giovedì 20 novembre 2014

Morire ad occhi aperti

Hillman  ha ritrovato l'anima nella psicologia, e psiche significa proprio anima e non mente!
Colui che cerca nella morte imminente lo spunto per vivere con la massima consapevolezza, nel
il momento più tragico, ma sopratutto magico della vita...



  • La Stampa TuttoLibri 29.10.11
Hillman: “Sto morendo ma non potrei essere più impegnato a vivere”
“Con la morte vicina, la vita si esalta”
di Silvia Ronchey
L’ultima intervista Al capezzale dello psicoanalista che ha domato il dolore per ragionare sulla 
propria fine

Hillman «Guardando la mia fine ad occhi aperti, e riflettendoci sopra, mi rendo conto di 
realizzare qualcosa di molto prezioso»

«Sto morendo, ma non potrei essere più impegnato a vivere». Così aveva scritto, nella sua 
ultima mail. E così l’ho trovato, quando sono andata a salutarlo per l’ultima volta nella 
sua casa di Thompson, nel Connecticut, pochi giorni prima che morisse: il fantasma di se 
stesso, ma incredibilmente vitale; il corpo fisico ridotto al minimo, quasi mummificato, tutto 
testa, pura volontà pensante. Restare pensante era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo 
aveva ridotto al minimo la morfina, a prezzo di un’atroce sofferenza sopportata con quella 
che gli antichi stoici chiamavano apatheia : un apparente distacco dalla paura e dal dolore che 
traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L’unica cosa che contava 
era analizzare istante dopo istante se stesso e quindi la morte come atto oltre che nella sua 
essenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato detto «stay hungry, stay foolish», l’ultimo 
insegnamento di James Hillman può riassumersi così: «Resta pensante» fino all’ultima soglia 
dell’essere.

Il tempo qui sembra fermo, le lancette puntate sull’essenza ultima.

«Oh, sì. Morire è l’essenza della vita».

Com’è morire?

«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos’è o dov’è il 
vuoto? Il vuoto è nella perdita. E che cosa si perde? Io non ho “perso” nel senso comune di 
“perdere”. Non c’è perdita in quel senso. C’è la fine dell’ambizione. La fine di ciò che si chiede 
a se stessi. E’ molto importante. Non si chiede più niente a se stessi. Si comincia a svuotarsi 
degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose 
cominciano a sparire, resta un’enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E 
si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».

E’ una condizione perseguita dai mistici.

«Oh sì, dall’induismo per esempio, gli induisti ne scrivono. Ma in questo caso è tutto 
unwillkürlich , involontario. E’ accidentale».

Comunque non credo non ti sia rimasta nessuna ambizione.

«Davvero?» [Apre di scatto gli occhi finora socchiusi, con un lampo azzurro di sfida].

Ti resta quella degli antichi romani: lasciare il tuo pensiero ai posteri.

«E’ vero. E’ molto importante per me che il mio pensiero rimanga. Ma la parola posteri mi 
rimanda a postea , a un dopo, a un futuro, in cui non voglio essere trasportato adesso».

Perché esisti solo al presente.

«Sì, e voglio tenere chiusa la porta con il cartellino “Exitus”. La potrò aprire a un certo punto, 
quando capirò come farlo nel modo giusto. [Tenta di scuotere il capo, ma il dolore lo ferma]. 
Non saprei ora come aprire quella porta senza che ne dilaghi una folla di creaturine che 
vogliono qualcosa. Molti degli antichi filosofi ne sono stati catturati, probabilmente tu sai chi 
lo è stato più degli altri. Io non voglio. Il mio compito è dialogare e tenere il dialogo aperto 
su quel che accade momento per momento. Il mio è piuttosto un reportage. Dal vivo. Dal vero».

Non potrebbe essere altrimenti: o non fai il reportage - come la maggior parte di chi si 
trova nella tua condizione - oppure ciò che riferisci è la verità. E penso che tutti siano 
affamati di questa verità.

«Tutti sono affamati di morte. La nostra cultura lo è. Io, qui, come vedi, ne parlo 
continuamente. Ma non la esprimo. Perché nella morte io sono impegnato. Non voglio 
uscirne, per esprimerla, per vederla o guardarla in trasparenza. Non cerco di formularla. 
Ogni tanto si realizza qualcosa che mi porta in un altro luogo dal quale posso osservarla. 
Magari anche di riflesso. Ogni sorta di cose si riflettono in questa introspezione, ma non 
l’attività essenziale di ciò in cui sono impegnato [ossia l’atto del morire]. Il tempo che mi dò 
è il qui e ora».

Capisco «E’ molto importante ciò che semplicemente il giorno ci dà, ogni singola cosa che si 
realizza durante il giorno. La persona, l’osservazione che ha fatto, l’odore dell’aria in quel 
momento.

"«Non si chiede più niente a se stessi si comincia a svuotarsi dei vincoli che parevano 
importanti» «Le persone vengono da me per parlare e quando troviamo le parole giuste la 
sofferenza si allevia»"

E queste cose hanno bisogno di accettazione, di ricognizione, di riconoscimento... Adesso non 
ho ancora la parola giusta. Ma trovare le parole è magnifico. Trovare la parola giusta è così 
importante. Le parole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano il 
dolore».

E il dialogo aiuta a trovarle?

«Sì, e mi rende così felice.

Sai, da qualche tempo le persone vengono da me come se avvertissero in me il richiamo di quel 
vuoto di cui parlavo. Se io non fossi così vuoto, non verrebbero».

Come un risucchio che attira.

«Dev’essere così».

O una condizione di saggezza?

«No. Una calamita. Cercano qualcosa cui attaccarsi. Vogliono qualcosa, ed è la mia capacità di 
cristallizzare e formulare. Due parole che sono usate per una delle ultime fasi dell’alchimia. 
Cristallizzazione e formulazione. Le persone sono in pessima forma di questi tempi, il mondo 
è in pessima forma. E in qualche modo il mio avere trovato qualche solidità li attrae».

Ma non parlavi di vuoto?

«Sì. Il mio stato di svuotamento esprime qualcosa che non avevo finora realizzato e che può 
riassumersi nella parola coagulatio . Due princìpi governano tutti i processi alchemici: la 
coagulatio e la dissolutio . Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare 
più solidi, più definiti, formati, dotati di morphe . Ora l’intero processo che sto 
attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo . Ma la coagulatio è sempre seguita 
dalla dissolutio . Che è esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si 
sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente 
questo spiega i miei sintomi. Non faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando 
sempre di più, che mi sto dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e coagulazione, sono 
inscindibili. Non è fantastico? Non ci avevo riflettuto finché non mi è venuta per la prima 
volta in mente la coagulatio . E la rubefactio , che permette alla bellezza di mostrarsi. 
Così ora sono una persona diversa. Non avevo mai percepito queste cose dentro di me. 
O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai saputo chi ero».

Da dove viene questa consapevolezza?

«Oh, decisamente dal morire».

Ti dici «impegnato nel morire». Vuoi arrivare alla morte in piena consapevolezza. Ma, come 
diceva Epicuro cercando di spiegare perché non bisogna averne paura, «se ci sei tu non c’è 
la morte, e se c’è la morte non ci sei tu».

«Esatto».

Mi sto domandando se allora questo tuo morire non sia un’intensificazione del vivere.

«Assolutamente sì, non c’è il minimo dubbio. Quando la morte è così vicina la vita cresce, si 
esalta. Ne sono certo. Ma non vorrei essere presuntuoso».

In che senso?

«Orgoglio, arroganza, hybris : attenzione a non peccare contro gli dèi. Mai, in nessuna occasione».

Certo, ma non credo che la tua sia hybris . Credo sia puro coraggio affrontare la morte a 
occhi aperti. E’ raro, ed è per questo che il tuo reportage è così prezioso.

«E’ prezioso, sì. Mi sto rendendo conto di qualcosa che non avevo mai realizzato prima. Ha a 
che fare con un certo argomento di cui Margot ed io dovremo parlare prima, una certa 
decisione che io potrei prendere. Sai, nel mondo di oggi mi è consentito, come lo sarebbe 
stato nel mondo greco».

Capisco a cosa alludi.

«Ma il punto è che dovrei mettermi nelle loro mani, e sarebbero loro a decidere. In qualche 
modo io sarei il loro strumento, non loro il mio. Intendiamoci, lo spero. Ma sarebbero loro 
a informarmi quand’è il mio momento. Oppure potrei prenderlo nelle mie mani, che sono 
lo strumento classico: la mano [Hillman fa il gesto di trafiggersi il petto], o la vasca da 
bagno, come Petronio. Ma il fatto è che l’intera cerimonia - perché la definirei così 
non è ancora lontanamente immaginabile. O meglio, l’idea è immaginabile, dato che ne sto 
parlando ora. Ma c’è un’altra idea, sempre antica, che in qualche modo contrasta. Primum 
nil nocere . Primo, non fare del male. [Si tratta del giuramento di Ippocrate]. E allora, qual è 
la decisione migliore? che ne pensi?».

Gli antichi stoici dicevano, a proposito del suicidio: «C’è del fumo in casa? Se non è troppo 
resto, se è troppo esco. Bisogna ricordarsi che la porta è sempre aperta». Evidentemente, la 
tua casa non è ancora piena di fumo. Quando lo sarà, lo sentirai.

«Riuscirò a sentirlo?».

Forse ti sentirai confuso. Quello che so è che ora stai respirando, non c’è fumo nel tuo 
cervello, nella tua psiche, nella tua anima. Quando ci sarà, forse prenderai in considerazione il 
suggerimento degli stoici. Non sei forse un pagano? Non hai allenato per tutta la vita il 
tuo istinto a percepire le epifanie degli dèi?.

«Oh sì che sono un pagano. E’ questo il punto».

E’ pagana anche la tua percezione della bellezza, del grande teatro verde della natura che 
hai scelto per questa tua ars moriendi, questa tua arte pagana del morire che è anche, o anzi 
è soprattutto un’arte estrema del vivere.

"«Non mi piace definirla un’ars moriendi ma un tenersi più stretti possibili a ciò che è» «Sono 
un pagano e non vorrei essere presuntuoso o arrogante Non bisogna mai peccare contro gli dèi»"

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