Nella tradizione pagana del dionisismo, il 6 gennaio si celebrava una festività in relazione all’allungarsi del giorno, e proprio ad Alessandria si festeggiava quel giorno la nascita di Eone dalla vergine Kore (gli eoni, in molti sistemi gnostici, rappresentano le varie emanazioni del Dio primo, noto anche come l’Uno, la Monade, Aion Teleos – l’Eone Perfetto) e, in aggiunta, quel giorno era anche consacrato ad Osiride (è il dio egiziano della morte e dell’oltretomba). Nella notte del 6 gennaio anche le acque del Nilo dovevano acquistare una speciale forza miracolosa.
Da queste basi gnostico-pagane si sviluppò la festa dell’epifania, che nel tempo fu associata anche alla nascita di Cristo, prima che si istituisse il natale romano festeggiato il 25 dicembre.
La cultura popolare cerca di mantenere le radici pagane della festa
Durante i secoli, in Italia, si aggiunse alla festa dell’epifania un’altra figura, quella della Befana (dal latino volgare befanìa, derivante dalla parola epifania stessa).
La sua storia è intrecciata con quella dei Re Magi che, secondo la tradizione, nel loro cammino verso Betlemme persero la strada, videro in lontananza il fumo di un camino, si diressero in quella direzione e trovarono una casetta. Bussarono alla porta e andò loro incontro una vecchina che tuttavia si rifiutò di aiutarli. Una volta partiti, però, la donna si rese conto di aver sbagliato, così uscì di casa per raggiungerli. La vecchia, cercando di raggiungere i Magi, si fermava di casa in casa donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.
La sua storia è intrecciata con quella dei Re Magi che, secondo la tradizione, nel loro cammino verso Betlemme persero la strada, videro in lontananza il fumo di un camino, si diressero in quella direzione e trovarono una casetta. Bussarono alla porta e andò loro incontro una vecchina che tuttavia si rifiutò di aiutarli. Una volta partiti, però, la donna si rese conto di aver sbagliato, così uscì di casa per raggiungerli. La vecchia, cercando di raggiungere i Magi, si fermava di casa in casa donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.
La festa della Befana deriverebbe però anche da antichi elementi folcloristici e pagani, recepiti ed adattati dalla tradizione cattolica romana.
Ad esempio, in Grecia, era una dea notturna a percorrere il cielo portando doni e abbondanza durante dodici notti solstiziali. Questa dea, legata ad Artemide, era la dea notturna per eccellenza, che soprintendeva al noto “Corteo di Diana”, in cui le sacerdotesse esercitavano diverse pratiche magiche. Donne che, dopo l’avvento del Cristianesimo, furono considerate pagane, malvagie e dissolute. Questa decadenza spiega anche, con tutta probabilità, l’aspetto attuale delle Befane: donne brutte e sdentate, dai capelli arruffati e coperte di miseri stracci, proprio come le streghe proprie dell’immaginario collettivo.
Anticamente la notte dell’epifania era l’occasione per praticare tutta una serie di riti esorcizzanti. Ancora oggi è diffusa l’usanza di “ardere la vecchia”: un enorme pupazzo, composto da legna, stracci e fascine, di forma umana, viene posto su di una pila di legna e dato alle fiamme.
La figura della “vecia” era anticamente una specie di capro espiatorio per esorcizzare tutto il male e per propiziarsi l’abbondanza e la fertilità dei campi. Con la distruzione della vecchia (forse un antico retaggio di sacrifici umani o animali) si intendeva rappresentare la fine di tutti i mali. La stessa cosa avviene la notte di Capodanno, quando si lanciano oggetti vecchi dalle finestre.
In alcune località del Veneto e del Friuli si lanciano delle ruote di legno incendiate lungo i pendii dei monti; il rito viene detto “rito della stella”, perché anticamente le ruote rappresentavano la corsa del sole nel cielo.
Nel trevigiano era in uso fino a pochi decenni fa la tradizione della “notte del panevin”. Si accendevano grandi fuochi, appiccati dai bambini più piccoli del paese, e tutti prendevano a danzare attorno al falò intonando un canto.
In alcune località del Veneto e del Friuli si lanciano delle ruote di legno incendiate lungo i pendii dei monti; il rito viene detto “rito della stella”, perché anticamente le ruote rappresentavano la corsa del sole nel cielo.
Nel trevigiano era in uso fino a pochi decenni fa la tradizione della “notte del panevin”. Si accendevano grandi fuochi, appiccati dai bambini più piccoli del paese, e tutti prendevano a danzare attorno al falò intonando un canto.
una tradizione finisce dove ne nasce un'altra
Come in molte altre occasioni, anche quella dell’epifania, insomma, si rivela una mera mescolanza di festività, ricorrenze e tradizioni pagane assimilate negli anni dalle istituzioni ecclesiastiche, che ben poco hanno a che fare con il cristianesimo che ha, nel messaggio dell’Evangelo di Cristo, il suo unico punto di riferimento. La vera “manifestazione” è stata quella dell’amore di Dio, che ha dato a tutti gli uomini la possibilità di salvezza eterna, infatti: “Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesú fin dall’eternità, ma che è stata ora manifestata con l’apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesú, il quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l’immortalità mediante il vangelo” (II Epistola di Timoteo 1:9, 10).
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