Sotto la scultura di Pericle Fazzini conservata nel Museo del Sannio, titolata l'albero delle streghe ovvero il noce di Benevento.
"Unguento unguento, mandame alla noce di Benvento
supra acqua et supra vento et supre ad omne maltempo...".
(Formula magica che molte donne accusate di stregoneria avrebbero riferito durante i processi.)
La città di Benevento è racchiusa tra due fiumi, il Calore ed il Sabato e pertanto, al pari di una piccola Mesopotamia fu abitata sin dai tempi più antichi. L'abitato fu, in origine, denominato Maloenton, nome di origine sannita. Il termine con l'uso fu tramutato in Maleventum e poi in Beneventum dai romani. Fu nel corso dei secoli, una città sannitica, poi romana e infine longobarda.
Le origini antichissime della città l'hanno legata, indissolubilmente, alla cultura pagana ed ai riti mistici.
Benevento è stata sempre avvolta in un alone di mistero ed è nota ovunque per la storia dei sabba e delle streghe che avrebbero animato le sue notti.
Le streghe avrebbero prediletto un albero in particolare intorno al quale svolgere i loro riti. Quest'albero è il noce.
Fin dall'antichità, all'albero di noce vengono attribuite proprietà benefiche ma anche molto pericolose. Plinio, nella sua Naturalis historia, ammonisce di non sdraiarsi all'ombra dell'albero perché potrebbe essere mortale. Lo stesso Plinio attribuisce all'albero delle proprietà magiche e soprannaturali. In Grecia, l'albero era protetto dalla dea Artemide che era la dea della natura ma anche la dea lunare, protettrice dei boschi e che sarebbe stata, secondo il mito, trasformata in un noce da Dioniso. I romani mutuarono per intero la mitologia greca e posero il noce sotto la protezione della dea Diana che era appunto l'equivalente di Artemide. L'associazione con una divinità magica che si narrava agisse la notte, per favorire lo scorrere della linfa vitale nelle piante infondendo in esse la vita, fece sì che il noce venisse avvolto in questo alone di mistero. Il mistero, il mistico, la ritualità erano tra i romani apprezzati poiché avvicinavano alla divinità, alla natura ed all'avvicendarsi tra vita e morte. Le janare erano le Dianare, appunto le seguaci di Diana, coloro che celebravano i riti legati alla fertilità ed alla madre terra, in poche parole, erano le streghe. Con l'avvento del cristianesimo, tutto ciò che era pagano divenne satanico, negativo, peccaminoso e da estirpare e debellare con ogni mezzo. E poiché molte erano le leggende che narravano dei sabba delle streghe attorno all'albero di noce, questa splendida pianta divenne il simbolo della stregoneria, di quella “peggiore” quella che faceva più paura e che più generava morbosi istinti di curiosità, da un lato e di giustizialismo bigotto, dall'altro.
Nell'immaginario collettivo, Benevento era il covo delle streghe ed in più era il luogo ove cresceva, maestoso e terribile, un grande noce. E sempre secondo i racconti, il noce di Benevento era quello intorno al quale tutte le grandi e più potenti streghe, provenienti da tutta Europa, si incontravano per celebrare i loro riti demoniaci.
Pietro Piperno, in un libello del 1640 “Della superstitiosa noce di Benevento”, ci racconta la leggenda di questo noce. La vicenda si svolge durante la dominazione longobarda sulla città. Nel 667, il ducato di Benevento fu cinto d'assedio dall'esercito bizantino guidato da Costante. Il sacerdote Barbato, accusò dell'assedio e della conseguente carestia, morte e distruzione, i cittadini che adoravano un serpente appeso ai rami di un grande noce che distava circa 2km dalla città. Il duca della città, Romualdo, promise che se Benevento avesse resistito all'assedio, avrebbe fatto sradicare l'albero e cessare la tradizione ma, quando l'esercito bizantino fu sconfitto, il duca Romualdo continuò di nascosto ad adorare il serpente in bronzo.
In questa leggenda si incontrano molti simboli. Da un lato, il serpente che era legato al culto di Iside, un culto mediterraneo giunto fino alla città campane in secoli antichissimi, tanto che molti studiosi ritengono che nell'abitato vi fosse proprio un tempio dedicato alla dea su cui è state, poi, edificate una chiesa.
Il secondo elemento allegorico è l'albero sacro, di cui abbiamo narrato la simbologia
Ma c'è di più! Anche i i Longobardi veneravano gli alberi maestosi e, dunque, il noce. Si racconta che essi fossero soliti celebrare i riti in onore di Wotan, padre degli dèi, appendendo ad un albero sacro, la pelle di un caprone che poi i guerrieri strappavano a brandelli, girando a cavallo attorno all'albero in una sorta di sabba. Ed in quel periodo, Benevento era sotto la dominazione longobarda
L'esistenza del noce non è mai stata dimostrata, anche se in molto lo hanno cercato e hanno ritenuto di averlo individuato in molte contrade.
Col trascorrere dei secoli, la leggenda del noce si è sempre più arricchita e rafforzata, tanto che ancora nell'ottocento possiamo leggere:
Vicino alla città di Benevento
Vi sono due fiumi molto rinomati
Uno Sabato , l'altro Calor del vento;
Si dicono locali indemoniati,
Un gran noce di grandezza immensa
Germogliava d'estate e pur d'inverno;
Sotto di questa si tenea gran mensa
Da Streghe, Stregoni e diavoli d'inferno.
Così suona l'inizio di un poemetto popolare ottocentesco edito a Napoli e intitolato “Storia della famosa noce di Benevento”, raccolto da Giuseppe Cocchiara , che al noce e alle streghe dedica un intero capitolo del suo Il paese di cuccagna.
Quel che è certo, al di là dei sabba e delle leggende, è che al noce dobbiamo veramente tanto. Il suo frutto è sicuramente “divino”. Sotto la sua chioma l'erba cresce più rada. Le foglie fresche venivano usate per guarire le piaghe e le ulcere. L'olio di noce ed il mallo, hanno proprietà depurative intestinali. I decotti di foglie erano usati per depurare le mucose, e per guarire le afte delle tonsille. Col mallo acerbo, raccolto rigorosamente a San Giovanni, si prepara ancora oggi, il noto nocino o nocillo, dalle rinomante proprietà digestive. Numerose sono le applicazioni tramandateci dalle antiche guaritrici quali la capacità della pianta di assorbire i veleni.
Mito o realtà, molti vecchi ancora raccontano, di vedere nelle fredde notti autunnali, quando il vento si solleva sul fiume Calore, le ombre delle janare che danzano sotto le foglie degli alberi di noce.
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