martedì 17 dicembre 2013

Le mummie del socialismo

LENIN, COMPAGNO IMMORTALE
Ventun gennaio 1924. A Mosca la morte di Vladimir Il'ic Uljanov, meglio noto come Lenin, rende orfano un intero Paese. Per settimane la Piazza Rossa è teatro di una devozione collettiva mai vista. Una chilometrica fila, paziente e composta, serpeggia costeggiando le mura possenti del Cremlino. La massa contadina russa, impastata di fango e neve, s'introduce nel sacrario. Dopo ore di attesa, si stringe per 80 secondi attorno al corpo senza vita di Lenin. È venuta da lontano per contemplarlo e salutarlo un'ultima volta: è gente semplice, analfabeta, che crede al magico e ignora quanto sia accaduto sul palcoscenico che sta calpestando.
Ispirato da tale spettacolo, Stalin comprese che Lenin era un punto di riferimento indispensabile per il popolo russo e decise di conservarne per sempre il corpo come reliquia sacra, malgrado le proteste della vedova e le ultime volontà dello statista di riposare accanto alla madre a S. Pietroburgo. Stalin voleva che la gente si abituasse gradualmente allo shock della morte di Lenin. Riflettè allora sulla capacità di richiamo dei corpi dei santi ortodossi conservati nelle cattedrali e decise di trasformarlo nella più perfetta mummia che il mondo avesse mai visto, affinchè potesse infondere speranza alla collettività russa. Da quel momento, attorno alle reliquie di Lenin, prese corpo una sorta di religione laica che ne consolidò ulteriormente la fama e accese di riflesso quella di Stalin, cementando il fragile consenso nei suoi confronti. Per settimane i resti si conservarono grazie alle rigide temperature che sfioravano i -40° C, ma quando, a primavera, inevitabilmente iniziarono a salire, si rese necessario congelare artificialmente il corpo o imbalsamarlo: si optò per la soluzione chimica. L'incarico ufficiale di arrestare la corruzione delle spoglie vienne affidato al biochimico Boris Zbarskj (che guadagna 25.000 rubli, somma enorme per l'epoca) e all'anatomista Vladimir Vorobiov. Entrambi non avevano mai lavorato su un cadavere, ma non c'era tempo da perdere: il corpo iniziava a deteriorarsi. Si procurarono un arsenale chimico e lavorarono senza sosta in una cripta ben attrezzata sotto il mausoleo. I metodi adottati inizialmente non portarono agli esiti sperati. Poi, nel mese di luglio, i due scienziati trovarono il sistema per arrestare il processo di corruzione dell'illustre paziente, un segreto di stato custodito sino all'avvento della Glasnost, la trasparenza informativa. Il risultato fu (ed è) impressionante: Lenin sembrava sul punto di tornare in vita da un momento all'altro, era come se fosse appena spirato. Persino il fratello Dmitrij e la vedova Nadezhda Krupskaya rimansero sbalorditi. È stato il figlio di Zbarskij, Ilja, a fornire dettagli sulla faccenda in un libro uscito dopo la caduta del comunismo. Raccontò che inizialmente vennero cuciti gli occhi e la bocca e schiarite le macchie scure che deturpavano la salma, quindi furono rimossi gli organi interni e pulite le cavità con acqua distillata e acido acetico. Dopo di che il corpo venne posto in una vasca colma di formalina e successivamente immerso a più riprese in un bagno di glierina, acetato di potassio, acqua ditillata e cloruro di chinina, più o meno la stessa soluzione utilizzata oggi per i trattamenti di mantenimento. Erano agenti chimici piuttosto comuni, ma i due imbalsamatori fecero credere che si trattasse di una formula complessa e nota solo a loro. In ogni caso, nonostante la pressione emotiva (e senza reali garanzie d'incolumità in caso d'insuccesso), il risultato è un capolavoro che portò Majakovskij a dire: «Lenin è vissuto, Lenin vive, Lenin vivrà». Malgrado i travagli dell'ultima Guerra Mondiale, quando per sicurezza venne trasportata nelle lande della Siberia occidentale assieme al team che si occupava di lei, la salma di Lenin è tuttora come sospesa in una sorta di limbo: il colorito e l'aspetto naturale appaiano così prodigiosi da far pensare a una statua di cera.
La tomba di Lenin, che si trova nel mausoleo omonimo della Piazza Rossa, è dotata di un sofisticato sistema computerizzato che mantiene costante la temperatura e regola uno speciale impianto d'illuminazione che magicamente rimuove i pochi difetti sulla sua pelle. I costi di mantenimento sono ingenti, si parla addirittura di 1,5 milioni di dollari all'anno finanziati, dal 1991, dalle donazioni di un fondo fiduciario. La salma è tuttora ispezionata e pulita due volte la settimana da specialisti dell'Istituto Nazionale di Medicina e ogni 18 mesi viene spogliata e immersa in una vasca piena di sostanze chimiche tra cui cera di paraffina. Yuri Denisov Nikolskij, attuale custode di Lenin, ha sottolineato che il corpo è in buone condizioni e che, se gli saranno prestate le necessarie cure, potrà restare nel mausoleo almeno per altri 100 anni. La temporanea chiusura della tomba avvenuta un paio di anni fa, ha però riattizzato la questione di una possibile definitiva rottura col passato. La Chiesa Ortodossa, il Rabbino-capo e la Direzione Spirituale Centrale dei musulmani chiedono che Lenin venga normalmente sepolto. A motivare la pretesa non è il giudizio sul suo operato, le comunità religiose reputano semplicemente che esporre un defunto non sia consono alla civiltà moderna. Agli inizi del '90 anche Boris Eltsin espresse l'intenzione di rispettare le ultime volontà di Lenin e di trasferire la salma a S. Pietroburgo, ma la dichiarazione accese feroci controversie sollevando le proteste dei partiti di sinistra, in particolare del leader politico Gennadi Zyuganov (e le blande lamentele delle agenzie di viaggio). Anche Putin si era mostrato disponibile a un dialogo sulla questione, ma sembra distante il giorno in cui il mausoleo chiuderà i battenti: i moscoviti s'oppongono fieramente all'intenzione di smantellarlo. A loro modo di vedere Lenin è un pezzo di storia che non si può distruggere; la mummia, la reliquia più sacra del comunismo sovietico e personificazione della Rivoluzione, deve restare al suo posto.
La tomba di Lenin che possiede le stesse proporzioni della piramide di Keope - Sintesi e riadattamento di un un articolo di Antonio Rossi pubblicato su Hera n° 65 (giugno 2005)-

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