Articolo preso da rinascita
quotidiano
di sinistra nazionale
Giacomo Boni, storia di un
pagano
Quante volte si sente dire a tambur
battente da parte di troppe persone la frase “Dio,
patria e famiglia”? Spesso è accostata
a una determinata concezione della vita che
prevede il “rispetto delle tradizioni”
soprattutto per le feste comandate, ormai in realtà
ridotte a consumismo becero, sguardi
in cagnesco fra parenti e consegne di regali
che poco o niente hanno di sincero, o
nel credere di essere fedeli a una religione
che nulla ha in comune con le vere
radici italiane ed europee.
Questa frase è stata partorita da un ambiente che non sa praticamente nulla
della propria Storia, che a torto
considera un Atlantista il “vero Padre” della cosiddetta
“destra”... come si può pensare che
non si
sia genuflessa
anche spiritualmente?
Di solito vengono coinvolti nel discorso i Patti Lateranensi, e li si cita a modo,
dimenticandosi però che le relazioni
fra lo Stato Italiano e la Santa sede non
furono mai ottime neanche dopo gli
accordi stessi, specialmente nell’educazione
dei giovani. La stessa Azione
Cattolica fu sempre percepita come un corpo estraneo,
o meglio come una specie di rifugio
per antifascisti (Partito popolare,
sindacalisti cattolici, antifascisti
in genere).
Lo stesso Mussolini disse: “Un altro regime che non sia il nostro, un regime
demo-liberale, un regime di quelli che
disprezziamo, può ritenere utile rinunciare
alla educazione delle giovani
generazioni. Noi no. Su questo campo siamo intrattabili!
Nostro deve essere l'insegnamento
[...]” (dal discorso pronunciato alla Camera dei
deputati sui Patti Lateranensi il
13 maggio 1929).
Alle accuse rivolte dal papa, rispondeva ancora: “Dire che l'istruzione spetta
alle famiglie, è dire cosa al di fuori
della realtà contemporanea. La famiglia moderna,
assillata dalle necessità di ordine
economico, vessata quotidianamente dalla lotta
per la vita, non può istruire nessuno.
Solo lo Stato, coi suoi mezzi di ogni specie,
può assolvere questo compito. Aggiungo
che solo lo Stato può anche impartire la
necessaria istruzione religiosa,
integrandola con il complesso delle altre discipline.
Qual è, allora, l'educazione, che noi
rivendichiamo in maniera
totalitaria? L'educazione
del cittadino”. Il conflitto tra Stato
e Chiesa raggiunse il punto massimo il 28
maggio 1931, con la chiusura da parte
del governo fascista delle sedi dell'Azione
Cattolica e il conseguente ordine di
sciogliere tutte le organizzazioni cattoliche
(ma nello stesso 1931 avvenne una
sorta di riconciliazione tradottasi in una
“spoliticizzazione” della stessa, ad
esempio i dirigenti non potevano appartenere
a partiti avversi al Regime). Papa
Ratti intervenne nel luglio 1931 con l'enciclica
"Non abbiamo bisogno", in
difesa dell'Azione Cattolica e contro la dottrina e la prassi
fascista, bollata come
“statolatria pagana”.
Statolatria pagana. Questa definizione sarebbe piaciuta e non poco a un personaggio poco conosciuto,
vuoi per i luoghi comuni come quello
denunciato all’inizio, vuoi per la scarsa voglia
di approfondire, figuriamoci poi sul
“male assoluto”: si tratta di Giacomo Boni. Nato
a Venezia, ironia della sorte proprio
il 25 Aprile del 1859, architetto ed archeologo,
fu Senatore del Regno d’Italia nella
XXVI Legislatura. All’età di 19 anni partecipò
alla ristrutturazione del Palazzo
Ducale a Venezia. Aveva sempre buoni rapporti
con il mondo inglese, in particolare
con W. Morris, Ph. Webb, W. D. Caröe, i quali
erano tutti legati al movimento
neogotico e preraffaellita. Nel 1885 conduceva il suo
primo scavo con metodo stratigrafico
intorno alle fondazioni del campanile di S. Marco.
Nel 1888 è chiamato a Roma dove viene
nominato segretario della Regia Calcografia
da parte del Ministro dell’Istruzione
Boselli e nel 1890 diventa ispettore generale delle
Antichità e Belle Arti. In questo
incarico capì di quale aiuto necessitavano i monumenti
italiani (monito per chi ancora si
ostina a dire che i “fascisti” sono i vandali che li
danneggiano...). Famose sono le sue azioni
per difendere le basiliche pugliesi e per
impedire la demolizione della
cattedrale di Nardò. Nel 1892 partecipò con L. Beltrami e
con G. Sacconi alle ricerche
archeologiche intorno al Pantheon. Nel biennio
1895-1896 fu direttore dell’Ufficio
Regionale dei Monumenti di Roma e a partire dal
1898 - su proposta del Ministro
dell’Istruzione G. Baccelli - dirige gli scavi del Foro
Romano, a cui a partire dal 1907 si
aggiungono quelli del Palatino. Lungimirante
fu la sua proposta - diventata poi
realtà nel 1907 - della istituzione del Gabinetto
Fotografico Nazionale presso il
ministero dell'Istruzione; egli avrebbe voluto anche un
catalogo nazionale dei monumenti e
norme adeguate per la
conservazione e il restauro dei
medesimi.
La ricerca nell’area del Foro e in quella del Palatino sono le sue azioni più famose:
in esse è il primo ad adoperare il
metodo stratigrafico, immortalato nell’articolo
“Il metodo negli scavi archeologici”
ne “La Nuova
Antologia” del 16
Luglio 1901.
Il periodo migliore per Boni andò dal 1899 al 1905, con lo scavo davanti al
tempio di Cesare, a quello di Vesta e
nei pressi dell’arco di Settimio Severo:
in quest’ultimo scavo fu ritrovato
il “Lapis Niger”.
Risalgono al 1900 i saggi stratigrafici sotto l’area del Comizio, quello della “Regia”,
l'inizio della demolizione della
chiesa di S. Maria Liberatrice nell'angolo del Foro
sotto il Palatino, dove sarà riportata
in luce la chiesa di S. Maria Antiqua. Seguono
l'esplorazione del fonte di Giuturna,
la scoperta delle cosiddette gallerie cesaree
sotto il piano della piazza e quelle
degli Horrea Agrippiana e del cosiddetto carcere
sul fianco della Via Sacra, presso il
tempio di Antonino e Faustina. Qui, nel 1902
apparve la prima tomba del sepolcreto
arcaico. L’esplorazione della necropoli fu
illustrata dalle relazioni nelle
Notizie degli scavi (dal 1902 al 1911). Nuovi elementi
furono forniti dall'esame
stratigrafico del terreno sotto l’ equus Domitiani e dal
ritrovamento del Lacus Curtius. Nel
1906 fu incaricato delle ricerche nel Foro di
Traiano e successivamente di quelle
intorno alle mura serviane.
Nel 1912, con lo scoppio della Guerra in Libia, da lui considerata come una
“guerra romana”, fu inviato nel 1912 a
Tripoli insieme con L. Mariani, con l'incarico
di accertare la natura e le condizioni
del sottosuolo dell'arco di Marco Aurelio
e di predisporre le necessarie opere
di consolidamento e di restauro. Ma con
la Prima Guerra Mondiale le sue
spedizioni archeologiche
conobbero un periodo di stallo.
Sgomento dai pericoli della guerra e preoccupato fra l'altro del destino riservato alle
opere d'arte (lettera al Boselli
dell'11 maggio 1915), egli interruppe gli scavi, si recò
a Venezia e quindi al fronte, dove
approntò per i combattenti una veste
bianco-azzurra appena distinguibile
sulla neve e una controscarpa
impermeabile a imitazione della caliga
romana.
Dopo la Marcia su Roma fu nominato senatore il 3 marzo 1923 e il 27 aprile dello
stesso anno votò la fiducia a
Mussolini. Il 1° Marzo dell’anno precedente rievocò
la festa del Natale di Marte e il 21
Aprile del 1923 si era impegnato per la
celebrazione del Natale di Roma nel
Foro di Augusto.
Il 28 ottobre, nel primo anniversario della marcia su Roma, sovrintese all'adunata
dei fasci di combattimento davanti
all'ara di Cesare, dopo essersi adoperato,
su una esplicita richiesta del
nazionalista Luigi Federzoni, per la ricostruzione
del fascio littorio, assunto come
insegna dal
Partito Nazionale Fascista.
Il suo programma originario prevedeva per l’evento una serie di cerimonie
pagane: Cereris Mundus, Ludus Troiae,
Opus Coronarium, Ludi Palatini e Lupercalia.
Tra i tentativi fatti per restaurare
la religione romana vi furono veri e propri
riti pagani da lui eseguiti: si
ricordano la commemorazione del Lacus Curtius nel 1903
con l'amico Horatio Brown, la
purificazione del tempio di Giove Vincitore nel 1916,
la costruzione dell'ara graminea sul
Palatino nel 1917. Nel 1923 collaborò alla
tragedia “Rumon”, disegnando i
caratteri romani arcaici per il cartellone e per il
testo stesso: del 4 maggio dello stesso
anno è la lettera al Prefetto di Roma
relativa alle sue preoccupazioni in
merito alla rappresentazione dell’opera.
Insomma, Boni simpatizzava per la
religione pagana degli antichi Romani e
il suo sogno sarebbe stato la
restaurazione della medesima ad opera di
Benito Mussolini, il quale, anche
semplicemente con il sostantivo “Fascismo”
si richiamava alla Romanità. Purtroppo
la morte sopraggiunse
nell’Urbe il 10 Luglio del 1925.
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Pubblicato
da luigi pellini a 02:54
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