La spiritualità di Marinetti: fra anticlericalismo,
spiritismo e cristianesimo
13 maggio 2013 (10:49) | Autore: Giovanni Balducci
Tags: anticlericalismo, dinamismo, fascismo, Filippo Tommaso Marinetti, futurismo, Marinetti,movimento
È noto come il Programma sansepolcrista del 1919 fosse fortemente anticlericale e presentasse addirittura un piano di “svaticanizzazione” dell’Italia mediante il sequestro di beni e l’abolizione dei privilegi ecclesiastici. All’adunata di piazza San Sepolcro del 23 marzo 1919 a Milano partecipa anche Filippo Tommaso Marinetti in qualità di leader del Partito Politico Futurista.
L’anticlericalismo di Marinetti ben si sposa con quello del movimento fascista, anzi è ancor più radicale di quest’ultimo, come si evince dal manifesto “Contro il Papato e la mentalità cattolica, serbatoi di ogni passatismo”, sempre del 1919, in cui il poeta propone di: «Sostituire all’attuale anticlericalismo retorico e quietista un anticlericalismo d’azione, violento e reciso, per sgomberare l’Italia e Roma dal suo medioevoteocratico che potrà scegliere una terra adatta ove morire lentamente».
Tali dichiarazioni non fanno altro che confermare quanto già espresso da Marinetti ne L’aeroplano del Papa, pubblicato nel 1912, in cui il padre del Futurismo predicava la necessità di «svaticanare l’Italia» e – in tempi non sospetti – di muovere guerra alla bigotta Austria.
Ma il violento anticlericalismo marinettiano è ben visibile in nuce già nel celebre Manifesto futurista del 1909, così pregno di quel dinamismo anarchico ed antitradizionale che sarà la cifra essenziale del movimento futurista, dal quale prenderà il via una nuova e rivoluzionaria stagione culturale, e che rappresentò, ça va sans dire, l’antecedente storico non solo di tutta l’arte a venire, ma anche di un nuovo modo di intendere la vita veloce e disinvolto.
Coevo al Manifesto del Futurismo è il “Manifesto politico per le elezioni del 1909” in cui Marinetti faceva professione di nazionalismo, anti-pacifismo, anti-socialismo ed anti-clericalismo. Dello stesso anno è anche l’incendiario romanzoMafarka, il futurista, che gli valse un processo per oltraggio al pudore. Pervaso da suggestioni nietzscheane ed anti-romantiche, il romanzo culmina con la generazione da parte del protagonista di un essere dalle fattezze di uccello meccanico, stante a simboleggiare la volontà di potenza ed il genio creativo dell’artista, temi cari al filosofo della “morte di Dio”.
A proposito delle concezioni antimetafisiche di Marinetti, Julius Evola– che di metafisica, invece, campava – ricorderà nella sua autobiografia di quando il poeta, dopo aver letto un suo scritto, gli disse chiaro e tondo che le proprie idee erano lontane dalle sue più di quelle di un esquimese. Ma si sa, quando non si crede più nella trascendenza, si finisce spesso col credere a tutto: così fu anche per Marinetti, che come molti altri positivisti della sua epoca – pensiamo a Cesare Lombroso, e alla sua passione per i tavolini traballanti – prese a frequentare medium e spiritisti, stringendo amicizia, tra l’altro, con la sensitiva e poetessa triestina Nella Doria Cambon, confidente, per altro, anche di Svevo e di D’Annunzio.
Ma il vitalismo di cui è pervasa l’intera opera marinettiana non è esente da influenze misticheggianti: quella di Marinetti è però una “mistica della materia”, infatti, il movimento, l’azione, il dinamismo, per Marinetti, non sono che espressioni di quell’energia bergsonianamente intesa come frutto di uno slancio vitale che spinge la materia ad evolversi. Egli stesso affermava che ogni sera era solito inginocchiarsi e pregare di fronte alla lampadina del proprio comodino, perché in essa circolava la “divina velocità”.
Con l’avanzar degli anni, nondimeno, farà ritorno alla fede cattolica. Negli anni ’30 promuove addirittura il movimento dell’“arte sacra futurista”, sostenendo che: «Solo gli artisti futuristi, che da vent’anni impongono nell’arte l’arduo problema della simultaneità, possono esprimere simultaneamente i dogmi simultanei del culto cattolico, come la Santa Trinità, l’Immacolata Concezione e il Calvario di Dio».
I suoi ultimi scritti, del 1944, sono “L’aeropoema di Gesù”, dove canta con enfasi palinodica «l’illusione di essere di metallo, mentre si è solo povera carne piangente», ed il “Quarto d’ora di poesia per la X Mas” – scritto poche ore prima di morire – in cui pare destreggiarsi tra il ritrovato amore per Dio e la passione per l’azione che l’accompagnò per tutta la vita: «Non vi grido arrivederci in Paradiso – dirà ai combattenti della X – ché lassù vi toccherebbe ubbidire all’infinito amore purissimo di Dio mentre voi ora smaniate dal desiderio di comandare un esercito di ragionamenti dunque autocarri avanti».
È noto come il Programma sansepolcrista del 1919 fosse fortemente anticlericale e presentasse addirittura un piano di “svaticanizzazione” dell’Italia mediante il sequestro di beni e l’abolizione dei privilegi ecclesiastici. All’adunata di piazza San Sepolcro del 23 marzo 1919 a Milano partecipa anche Filippo Tommaso Marinetti in qualità di leader del Partito Politico Futurista.
L’anticlericalismo di Marinetti ben si sposa con quello del movimento fascista, anzi è ancor più radicale di quest’ultimo, come si evince dal manifesto “Contro il Papato e la mentalità cattolica, serbatoi di ogni passatismo”, sempre del 1919, in cui il poeta propone di: «Sostituire all’attuale anticlericalismo retorico e quietista un anticlericalismo d’azione, violento e reciso, per sgomberare l’Italia e Roma dal suo medioevoteocratico che potrà scegliere una terra adatta ove morire lentamente».
Tali dichiarazioni non fanno altro che confermare quanto già espresso da Marinetti ne L’aeroplano del Papa, pubblicato nel 1912, in cui il padre del Futurismo predicava la necessità di «svaticanare l’Italia» e – in tempi non sospetti – di muovere guerra alla bigotta Austria.
Ma il violento anticlericalismo marinettiano è ben visibile in nuce già nel celebre Manifesto futurista del 1909, così pregno di quel dinamismo anarchico ed antitradizionale che sarà la cifra essenziale del movimento futurista, dal quale prenderà il via una nuova e rivoluzionaria stagione culturale, e che rappresentò, ça va sans dire, l’antecedente storico non solo di tutta l’arte a venire, ma anche di un nuovo modo di intendere la vita veloce e disinvolto.
Coevo al Manifesto del Futurismo è il “Manifesto politico per le elezioni del 1909” in cui Marinetti faceva professione di nazionalismo, anti-pacifismo, anti-socialismo ed anti-clericalismo. Dello stesso anno è anche l’incendiario romanzoMafarka, il futurista, che gli valse un processo per oltraggio al pudore. Pervaso da suggestioni nietzscheane ed anti-romantiche, il romanzo culmina con la generazione da parte del protagonista di un essere dalle fattezze di uccello meccanico, stante a simboleggiare la volontà di potenza ed il genio creativo dell’artista, temi cari al filosofo della “morte di Dio”.
A proposito delle concezioni antimetafisiche di Marinetti, Julius Evola– che di metafisica, invece, campava – ricorderà nella sua autobiografia di quando il poeta, dopo aver letto un suo scritto, gli disse chiaro e tondo che le proprie idee erano lontane dalle sue più di quelle di un esquimese. Ma si sa, quando non si crede più nella trascendenza, si finisce spesso col credere a tutto: così fu anche per Marinetti, che come molti altri positivisti della sua epoca – pensiamo a Cesare Lombroso, e alla sua passione per i tavolini traballanti – prese a frequentare medium e spiritisti, stringendo amicizia, tra l’altro, con la sensitiva e poetessa triestina Nella Doria Cambon, confidente, per altro, anche di Svevo e di D’Annunzio.
Ma il vitalismo di cui è pervasa l’intera opera marinettiana non è esente da influenze misticheggianti: quella di Marinetti è però una “mistica della materia”, infatti, il movimento, l’azione, il dinamismo, per Marinetti, non sono che espressioni di quell’energia bergsonianamente intesa come frutto di uno slancio vitale che spinge la materia ad evolversi. Egli stesso affermava che ogni sera era solito inginocchiarsi e pregare di fronte alla lampadina del proprio comodino, perché in essa circolava la “divina velocità”.
Con l’avanzar degli anni, nondimeno, farà ritorno alla fede cattolica. Negli anni ’30 promuove addirittura il movimento dell’“arte sacra futurista”, sostenendo che: «Solo gli artisti futuristi, che da vent’anni impongono nell’arte l’arduo problema della simultaneità, possono esprimere simultaneamente i dogmi simultanei del culto cattolico, come la Santa Trinità, l’Immacolata Concezione e il Calvario di Dio».
I suoi ultimi scritti, del 1944, sono “L’aeropoema di Gesù”, dove canta con enfasi palinodica «l’illusione di essere di metallo, mentre si è solo povera carne piangente», ed il “Quarto d’ora di poesia per la X Mas” – scritto poche ore prima di morire – in cui pare destreggiarsi tra il ritrovato amore per Dio e la passione per l’azione che l’accompagnò per tutta la vita: «Non vi grido arrivederci in Paradiso – dirà ai combattenti della X – ché lassù vi toccherebbe ubbidire all’infinito amore purissimo di Dio mentre voi ora smaniate dal desiderio di comandare un esercito di ragionamenti dunque autocarri avanti».
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