sabato 31 gennaio 2015

Centro Studi La Runa


Natività della Vergine e sapienza esoterica

22 gennaio 2015 (14:20) | Autore: 

La Cappella Caracciolo del Sole a S. Giovanni a Carbonara in Napoli
Sommario: 1 – Cenni storici sulla Cappella Caracciolo del Sole. 2- Il sepolcro di Sergianni Caracciolo. 3 – Il ciclo figurativo mariano di Leonardo da Besozzo. 4 – La Natività della Vergine : realismo figurativo e simboli religiosi. 5 – Una proposta di lettura esoterica: il contesto storico-culturale. 6 – La Vergine-Sophia e le altre figure simboliche. 7 – La dottrina della doppia verità. Bibliografia commentata.
* * *
In un precedente contributo [1] ho illustrato, nelle linee generali, la chiesa di S. Giovanni a Carbonara (e le chiese contigue), con particolare attenzione al linguaggio simbolico-figurativo del monumento a Ladislao d’Angiò-Durazzo Re di Napoli (1377-1414). In questa sede, mi soffermo sulla Cappella Caracciolo del Sole e, in particolare, sull’affresco della Natività della Vergine.
Nel 1427, nell’area del monastero di S.Giovanni a Carbonara, sul lato posteriore alla tribuna della maggiore chiesa, Sergianni Caracciolo, Gran Siniscalco della Regina di Napoli Giovanna II, fece erigere una cappella intitolata alla natività della Vergine e con lo “ius funerandi et inferendi mortuos[2].
gigli-angioini
Gigli angioini
Ai frati eremitani di S. Agostino – ai quali apparteneva la Chiesa – aveva donato orti e case, affinché pregassero Dio e celebrassero messa per lui e i suoi eredi, ai quali doveva restare il patronato. In quegli anni, Sergianni ricopriva un ruolo di grande rilievo presso la corte di Giovanna II e voleva evidenziare il suo legame istituzionale con la famiglia reale, anche sul piano simbolico-araldico. Nel vano comunicante fra il mausoleo di Ladislao e la cappella, si procede dalla visione dei gigli angioini alla decorazione della muratura d’ingresso, ornata da numerosi soli raggianti su fondo rosso, trapuntato di stelle.
soli-raggianti
Soli raggianti
Lo stemma dei Caracciolo del Sole è appunto un sole raggiante, coi raggi dall’andamento serpentino. Il disco centrale è una croce equilatera iscritta in un cerchio che ricorda, per affinità simbolica, l’antica e originaria croce irlandese – di risalenza celtica – nella quale gli assi della croce non interrompono la continuità del cerchio. Si tratta di un simbolo diffuso in molte culture antiche, tanto da avere una valenza universale[3].
Della cappella sotto il profilo simbolico-geometrico, della sua soluzione circolare–ottagonale e del significato dell’ottagono ho già parlato in precedenti contributi[4]. Qui aggiungo solo che in Radionica e in altre discipline energetiche moderne e contemporanee – che si richiamano anche ad antiche concezioni e conoscenze tradizionali – la forma ottagonale ha la funzione di purificare e stabilizzare l’energia del “corpo eterico”dell’uomo; a tale riguardo, la forma ottagonale di Castel del Monte – fatto edificare da Federico II di Svevia – o quella dei più antichi battisteri cristiani o degli stupa buddhisti riveste una ben precisa funzione stabilizzatrice sul piano “sottile” [5].
sepolcro
Sepolcro di Sergianni Caracciolo
La cappella ospita il sepolcro di Sergianni Caracciolo, edificato a cura e spese del figlio, Troiano Caracciolo. Il sepolcro fu iniziato nel 1433 e completato non prima del 1441, quando il padre fu assassinato e Troiano imprigionato e privato dei beni di famiglia.
maioliche-del-pavimento
Maioliche del pavimento
Alla morte di Troiano, nel 1449, subentrò nel patronato della cappella Marino Caracciolo, fratello di Sergianni, figura di rilievo presso la corte d’Aragona. Egli commissionò lo splendido impianto di maioliche che decora il pavimento della cappella, e che risalta per la raffinatezza estetica e per il profilo simbolico; le esagonette e le maioliche quadrate al centro delle esagonette formano, nel loro insieme, una figura ottagonale che si reitera su tutto il pavimento maiolicato e richiama la soluzione ottagonale dei contrafforti esterni alla cappella nonché delle colonne interne all’ambiente.
Incoronazione della Vergine
Incoronazione della Vergine
Gli affreschi sono stati datati agli anni Quaranta del ‘400; si tratta di sei storie eremitiche che occupano la parte inferiore lungo tutta la cappella, mentre il ciclo mariano si svolge sulla parete del vano d’accesso (l’Incoronazione della Vergine) e lungo le pareti laterali, nella parte superiore. A Leonardo da Besozzo sono attribuiti la “Natività della Vergine”, l’“Annunciazione” e l’”Incoronazione della Vergine”, mentre a Perinetto da Benevento sono attribuiti gli affreschi della “Presentazione al Tempio” e della “Dormitio Virginis”. Per il ciclo eremitico la teoria più recente ed accreditata propone una simmetria nella esecuzione delle opere con le relative attribuzioni in rapporto agli affreschi del ciclo mariano. Leonardo da Besozzo[6] era un artista di origine milanese, figlio di Michelino da Besozzo, artista nonché esperto nella decorazione dei Tarocchi dei quali doveva, evidentemente, conoscere il significato simbolico e la cui conoscenza trasmise, presumibilmente, al figlio Leonardo; è un particolare che ha un suo rilievo per inquadrare in modo adeguato il senso dell’affresco della Natività della Vergine.
nativita-della-vergine
Natività della Vergine
Tale soggetto è stato letto come dimostrazione dell’originalità interpretativa dell’artista lombardo il quale, partendo dall’osservazione della realtà, colloca la scena della Natività della Vergine in uno spazio urbano in cui la vita si svolge nella dinamica quotidiana.
L’affresco, nella sua parte sinistra, presenta un edificio urbano la cui facciata è decorata con un bugnato rettangolare simile a quello di Palazzo Penne in Napoli, residenza di Antonio Penne, fidato segretario di Re Ladislao.
La rappresentazione architettonica è storicizzata e introduce all’edificio attiguo, la residenza dei Caracciolo, forse da identificare in quella dimora vicina alla Reggia del tempo (CastelCapuano), in via dei Tribunali, dove poi sorse l’Ospedale della Pace. Il contesto architettonico è popolato da figure molto realistiche: le donne che sui tetti stendono i panni al sole, la fanciulla che si affaccia al balcone cercando di afferrare il lenzuolo mosso dal vento. Questi e altri particolari denotano nell’insieme un forte senso di realismo che connota il gusto artistico del primo ‘400, differenziando l’arte del primo Rinascimento da quella medievale.
la-cappella-caracciolo-del-soleIl centro della narrazione pittorica è situato nell’arco di casa Caracciolo e che introduce all’ambiente della Natività di Maria, dove sant’Anna – madre di Maria – è distesa sul letto e attende le cure delle “premurose fantesche”[7]. Una donna dall’abito blu stringe fra le braccia la neonata avvolta in un panno bianco. Sono presenti, in un atteggiamento di profondo rispetto, una donna dalla veste bianca splendente “per il motivo damascato che la decora e per il contrasto cromatico dell’inserto di pelliccia sulla sopraveste color verde bosco[8]. Il bambino che l’accompagna, elegantemente vestito, addenta un pezzo di pane. La narrazione figurativa combina quindi personaggi della storia sacra con soggetti della società laica della Napoli del tempo; la donna con la sopraveste verde bosco è stata letta come la moglie di Sergianni Caracciolo e il bambino identificato con Troiano, figlio di Sergianni[9].
Sulla destra, rispetto alla scena centrale, si osserva una donna dalla sopraveste color giallo e dai bordi giallo oro, intenta a srotolare e a leggere con attenzione quello che sembra essere un testo manoscritto, evidentemente attinente al soggetto di storia sacra che è il nucleo centrale della narrazione pittorica.
Più a destra, una donna dall’abbigliamento semplice e popolare appoggiata ad una finestra e intenta alla pulizia di un gallo, ne estrae le interiora che poggia su un piatto mentre un gatto salta con rapidità e annusa la preda. Questa scena è stata letta come una rappresentazione profana e realistica che anticipa di un secolo altri esempi di tale inclinazione al realismo figurativo[10].
Eppure la stessa studiosa, nel commentare la ricorrente rappresentazione delle rondinelle in più parti dell’affresco, sostiene che tale reiterazione figurativa “suggerisce una chiave di lettura simbolica con la rondine del passo di Geremia che allude all’incarnazione del Cristo e alla Resurrezione[11].
La lettura dell’affresco nel senso del realismo figurativo non esclude, pertanto, la possibilità di coglierne, al tempo stesso, una dimensione simbolica. Pur essendo fondata la lettura in chiave di realismo e di naturalismo, siamo pur sempre nell’ambito di un soggetto di storia sacra, che è il fulcro di tutta la narrazione figurativa: la Natività della Vergine.
E sorge allora una legittima domanda: il realismo figurativo è soltanto realismo o cela un nuovo tipo di linguaggio simbolico che racchiude significati più profondi? Dopotutto anche le rondinelle potrebbero leggersi soltanto come una raffigurazione naturalistica ma è intuitivo che in un affresco di storia sacra possa esservi altro.
Siamo negli anni Quaranta del ‘400, ossia nel passaggio dalla dinastia degli Angiò-Durazzo a quella Aragonese che, con Alfonso I d’Aragona si distinse per la fondazione dell’Accademia Alfonsina, una delle più importanti Accademie platoniche dell’Italia di quegli anni. Sono gli anni della rinascita del platonismo, a partire dall’impulso dato da Giorgio Gemisto Pletone, con le sue conferenze (1439-1440) e le sue opere, che avrà poi la sua più celebre espressione nell’Accademia platonica di Firenze, voluta da Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze[12]. Ricordiamo che la rinascita del platonismo ha un precedente nella polemica del Petrarca contro la cultura aristotelica e che Petrarca era stato a Napoli.
Siamo inoltre nell’epoca in cui fioriscono discipline come l’alchimia, l’ermetismo e lo stesso studio della tradizione kabbalistica. Di lì a pochi anni, Marsilio Ficino tradurrà dal greco in latino le Enneadidi Plotino, il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto e vari dialoghi platonici, solo per citare alcune opere. E già prima della fondazione delle Accademie platoniche era rifiorito lo studio del greco che in precedenza non era più conosciuto, tant’è che a Firenze vengono chiamati dotti bizantini per insegnare il greco ai giovani fiorentini.
Il filosofo e storico dell’arte Edgar Wind ha dimostrato, in un suo famoso saggio, la valenza simbolico-esoterica dei dipinti dell’arte rinascimentale, con un preciso riferimento ai Misteri di epoca greco-romana, mentre Francois Masai, filologo e storico dell’Impero di Bisanzio, ha sostenuto – o quantomeno ipotizzato – l’esistenza di una società segreta esoterica che sarebbe il “motore” di quel vasto movimento culturale mistico-filosofico che si esprimerà poi nelle Accademie platoniche in Italia e che, secondo altri studiosi, sarebbe stato in contatto col sodalizio platonico-religioso (pagano) di Mistrà in Grecia, già prima dell’arrivo di Gemisto Pletone in Italia(1439).
E’ quindi nel quadro di questo complesso contesto filosofico ma anche spiccatamente religioso“pagano”(Pletone scrisse un Inno ad Apollo) che ipotizzo una diversa lettura della natività della Vergine nella Cappella Caracciolo del Sole.
La Vergine-Sophìa
In alchimia e, più in generale, nella letteratura esoterica, la Vergine è la figurazione simbolica della Sophìa, ossia la sapienza trascendente, la sapienza sacra. A tale riguardo, va ricordato che Rudolf Steiner esplica il mistero del Solstizio d’Inverno nel senso della Madre divina che genera il Fanciullo Solare, ossia il Principio divino che rinasce nell’uomo. Il dio Mitra, figura solare di origine iranica, è strettamente connesso ad Anahita, la Vergine celeste della religione iranica pre-zoroastriana poi amalgamatasi con la riforma di Zarathustra e, non a caso, i Neoplatonici del ‘400 si richiamavano a Zoroastro, come è attestato negli scritti di Pletone, di Marsilio Ficino[13] e nell’arte rinascimentale di Raffaello, nel famoso dipinto “La scuola di Atene” che si ammira nei Musei Vaticani.
Gemisto Pletone, considerato il promotore del neoplatonismo in Italia, si era formato alla filosofia mistica di Shorawardi, filosofo arabo-persiano, che nel XII secolo, rileggeva lo Zoroastrismo alla luce della filosofia platonica e ciò senza abbandonare la sua religione islamica. Siamo in un’epoca di sincretismo filosofico-religioso e di riscoperta della sapienza classica – e non soltanto sotto il profilo letterario – e ciò è fondamentale per cogliere in profondità il senso di certe narrazioni pittoriche. Più specificamente, la Sophìa-Vergine è il simbolo del potere in virtù del quale la trascendenza diviene immanenza, lo Spirito si risveglia nel cuore dell’uomo. Nello stesso cristianesimo delle origini, la Vergine è il simbolo dell’anima che si purifica e si risveglia, l’anima celeste che accoglie lo Spirito Santo (non a caso, l’affresco sovrastante quello della Natività della Vergine, in questa Cappella, è l’Annunciazione dell’Angelo).
Inoltre, la scena della donna che estrae le interiora di un gallo può essere letta su un duplice piano; uno è quello laico (la lettura “realistica”), l’altro è quello esoterico-sacrale.
Le interiora del gallo suggeriscono un richiamo all’antica disciplina della divinazione, pratica magico-religiosa ben nota presso gli Etruschi, a Roma e in Grecia, ma nota anche nel l’ebraismo più antico, nella fase anteriore al profetismo; essa consisteva nell’esaminare le interiora dell’animale per scorgere i segni della volontà divina, propizi o meno per una determinata operazione rituale. Il principio ispiratore era quello della corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo, fra “l’alto” e il “basso”, fra Cielo e terra, per cui le caratteristiche delle viscere dell’animale erano la configurazione in miniatura della disposizione delle forze cosmiche, in senso propizio o sfavorevole. Tale corrispondenza analogica è bene espressa, in epoca tardo-antica, dal neoplatonico Giamblico nella sua opera De Mysteriis. Ricordiamo che siamo in un’epoca di riscoperta della saggezza classica e che quindi un recupero di pratiche divinatorie antiche sarebbe in linea col clima culturale e col gusto del tempo.
Per quanto concerne le donne che sono intorno a Maria bambina, va premesso anzitutto che esiste un linguaggio simbolico- esoterico dei colori ; in alchimia abbiamo, infatti, l’Opera al Nero, l’Opera al Bianco, l’Opera al Rosso (secondo alcuni studiosi di esoterismo esiste anche un’“Opera al Giallo”). Nei Misteri romani di Mithra esisteva una precisa correlazione fra gradi d’iniziazione, dèi planetari, metalli, colori e suoni. Lo stesso simbolismo dei Tarocchi presenta un linguaggio simbolico-cromatico e gli esempi potrebbero continuare. I colori, nella “Scienza dello Spirito” di Steiner – che si richiama ad antiche dottrine misteriche ma anche a Goethe – rappresentano frequenze diverse dell’Energia universale e quindi, sub specie interioritatis, diverse modalità e livelli dell’evoluzione della coscienza.
Orbene, la donna che stringe fra le braccia la bambina indossa un abito di colore blu, che suggerisce un’analogia col cielo stellato e che potrebbe simboleggiare la contemplazione degli astri e quindi l’Astrologia. Assiste alla scena sacra una donna dalla sopraveste color verde bosco – che potrebbe alludere alla contemplazione dei segni della natura, concepita come un grande linguaggio simbolico, animato, come manifestazione del divino.
La donna dalla sopraveste color giallo, dai bordi giallo-oro, sembra intenta a leggere, con sguardo attento, un testo che viene gradualmente srotolato, un manoscritto evidentemente attinente all’evento sacro. Il giallo – oro potrebbe essere un simbolismo cromatico, a indicare la Luce del pensiero, ossia l’origine divina del pensiero umano, il suo potere di cogliere significati profondi.
Riepilogando, il senso complessivo della scena sacra potrebbe essere il seguente:
“Per rifondare in Napoli, intorno alla metà del ‘400, la Sophìa, la Sapienza esoterica, fu necessario compiere una pratica divinatoria, per cogliere il momento propizio secondo le Forze in campo, in cielo e in terra. Fu anche necessario lo studio e l’intelligenza dei testi sacri nonché la contemplazione dei segni divini nella natura e, soprattutto, dei segni astrologici propizi. La Vergine-Sophìa scaturisce dal concorso armonico di varie discipline spirituali”.
In altri termini, l’affresco della Natività della Vergine si può proporre come testimonianza della rinascita della sapienza “pagana” in Napoli intorno alla metà del Quattrocento, sia pure in forme espressive che, in apparenza, sono in linea con la religione ufficiale.
Rapporto simbolico con Palazzo Penne
Peraltro la scena della fanciulla che si affaccia al balcone per afferrare il lenzuolo potrebbe leggersianche come una prima e breve “apertura al sole” ossia alla Luce (intesa in senso simbolico-spirituale) e non sembra casuale che tale apertura mistica sia collocata in un palazzo molto somigliante a Palazzo Penne, tuttora esistente. Il Segretario di Re Ladislao era un dotto umanista, com’è del resto testimoniato dall’iscrizione dei versi di Marziale sul portale d’ingresso della dimora storica. Colpisce, inoltre, che il cartiglio di quella iscrizione culmini in una nuvola sormontata da una rosa, ossia la trasfigurazione della realtà sensibile nella Rosa mistica, simbolo esoterico su cui esiste un’ampia letteratura. Intendo dire che la scelta di quel bugnato rettangolare e la donna che si affaccia la balcone e quindi si apre alla “luce”, come decorazione della dimora nell’affresco, non mi sembra accidentale ma racchiuda un ben preciso messaggio, a indicare un risveglio, seppur breve, della sapienza esoterica già ai tempi di Re Ladislao (1386-1414), con Antonio Penne che era la vera mente – o almeno uno degli esponenti intellettuali – del regno di Napoli, e non solo sotto il profilo politico e giuridico, tant’è che, non a caso, ebbe il privilegio della collocazione del suo sepolcro nella chiesa di S. Chiara, di norma sede dei sepolcri della famiglia reale degli Angioini, che tuttora si possono ammirare.
La Doppia Verità
Tale chiave di lettura non contraddice e non esclude affatto l’ interpretazione alla luce della religione cattolica né il realismo figurativo del primo Rinascimento quale chiave di lettura sul piano storico-artistico. Il fatto è che i simboli, nel linguaggio simbolico tradizionale, sono sempre polivalenti e quindi un piano di lettura non esclude l’altro.
Peraltro, sul piano dell’inquadramento storico-culturale, va evidenziato che uno dei tratti peculiari del neoplatonismo del ‘400 era quello di non porsi in conflitto con la religione ufficiale – in un tempo in cui peraltro esisteva l’Inquisizione, aspetto questo da avere ben presente.
Gemisto Pletone, neoplatonico pagano, auspicava un ritorno al politesimo ellenico quale via di superamento dei conflitti fra i vari monoteismi (tema estremamente attuale). Eppure, lo stesso Pletone, venne in Italia nel 1439[14], nell’ambito della delegazione dell’imperatore di Bisanzio, Giovanni VIII Paleologo (1425-1448), per partecipare al Concilio di Ferrara insieme alla Chiesa cattolica, al fine di superare lo scisma ortodosso dell’XI secolo, tuttora in atto.
L’unica eccezione a tale tendenza “conciliante” fu l’ Accademia Romana di Pomponio Leto, che infatti per il suo schierarsi apertamente contro il Papato, si espose alla repressione e alla tortura del Tribunale dell’Inquisizione.
In altri termini, nel clima culturale del neoplatonismo e dell’Ermetismo, ma anche della repressione dell’Inquisizione, era centrale la concezione della “doppia Verità”; esisteva cioè una verità pubblica, per tutti – quella della religione ufficiale coi suoi dogmi e la sua fede – ed esisteva una verità superiore, esoterica, accessibile solo a pochi eletti, dotati della Conoscenza e della sensibilità per intuire Misteri più elevati, di risalenza “pagana”.
Pertanto, l’affresco della Natività della Vergine di Leonardo da Besozzo potrebbe leggersi su vari piani di interpretazione, senza che essi si escludano a vicenda, proprio alla luce del clima culturale del tempo: la Natività della Vergine Maria, madre di Gesù, per il popolo ancorato alla fede cattolica e la Vergine-Sophìa per gli iniziati ai Misteri.
Peraltro, a rendere ancora più complesso il quadro culturale del tempo, in altri affreschi della cappella (la Dormitio Virginis), vi è un esplicito richiamo a episodi dei Vangeli apocrifi che, in quell’epoca erano letti e costituivano motivo d’ispirazione artistica nell’ambito di una chiesa, cosa peraltro ben nota agli studiosi. E di questo aspetto parlerò in un successivo contributo.
* * *
Bibliografia commentata
Per la Cappella Caracciolo del Sole sotto il profilo storico-artistico, si rinvia al testo di Anna Delle Foglie, La cappella Caracciolo del Sole a San Giovanni a Carbonara, Jaca Book, Milano, 2011, pp. 31-68 per l’analisi della Cappella e dei suoi affreschi; pp. 36-42 per il ciclo figurativo delle storie della Vergine. Di grande interesse è anche il capitolo su Leonardo da Besozzo, in op.cit., p. 69 ss. La vasta bibliografia in appendice offre al lettore un quadro molto ampio dei contributi interpretativi sulla cappella e i suoi affreschi, fra i quali vanno ricordati i contributi di Nunzio Federigo Faraglia inNapoli Nobilissima, nel 1894 e nel 1899.
Su questa chiesa in generale si rinvia a Antonio Filangieri di Candida, La chiesa e il monastero di San Giovanni a Carbonara, opera postuma a cura di R. Filangieri di Candida, Lubrano e C., Napoli, 1924.
Per la storia di Re Ladislao v. Alessandro Cutolo, Ladislao d’Angiò-Durazzo Re di Napoli, Hoepli, Milano, 1936; Berisio editore, Napoli, 1969.
Per inquadrare la cultura rinascimnentale, anche con riferimento alla magia e all’astrologia, è fondamentale E. Garin, La cultura del Rinascimento, Il Saggiatore, Milano, 2012.
Per il neoplatonismo rinascimentale e i suoi rapporti con la storia dell’arte e i Misteri pagani v. Edgar Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi, Milano, 2012.
Sulla figura di Giorgio Gemisto Pletone è fondamentale l’opera di Francois Masai, Pletone e il platonismo di Mistrà (con un saggio introduttivo di L.M.A. Viola), Edizioni Victrix, Forlì, 2010.
Per le opere di Pletone v.: G. G. Pletone, Trattato delle Virtù (traduzione e cura di Pavlov Jerenis), Raffaelli Editore, Rimini, 1999; Id., Delle differenze fra Platone e Aristotele, (a cura di Moreno Neri), Raffaelli Editore, Rimini, 2001; Id., Trattato delle Leggi, Edizioni Victrix, Forlì, 2013.
Per una analisi critica del neoplatonismo rinascimentale, v. AA.VV., Sul ritorno di Pletone (un filosofo a Rimini), Atti del ciclo di conferenze svoltesi a Rimini dal 22 novembre al 20 dicembre 2002, Raffaelli Editore, Rimini, 2003. Di particolare interesse risulta, in questi Atti, il saggio di Antonio Panaino, Da Zoroastro a Pletone. La Prisca Sapienza. Persistenza e sviluppiop. cit., p.105 ss., in cui sono messe in luce le radici mistico-filosofiche della formazione di Pletone. Su questi temi ho dato un contributo: S.Arcella, La ricerca dell’Uno nel neoplatonismo rinascimentale, in Annali di Eumeswill, Edizioni della Meridiana, Firenze, 2010 [ora in centrostudilaruna.it].
Sulla figura della Vergine-Sophia e il suo senso simbolico in alchimia, v. J. Evola, La Tradizione Ermetica, Roma, 1996; M. Scaligero, Iside-Sophìa. La dea ignota, Mediterranee, Roma, 1980, con una lettura sub specie interioritatis della dea Iside e il suo rapporto con l’archetipo della Vergine. Sul rapporto Mithra-Anahita nella religione iranica v. P. Filippani Ronconi, Zarathustra e il Mazdeismo, Irradiazioni, Roma, 2007, pp.161-165. La concezione della Vergine-Sophia era presente nella Gnosi, nei primi secoli dell’era cristiana, su cui v. Testi Gnostici (a cura di Luigi Morandi), Utet, Torino, 1992.
Sulla divinazione v. Divinazione, astrologia, alchimia in Arcana mundi: magia e occulto nel mondo romano (a cura di George Luck), II, Fondazione L. Valla – Mondadori, Milano, 1999; R.Bloch,Prodigi e divinazione nel mondo anticoGreci, Etruschi, Romani, Newton Compton, 1977; ID., La divinazione nell’antichità, ESI, Napoli, 1995.
Sul simbolismo dei colori nel Mithraismo romano v. R. Merkelbach, Mitra, Ecig, Genova, 1988; S. Arcella, I Misteri del Sole, Il culto di Mithra nell’Italia antica, Controcorrente, Napoli, 2002 (Capitolo su “La struttura dei sette gradi d’iniziazione”).
Per il simbolismo cromatico-alchemico v. J. Evola, La Tradizione Ermetica, cit., p.109 ss. (nella edizione del 1971).
Per la teoria dei colori v. GoetheLa teoria dei colori ( a cura di R.Troncon), con intr. di G.C. Argan, Il Saggiatore, Milano, 2014. Sulla valenza simbolica e spirituale dei colori v. R. Steiner, L’essenza dei colori, Antroposofica, Milano, 1977.
Note
[1] S. Arcella, Un tempio misterico del Rinascimento napoletano, in Fenix, Roma, novembre 2014, pp.72-77 [ora in: www.centrostudilaruna.it. Dicembre 2014]. V. anche S. Arcella, Quando Napoli volle unire l’Italia, in L’Alfiere, n.101, Napoli, giugno 2014; Id., La guerra dei Gigli, in L’Alfiere, n. 101, Napoli, ottobre 2014.
[2] A. Delle Foglie, La cappella Caracciolo del Sole a S.Giovanni a Carbonara, Milano, 2011, p. 36 ss.
[3] Su questo simbolo universale v. R. GuénonIl simbolismo della croce, Adelphi, Milano, 2012 (traduzione di Pietro Nutrizio).
[4] Vedi supra, nt.1.
[5] Sul simbolismo universale dell’ottagono v. R. GuénonSimboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 1990, pp. 234-238. Sulla geometria simbolica di Castel del Monte v. A. Tavolaro, Castel del Monte scrigno esoterico, F.lli Laterza, Bari, 1991; Id., Il mito solare, G. Laterza, Bari, 2004; Id.,Federico II di Svevia e Leonardo Fibonacci da Pisa, Laterza, Bari, 2008. Sulla geometria simbolica dei battisteri cristiani v. A. Varisco, L’elemento ottagonale nella edificazione delle chiese. La tipologia ottagonale nei templi degli Ordini militari, in antropologiaartesacra.it. per il. Per la Radionica v. G. Picchi, Radionica, Anima Edizioni, Milano, 2012.
[6] Su Leonardo da Besozzo, v. A. Delle Foglie, op. cit. p. 69 ss.; 77 ss.
[7] A. Delle Foglie, op.cit., p. 37
[8] Id., op. cit., p. .37.
[9] Id., op.cit., p..37.
[10] A.Delle Foglie, op. cit. p.38
[11] A. Delle Foglie, La Cappella Caracciolo del Sole, cit., pp.36-42.
[12] S.Arcella, La ricerca dell’Uno nel neoplatonismo rinascimentale, in Annali di Eumeswil, Edizioni della Meridiana, Firenze, 2010 [ora in: centrostudilaruna.it, maggio 2010].
[13] M. Ficino, Sopra lo Amore (commento al Convito di Platone), introduzione di Giuseppe Rensi, Carabba, Lanciano, 1934.
[14] Cesare Catà, “Su di una stessa barca: Nicola Cusano e Giorgio Gemisto Pletone”, in: Bruniana & Campanelliana, XII (2007), n.1, pp. 43–56.

Nessun commento: