sabato 7 settembre 2019

Rinascimento e paganesimo

Il "Festino degli Dei" è uno dei capolavori della pittura rinascimentale, noto anche per le sua storia, che ha visto almeno tre pittori partecipare alla sua realizzazione, e per i suoi molteplici contenuti iconografici.
Il "Festino degli Dei", faceva parte di uno dei gioielli del rinascimento italiano: lo studio privato di Alfonso d'Este, duca di Ferrara. Il duca commissionò ai più importanti artisti veneziani dell'epoca, Giovanni Bellini, prima, e poi al suo allievo Tiziano, rappresentazioni di baccanali con temi mitologici da esporre in quella che poi venne ribattezzata la 'camera dell'alabastro'.
Giovanni Bellini concepì il quadro come un allineamento di figure dignitose come un fregio in primo piano. Dopo la morte del Bellini nel 1516, secondo alcuni storici, gran parte dello sfondo fu cambiato da un altro pittore, Dosso Dossi, un artista della corte di Ferrara. Il paesaggio originale del Bellini, visibile oggi solo nel lato destro, era formato da una cortina di alberi.
Probabilmente nel 1529, dopo che aveva già eseguito tre dei suoi dipinti per la camera dell'alabastro, Tiziano mise mano di nuovo al Festino, aggiungendo la montagna sullo sfondo con l'intento di armonizzare il panorama ridipinto con gli altri suoi lavori presenti nella "camera dell'alabastro".
L'evoluzione del disegno rivela infatti cambiamenti considerevoli fra l'arte serena di Bellini, che apparteneva al quindicesimo secolo, e lo stile più vigoroso che Tiziano stava sviluppando nel sedicesimo secolo.
Altri ritengono invece che a completare il lavoro di Bellini e Tiziano sia stato il tedesco Albrecht Durer.
Diverse sono anche le ipotesi iconografiche e simboliche.
Gli dei sono riuniti in olimpico convito, un lungo banchetto durato tutta la notte: adesso, verso l'alba, mentre alcuni sono colti dal sonno, sfiancati dal vino e dalle libagioni,
Nell'ordine, da sinistra, vediamo un satiro con una brocca sul capo (1), Sileno con il proprio asino (2), Bacco fanciullo (3), Silvano (o Fauno) (4), Mercurio (5), un satiro con un catino (6), Giove (7), una ninfa con un catino (8), Gea (o Cibele) (9), un satiro (o Pan) (10), Nettuno (11), due ninfe (12), Cerere (o una ninfa) (13), Apollo (14), Priapo (15) che solleva la veste di Loti (o Vesta) (16).
Altre componenti del dipinto sono il fagiano , seminascosto nell'ombra del fogliame e il tino rovesciato nel quale sono riassunte nominalisticamente le identità degli autori: Vasari riporta il contenuto del cartiglio che vi è applicato (con la firma di Giovanni Bellini e la data): "Scrisse Giambellino nel tino queste parole: "IOANNES BELLINUS VENETUS P. 1514".
La chiave interpretativa offerta dal testo vasariano va dunque ricercata nella particolarità della parola "tino", non a caso ripetuta due volte in poche righe, che racchiude il nome di Tiziano, facendo ricorso ad un'abbreviazione, di estrazione paleografica o epigrafica (TI[ZIA]NO), tutto sommato non particolarmente ermetica....
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