Hillman ha ritrovato l'anima nella psicologia, e psiche significa proprio anima e non mente!
Colui che cerca nella morte imminente lo spunto per vivere con la massima consapevolezza, nel
il momento più tragico, ma sopratutto magico della vita...
Colui che cerca nella morte imminente lo spunto per vivere con la massima consapevolezza, nel
il momento più tragico, ma sopratutto magico della vita...
Hillman: “Sto morendo ma non potrei essere più impegnato a vivere”
“Con la morte vicina, la vita si esalta”
di Silvia Ronchey
L’ultima intervista Al capezzale dello psicoanalista che ha domato il dolore per ragionare sulla
propria fine
Hillman «Guardando la mia fine ad occhi aperti, e riflettendoci sopra, mi rendo conto di
realizzare qualcosa di molto prezioso»
«Sto morendo, ma non potrei essere più impegnato a vivere». Così aveva scritto, nella sua
ultima mail. E così l’ho trovato, quando sono andata a salutarlo per l’ultima volta nella
sua casa di Thompson, nel Connecticut, pochi giorni prima che morisse: il fantasma di se
stesso, ma incredibilmente vitale; il corpo fisico ridotto al minimo, quasi mummificato, tutto
testa, pura volontà pensante. Restare pensante era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo
aveva ridotto al minimo la morfina, a prezzo di un’atroce sofferenza sopportata con quella
che gli antichi stoici chiamavano apatheia : un apparente distacco dalla paura e dal dolore che
traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L’unica cosa che contava
era analizzare istante dopo istante se stesso e quindi la morte come atto oltre che nella sua
essenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato detto «stay hungry, stay foolish», l’ultimo
insegnamento di James Hillman può riassumersi così: «Resta pensante» fino all’ultima soglia
dell’essere.
Il tempo qui sembra fermo, le lancette puntate sull’essenza ultima. «Oh, sì. Morire è l’essenza della vita». Com’è morire? «Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos’è o dov’è il
vuoto? Il vuoto è nella perdita. E che cosa si perde? Io non ho “perso” nel senso comune di
“perdere”. Non c’è perdita in quel senso. C’è la fine dell’ambizione. La fine di ciò che si chiede
a se stessi. E’ molto importante. Non si chiede più niente a se stessi. Si comincia a svuotarsi
degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose
cominciano a sparire, resta un’enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E
si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».
E’ una condizione perseguita dai mistici. «Oh sì, dall’induismo per esempio, gli induisti ne scrivono. Ma in questo caso è tutto
unwillkürlich , involontario. E’ accidentale».
Comunque non credo non ti sia rimasta nessuna ambizione. «Davvero?» [Apre di scatto gli occhi finora socchiusi, con un lampo azzurro di sfida]. Ti resta quella degli antichi romani: lasciare il tuo pensiero ai posteri. «E’ vero. E’ molto importante per me che il mio pensiero rimanga. Ma la parola posteri mi
rimanda a postea , a un dopo, a un futuro, in cui non voglio essere trasportato adesso».
Perché esisti solo al presente. «Sì, e voglio tenere chiusa la porta con il cartellino “Exitus”. La potrò aprire a un certo punto,
quando capirò come farlo nel modo giusto. [Tenta di scuotere il capo, ma il dolore lo ferma].
Non saprei ora come aprire quella porta senza che ne dilaghi una folla di creaturine che
vogliono qualcosa. Molti degli antichi filosofi ne sono stati catturati, probabilmente tu sai chi
lo è stato più degli altri. Io non voglio. Il mio compito è dialogare e tenere il dialogo aperto
su quel che accade momento per momento. Il mio è piuttosto un reportage. Dal vivo. Dal vero».
Non potrebbe essere altrimenti: o non fai il reportage - come la maggior parte di chi si
trova nella tua condizione - oppure ciò che riferisci è la verità. E penso che tutti siano
affamati di questa verità.
«Tutti sono affamati di morte. La nostra cultura lo è. Io, qui, come vedi, ne parlo
continuamente. Ma non la esprimo. Perché nella morte io sono impegnato. Non voglio
uscirne, per esprimerla, per vederla o guardarla in trasparenza. Non cerco di formularla.
Ogni tanto si realizza qualcosa che mi porta in un altro luogo dal quale posso osservarla.
Magari anche di riflesso. Ogni sorta di cose si riflettono in questa introspezione, ma non
l’attività essenziale di ciò in cui sono impegnato [ossia l’atto del morire]. Il tempo che mi dò
è il qui e ora».
Capisco «E’ molto importante ciò che semplicemente il giorno ci dà, ogni singola cosa che si
realizza durante il giorno. La persona, l’osservazione che ha fatto, l’odore dell’aria in quel
momento.
"«Non si chiede più niente a se stessi si comincia a svuotarsi dei vincoli che parevano
importanti» «Le persone vengono da me per parlare e quando troviamo le parole giuste la
sofferenza si allevia»"
E queste cose hanno bisogno di accettazione, di ricognizione, di riconoscimento... Adesso non
ho ancora la parola giusta. Ma trovare le parole è magnifico. Trovare la parola giusta è così
importante. Le parole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano il
dolore».
E il dialogo aiuta a trovarle? «Sì, e mi rende così felice. Sai, da qualche tempo le persone vengono da me come se avvertissero in me il richiamo di quel
vuoto di cui parlavo. Se io non fossi così vuoto, non verrebbero».
Come un risucchio che attira. «Dev’essere così». O una condizione di saggezza? «No. Una calamita. Cercano qualcosa cui attaccarsi. Vogliono qualcosa, ed è la mia capacità di
cristallizzare e formulare. Due parole che sono usate per una delle ultime fasi dell’alchimia.
Cristallizzazione e formulazione. Le persone sono in pessima forma di questi tempi, il mondo
è in pessima forma. E in qualche modo il mio avere trovato qualche solidità li attrae».
Ma non parlavi di vuoto? «Sì. Il mio stato di svuotamento esprime qualcosa che non avevo finora realizzato e che può
riassumersi nella parola coagulatio . Due princìpi governano tutti i processi alchemici: la
coagulatio e la dissolutio . Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare
più solidi, più definiti, formati, dotati di morphe . Ora l’intero processo che sto
attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo . Ma la coagulatio è sempre seguita
dalla dissolutio . Che è esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si
sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente
questo spiega i miei sintomi. Non faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando
sempre di più, che mi sto dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e coagulazione, sono
inscindibili. Non è fantastico? Non ci avevo riflettuto finché non mi è venuta per la prima
volta in mente la coagulatio . E la rubefactio , che permette alla bellezza di mostrarsi.
Così ora sono una persona diversa. Non avevo mai percepito queste cose dentro di me.
O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai saputo chi ero».
Da dove viene questa consapevolezza? «Oh, decisamente dal morire». Ti dici «impegnato nel morire». Vuoi arrivare alla morte in piena consapevolezza. Ma, come
diceva Epicuro cercando di spiegare perché non bisogna averne paura, «se ci sei tu non c’è
la morte, e se c’è la morte non ci sei tu».
«Esatto». Mi sto domandando se allora questo tuo morire non sia un’intensificazione del vivere. «Assolutamente sì, non c’è il minimo dubbio. Quando la morte è così vicina la vita cresce, si
esalta. Ne sono certo. Ma non vorrei essere presuntuoso».
In che senso? «Orgoglio, arroganza, hybris : attenzione a non peccare contro gli dèi. Mai, in nessuna occasione». Certo, ma non credo che la tua sia hybris . Credo sia puro coraggio affrontare la morte a
occhi aperti. E’ raro, ed è per questo che il tuo reportage è così prezioso.
«E’ prezioso, sì. Mi sto rendendo conto di qualcosa che non avevo mai realizzato prima. Ha a
che fare con un certo argomento di cui Margot ed io dovremo parlare prima, una certa
decisione che io potrei prendere. Sai, nel mondo di oggi mi è consentito, come lo sarebbe
stato nel mondo greco».
Capisco a cosa alludi. «Ma il punto è che dovrei mettermi nelle loro mani, e sarebbero loro a decidere. In qualche
modo io sarei il loro strumento, non loro il mio. Intendiamoci, lo spero. Ma sarebbero loro
a informarmi quand’è il mio momento. Oppure potrei prenderlo nelle mie mani, che sono
lo strumento classico: la mano [Hillman fa il gesto di trafiggersi il petto], o la vasca da
bagno, come Petronio. Ma il fatto è che l’intera cerimonia - perché la definirei così
non è ancora lontanamente immaginabile. O meglio, l’idea è immaginabile, dato che ne sto
parlando ora. Ma c’è un’altra idea, sempre antica, che in qualche modo contrasta. Primum
nil nocere . Primo, non fare del male. [Si tratta del giuramento di Ippocrate]. E allora, qual è
la decisione migliore? che ne pensi?».
Gli antichi stoici dicevano, a proposito del suicidio: «C’è del fumo in casa? Se non è troppo
resto, se è troppo esco. Bisogna ricordarsi che la porta è sempre aperta». Evidentemente, la
tua casa non è ancora piena di fumo. Quando lo sarà, lo sentirai.
«Riuscirò a sentirlo?». Forse ti sentirai confuso. Quello che so è che ora stai respirando, non c’è fumo nel tuo
cervello, nella tua psiche, nella tua anima. Quando ci sarà, forse prenderai in considerazione il
suggerimento degli stoici. Non sei forse un pagano? Non hai allenato per tutta la vita il
tuo istinto a percepire le epifanie degli dèi?.
«Oh sì che sono un pagano. E’ questo il punto». E’ pagana anche la tua percezione della bellezza, del grande teatro verde della natura che
hai scelto per questa tua ars moriendi, questa tua arte pagana del morire che è anche, o anzi
è soprattutto un’arte estrema del vivere.
"«Non mi piace definirla un’ars moriendi ma un tenersi più stretti possibili a ciò che è» «Sono
un pagano e non vorrei essere presuntuoso o arrogante Non bisogna mai peccare contro gli dèi»"
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