Heidegger assegna alla filosofia un compito fondamentale, quello di operare delle aperture di senso, quello di cercare delle risorse simboliche nuove, anche a costo di infrangere le regole del nostro linguaggio, anche a costo di commettere degli errori. La filosofia, così come la poesia, ha il compito di aprire nuovi orizzonti di senso. Per dirla con Wittgenstein, noi abitiamo sull’isola della descrivibilità logica, li siamo sulla terra ferma, teniamo i piedi ben saldi, rispettiamo le regole del linguaggio. Tuttavia quest’isola è attorniata da un oceano immenso, mobile, liquido, instabile. É l’oceano delle grandi questioni etiche, mistiche e religiose in cui le regole del linguaggio non servono più. Quando noi ci azzardiamo a navigare in quell’oceano dobbiamo pescare con la rete del dubbio, dobbiamo aprirci all’instabilità, all’incertezza, dobbiamo abbandonare quell’isola di sicurezze, il viaggio si fa si più avventuroso e rischioso ma anche molto più interessante
Heidegger tenta di mostrare come la filosofia non sia un esercizio tecnico, non sia solo un’attività alta, logica, legata all’esercizio della razionalità pura, ma sia una sorta di conversione che passa per stati d’animo fondamentali, primo fra tutti lo stato d’animo dell’angoscia. Heidegger vuole dimostrare che uno diventa filosofo, cioè si interroga in maniera radicale intorno al senso dell’ente nella sua totalità quando, in esperienze come l’angoscia, quel senso improvvisamente, senza che uno se lo aspetti, gli viene sottratto.
Nell’angoscia avviene quel cambio di visione, quel cambio di umore, che ci espone alla conversione filosofica, che ci trasforma, anche negli strati più profondi, da dove scaturisce una domanda filosofica radicale, siamo spinti a interrogarci.
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