“Espulsione ingiusta, fretta eccessiva”. Il caso del dissidente kazako diventa politico
Moglie e figlia del dissidente Ablyazov prelevate a Roma e consegnate al dittatore Nazarbayev. Il Tribunale: "Non andavano espatriate". Farnesina e Guardasigilli non informati, Alfano accusato "di aver gestito in proprio". Letta prima dice di non sapere nulla, poi promette una verifica
Ora una sentenza del tribunale di Roma lo dice chiaramente: non c’era nessuna irregolarità nel passaporto della moglie di Mukhtar Ablyazov, principale oppositore del regime dittatoriale diNursultan Nazarbayev in Kazakistan, paese ricco di materie prime e strategico per gli interessi dell’Eni. Eppure la donna, come raccontato il 5 giugno scorso da ilfattoquotidiano.it, è stata estradata dall’Italia. In tutta fretta, senza attendere verifiche sul documento. Tanto da far gridare gli avvocati difensori “alla extraordinary rendition, ossia cattura illegale”. Le ultime novità sulla vicenda dell’estradizione di una donna e di una bambina di sei anni, prelevate contro la loro volontà nella loro residenza di Casal Palocco (Roma) e rispedite in tutta fretta il 31 maggio in quel Kazakistan dove Ablyazov è il principale oppositore del regime, aprono risvolti politici che toccano direttamente il governo. Anche perché nella sentenza i giudici scrivono che la “velocità con cui si è provveduto al rimpatrio”, in una situazione così delicata, “lascia perplessi”. Tra i vari documenti visionati da ilfattoquotidiano.it c’è anche la nota verbale dell’ambasciata kazaka, in cui si avvisava della presenza dell’oppositore politico Ablyazov a Roma. Questa nota, il 28 maggio è stata inoltrata direttamente alla Questura di Roma (che fa capo al ministero degli Interni), e non al dicastero degli Esteri o, a livello procedurale, a quello della Giustizia. E proprio dalla questura è partitoil blitz notturno della Digos (una cinquantina di uomini armati, raccontano gli avvocati), che la notte del 29 maggio ha prelevato Alma Shalabayeva, moglie di Ablyazov. A dimostrazione di uno scontro in atto tra il dicastero degli Esteri, che avrebbe dovuto non solo essere informato ma anche occuparsi della vicenda, e il Viminale, che – raccontano alcune fonti – dalla Farnesina accusano di aver gestito in proprio la vicenda.
Se in Senato l’unico a parlare in aula è stato il senatore del M5S Giarrussoalla Camera l’interrogazione parlamentare dell’11 giugno di Alessandro Zan e di altri esponenti di Sel sottolinea questa discrasia.
All’epoca dei fatti, le prime dichiarazioni furono del ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri: “Mi sono subito informata, le procedure sono state perfette, tutto in regola e secondo legge” (cosa che come vedremo il 25 giugno il Tribunale del riesame ha smentito) e poi del ministro degli Interni Angelino Alfano, che “ha preso atto della vicenda”. Assordante è stato invece il silenzio sulla vicenda del ministro degli Esteri Bonino, che solo giorni dopo in un’intervista a Il Messaggero definì l’incidente “anomalo”. A quanto risulta a ilfattoquotidiano.it infatti, alla Farnesina ritengono infatti essere di essere stati scavalcati nella vicenda dal ministero degli Interni, guidato da Angelino Alfano, vicepremier, segretario del Pdl e uomo fidato di Silvio Berlusconi, grande amico del dittatore kazaco. Tutto nel silenzio del premier Enrico Letta, che questa mattina non ha risposto al nostro cronista che gli chiedeva informazioni in merito, salvo poi, in serata, pubblicare uno scarno comunicato: “Rispetto a quanto apparso sulla stampa circa la vicenda della cittadina kazaka Alma Shalabayeva, il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha immediatamente chiesto di avviare una verifica interna agli organi di Governo che ricostruisca i fatti ed evidenzi eventuali profili di criticità”.
Inoltre, tra i vari documenti visionati, il fattoquotidiano.it ha potuto vedere l’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma del 25 giugno che ha stabilito l’immediata la restituzione alla famiglia dei beni sequestrati nelle perquisizioni avvenute a fine maggio nella villa di Casal Palocco. Tra questi il passaporto della Repubblica Centroafricana mostrato dalla donna agli inquirenti e ritenuto falso – il casus belli della deportazione – 50mila euro in contanti, una memory card e altri beni. A proposito del passaporto, il Tribunale del riesame scrive che, a seguito dei documenti presentati dagli avvocati di difesa dello studio legale Olivo-Vassalli, “il passaporto in possesso dell’indagata non è falso”. E aggiunge poi una considerazione: “lascia perplessi la velocità con cui si è proceduto al rimpatrio in Kazakistan della indagata e della bambina, congiunti di un rifugiato politico, in presenza di atti dai quali emergevano quantomeno seri dubbi sulla falsità del documento”.
E a sottolineare l’aspetto politico della vicenda ci ha pensato lo stesso Ablyazov in un’intervista al quotidiano La Stampa . “Mi appello a Enrico Letta affinché faccia piena luce sulla deportazione di mia moglie e figlia da Roma in Kazakhstan, dove ora sono in ostaggio di Nursultan Nazarbayev”, ha detto Ablyazov, aggiungendo poi “E’ un fatto senza precedenti, avvenuto perché il dittatore del Kazakistan voleva due ostaggi contro il suo maggiore oppositore politico. (…) Ciò che abbiamo compreso ci porta a credere che sia stato un blitz del ministero dell’Interno in collaborazione con agenti di una dittatura ex sovietica. Quelli che in Italia avrebbero potuto bloccare il rapimento sono stati esclusi dall’operazione. Il governo italiano deve spingere il ministero dell’Interno a svelare la verità ponendo fine alla protezione dei responsabili di questa vicenda”.
L’intera vicenda era stata raccontata da ilfattoquotidiano.it, che aveva anche riportato un vecchio articolo del Daily Telegraph del 2010 dove era spiegato come il Kazakistan avesse minacciato la Gran Bretagna che, nel caso fosse stato concesso asilo politico ad Ablyazov, da anni rifugiato a Londra, avrebbero chiuso i contratti con le compagnie britanniche. Da qui non era stato difficile ipotizzare perché l’Italia avesse deciso di consegnare la moglie la figlia di Ablyazov, facendo sì che fossero esposte, a detta degli avvocati, “all’elevatissimo rischio trattamenti disumani, analoghi a quelli cui fu sottoposto il marito in patria”. Il Kazakistan è una terra ricchissima di risorse naturali, e uno dei principali partner commerciali del regime è l’azienda parastatale italiana Eni. Attiva nel paese dal 1992, Eni ha stretto accordi di cooperazione. Gli ultimi sono del 2012. Si tratta delle estrazioni di gas e petrolio nell’immenso giacimento di Karachaganak (5 miliardi di barili di riserve) e le trivellazioni a Kashagan (dove s’ipotizzano 13 miliardi di barili).
twitter: @ellepuntopi
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