di scoprire che sotto il nome misterioso di Fulcanelli era stato pubblicato il suo lavoro (con aggiunte ed interpolazioni estratte dall’immenso archivio dell’erudito Pierre Dujols(7) e disegni di Champagne). Incredibilmente Aor non serbò rancore al plagiario, continuò a versargli la mensilità pattuita e mantenne inalterate le condizioni dell’accordo.
“Nel caso di Fulcanelli – commenta Aor a VandenBroeck – quello che fu pubblicato è irreparabilmente frammentario, pieno di oscurità non necessarie e senz’altro di nessuna utilità per un adepto che pratichi con serietà, ma fornisce molte munizioni ai soffiatori con le sue frasi accattivanti. Non rappresenta una simbolica perché non è la voce del proprio tempo….Quanto a Fulcanelli, rappresentava un caso tutt’altro che raro nelle arti, ermetiche o di qualsiasi altro genere, il caso di un meraviglioso tecnico senza un’oncia di visione filosofica. Molto colto, con molte letture alle spalle, erano tutti così, ma senza dottrina, senza visione. Poiché all’epoca era del tutto privo di mezzi, l’ho finanziato, gli ho dato l’opportunità di installare un piccolo laboratorio e l’ho provvisto di uno stipendio mensile bastevole per vivere e continuare il lavoro. E ho mantenuto tutto questo fino alla fine, ho continuato finché non venimmo qui insieme, a Mas-de-Coucagno, per l’esperimento cruciale. Dopo quello, l’ho visto solo un’altra volta, non molto tempo dopo, sul suo letto di morte, in una soffitta a Montmartre”.
Lungo il “Viale dei Filosofi”, intorno al 1930, Aor e Fulcanelli/Champagne passeggiano e discutono le ultime fasi della loro opera: l’alchimista si è temporaneamente stabilito dal suo finanziatore. Aor, durante la convivenza, traccia con inchiostro rosso un ritratto straordinariamente intenso del compagno; la figliastra Lucie Lamy ne delinea invece uno assai diverso a parole: un uomo sgradevole che si comportava in modo odioso e beveva troppo.
Finalmente in quei giorni, dopo diciannove anni di prove, l’esperimento ha successo. “Il fuoco non si estingue se non quando l’Opera è compiuta e quando tutta la massa tintoria impregna il vetro il quale, di decantazione in decantazione, resta assolutamente saturo e diviene luminoso come il sole…”. Raggiunto il successo, secondo il patto, cessano le contribuzioni e le relazioni fra i due. Champagne torna a Parigi, Aor lo saluta intuendo un bagliore sinistro nello sguardo del compagno: “la sindrome dell’apprendista stregone” – secondo VandenBroeck.
Meno di un anno dopo, contravvenendo alle regole stabilite, Champagne scrive ad Aor chiamandolo a Parigi per urgenti comunicazioni. I due si incontrano di nuovo in un piccolo ristorante. Fulcanelli ha continuato l’opera, vuole ripetere l’esperimento, per il momento non ci è riuscito, ma è solo questione di condizioni, ambiente, dettagli. “Lo sciocco! – prosegue il racconto Aor – Parlava come un dottore delle Facultés ! Lo interruppi, rifiutando di discutere tali questioni in un luogo pubblico. Gli ricordai del nostro patto, mi alzai ed uscii.”….”Era già malato quando venne qui quell’ultima volta, zoppicava e si lamentava per dei disturbi circolatori. Ma persisteva nell’insano desiderio di fare i conti con quello che credeva di aver compreso. Gli ricordai di nuovo il suo voto di segretezza e lo avvertii che niente di buono poteva derivargli dall’infrangerlo. Fu inutile. Sei settimane dopo mi scrisse annunciandomi un incontro che aveva stabilito con un gruppo limitato di suoi adepti: avrebbe rivelato loro del nostro esperimento.” Aor corre a Parigi un giorno prima dell’appuntamento, sale nella mansarda di Fulcanelli e lo trova morente: ha una cancrena alla gamba. “Era quasi nero…e poteva parlare a stento. Si immagini, non poteva più parlare ! Ci guardammo a lungo, poi scosse la testa. Credo che avesse capito. Mi indicò una pila di carte sulla scrivania e volle che le guardassi. Erano le sei pagine del manoscritto che aveva rubato e sul quale avevamo lavorato, manoscritto che, ne sono convinto, ci aveva condotto entrambi a quel momento. Mi fece capire che voleva che lo tenessi io e che non ne esisteva copia. Me lo misi in tasca e me ne andai. La mattina dopo era morto”.
Il 29 agosto del 1932, tre giorni dopo il decesso, l’uomo che aveva inventato Fulcanelli fu sepolto nel cimitero di Arnouille-les-Gonesse. Sulla sua lapide, oggi scomparsa, si poteva leggere la scritta Apostolus Hermeticae Scientiae. Fu Aor a pagare le strutture tombali e la lapide.
Da allora Schwaller de Lubicz abbandonò quasi del tutto l’alchimia e le cattedrali: la grande avventura di Al-Kemi doveva cominciare, il maestro avrebbe finalmente trovato la sua simbolica ed interrotto il suo lungo silenzio producendo quelle opere maggiori per le quali lo ricordiamo. Così si era confessato a VandenBroeck in un passo denso di spunti da meditare: “Non si leggono i testi Ermetici per ottenere informazioni su procedure alchemiche, si leggono per formarsi una mentalità ed una percezione….Lungo tutta la storia del pensiero Occidentale persiste la frattura fra Pitagorici ed Aristotelici. Solo che la frattura risale ad ancora prima: Kemi contro Babilonia. La società contemporanea è l’erede di Babele. Ma proprio a fianco di questa corre la linea che inizia con i Faraoni, e la mentalità è opposta. Il fatto si rivela nel modo più chiaro nelle matematiche. Lo sa, rien ne marque tant l’esprit que les nombres. Fa una differenza fondamentale nell’intera struttura scientifica se si concepisce il due come uno più uno o come la divisione dell’uno nel due”.
NOTE
1bis) L’interesse per il suo pensiero sta comunque crescendo. Recentemente è stato tradotto anche in italiano Il Serpente Celeste dell’americano John Anthony West (Corbaccio, Milano, 1999) - un fortunato tentativo di divulgare e semplificare la dottrina complessa e non sempre accessibile che Schwaller de Lubicz e la moglie Isha ricavarono dai loro lunghi studi sull’Egitto Faraonico. Con qualche concessione di troppo all’inevitabile ambiente New Age, l’operazione resta comunque dignitosa anche se dubitiamo che avrebbe riscosso l’approvazione di Schwaller, esoterista chiuso e volutamente “difficile” che già tendeva a snobbare le opere narrative della compagna, ritenute eccessivamente soggettive e psicologizzanti.
1) André Lebois, Presence de Milosz dans son oeuvre, France-Asie, Marzo-Aprile 1949. Citato da Jean Rousselot, O.V. de L. Milosz, Paris, 1955.
Sarebbe poi tutta da studiare la relazione fra i Veglianti ed il gruppo magico del Grand Lunaire, che aveva il bafometto come emblema e - secondo Robert Ambelain - si occupava anche di satanismo e magia nera. Jean-Julien Champagne lo frequentò insieme a Schwaller. Per l’aneddotica, un ex membro, Jules Boucher, quando lasciò il Grand Lunaire, si fece esorcizzare dal vescovo gnostico di Lione.
2) Al-Kemi da Kemit, “la nera”, cioè la terra nera della valle del Nilo; nome da cui i Greci derivarono Khemia. Come dice Ermete Trismegisto ad Asclepio: “Forse ignori, o Asclepio, che l’Egitto è la copia del cielo, o, per meglio dire, il luogo in cui si trasferiscono e si proiettano quaggiù tutte le operazioni che governano e mettono in funzione le forze celesti. Ben di più: per dire tutta la verità, la nostra terra è il tempio del Mondo intero”. Al-Kemi è l’applicazione della Gnosi Ermetica. Come ben sintetizza Isha nella premessa a Her-Bak: “Per la saggezza egiziana, il vero principio vivente è l’Uomo, nel quale sono incarnati i Princìpi e le funzioni cosmiche, i Neter. E i templi sono le “case” in cui vengono rappresentati i simboli di questi Neter, perché l’uomo impari a riconoscere in se stesso gli elementi del grande Mondo di cui egli è il risultato e di cui rappresenta la sintesi”. In altre parole, come aggiunge Aor ne La Teocrazia Faraonica: “Noi traduciamo la direttiva teologica con il termine “religione”, ma il senso oggi attribuito a questo termine di fatto non è adeguato alla mentalità del periodo faraonico. L’antico Egitto non aveva “religione”, stando alla testimonianze scritte per più di quattromila anni: esso era interamente religione, nella sua accezione più ampia e più pura”.
3) Lindisfarne Press, New York, 1987. Di VandenBroeck ci pare giusto ricordare anche un altro volume: Philosophical Geometry, Inner Traditions International, Rochester, 1987. Testo assai complesso, di ispirazione pitagorica, che molto deve alle concezioni di Aor.
4) Geneviève Dubois, Fulcanelli: svelato l’enigma del più famoso alchimista del XX secolo, Mediterranee, Roma, 1996.
5) Venivano chiamati, con evidente disprezzo, “soffiatori” dai veri alchimisti, gli alchimisti materialisti ed i proto-chimici. (n.d.T.)
6) All’interno di questa ristretta cerchia si diffuse, in relazione con la figura di Fulcanelli, la leggenda alchemica del Linguaggio degli Uccelli, argot occulto basato sulla lingua greca, con il quale gli iniziati si sarebbero scambiati i loro segreti. Secondo Aor, invece, la sola cabala attualmente possibile deriverebbe dai geroglifici egizi.
7) Anche Dujols, che morirà nello stesso anno 1926, probabilmente all’oscuro del plagio perpetrato, verrà subito saccheggiato dagli altri fratelli di Heliopolis: il suo sterminato schedario sui monumenti di carattere alchemico rimesso insieme da Canseliet e Champagne, verrà pubblicato nel 1930, come seconda opera di Fulcanelli, sotto il titolo di Le Dimore Filosofali.
(fonte: Walter Catalano, Applausi per mano sola, Clinamen 2001)



martedì 24 maggio 2022

Duomo di San Cerbone. Massa Marittima (GR)

Una chiesa splendida colma di messaggi e di istoriature edificio cristiano erede della sapienza pagana italica


Cattedrale di San Cerbone - Wikipedia

Itri santuario di Ercole e della dea Fortuna

Ercole si è fermato a Itri? - Città Nuova - Città Nuova

https://www.youtube.com/watch?v=Pzj9pNkOLUg&t=2s

https://youtu.be/Pzj9pNkOLUg

lunedì 23 maggio 2022

Chiesa di Santa Maria Maggiore



la chiesa, inizialmente dedicata all'Assunta, ha origine nel 331-340, in quanto edificata sul tempio pagano dedicato alla dea Vesta.
Tra il 571 e il 739, sotto il dominio longobardo, esisteva già la chiesa, dedicata in questo periodo a San Michele Arcangelo, santo a cui erano particolarmente devoti i Longobardi. Nella chiesa, secondo la leggenda, il duca di Spoleto Trasmondo nascose un tesoro durante la guerra con il re Liutprando.Nel sec. XII fu costruita la chiesa attuale. La chiesa, pur avendo subito modifiche nel tempo, ha mantenuto l'impianto originario. Non si può escludere la presenza di preesistenze legate a templi romani,attribuiti a racconti leggendari.
Situata su una collinetta a nord-ovest dell'aggregato urbano di Pianella, fuori dal centro storico, la basilica di Santa Maria Maggiore è una delle principali opere del romanico abruzzese. Al centro, il portale in pietra, con arco a sesto acuto e lunetta affrescata, e il rosone, costituito da cornici concentriche decorate a rilievo, arcatelle concentriche e colonnine tortili a raggiera. La pianta è a tre navate terminanti con tre absidi semicircolari estradossate. Lo spazio interno, dominato dall'austerità della muratura di laterizio a vista, è scandito da colonne cilindriche e poligonali, con capitelli in pietra, su cui si impostano gli archi a tutto sesto. Pareti e pilastri interno sono arricchiti dai resti di affreschi. Notevole il pulpito del maestro Acuto, a cui è attribuito anche il portale.

domenica 22 maggio 2022

IL MAUSOLEO PALEOCRISTIANO DI FLAVIO EUSEBIO E LA CHIESA LONGOBARDA DI S. EUSEBIO VESCOVO DI SUTRI (VIII SECOLO)


Tutte le foto (10) Il Santuario rupestre di Sant'Eusebio di Ronciglione  inserito nel progetto “Giubileo della Luce” | Newtuscia Italia

La chiesa longobarda di S. Eusebio Vescovo di Sutri, oggi nel territorio di Ronciglione (VT), ma in origine situata nel territorio dell’antica Sutri, è stata studiata solamente fra il 1976 e il 1979 ad opera del prof. Aldo Nestori di Roma (1928-2006), docente di Archeologia Cristiana all'Università di Macerata e anche presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana di Roma, che pubblicò in merito una monografia edita dallo stesso Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana nel 1979 ("Monumentum Flavii Eusebii facto Ecclesia Sancti Eusebii").
Individuata una muratura di epoca romana nell'abside, grazie a un'apertura sul retro nella muratura della chiesa, grazie al suggerimento del parroco di Ronciglione Mons. Pacifico Chiricozzi, e accortosi che vi erano ancora "in situ" i resti del timpano triangolare, il prof. Nestori capì al volo che l'abside della chiesa era costituita da una costruzione di epoca romana, così decise di effettuare delle campagne di scavo (anni 1976, 1977, 1978) per capire cosa nascondesse la chiesa. Così è emerso un mausoleo paleocristiano della 2° metà del IV secolo dopo Cristo con resti di pittura coeva nella volta a botte (è ancora leggibile la “Visitazione di Maria a Elisabetta”).
Si è miracolosamente conservata la lapide originaria del sepolcro funebre che ci dice che il mausoleo era della famiglia di un certo Flavio Eusebio che fu Vice Governatore della Campania e che costruì il mausoleo per sé e i suoi familiari all'interno della sua proprietà terriera dopo che, avendo cessato la sua carriera, si era trasferito nel municipio romano di Sutri. Che si tratti di un mausoleo paleocristiano fu confermato dal fatto che, durante gli scavi, fu trovato, nell'abside, un grosso frammento di lapide paleocristiana della 2° metà del IV secolo d. C. oggi conservato nella chiesa di S. Maria della Pace in Ronciglione. Il mausoleo, con sette forme sepolcrali, fu utilizzato successivamente come abside della chiesa campestre alla fine dell'XI secolo.
La chiesa è stata datata, grazie anche allo studio dei capitelli delle colonne di tufo, all'VIII secolo in piena età longobarda. Fu fatto anche analizzare al Carbonio 14 un frammento ligneo di una trave conficcata in alto nella muratura della navata centrale, analisi che datò il frammento di legno non oltre il 1° quarto del IX secolo. Le navate laterali non sono più quelle originarie, quella di sinistra, la più antica, è datata al XIII secolo mentre quella di destra è stata ricostruita in tempi recenti.
Nella chiesa fu eseguito da un artista di scuola romano-bizantina, alla fine dell'XI secolo, un piccolo ciclo di affreschi che sostituì quello più vecchio databile al 1° quarto del IX secolo di cui si è ritrovato, durante gli scavi, un frammento di un Cristo benedicente all’interno dell’unica forma sepolcrale quasi integra che è stata utilizzata in seguito come base dell’altare.
Il ciclo è costituito da diversi affreschi: sopra l'abside un “Cristo Pantocratore benedicente”, poi un lacerto di una probabile “Lavanda dei piedi”, un'interessante “Ultima cena”, un affresco con un lacerto raffigurante probabilmente “Le Vergini stolte e le Vergini savie” e, per ultimo, uno splendido e monumentale Albero di Iesse (l'albero con la genealogia di Gesù che trae ispirazione dall’arcaica iconografia del Vicino Oriente, passata attraverso l’Anatolia e la Siria cristiana, dell’”Albero della Vita”, tipica della cultura artistica e religiosa Assiro-Babilonese); ci troviamo di fronte a uno dei più bei affreschi italiani databili all'XI secolo, realizzato con dei colori veramente interessanti e inusuali. Ricordiamo che la chiesa è stata dedicata a S. Eusebio primo vescovo di Sutri, documentato nel sinodo romano dell'anno 465, epoca a cui risale la diocesi di Sutri; successivamente la popolazione di Sutri ha scambiato il mausoleo del funzionario imperiale Flavio Eusebio con quello del Vescovo Eusebio primo Vescovo di Sutri confondendo i due personaggi tra i quali però intercorrono circa settant’anni di vita; non è escluso che fra i due personaggi vi possa essere stata una parentela, forse Flavio Eusebio fu il nonno del Vescovo sutrino Eusebio; ci induce a pensare questo sia il ripetersi del nome “Eusebio” sia il fatto che la chiesa di epoca longobarda dedicata a Sant’Eusebio Vescovo sia stata addossata al mausoleo paleocristiano di Flavio Eusebio e chissà se la tomba del Vescovo Eusebio, mai ritrovata nel corso dei secoli, possa essere nascosta all’interno della chiesa, solo delle indagini archeologiche più approfondite potranno svelare questo mistero.
Dobbiamo ricordare che all'interno del mausoleo paleocristiano vi sono dei graffiti di presbiteri in pellegrinaggio verso Roma, di epoca altomedioevale; di questi graffiti -che sono incisi soprattutto sul resto di intonaco di epoca romana della parete destra- dobbiamo dire che il primo a studiarli fu il prof. Aldo Nestori di Roma che li scoprì, nel 1977, togliendo le diverse mani di tinteggiatura -poste dall'età barocca in poi- dalla parete riportandola allo stato originale; secondo Aldo Nestori i graffiti più antichi vanno datati alla fine del VI-primi VII secolo, se non anche prima. Anche il prof. Carlo Tedeschi (docente titolare associato di Paleografia latina presso l'Università di Chieti e Pescara) li ha studiati diverse volte svolgendo in merito tre pubblicazioni (una del 1998, la seconda del 2002 e la terza nel volume a cura della prof.ssa Natalina Mannino, del 2015); secondo il prof. Carlo Tedeschi i graffiti vanno datati tra la 2° metà dell'VIII e la fine del IX secolo.
Prof. Carlo Maria D’Orazi
Presidente
del Centro di Studi Storici e Archeologici
con sede in Capranica (VT)

La Sapienza senza scale

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Sophia: La Dea della Saggezza e la sposa di Dio
Chi è Sofia? Letteralmente il suo nome, dal greco, significa saggezza.
Lei rappresenta la saggezza nel divino. E’ il cardine centrale della creazione e rappresenta l’aspetto femminile di ogni cosa. E’ stata venerata come la saggia sposa di Salomone dagli ebrei, la regina della saggezza e della guerra (Atena) dai greci, ovvero quale Spirito Santo dai cristiani.
Il suo nome si pronuncia sew-fee’ah in Greco, è conosciuta come Chokmah in ebraico, Sapientia in latino, ed anche il nome della celtica Sheela na gigs si traduce con saggezza.
In qualità di Dea della saggezza e del fato molti sono i suoi volti: la madonna nera, il femminino divino, la madre di dio dei cristiani gnostici.
Sophia è l’anima femminile della divinità giudaico cristiana, sorgente di puro potere.
E’ la madre della creazione: il suo consorte e assistente era Jehovah.
Il suo sacrario, Hagia Sophia ad Istambul, è una delle sette meraviglie del mondo.
Il suo simbolo, il calice, rappresenta lo spirito.
In un’icona mediorientale appare incoronata di stelle, ad indicare la sua assoluta divinità.
Di lei si parla nei libri della bibbia. Ci sono molti riferimenti nel libro dei proverbi, nei libri apocrifi di Sirach,e nel libro della sapienza di Salomone.
L’archetipo
Sophia è il sacro divino femminile nel suo aspetto di saggezza.
Il suo Amore è destinato a colmare non la fame del corpo né i bisogni dei sensi, bensì la sete di conoscenza, di crescita e di elevazione ed evoluzione spirituale, tutto ciò che andiamo cercando quando abbiamo risolto i bisogni primari.
Sophia offre il dono della saggezza, ed il suo archetipo ci conduce all’immagine di un femminile non basato solo sulla riproduzione e maternità, ma su un aspetto raramente discusso, ovvero l’intelligenza e il potere cosmico della forza vitale.
Sophia è là, quando noi vediamo la nostra vita come un cammino verso la conoscenza. Lei presiede all’apertura mentale, è il ponte tra lo sconosciuto e il conosciuto.
Lei ci liberà dalla schiavitù dell’ignoranza per vivere nella luce della Sapienza.
“Sofia è la sapienza e come tale è luce nella luce, e la luce appare sempre priva di umido sentire e di notte feconda. Ma Sophia è tale proprio perché ha già in sé le qualità della luna, il movimento crescente e decrescente dell’anima.
Lei è l’istinto trasformato in amore, l’amore trasformato in conoscenza.
E’ l’acqua delle acque, la luna delle lune, come venere è stella del mattino e regina dei mari.
Non c’è paternità in Sophia, né nelle altre divinità a lei analoghe. Ella è unica come Miria, la meravigliosa, che generò ogni cosa amando sé stessa, come Gea che nella mitologia è madre e al tempo stesso sposa di Urano, come Iside che è sorella e amante di Osiride. E’ la saggezza che viene dal cuore, l’io sento (luna) congiunta all’io sono(sole).
Sophia è il giglio, il loto, il fiore siderale, la candida rosa, la divinità interiore della donna che la guida verso trasformazioni sempre più alte. Lei è la forma che unisce le parti divise, la sintesi da cui è derivata l’analisi e che torna a farsi nuovamente sintesi. È il tutto che è più della somma delle parti, è l’insieme la cui forma dà vita ad un concetto nuovo, ad una nuova intuizione”.
Sophia: l’esilio e il ritorno
Sophia personifica la saggezza, che nelle antiche tradizioni era legata all’integrità che si esercitava nell’ambito del commercio, in politica e nella corte reale.
Nel corso della storia, il fatto che aspetti etici e conoscitivi fossero di guida nella vita in luogo della dottrina - delle regole rivelate - divenne un problema. Nella saggezza è l'individuo al centro, nel suo rapporto con il sapere luminoso che riside nel suo cuore e nella sua mente. Sophia rappresentava dunque un aspetto problematico per il potere religioso e fu infine esclusa dalle dottrine monoteiste.
Con l’esilio di Sophia si può dire che si diede inizio a quella alienazione di cui soffriamo ora, come individui moderni, nel senso di perdita, di tradimento, e di abbandono. Ciò che è stato esiliato è l’anima vitale, il genio o daimon, come viene chiamato da Hillmann.
La strada per risvegliare questa Luce inizia quando prendiamo consapevolezza della nostra vita.
La vitalità esprime l’integrità e intelligenza della forza vitale il cui risveglio pone fine all’esilio, rivelando che Sophia non solo è divina ma è la sorgente delle immagini divine, la psiche umana.
Il culto
In origine gli ebrei erano devoti a Sophia. Il re Salomone la pose nel tempio come dea Asherah. Tuttavia dopo le riforme di re Josiah, si rischiò che il culto di Sophia subisse un arresto , e questo divenne più di un rischio allorchè la cristianità patriarcale prese piede nel mondo.
Invece anche allora, grazie alla sua continua presenza nel mondo e nella bibbia, il culto di Sophia proseguì nella tradizione dell’Est, come testimonia la costruzione del Sacrario Hagia Sophia, e nel servizio liturgico cattolico russo a Sophia, collegato all’assunzione di Maria il 15 maggio.
La chiesa ortodossa russa ha anche dato inizio ad una scuola di sophiologia per esplorare la teologia di Sophia senza contraddire l’ortodossia cattolica russa.
Ma i cristiani dell’est non solo i soli a venerare Sophia.
Sophia era molto probabilmente venerata dai recenti seguaci della Via, e la sua venerazione è sopravvissuta come Gnosticismo e nel Cristianesimo esoterico.
(fonte: ilcerchiodellaluna.it)

venerdì 20 maggio 2022

D'annunzio scrive a Padre Pio

“Mio fratello, so da quante favole mondane, o stupide o perfide, sia offuscato l’ardore verace del mio spirito. E perciò m’è testimonianza della tua purità e del tuo acume di Veggente l’aver tu consentito a visitarmi nel mio Eremo, l’aver tu consentito ad un colloquio fraterno con colui che non cessa di cercare coraggiosamente se medesimo. Caterina la Senese mi ha insegnato a “gustare” le anime. Già conosco il pregio della tua anima, Padre Pio. E son certo che Francesco ci sorriderà come quando dall’inconsueto innesto prevedeva il fiore ed il frutto inconsueti. Ave. Pax et bonum. Malum et pax”
(Missiva di Gabriele D’Annunzio a Padre Pio, colpito dall’Inquisizione, inviata il 28 Novembre 1924)

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giovedì 12 maggio 2022

LA CHIESA MARIA SS. ANNUNZIATA DEI CATALANI E LA GEOMETRIA SACRA (Messina)

“Tutto qui ricorda la sua antica origine pagana e le corse vicende [...]”, si legge nella Guida del Municipio “Messina e dintorni” stampata nel 1902, sei anni prima dell’immane disastro.
La chiesa dei Catalani è infatti un luogo metafisico della storia, un’apparizione evocativa di antiche suggestioni – il turrito “Castello a mare”, la darsena, il nitore abbagliante del tempio classico dedicato al dio del mare, il “respiro” marino nell’ansa del porto e la brezza odorosa di salsedine – più che la presenza fisica di una splendida architettura di pietra dove tuniche, sai, cappe e mantelli di uomini pii e timorati di Dio, la Confraternita dei Catalani venuti dalla Spagna al seguito degli aragonesi, si avvicendarono sotto le superbe volte e arcate.
Venne edificata nel periodo che va dal 1150 al 1200 sugli avanzi del tempio di epoca classica dedicato a Nettuno. Denominata anche “Annunziata di Castello a mare” o di “Castellammare” per la sua vicinanza all’omonima fortezza ubicata a guardia dell’insenatura del porto e della darsena, il 4 febbraio 1169 un terremoto ne causò l’arretramento della facciata e il dimezzamento delle sue dimensioni (da 7 a 3 colonne per lato).
Se oggi desideriamo entrare in maniera diversa nella chiesa e cercare quella regola d’oro che presiede alla sua costruzione, dove si fondono bellezza, spirito e armonia, allontaniamo da noi i falsi valori che sono alla base del presunto progresso e della ricerca senza freni dell’edonismo, barriere insormontabili che chiudono la strada della Conoscenza e con gli occhi per vedere e le orecchie per sentire, interroghiamo il Maestro d’Opera senza nome. La prima cosa che ci dirà è che l’Opera non è individuale, non è collettiva, è comunitaria e ad essa concorre tutta la comunità che si edifica come un corpo vivente. Ci dirà che lui dirige questa comunità sia spiritualmente che materialmente, una comunità dove operano tagliatori di pietra, scalpellini, scultori, trasportatori, muratori, carpentieri, fabbri e vetrai, tutti abili nel loro mestiere che, concorrendo all’opera comune, partecipano della manifestazione del Verbo.
Il Maestro ci racconterà che il tempio è a pianta basilicale con tre navate, tre absidi e cupola innestata sul transetto con pennacchi sferici e che è stato da lui progettato col sistema costruttivo più antico, quello “ad quadratum” perché formato sul quadrato e sulle sue derivazioni geometriche. Il quadrato, che secondo il simbolismo alchemico della trasmutazione rappresenta l’Intelligenza (il cerchio è l’Intuizione e il rettangolo è la Mistica), è esistenza terrena, onestà, moralità, integrità, chiarezza. È anche perfezione statica, immutabilità, e, in quanto tale, la totalità di Dio manifesto nella Creazione.
Nella chiesa dei Catalani la pianta forma il “doppio quadrato” e allora il Maestro d’Opera ci spiegherà che tale particolare impianto trae la sua origine nell’esoterismo ebraico dove si ritrova la valenza magica del “doppio quadrato”, quando nel Libro dell’Esodo (39, 8-9), a proposito delle vesti del sommo sacerdote del santuario mobile nel deserto, si legge: “Fecero il pettorale in lavoro artistico, come il lavoro dell’efod: oro, porpora viola, porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto. Era quadrato e lo fecero doppio, lungo una spanna e largo una spanna”. E, ancora, nel santuario mobile nel deserto per custodire l’Arca dell’Alleanza, la tavola della presentazione dei pani era a forma di doppio quadrato; e l’Arca, patto di amicizia di Dio con il popolo di Israele, era una piccola cassa rettangolare con le dimensioni del doppio quadrato; e che nel Tempio di Salomone costruito a partire dal 1027 a.C., il “Santo dei Santi” contenente l’Arca aveva pianta quadrata perché il quadrato significava il primo gradino nel cammino ascensionale di avvicinamento a Dio.
Quando ci fermeremo ad ammirare il portale principale, guarderemo i due capitelli sui quali imposta l’arco a tutto sesto e così scopriremo che quello a sinistra è decorato da foglie d’acanto mentre quello a destra da tre teste umane, e allora, con l’aiuto del Maestro, capiremo che rappresentano i due dei tre regni della Natura, quelli viventi vegetale e animale. Perché il portale costituisce il punto di partenza di un viaggio che proietta in una dimensione atemporale e aspaziale, rappresenta, al tempo stesso, tutto l’edificio e l’universo, la promessa di salvezza (“Io sono la porta, e chi entra attraverso di me sarà salvo”, dice Cristo). È lo stesso Cristo nella sua duplice natura di Uomo e Dio, e, quindi, mediatore fra l’uomo (l’esterno) e il divino (‘interno).
Dentro archi sorretti da esili colonnine nel settore absidale all’esterno, tante stelle ad otto punte in conci bicromi, pomice lavica nera e gialla pietra calcarea, ci parlano del sacro numero otto come somma di tre numeri: 4 (il corpo-Materia), 3 (l’anima-Trinità), 1 (il divino-Unità). Triangoli equilateri simbolo della Trinità stanno alla base della decorazione a losanghe seghettate delle finestre a conci nelle pareti esterne.
E quando saremo dentro e il Maestro d’Opera ci inviterà a guardare verso l’alto allora vedremo, e vedremo la fantastica cupola a sottilissimi mattoni. La cupola che nell’architettura sacra simboleggia la conoscenza trascendentale, perché vi è realizzata la “quadratura del cerchio”, l’inserimento del quadrato in un cerchio che trasforma la volta celeste (il cerchio, la spiritualità) nel quadrato della terra e viceversa, unendone misticamente i quattro elementi dei pennacchi triangolari (fuoco, terra, aria, acqua).
La “quadratura del cerchio” testimonia, quindi, della lenta maturazione del neofita che nel suo cammino iniziatico passava, dall’interesse per le cose terrene, a quello per le cose divine.
Quadrato, cerchio, triangolo, la geometria sacra che nelle mani del Maestro d’Opera è diventata materia vivente, materia che anela allo Spirito e, quindi, a Dio.
Nino Principato

ROSONE: TERZO OCCHIO DEL TEMPIO

Come l'occhio dell'intuizione è stato cristallizzato nel rosone della chiesa romanica.
Il tempio è da considerarsi il racconto dell'Uomo, la casa dell'Idea che si incarna, materializzandosi nelle misure, nei materiali e nei volumi dell'edificio stesso.
Ora, quando osserviamo i templi antichi, veniamo colpiti dalla loro architettura. Infatti fare dell'architettura significa cogliere l'idea dei Neter, degli Dei che informano la materia in modo che essa divenga il contenente del Tutto.
La tecnica, invece, è ciò che balza evidente nelle costruzioni moderne. Essa è una pura cerebralizzazione fine a sé stessa, e senza nessun aggancio alla grande Legge dei Numeri, la sola che può delimitare i vuoti, lasciando trasparire lo Spirito che si cristallizza nella materia prendendo forma e limiti.
Costruire la dimora per un Dio significa conoscerne l'orienta-mento, ossia comprendere l'Idea che prenderà forma. In tal senso il Dio che scende dal cielo e viene ad abitare in terra, si formalizza secondo i precetti celesti, e l'Idea indistruttibile si cristallizza nella materia transeunte.
L'uomo, il microcosmo, in quanto riflesso del Dio Creatore, è sempre stato il miglior modello, preso a prestito dagli architetti antichi, per edificare il tempio.
Ogni sua parte perciò parla dell'uomo visto nella dualità della sua natura caduta e nell'Unità della sua origine, ne illustra il cammino in terra, la sua vera funzione, la sua vera meta: Ogni parte, poi, viene riferita al suo stato completo mediante una funzione generale: la pianta del tempio stesso.
In altre parole, il tempio è una realtà sacra che deve ubbidire a rigidi canoni, a cui nessuno può mettere mano, escluso il saggio che lo edifica e che possiede la Conoscenza segreta dei Tempi della scrittura celeste.
Nel tempio romanico l'atrio era la rappresentazione dell'Opera al Nero, del primo passo che l'uomo deve compiere per ritornare alla sua Idea Archetipa. Nell'architettura gotica, questo simbolo assume un'altra forma e si cristallizza nel rosone che orna la facciata delle cattedrali.
Il mutamento di simbolo descrive, evidentemente, un cambiamento psico-biologico dell'uomo che percorre la sua lenta catabasi nell'indiamento della materia. Se pochi secoli prima era sufficiente rappresentare la semenza incarnata dello Spirito secondo i canoni di una Geometria Sacra che con la Scienza dei Numeri descriveva la base dei piani, nell'epoca in cui nasce il gotico questa «geometria» non è più sentita,
poiché viene irrimediabilmente perso il segreto del numero, che in sé e per sé è un possente generatore, poiché è semenza, uguale a quella di un frutto che porta la sua specie.
In tal modo, la costruzione si interiorizza, si ritira sempre più in se stessa, e la geometria umana si risolve nella costruzione aerea delle volte che inscrivono il Pentagramma, simbolo dell'essenza archetipa umana; fa sempre più uso delle colonne, che svettano ardite ed agili verso la volta del tempio, e dei policromi rosoni posti sulle facciate, che colorano l'ingresso della chiesa con simboli cromatici archetipali. Viene così offerto un ultimo aiuto all'uomo, che non sa più comprendere nemmeno il profondo significato «geometrico» di quel prodigioso utensile creativo, la mano composta da quattro dita, evocatrici del Quaternario, e il quinto, l'Essenza che comanda alle altre; che non sa più osservare le dodici falangi come i simboli dei dodici luoghi del cielo, costruite secondo le proporzioni del Numero Sacro.
Il tempio non verrà più edificato secondo uno schema che parli dell'Architettura del mondo, divenuta afona, coscienza interna, profonda, poiché il numero sta abbandonando l'intelligenza cerebrale. Il gotico sarà ultimo linguaggio che sintetizzerà, nelle sue forme, la geometria che è alla base della numerologia. Dopo, le forme diverranno mute, saranno come morte, che non potranno più parlare al cuore dell'uomo, poiché l'idea avrà definitivamente abbandonato la materia e sorgeranno costruzioni vuote di ogni contenuto vitale, in quanto frutto di una pura cerebralizzazione.
Prenderà piede l'estetica, idea quanto mai vuota di contenuti sostanziali, perché non definibile entro canoni universali, per lasciar posto nei nostri tempi ad un astratto quanto falso efficientismo che, nella maggioranza dei casi, non avendo alcun riscontro
con le leggi genetiche della Natura, non solo non risulta di alcuna utilità per l'uomo, ma talora è addirittura dannosa.
Con lo stile gotico dunque cade la base dei piani, la geometria si interiorizza e si nasconde tra le forme architettoniche del tempio. L'atrio lascia il posto alla facciata della chiesa su cui compare il rosone, che diviene il simbolo della Stella che sorge nel capo dell'iniziato e che, come tale, vuole rappresentare l'apertura del terzo occhio, il risveglio dell'epifisi; la presa di coscienza del seme della Materia, che pone l'uomo nelle condizioni di arrivare alla Radice della Manifestazione.
In tal senso, oltre alla proiezione di determinati colori nell'interno del tempio, tramite le vetrate colorate (a cui sì aggiunge la polarizzazione della luce stessa, ottenuta con appropriati trattamenti dei cristalli colorati, tecnica oggi completamente sconosciuta), il rosone, simile ad un gigantesco occhio, si arricchisce di altri simboli.
Su di esso, variamente lavorato dalla sapiente arte degli scalpellini, veri maestri muratori, viene incastonata la suddivisione per 8, per 12 o per 16.
È chiaro come questi tre numeri siano la rappresentazione del percorso del Sole in cielo, e come essi siano multipli delle quattro stazioni stagionali che l'astro tocca nel suo ciclo annuale. Evidentemente essi, pur rappresentando numerologicamente il simbolismo di una stessa realtà, intrinsecamente posseggono caratteri esoterici diversi tra di loro. Otto sono i lati costituenti il perimetro di ogni battistero. Nella costruzione di quello di S. Tecla in Milano, S. Ambrogio invocò, affinché la vasca dell'acqua lustrale crescesse sulla base del sacro otto. 'È il numero della palingenesi, del passaggio dalla materia (la manifestazione, quadrata) allo Spirito, circolo senza inizio e senza fine. Dal quadrato infatti, si passa al cerchio attraverso l'ottagono, che rimane come figura intermedia. La stessa cosa avviene volumetricamente: dal cubo, centro del tempio, ove è posto l'altare o i transetti, si passa alla sfera o semisfera della volta o cupola, proiezione aerea del tempio, attraverso il solido ottogonale.
Sul percorso solare annuale, se la croce, o il quattro, rappresenta il quadruplice stazionamento del Sole ai quattro punti principali del suo percorso (i due equinoziali e i due solstiziali), una seconda croce intermedia, che interseca la prima di 45°, suddividerà il suo percorso in Otto. Questa ottuplice divisione fu sempre ricordata dall'antichità, per cui, posti sulla Croce principale le festività solenni, ovvero quelle riguardanti i solstizi e gli equinozi, le feste minori (intermedia, poste sulla seconda croce) furono ricordate come le feste dei campi.
.L'otto inoltre è il simbolo del processo genetico, tanto in campo materiale che spirituale, ove l'accrescimento avviene per duplicazione progressiva, ossia secondo i rapporti, 1, 2, 4, 8, come dice Thot nel Papiro di Petamon:
Io sono Uno che diviene Due io sono Due che diviene Quattro io sono Quattro che diviene Otto io sono sempre Uno dopo questo
Il numero Sedici,per i Greci è il quadrato del Quattro, la Tetràktis elevata alla sua potenza e quindi nel suo aspetto dinamico, mentre per gli ebrei il 16 rappresenta il nome divino dei nomi propri di Dio: Je-Ab (o JodVau) è 10 + 6 e anche Jeova Padre . Ma secondo la tradizione ebraica sarebbe sacrilego, scrivendo, accostare lettere dell'alfabeto in modo tale da formulare il nome di Dio. Per questo il numero 16 non viene scritto 10 + 6 ma 9 + 7, Tet-Zain
Sedici sono gli Dei Azonici di Giamblico, gli Spiriti che dimorano nella Sfera Solare, come sono gli Enti Zodiacàli che l'Abate Tritemio insegna ad evocare nella sua Steganografia, e sedici è la suddivisione più logica della fascia zodiacale, vista da un punto di vista ermetico operativo, o magico.
Dodici è invece il numero Zodiacale per eccellenza che illustra il percorso circolare del Sole (nell'interpretazione che non va oltre i 12 Segni) datore di vita e reggitore delle cose di quaggiù, strumento dell'Astrologia usuale, delimitatore dei confini del presente universo, confini entro cui tutto ciò che esiste, vive e segue le leggi di questo cosmo. Secondo gli spicchi in cui viene suddiviso l'emblema dell'occhio della intuizione, cristallizzato nel rosone della chiesa, noi possiamo risalire allo spirito che ha animato i costruttori di quel tempio, e l'uso specifico del culto che deve essere effettuato in quella chiesa.
I templi iniziatici nel vero senso del termine, nei quali prevale lo spirito magico-operativo e l'Opera al Nero viene raggiunta facendo ricorso a quegli Enti di cui hanno parlato Pietro d'Abano, o l'Abate Tritemio e ove l'Astrologia è considerata come mezzo indispensabile con cui si possono mettere in atto le pratiche del Magistero, avranno generalmente il rosone centrale a 16 spicchi. La facciata, inoltre, sarà corredata da altre simbologie, come persone con libri aperti o chiusi, ad indicare, il carattere pratico-magico che dovrebbe avere il tempio.
Un esempio è S. Marco a Milano, ove il rosone è diviso in 16 spicchi ed il mozzo è rappresentato dalla Stella di David, segno iniziatico per eccellenza che rappresenta l'intersezione del triangolo attivo con quello passivo. Sotto il rosone compaiono tre figure, di cui una ha un filatterio in mano, indice che il Magistero deve seguire un suo iter particolare.
(di: Mara Mitzchar - n.4 Kemi Hathor 1983)
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Sotto la basilica di Santa Maria alla Sanità

Cripta e catacombe di San Gaudioso (IV-XVII secc.), Basilica di Santa Maria della Sanità, Rione Sanità, Napoli.
La cripta, già ambiente ipogeo, e le catacombe di San Gaudioso, furono scavate nelle lave della Sanità. È costituita da dodici altari affrescati a cavallo del 1700, che raffigurano gli atti eroici dei santi, su un lato gli uomini e sull’altro le donne, ad opera di Bernardino Fera allievo più promettente di Francesco Solimena.La struttura catacombale, formatasi probabilmente sulla sede di una preesistente necropoli greco-romana, andò comunque sviluppandosi nell'allora disabitato vallone della Sanità (attuale Rione Sanità) dove, secondo la tradizione, aveva trovato sepoltura san Gaudioso, un vescovo dell'Africa settentrionale...
Potrebbe essere un'immagine raffigurante spazio al chiuso e corridoio

mercoledì 11 maggio 2022

Un testo inedito di Apuleio di Mandaura scoperto alla biblioteca Capitolare di Verona

https://www.larena.it//argomenti/cultura/il-nuovo-tesoro-della-capitolare-la-piu-antica-traccia-del-commento-di-apuleio-alla-repubblica-di-platone-br-1.9402069

Il nuovo tesoro della Capitolare: la più antica traccia del commento di Apuleio alla «Repubblica» di Platone 

La Kaaba


Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone e persone in piedi

La Kaaba était le temple des polythéistes plusieurs siècles avant la naissance de Muhammad
Les polythéistes venaient de toutes l'Arabie adorer leurs idoles : des pierres , et , la pierre noire était l'une d'elles La Déesse de la fécondité ,les femmes stériles faisaient le " Hak " ( friction ) elle frottait la pierre noire avec un linge imbibé du sang de leurs dernières règles , elles tournaient 7 fois autour en implorant la Déesse Allat
La pierre noire était déjà à cette époque , placée dans une cavité qui représentait , le sexe de la femme
Au 7 ème siècle , Muhammad a eu besoin d'un lieu de culte , a chassé les polythéistes , a détruit toutes les idoles sauf la pierre noire , et , il l’embrassait
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone e testo

martedì 10 maggio 2022

Parola di oracolo

" Admetos e Alkestis ricevono l'oracolo". Affresco romano trovato a Ercolano, Italia.
Admeto e sua moglie Alkestis ricevono l'oracolo dicendo che uno di loro morirà a meno che un parente non si offra di andare nell'Ade; I genitori di Admetos ascoltano.
Museo Archeologico Nazionale, Napoli.

Potrebbe essere un contenuto artistico

lunedì 2 maggio 2022

Radici Lontane

alessandro giuli (@a_g_giuli) / Twitter

Adesso che stanno passando le due festività stagionali (25 aprile e 1 maggio), potrebbe essere interessante sottolineare che ambedue queste date hanno avuto nel passato un significato celebrativo ben diverso da quello attuale (Festa della Liberazione e Festa dei Lavoratori).
25 aprile
Il 25 aprile era la data quando si celebravano le Rogazioni maggiori, una serie di riti cattolici, che consistevano in preghiere, atti di penitenza e processioni propiziatorie per la buona riuscita delle semine.
Ma, come spesso succede, questo rito cattolico era derivato da una precedente festività romana, quella dei Robigalia, celebrata in onore del dio Robigus, una divinità ctonia e maligna legata alla “ruggine”, una particolare malattia del grano causata dal fungo Puccinia graminis.
Per acquietare la furia della divinità, le celebrazioni comprendevano dei giochi (ludi), ma soprattutto il sacrificio di un cucciolo di cane (catulus), che doveva avere il manto rosso. Il richiamo al colore rosso era tematico: la malattia del grano era caratterizzato da un colore rosso, lo stesso colore del pelo e del sangue dell’animale sacrificato, il cui colore richiama anche quello del dio della guerra e, sorprendentemente, dell’agricoltura, Marte. Infatti, secondo uno dei massimi esperti di religioni romane, William Warde Fowler, il nome Robigus non era altro che un’indigitazione del dio Marte, vale a dire un nome usato in una preghiera per invocare uno specifico intervento del dio.
1 maggio
Il 1 maggio, invece, veniva celebrato da molti popoli del passato.
I Romani lo facevano coincidere con Floralia, una cerimonia di cinque giorni per onorare Flora, la dea romana dei fiori, che era considerata una delle più antiche dee della religione romana ed era una delle 15 divinità ad avere uno specifico sommo sacerdote, il Flamen Florialis.
Beltane
Per i Celti, la festa coincideva con Beltane (anche se il giorno non sempre coincideva esattamente con il 1 maggio), "il ritorno del sole". Storicamente, si festeggiava in Irlanda, in Scozia e nell'Isola di Man e iniziava la notte prima del 1 maggio. Gli antichi Celti credevano che il sole fosse tenuto prigioniero durante i mesi invernali, per essere rilasciato ogni primavera e celebravano quindi questo momento con falò e feste, oltre a rituali per proteggere il bestiame, i raccolti e le persone e per incoraggiare la crescita. Si riteneva che le fiamme, il fumo e le ceneri dei falò avessero poteri protettivi. Le persone e il bestiame venivano fatti camminare intorno al falò e qualche volta saltavano attraverso le fiamme o le braci.
I pozzi sacri
Anche i pozzi sacri venivano visitati a Beltane: i visitatori pregavano per la salute mentre camminavano in senso solare (spostandosi da est a ovest) intorno al pozzo. In seguito lasciavano delle offerte, o monete o un clootie (un tipico budino). La prima acqua prelevata da un pozzo a Beltane veniva considerata particolarmente potente, così come la rugiada mattutina di Beltane. All'alba di Beltane, le fanciulle si rotolavano nella rugiada o si lavavano il viso con essa. La rugiada veniva anche raccolta in un barattolo, lasciata alla luce del sole e quindi filtrata. Si pensava che essa aumentasse l'attrazione sessuale, mantenesse la giovinezza e aiutasse a guarire i disturbi della pelle.
La Notte di Walpurga
Più articolata è l’interpretazione della Notte di Walpurga (Walpurgisnacht), la notte dal 30 aprile al 1 maggio. La notte è così chiamata perché è la vigilia della festa di Santa Walpurga, una badessa anglosassone dell'VIII secolo nata in Inghilterra e morta in Germania. Il 1° maggio 870 (circa) fu il giorno in cui le spoglie di Santa Walpurga furono traslate alla Chiesa della Santa Croce a Eichstätt.
Ma pare che la festa sia molto più antica: secondo alcune tradizioni teutoniche del IV-V secolo, le streghe in questa notte uscivano dai loro rifugi per danzare e cantare, in particolare, nella zona del monte Brocken (Harz), situato in Germania settentrionale, dove questi canti e balli erano dedicati alla luna e all'arrivo della primavera. Insomma una specie di Halloween primaverile, che fu trasformata dalla Chiesa cattolica in una festa, nella quale i cristiani invocavano l’intercessione di Santa Walpurga per proteggersi proprio contro la stregoneria e il sabba delle streghe. In vaste parti dell’Europa settentrionale (Germania, Paesi Bassi, Repubblica ceca, Svezia, Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia, dove è noto come Vappu ed è una festa molto importante) le persone accendono falò, e fanno forti rumori per cercare di tenere lontane le streghe e i cattivi spiriti. Altri metodi usati per scongiurare le forze del male in quella notte erano di appendere rametti benedetti nelle case o nei granai, o di lasciare offerte di pane con burro e miele (noto come "ankenschnitt").
L'albero di Maggio
In Inghilterra (nelle zone di influenza anglosassone o vichinga), ma anche in Austria, Ungheria, paesi scandinavi, ecc., il 1° maggio era dedicato al ballo attorno al Maypole (albero di Maggio) un albero o palo ornato di fiori attorno al quale i giovani di entrambi i sessi ballavano. Secondo alcune fonti, la cerimonia è stata ispirata dall'albero del mondo, il Yggdrasil, delle saghe nordiche, ma altri affermano che i Maypole siano simboli fallici di fertilità. Comunque, questa danza divenne particolarmente popolare nelle isole britanniche intorno al 1350-1400 d.C., e veniva ripetuta anche a Pentecoste o nella festa di mezza estate.